Crossover
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Autore: Registe    06/10/2015    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 28 - Nel cuore della battaglia





Aban




Se non è stato Kaspar, è stato un Membro dell’Organizzazione.
Se non è stato un Membro dell’Organizzazione, è stato Kaspar.
Infallibile tecnica ribelle per scoprire le cause dei disastri nella galassia, dall’unghia incarnita di Mon Mothma alle pieghe spaziotemporali che uniscono gli universi paralleli.





Auron appoggiò la mano al parapetto, stringendo la barra di metallo per mantenere l’equilibrio.
“Ti avevo mai detto che soffro di vertigini, Auron?”
“No, Mu” sospirò. “E credimi, avrei preferito scoprirlo in un altro frangente”.
Avanzarono cauti, un passo alla volta, Auron che aveva insistito per guidare la fila e Matoriv che la chiudeva, lasciando al centro i pochi druidi superstiti all’assalto dei droideka per garantire il teletrasporto. La passerella su cui si trovavano non era larga più di due braccia e sembrava un sottile filo metallico in confronto all’enormità del reattore, il cuore pulsante della Morte Nera su cui si trovavano a camminare. Il reattore, il grande pozzo vuoto, era più largo del lago Mataroi: sopra e sotto di loro non vi era altro che vuoto senza fine, una cavità così profonda di cui era impossibile vedere il fondo, alimentato con qualche strana forma di energia meccanica che Auron si rifiutava di comprendere. Sapeva solo che guardando in basso qualcosa bruciava più vivo di un sole, mentre guardando in alto l’assenza del soffitto trasformava quel posto in una volta oscura. La passerella su cui si trovavano era l’unica a collegare il resto della Morte Nera all’enorme pilastro metallico al centro del pozzo di reazione, un lunghissimo cilindro dentro il quale si trovavano i meccanismi in grado di regolare l’attività del reattore, almeno stando a quello che aveva detto l’Alleanza Ribelle. Distruggere il sistema di controllo all’interno del pilastro avrebbe rappresentato il collasso per l’enorme stazione spaziale.
Auron si guardò intorno cercando di individuare telecamere o dispositivi di difesa. Per giungere fin lì avevano abbattuto diversi sistemi di difesa, e ciò che preoccupava il mercenario era proprio il fatto che fossero giunti ad oltre metà della passerella senza essere accolti come minimo da una raffica di laser. E lo preoccupava Zachar.
Sebbene le informazioni dello strambo uomo delle pulizie fossero state precise e dettagliate, durante il percorso non avevano trovato traccia dei loro compagni: Aban aveva persino cercato di dare un’occhiata ad una stanza deputata alla sorveglianza a distanza, ma dei loro amici non ve ne era traccia. Riassestare i comunicatori era stato inutile, e per quanto Mu gli ripetesse ad ogni passo che Zachar era abile ed in grado di difendersi lui scuoteva la testa, gridando anche troppo ad alta voce che sarebbe stato tranquillo nel momento in cui l’avrebbe rivista. Ma non vi era segno né di lei, né di Leona, di Dai o degli altri membri della squadra.
Sotto di loro qualche motore doveva essersi messo in funzione perché il condotto diventò incandescente per una frazione di secondo, creando un lampo abbagliante che illuminò il cuore del reattore. Un rumore sordo si attivò molti livelli sotto di loro.
Mancava meno di una decina di metri all’accesso del pilastro, una porta metallica blindata non dissimile da tutte quelle che avevano sfondato per arrivare fin lì. “Se vi dico che secondo me è strano non trovare nemmeno una guardia nel reattore mi date del guastafeste?”
“Sì, Auron!” gracchiò Matoriv alle sue spalle. “Per una volta che va tutto liscio …”
“LURIDI VERMI, CREATURE STRISCIANTI DI UN PIANETA INFERIORE! NON HO IDEA DI COME SIATE GIUNTI QUI MA PREPARATEVI A SUBIRE LA COLLERA DEL GRANDE IMPERATORE PALPATINE!”
L’inconfondibile timbro di voce li colse alla sprovvista, e Mu fece un salto così evidente che per poco non perse la stretta sul corrimano. Erano ormai alcuni anni che il Braccio Destro del Grande Satana non faceva la sua comparsa sui campi di battaglia, ma non per questo Auron ne aveva dimenticato il tono violento ed autoritario che aveva fatto tremare persino il Castello dell’Oblio. “Matoriv, cos’era che stava andando tutto liscio?”
“PROSTRATEVI DAVANTI ALL’IMMENSITA DEL SUO IMPERO! LA MIA VOCE E’ SOLO UN’ECO DELLA SUA POSSENTE PAROLA!”
Con un debole ronzio la porta blindata che conduceva al centro di controllo del reattore si aprì. Auron non riuscì nemmeno a sbirciarne l’interno che proprio da dietro la porta fece la sua comparsa il famigerato mantello bianco, i misteriosi occhi luminosi al di sotto del cappuccio e l’indice puntato verso di loro. Dal fondo del reattore si sollevò una folata di vento che agitò i vestiti chiari, mostrandone i piedi coperti da qualcosa che aveva tutta l’aria di essere puntuto e metallico. Il soldato mosse lentamente il braccio verso l’alto, sperando di riuscire a impugnare la Masamune prima dell’imminente attacco, ma rallentò quando sentì qualcuno allungargli una gomitata e superarlo lungo la stretta passerella. “Ehilà, Misto, era un po’ che non ci vedevamo!”
Aban si piantò al centro del passaggio, con le gambe ben salde quasi ad impedire a tutti gli altri di superarlo. Non aveva la spada in pugno né stava preparando alcun incantesimo, e con fare tranquillo nemmeno fosse stato ai fanghi di Karl si scrocchiò le dita proprio davanti all’avversario. “Sai, senza di te i duelli sono un’altra cosa. Cerca di capirmi, Baran e Hadler sono due musoni e anche Croco e Hyunkel non è che …”
“COSA OSI DIRE, PATETICA FORMA DI VITA? CERCHI FORSE DI CONFONDERMI CON LE TUE LURIDE PAROLE? GIAMMAI IO AVREI SEGUITO UNA BESTIA SANGUINARIA COME IL GRANDE SATANA! IL MIO CUORE ED IL SACRO DONO APPARTENGONO SOLTANTO AL GRANDE IMPERATORE PALPATINE!”
Bastò il tono della voce per far tremare la loro piattaforma. L’eco si espanse per tutta la lunghezza del reattore come se centinaia di martelli stessero percuotendo le lastre metalliche e Auron ne approfittò della copertura del suo compagno per afferrare l’elsa della sua spada e portarsi in posizione di guardia. Alle sue spalle Mu cercò di calmare i druidi, ma la potenza della voce di Mistobaan attraversò la passerella come il vento impietoso del nord. “IO NON HO CHE UN SOLO SIGNORE! E CHIUNQUE OSI METTERE IN DISCUSSIONE LA MIA LEALTA MERITA SOLO DI FINIRE INCENERITO DALLA SUA COLLERA!”
“Cavoli, era proprio come diceva l’Alleanza! Ti hanno davvero bruciato il cervello, Misto!”
“Aban, potresti evitare di …?”
Auron non terminò la frase.
Il dito metallico dell’avversario si allungò come una frusta. Aban sollevò la spada e lo deviò, ma Auron ne vide la punta saettare e di riflesso diede una violenta spinta a Mu, facendolo cadere lungo la passerella ed evitando che diventasse il bersaglio involontario dell’attacco. Il rumore della spada di Aban contro il dito fu una vibrazione metallica il cui eco rimbalzò per tutto il reattore. Prima ancora che le altre dita potessero prendere vita Aban si abbassò fino a toccare la piattaforma con le mani. “Vai, Matoriv!”
Una saetta guizzò dal fondo della fila: nel punto dove fino a qualche istante prima vi era la testa di Aban comparve un fulmine immenso diretto verso il Braccio Destro ed Auron sentì un soffio di fumo uscire dal proprio abito quando l’incantesimo inondò di luce il sottile camminamento e prese l’altro in pieno petto, scaraventandolo contro il pilastro. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo vide Aban rimettersi in piedi con una capriola, scattare in avanti –con una mano a protezione degli occhiali- e fu addosso a Mistobaan afferrandolo per un lembo del mantello, la spada in alto. Un secondo fulmine lo raggiunse, avvolse la spada e la caricò di energia. “Ehi, vedi di non sprecare i miei incantesimi!” gridò il vecchio mago, superando i druidi dalle retrovie e mettendosi al fianco di Mu. Aveva ancora il fiato corto per la Medroa, ma le mani cariche di energia indicavano chiaramente che aveva ancora forza per lottare a dispetto dell’età. “O mi faccio pagare anche il singolo Dardo Incantato. Chiaro, Aban?”
“Chiarissimo, vecchio mio! Ehi, Misto …”
La passerella stavolta vibrò con molta più forza, ed Auron notò che la superficie metallica, liscia e scintillante come qualsiasi bullone su quella maledetta stazione spaziale, era venata, ruvida, e sembrava sull’orlo di esplodere nemmeno fosse fatta di cristallo. Lo stesso pilastro centrale fu avvolto da una scarica azzurra, la stessa che nasceva dal fondo del reattore, ne attraversava il core e poi si lasciava trascinare dalla magia esplosiva di Matoriv fin sul filo della lama di Aban. Una combinazione lievemente diversa da quelle che ogni tanto lui creava con Zachar: quando loro due combattevano in coppia sapeva benissimo che lei avrebbe volutamente limitato la forza dei propri incantesimi per evitare che qualcosa andasse storto e lui dovesse rimanere ferito. Quando Aban e Matoriv combattevano … beh, non risparmiavano nemmeno la più piccola fibra dei muscoli. Quando Aban e Matoriv combattevano insieme liberavano tutta la loro potenza senza pensarci due volte, senza consultarsi e rivolgersi la parola solo in casi di emergenza. L’uno affidato completamente all’altro, il frutto di un’esperienza almeno trentennale.
Auron non si sarebbe mai sentito sicuro sapendo che, alle proprie spalle, un tipo fantasioso come Matoriv sta per lanciare un incantesimo apparentemente senza direzione.
Il secondo ad arrivare fu il vento. Stavolta nessun motore di accese dal basso, nessun rumore di macchine accese, ma prima che Mistobaan potesse liberarsi dalla presa di Aban l’aria corse dal cuore del reattore come un cavallo imbizzarrito. Un druido lanciò un grido e Auron si sporse per impedirgli di cadere nel baratro, troppo incantato dal potere immenso che il soldato era riuscito ad assorbire. I capelli azzurri di Aban si erano sciolti diventando una massa informe e si confondevano con i lampi. “… vediamo se ti ricordi il mio Aban Strash!”
“TUTTI A TERRA!”
Auron riuscì ad afferrare il druido appena in tempo. Al grido di Matoriv ne seguì un fascio di luce accecante che saettò fino al punto in cui si trovava Aban: il guerriero lasciò che tutta la spada assorbisse la magia –prima o poi Auron avrebbe scoperto il segreto della sua lega- e poi saltò in aria: qualunque cosa vi fosse all’interno del pilastro iniziò a ronzare e fischiare, un’ondata di scintille color fuoco accompagnò l’attacco rivolto verso il basso, diretto verso Mistobaan ed il suo petto. L’ultima cosa che riuscì a vedere fu la figura di Mu, in piedi davanti a lui con le braccia allargate, e l’aria color verde ed oro che annunciava la comparsa del Crystal Wall.
Poi vi fu soltanto un enorme lampo di luce.
Auron non riuscì a dire quanto fosse durato. Più di qualunque esplosione, poco ma sicuro.
Anche più della Medroa, dalla potenza senza dubbio più devastante.
Il mondo si tinse di un bianco violento in maniera innaturale, e dietro l’incantesimo difensivo del suo migliore amico persino i suoni ovattati e deboli davano a quella situazione un aspetto minaccioso. L’unica cosa certa e ferma era il polso del druido, totalmente irrigidito per la paura.
La luce si disperse così come era arrivata.
Mu era ancora in piedi, un po’ curvo in avanti ma ancora piantato al centro del passaggio.
Il problema, se ne accorse esattamente l’istante successivo, era che oltre le gambe del sacerdote non esisteva più alcun passaggio.
La passerella che li univa al sistema di comando del generatore era scomparsa. I frammenti, qualora ve ne fossero stati, erano precipitati nel cuore del reattore lasciando solo una scia di fumo lungo il metallo incandescente che segnava il punto in cui l’esplosione dell’Aban Strash era stata fermata dal Crystal Wall. Tutt’intorno a loro le pareti erano annerite, compreso il gigantesco cilindro centrale che sembrava essere stato investito dalla clava di un gigante, una delle superfici completamente dilaniata. Aban era immobile in aria, con la spada ancora in mano che lentamente dissipava la magia che ancora era rimasta imbevuta nella lama: la giacca rossa era quasi del tutto carbonizzata, ed anche a quella distanza poteva vedere la pelle arrossarsi ad ogni istante di più per il calore del suo stesso incantesimo. Ma, nonostante avesse sferrato l’attacco, rimaneva ancora in aria.
Immobile.
I fili comparvero solo quando la luce si diradò del tutto. Erano sottili, quasi trasparenti, ma nel momento in cui anche l’ultimo sprazzo di magia ritornò in Aban questi scintillarono per un istante di un colorito simile a sangue. L’intera struttura centrale di comando ne era avvolta, quasi come una gigantesca ragnatela: i fili sembravano nascere dallo stesso metallo e sollevavano il guerriero senza sforzo, avvolgendogli i polsi, il collo e tutti gli stivali fino al ginocchio. Alcuni si mossero dalle pareti e si avventarono sulla spada cercando di strappargliela dalle mani, ma l’altro aveva abbastanza forza da non cedere la presa e rimase a metà, stringendo l’elsa con forza mentre la lama svaniva dietro i fili. E non aveva bisogno di conoscere il burattinaio. Al Castello dell’Oblio aveva avuto modo di conoscere l’efficienza del Toma Messaijin, l’incantesimo portante di Mistobaan.
L’araldo del Grande Satana –o dell’Imperatore, non che la cosa facesse molta differenza- fluttuava sopra di loro con la mano destra tesa. L’estremità inferiore del mantello era carbonizzata, rivelando le gambe fino al ginocchio; il petto, nel punto in cui Aban aveva diretto l’attacco, era attraversato da uno squarcio che aveva portato via uno dei complessi strati della tunica, lasciando la stola decorata priva di supporto e che adesso si agitava in aria seguendo l’energia del reattore. Il cappuccio era intatto, ma le luci dorate, di solito inespressive, adesso sembravano fioche in qualcosa che avrebbero potuto chiamare “furia”. La mano sinistra stringeva fino allo spasmo la catenella argentata all’altezza del collo, il fermaglio che univa i due lembi della tunica. La destra mosse le dita, avviluppando sempre più Aban nel suo attacco.
“Ha difeso il sistema di controllo ed ha contrattaccato l’Aban Strash …” mormorò Mu mentre riprendeva fiato. “Non per niente è Mistobaan”.
“Non per niente il bastardo sa volare. E noi no” ringhiò, osservando l’avversario scivolare sopra di loro, la mano sempre puntata in direzione di Aban.
“IO SONO IL CUSTODE DEL GRANDE DONO DELL’IMPERATORE PALPATINE! E VOI SIETE COLORO CHE ATTENTANO AD ESSO. LA MIA IRA SARA’ LA VOSTRA TOMBA!”
“Ancora con la storia del Dono, Misto? Speravo che ci avresti risparmiato almeno quel tormentone …”
I druidi si erano radunati intorno a Matoriv nello stretto spazio rimasto. Alcuni puntavano i bastoni verso l’alto, altri tendevano le dita in aria caricandole di magia. Una di loro, una tipa piuttosto carina con un mare di lentiggini, si era inginocchiata iniziando a cantilenare qualcosa in una lingua che non conosceva. Il vecchio mago aveva una mano serrata sulla balaustra fino a diventare bianca, ma era ancora in piedi. Si asciugò del sangue che gli scendeva dalle labbra, ma alzò la voce abbastanza da costringere la figura incappucciata a voltarsi nella sua direzione. “Sai, sono quasi tentato di darti un sacco di legnate e riconsegnarti al GSB con un bel fiocco rosa intorno alla testa”.
“COME OSI ANCHE SOLO PENSARE CHE …?”
“Mu? Auron? …”
Si voltò verso di loro, ed all’istante tutti i druidi iniziarono ad emettere qualcosa di azzurro, splendente e decisamente pericoloso dalle loro mani. “… siete bravi a pattinare, vero?”
La magia Iora partì dalla sua mano sinistra. Auron non riuscì nemmeno a mandarlo al diavolo che dal punto in cui la passerella era stata tagliata di netto dalla violenza dell’Aban Strash si era formato un gigantesco blocco di ghiaccio che si modellò sotto i suoi occhi, frantumandosi e poi ricomponendosi in un battito di ciglia sotto la concentrazione ed il potere di Matoriv. Il ghiaccio si allungò sempre di più, si espanse fino a sostituire l’intero passaggio. Tra loro ed il centro di comando adesso c’era un ponte di pura magia Iora che sembrava congelare l’aria con la sua stessa presenza. Mistobaan provò ad urlare qualcosa, ma qualunque incantesimo stessero preparando i druidi lo colpì in petto, sospingendolo diversi metri più lontano.
Avevano la loro occasione.
“Matoriv, fai sciogliere questo coso e dovrai trovare qualche bravo guaritore per ricostruirti la faccia …”
“Auron, andiamo” sussurrò Mu mettendo per primo il piede in avanti.
Il soldato sbuffò, pregando che il ponte improvvisato potesse sorreggere i numerosi chili d’oro che il suo amico portava addosso. Si propose anche di cancellare dalla testa il fatto che l’altro soffrisse di vertigini proprio quando lo vide oscillare pericolosamente a più di un braccio da lui. Diede le spalle a Matoriv ed ai druidi ed iniziò ad andare avanti lungo l’incantesimo, gli occhi puntati sul sacerdote che lo precedeva: parte della mente gli imponeva di guardare in basso e controllare la presenza di eventuali crepe, ma l’idea di osservare il vuoto sotto di loro, la potenza del reattore, gli sconsigliò anche solo di chinarsi. Guardò prima Mu, poi Aban ancora imprigionato ed inspirò l’aria gelida che li circondava mentre iniziò ad avanzare.
Il gelo si fece subito sentire sotto la suola degli stivali. Era liscio, scivoloso, ed orribilmente gelido.
Per i primi tre passi Auron ignorò tutto, anche la voce di Mistobaan, con la testa intenta solo a mettere un piede davanti all’altro ed a non perdere l’equilibrio. Davanti agli occhi gli passavano scintille e deflagrazioni, chiaro segno che Matoriv e gli altri stavano facendo di tutto per tenere occupato il Braccio Destro: puntò con lo sguardo il centro di controllo del reattore ed Aban immobile, perché distruggere quel punto significava garantire il collasso della Morte Nera.
Doveva solo arrivare lì.
Non guardò in basso nemmeno quando arrivò a metà percorso.
I piedi sembravano incollati al ghiaccio.
Ma in fondo il freddo non gli dispiaceva più di tanto. Era stato sul ghiacciaio del Carahdras che lui e Zachar si erano scambiati il loro primo bacio; una Stanza della Memoria, un luogo falso, ma il gelo di quel posto non aveva fatto altro che esaltare il calore delle sue labbra. E ciò che quel bacio aveva risvegliato … non aveva intenzione di perderlo. Non aveva intenzione di perdere e non riuscire a tornare da lei, dispersa da qualche parte in quella stupida stazione orbitante.
Non era mai stato un uomo da credere nel futuro: un mercenario come molti altri, che viveva alla giornata ed il cui unico futuro interessante era il giorno in cui sarebbe stato pagato per il proprio lavoro. Più bravo di molti, ne era sempre andato fiero, ma le guerre tra i piccoli feudi del suo mondo erano qualcosa di simile ad una partita a dadi, dove un lancio fortunato o una freccia ben scagliata possono trascinare una partita nel baratro della sconfitta nel tempo necessario per tendere una corda di un arco o di puntare una balestra. E nella vita aveva sempre tirato bene, ma nulla di più.
Con il tempo si era reso conto che uscire dal gioco della guerra non era così semplice. Ci aveva pensato più di una volta, soprattutto quando le numerose squadre di cui aveva fatto parte finivano preda di agguati, di trappole o semplicemente incontravano avversari più numerosi. Ci aveva pensato tutte quelle volte che aveva dovuto ritirarsi dal campo, scivolando sul sangue e sulle interiora dei suoi compagni di spada., correndo sotto piogge di frecce di cui anche solo una avrebbe potuto segnare la sua fine. Ci aveva pensato durante i temporali trascorsi nelle taverne, quando anche la birra aveva perso il suo sapore e le prostitute sembravano attrici che ripetevano un copione già visto.
Eppure era il Futuro a spaventarlo. Non un assassino nella notte, non un incendio nella sua taverna, non l’attacco dei demoni. Solo il Futuro.
Un luogo dove c’erano lui, magari una bella casa, e poi soltanto un incredibile silenzio. Certo, qualche volta c’era qualche bevuta in taverna con altri commilitoni, ma in quel luogo oltre il tempo c’era qualcosa che non riusciva a percepire, qualcosa simile ad un angoscia o forse una paura di un posto dove tutto ciò per cui aveva vissuto, in fondo, non sarebbe stato più necessario. Ed era pensando a quello strano Futuro che aveva continuato a firmare contratti, dedicandosi ai mille piccoli, semplici problemi di un Presente che di soldati ne aveva un disperato bisogno: aveva iniziato a scegliere le sue cause, i suoi padroni, le sue persone da difendere.
Ma sempre con una spada.
Finché non l’aveva conosciuta.
Non gli mancavano più di cinque passi quando la passerella esplose sotto i suoi piedi. Riuscì solo a vedere uno degli artigli di Mistobaan saettargli davanti al viso e piantarsi nel ghiaccio proprio dove avrebbe dovuto poggiare il suo piede. Le scintille di ghiaccio volarono in ogni direzione, coprendo per un istante persino la figura di Mu, e quando provò a voltarsi indietro vide qualcosa saettare dalle mani del nemico ed infrangersi contro il passaggio. Il ponte magico si inclinò verso destra, e sotto i suoi piedi il ghiaccio si frantumò come colpito dalla zampa di un drago.
Provò a saltare in avanti, rendendosi conto che il suo migliore amico era riuscito a raggiungere il centro di controllo e gli stava tendendo la mano.
Ma quando provò a darsi una spinta si accorse con orrore che i suoi piedi poggiavano su una nuvola di ghiaccio distrutto e vapore e le sue dita strinsero soltanto aria mentre precipitò verso il cuore rovente del reattore.




“Tutto qui?”
Il re straccione dal mantello verde sembrava quasi deluso. Ai suoi piedi, quattro demoni minori giacevano privi di sensi al termine di un disperato quanto patetico tentativo di resistenza.
Vexen aveva notato che i demoni, anche i guerrieri, preferivano portare armature molto leggere o non portarle del tutto. La magia era il loro scudo difensivo, e contavano sul volo e sull’agilità per annientare il nemico; ma persino il miglior mago non può nulla contro attacchi in corpo a corpo sferrati da più direzioni, e nessun paio di ali è in grado di passare attraverso un soffitto. Visti da vicino i loro corpi esanimi sembravano quelli di adolescenti pallidi e malnutriti, finiti per una svista del fato a fare da carne da macello su un campo di battaglia sconosciuto. Era soddisfacente quasi quanto vederli crollare sotto le esalazioni della lijada: la dimostrazione che la loro stupida razza non era poi così divina e onnipotente come amava credersi. E che forse, se la sorte non aveva in serbo qualche tiro mancino, quella volta ce l’avrebbero fatta davvero a fuggire di lì.
“Dopo l’olihargon mi aspettavo chissà quale diavoleria a guardia delle prigioni.”
“Vuol dire che Gandalf e Mara stanno facendo un bel lavoro giù al nucleo!” disse Nevius. “Il Grande Satana deve sentirsi sui carboni ardenti se lascia i truppini di serie B a sorvegliare i prigionieri!”
Il nucleo magico del Baan Palace era ciò che permetteva all’immensa fortezza di sollevarsi e muoversi nell’aria. Vexen non lo aveva mai visto, ma sapeva che i demoni lo alimentavano notte e giorno tramite una complessa struttura di cristalli e artefatti di supporto in cui incameravano il potere magico e lo trasmettevano al palazzo, che in tal modo non aveva mai bisogno di fermarsi o di toccare terra. Nessuna meraviglia che il Grande Satana concentrasse le difese in quel punto: un danno significativo alla struttura e il Baan Palace avrebbe iniziato ad arrestare le proprie funzioni e a inclinarsi, fino a sfracellarsi al suolo in caduta libera nella peggiore delle eventualità.
Vexen rimpiangeva solo di non poter assistere da qualche punto protetto, magari con una buona tazza di tè tra le mani, quando finalmente sarebbe successo.
Una serie di colpi soffocati attirò l’attenzione del gruppo sulla quarta porta lungo il lato destro del corridoio.
“Da questa parte! Aragorn, Gandalf, siete voi?! Ci avete messo un bel po’!”
“Vi aspettavamo almeno una settimana fa! Avete idea di che significa passare tutto questo tempo in quattro metri quadrati con la sola compagnia delle barzellette di mio zio?”
In men che non si dica il nano di nome Gimli iniziò a tempestare di colpi d’ascia la porta della cella. Non era lo stesso posto in cui Vexen era stato prigioniero insieme a Camus, ma la maledetta piccola spia doveva averne scoperto l’ubicazione in qualche modo, perché aveva guidato i ribelli fino lì senza alcuna esitazione.
La liberazione di Camus e dei due Corthala era fin dall’inizio l’obiettivo principale del gruppo guidato da Aragorn. Un commando di pochi elementi selezionati, separato dalla forza principale che stava prendendo d’assalto il nucleo, con più probabilità di passare inosservato nel caos delle battaglie combattute dentro e fuori il Baan Palace.
Non abbastanza selezionati, evidentemente. Si sono scordati di portare l’alchimista.
L’abbraccio collettivo dei ribelli sommerse il mago e il ranger ancora prima che riuscissero a venir fuori dalla cella. Seguì un carosello confuso di lacrime, baci, pacche sulle spalle, dichiarazioni di amicizia eterna, manifestazioni di riconoscenza. Tutto molto bello, se non si fossero trovati nel cuore di una fortezza nemica. Il fragore della battaglia lontana e le vibrazioni lungo il pavimento e le pareti ormai li inseguivano ovunque, e a giudicare dal boato tremendo che avevano sentito qualche minuto prima di irrompere nelle prigioni uno dei cristalli del nucleo doveva essere già saltato o in procinto di saltare. Non rimaneva molto tempo.
“Vexen.”
No. Non adesso.
Evitava di guardarlo, perché fingere che non esistesse era molto più semplice. Ma il ragazzino non staccava gli occhi da lui, lo sapeva – poteva sentire il suo sguardo bruciargli sulla schiena. Gli si era incollato addosso come un cane da caccia, lungo ogni corridoio e su per ciascuna scalinata, persino nel cuore della battaglia, come se temesse di vederlo dissolversi di colpo.
“Riguardo la domanda di prima… “
“Te l’ho detto. Non ho idea di dove sia Axel.”
“Vexen, ti prego.” Per un attimo la sua voce riprese una sfumatura del bambino che aveva conosciuto una vita prima. Il membro numero XIII dell’Organizzazione. L’ultimo, e il più giovane.
Incontrarlo sul Baan Palace dopo tanti anni era assurdo quasi quanto Camus che si mette a fare sacrifici umani, eppure il fato ladro e bugiardo aveva deciso di tendergli quello sgambetto. Se gli dei di Camus esistevano, di sicuro se la stavano ridendo della grossa.
“Per me è importante saperlo.”
Nella sala degli scacchi di olihargon un attacco improvviso di mostri gelatinosi dello Yomashidan lo aveva salvato dall’imbarazzo di rispondere, ma il ragazzino non si sarebbe arreso facilmente. Il suo sorriso era sincero, sembrava veramente felice di rivederlo. Peccato che Vexen non potesse affermare lo stesso di sé.
“Lo so, hai tutte le ragioni per essere arrabbiato con me. Ma le cose non sono andate come credete voi, e la prova è che sono qui vivo davanti a te. Io non vi ho traditi, non lo avrei mai fatto, non avrei mai voltato le spalle ad Axel. Ti chiedo solo un’opportunità di spiegare… “
“Non devi spiegarmi nulla.”
Lo guardò, finalmente, perché non c’era più modo di evitarlo. Era cresciuto in quegli anni. Non tanto in altezza, ma nei tratti del viso, nel modo di muoversi, nel timbro deciso di un’adolescenza ormai alle spalle. Anche il suo abbigliamento era diverso, aveva scambiato la divisa nera dell’Organizzazione per la tenuta verde e marrone di quei guerrieri dell’Alleanza. Solo gli occhi azzurri rimanevano gli stessi di sempre.
“Non ho bisogno di saperlo. Per come la vedo io, eri troppo giovane per essere coinvolto.”
Questo senza dubbio era vero. Il trucco era tutto lì, mascherare più che mentire. Rivelare la verità e omettere il resto. Una volta fuori dal Baan Palace si sarebbe dileguato per la propria strada, e il ragazzino sarebbe rimasto con un pugno di dubbi e domande insolute.
Si sforzò di evocare un sorriso: “La colpa è solo nostra. Abbiamo permesso che tu pagassi il prezzo della nostra battaglia, ma combattere spettava solamente a noi.”
Ai tempi del complotto, quando Vexen si era alleato con Marluxia, Axel e Larxen per rovesciare il resto dell’Organizzazione, il giovanissimo numero XIII non aveva avuto alcun ruolo negli scontri se non quello della pedina. Nessun rancore personale, nessuna vendetta, solo una combinazione implacabile di caso, logica e necessità.
“Io ero dalla vostra parte. Io… “
“Sei stato la vittima innocente della nostra guerra, e non sai che sollievo è per me sapere che sei sano e salvo. Comunque siano andate le cose non devi giustificarti. Siamo noi a doverti chiedere scusa.”
La verità mascherata. Di pugnalate alle spalle ne erano susseguite tante in quei giorni sanguinosi, ma Roxas non era mai stato una pedina della partita di Marluxia. Né di Larxen, né tantomeno di Axel. Non del Superiore, non di Saïx, non degli altri membri dell’Organizzazione.
Roxas era la sua pedina. La sua vittima. Solo e soltanto sua.
Prima ancora di condizionare due sacerdoti e uno stupido mercenario, prima di attirare con l’inganno Invocatrici e Intercessori nel Castello dell’Oblio, aveva giocato con la vita di Roxas. E quella di Axel con lui.
Eppure, nemmeno il pensiero che quel ragazzo fosse ancora più giovane e fragile di Zexion servì a fargli provare rimpianto. Sentì le sue scuse suonare vuote nel momento stesso in cui le pronunciò. Non c’erano scuse valide, così come non era mai esistita un’altra possibilità. Per ottenere qualcosa, bisogna darne in cambio un’altra dello stesso valore.
“Ti ringrazio, Vexen, davvero. Non sai quanto mi faccia felice sentirti dire questo. Anche se temo che Marluxia e Larxen non la pensassero così.”
“Quello che ti ho detto su Axel è vero. Era prigioniero anche lui qui qualche mese fa, ma da quando è riuscito a fuggire non ne ho più saputo niente. Mi dispiace.”
Dietro le spalle del numero XIII i ribelli erano di nuovo in fermento. Avevano estratto qualcuno dalla cella accanto a quella dei Corthala, un ufficiale imperiale dalla divisa strappata che venne fuori mugolando e si buttò ai piedi di re Aragorn supplicando di avere salva la vita. Vexen incrociò per un attimo lo sguardo di Camus, che lo fissava incuriosito dall’inizio della conversazione con Roxas. Il sacerdote doveva essere sorpreso quanto lui di quello strano incontro, ma si teneva rispettosamente a distanza e non sembrava avere intenzione di immischiarsi. Una seccatura in meno da tenere in conto.
Aragorn si dimostrò magnanimo. Garantì al soldato imperiale la propria protezione e gli promise che al ritorno al quartier generale dell’Alleanza lo avrebbe atteso una prigionia dignitosa, con la possibilità di riguadagnare la libertà in caso di buona condotta. Quello gli abbracciò le ginocchia e per poco non scoppiò a piangere dalla gioia.
Si rimisero in movimento. Vexen non desiderava altro che squagliarsela subito – il giovane druido del gruppo aveva poteri di teletrasporto, lo avrebbe capito anche un bambino dal modo in cui tutti lo proteggevano e lo facevano viaggiare sempre al centro della formazione – ma i ribelli apparentemente avevano altri piani. Si costrinse a seguirli cercando di relegare in un angolo della mente i boati sordi e le scosse che avevano tutta l’aria di annunciare una catastrofe imminente.
“Sai… Axel aveva promesso che sarebbe tornato a prendermi.”
Vexen sperò che il ragazzo scambiasse la sua espressione irritata per l’ansia dovuta alla situazione pericolosa. La verità era che non gli importava nulla di conoscere la sua storia. Non lo incuriosiva sapere come un reietto dell’Organizzazione si fosse rifatto una vita tra una banda di fuorilegge paladini della giustizia. Voleva solo uscire al più presto da quel maledetto posto.
“A noi ha detto di averti eliminato. Ora so che lo ha fatto per proteggerti.”
“Ho continuato ad aspettarlo per anni. Se tu dici che fino a pochi mesi fa stava bene, allora perché… “
“Ascolta, Roxas. Non credo che questo sia il momento migliore per parlarne.” A furia di simulare sorrisi gli si sarebbero anchilosate le labbra. “Forse è meglio se rimandiamo a quando saremo al sicuro.”
Conosceva quello sguardo deluso. Per il ragazzo la battaglia del Baan Palace si era trasformata nel fondale vecchio e polveroso di una scenografia su cui avevano appena fatto irruzione nuovi protagonisti. Era lontano anni luce, perso a inseguire ricordi riaffiorati a tradimento, e non aveva alcuna intenzione di lasciarli andare proprio ora che li aveva ritrovati. Ma la sua impazienza doveva aspettare.
“Forse hai ragione tu, Vexen” si arrese infine, lasciando andare un sospiro. “Quando tutto questo sarà finito dobbiamo prenderci qualcosa da bere insieme e raccontarci tutto.”
“Un’ottima idea.”
“In ogni caso… sono davvero felice di averti incontrato ancora. E spero che anche Zexion stia bene. Mi farebbe piacere rivedere anche lui.”
Vexen distolse lo sguardo e tacque.
“Eccola!”
Un grido di Aragorn dalla testa del gruppo fece fermare tutti. Si trovavano in una sorta di anticamera, di fronte a una porta di legno dipinta di bianco e ornata da bassorilievi di foglie e uccelli. A Vexen sembrava identica a mille altre viste nel corso della fuga, ma una sensazione anomala, una sorta di lieve pizzicore lungo la schiena e le braccia, lo spinse a osservarla con più attenzione. Qualcosa non era come sembrava.
Il Corthala più anziano passò alla testa del gruppo e tracciò una linea immaginaria con la punta dello stivale sul pavimento, a un paio di metri dalla porta.
“Barriera magica. Se superiamo questo punto senza difese adeguate… beh, ora come ora non saprei dire se finiremmo arrostiti, fatti a pezzi o contaminati da un veleno letale.”
“Sei abbastanza in forze per occupartene, Lavok?”
“Spero fosse una domanda retorica! Ma già, tu in fondo hai sangue di ranger come mio nipote, Aragorn, quindi sottovaluti la grandezza di noi maghi… “
“Lungi da me!” con una risata il ramingo alzò le mani. Sembravano due amici che scherzavano e si prendevano in giro in osteria più che due guerrieri in missione per conquistare una fortezza nemica. Non era la prima volta che Vexen notava questo atteggiamento leggero e rilassato nei suoi nuovi compagni di fuga, e in tutta onestà non sapeva ancora se esserne rassicurato o spaventato a morte. “Lascio fare al maestro.”
Con l’aiuto di Nevius, Lavok iniziò ad eseguire una serie di gesti lenti e misurati di fronte alla barriera invisibile, accompagnandoli con parole cantilenate di cui Vexen non riusciva a distinguere il significato. Dopo un paio di minuti Lavok fece a cenno al guerriero di nome Lupo Solitario – il maestro di Roxas, se aveva capito bene – di venire avanti ed estrarre la sua spada. A così breve distanza Vexen dovette schermarsi gli occhi dal bagliore della lama luminosa; si chiese che genere di incantesimo fosse il grado di far brillare ininterrottamente il metallo come un sole in miniatura, sempre se di metallo si trattava. Sembrava fuoco liquido modellato nella forma di una lama, come se l’acciaio non si fosse mai raffreddato una volta emerso dalla forgia. Vexen indietreggiò di un paio di passi per sottrarsi al calore che gli avvampava dritto sul viso.
“Ormai dovrei esserci abituato, ma la Spada del Sole di Lupo continua a sorprendermi ogni volta che la vedo” mormorò Aragorn alle sue spalle.
Le scie degli incantesimi di Lavok e Nevius si intrecciarono alla spada magica ed eruppero dalla sua punta, formando un cono luminoso che andò a colpire come un cuneo la barriera difensiva. Ora persino Vexen riusciva a distinguerne la struttura cristallina, illuminata a ondate pulsanti dal potere congiunto dei due maghi e della Spada del Sole.
“Ecco il nostro grimaldello” sghignazzò Lavok.
“Cosa c’è di tanto importante in quella stanza?”
“Potremmo definirla una specie di sala del tesoro, padron Vexen” rispose Camus “Il Grande Satana dovrebbe tenere qui alcuni degli oggetti magici in suo possesso. Non ne sono sicuro, ma potremmo trovare qualcosa che ha rubato a noi o al gruppo di padron Marluxia quando siamo stati catturati.”
“Hai imparato a memoria la planimetria di questo posto.” Non era una domanda. Avrei dovuto pensarci io.
La barriera crollò con uno sfrigolio lasciando l’aria satura di un forte odore di bruciato. L’ascia di Gimli non ebbe compassione dell’arte dei bassorilievi, e in pochi secondi furono dentro.
Un gruppo di armature del Maegudan presidiava la stanza, ma tutto ciò che Vexen dovette fare fu appiattirsi alla parete, godersi lo spettacolo e aspettare con pazienza la fine. I ribelli erano più che in grado di occuparsi di avversari di quella risma.
Dedicò invece la sua attenzione al luogo in cui si trovava. La stanza non era molto grande, occupata perlopiù da scaffali, teche e piedistalli. Un parete intera era percorsa da scintillii dorati, e Vexen trattenne il fiato nel riconoscere le armature dei sacerdoti delle Dodici Case, appese al muro ad altezze diverse. Aveva già visto molte volte l’armatura dell’Acquario nella “forma di riposo”, quando non veniva indossata dal proprietario: il busto di una figura umana con le braccia sollevate a reggere l’anfora da cui prendeva il nome il suo segno. Ce n’erano altre dieci nella stanza del tesoro, tutte ripiegate a raffigurare le costellazioni dello Zodiaco, e fu di fronte a quelle che Camus corse non appena l’ultimo soldato del Maegudan si disintegrò sotto i fendenti della spada di Aragorn. Il sacerdote cadde in ginocchio e le sue labbra si mossero in una preghiera muta.
L’ispezione tra i trofei del Grande Satana si rivelò fruttuosa. Vexen fu sorpreso di ritrovarvi il suo scudo, che ormai credeva perso per sempre, mentre i ribelli estrassero da una teca la chiave e l’occhio d’oro che un tempo i membri dell’Organizzazione avevano rubato all’Intercessore Kaspar. I pezzi del puzzle invece mancavano all’appello, così come le Pietre Dimensionali, che sicuramente il Grande Satana teneva sulla sua persona o aveva affidato a qualche generale tra i più leali.
In compenso trovarono qualcosa di ancora più prezioso.
“Colpo grosso ragazzi! Guardate qua! Lo Scettro dell’Immortalità di papà Impe!”
Il respiro si bloccò nella gola di Vexen. Lo Scettro dell’Immortalità. Rubato all’Intercessore e finito nelle inutili mani di Larxen, che non aveva fatto il minimo sforzo per tentare di comprenderne i poteri. Il pensiero di aver avuto quell’oggetto prodigioso nel Castello dell’Oblio senza sapere cosa fosse veramente gli contorceva le viscere per la rabbia. Quando Larxen era stata catturata il Grande Satana aveva studiato lo scettro e lo aveva usato per sé e per i suoi generali, e quel maledetto gnomo di Zaboera era venuto da lui tutto tronfio a rinfacciargli la sua stupidità. Gli aveva rivelato la vera natura dell’oggetto, e non passava giorno senza che lo deridesse per essersi lasciato scappare un’opportunità così incredibile. Vexen sopportava le sue risatine stridule senza buttare all’aria il laboratorio solo rifugiandosi in un mondo immaginario in cui lo gnomo moriva in modi coreografici e sanguinolenti sotto le lame dei suoi bisturi.
Ma ora, inaspettatamente, lo Scettro favoloso tornava alla sua portata.
“Chiave del Destino, questo lo affido a te.” Con sua grande sorpresa Aragorn porse l’oggetto proprio al giovane Roxas, che lo prese maneggiandolo con reverenza. “Mi raccomando, è importante. Non deve assolutamente cadere di nuovo in mani sbagliate.”
Ora o mai più.
“Roxas… posso? Solo per un attimo.”
Hai detto che sei felice di rivedermi, no?
Trattenne il respiro mentre Roxas fissava con una punta di dubbio prima lui poi lo Scettro nelle sue mani. Ricordava dai tempi dell’Organizzazione che il numero XIII era devoto agli stessi dei di Camus, per i quali un oggetto con la capacità di prolungare la vita di una persona oltre i suoi limiti naturali era sicuramente un abominio di natura, ma forse il ragazzo aveva cambiato qualcos’altro oltre alla tunica nera e ai compagni d’arme. Forse si sarebbe fidato di lui, il più anziano dei tredici, lo studioso più autorevole.
Dopo attimi lunghissimi la fronte di Roxas si spianò in un’espressione serena, e Vexen dovette trattenersi dal non afferrare di scatto l’oggetto che gli stava porgendo. Rivolse la punta contro di sé e toccò entrambe le spalle e il centro del petto. Secondo Zaboera un solo tocco era sufficiente, ma ad abbondare non sarebbe certo morto nessuno. Al contatto con il legno nero non provò alcuna sensazione particolare se non i battiti forsennati del suo stesso cuore, ma stando ai resoconti dello gnomo anche quello era normale. Si ritrovò ad artigliare il manico sottile con i palmi sudati e le dita che tremavano.
“Te lo riporto subito” promise a Roxas in un sussurro. I ribelli erano ancora intenti a perquisire la stanza e non avevano fatto caso a loro.
Neppure Camus si era accorto di nulla. Non si era mosso dalla parete delle armature e stava finendo di indossare la propria con i gesti misurati che dedicava sempre alla vestizione dei suoi paramenti sacri. Vexen si fermò un paio di passi alle sue spalle.
“So cosa ti salta per il cervello. Scordatelo.”
Ai piedi del sacerdote, i pezzi dell’armatura della Vergine facevano capolino da un grosso sacco, minacciando di straripare fuori dall’orlo in ogni momento. Camus aveva gli occhi lucidi.
“È come se li stessi abbandonando una seconda volta.”
“Non puoi portarle tutte con te. Lo sai.”
Le mani del sacerdote, ora di nuovo rivestite d’oro, si strinsero intorno alla stoffa del sacco. “Almeno il mio fratello Shaka deve riavere la sua.”
“Giusto. I vivi prima di tutto.”
Lo lasciò a mormorare un’ultima preghiera e si affrettò a restituire lo Scettro a Roxas. I ribelli avevano concluso che la stanza non conteneva nient’altro di interessante, e il gruppo era pronto a rimettersi in movimento.
“Vexen… “ si sentì tirare una manica da Roxas mentre Aragorn si sporgeva per assicurarsi che dal corridoio non provenissero minacce. Il ragazzo non sembrava irritato, solamente curioso, e gli domandò a bassa voce: “Hai toccato con lo Scettro quel ragazzo dai capelli azzurri?”
“Già.” Stavolta il sorriso affiorò con naturalezza.
“E lui non deve assolutamente saperlo.”




“Ehi, si sente che hai messo su qualche chilo!”
La voce emerse dal fuoco.
Qualcosa lo stava stringendo con forza, come delle dita piantate al di sotto delle sue spalle, arrestando la caduta.
Aveva guardato il fondo del pozzo di reazione, sentendo soltanto quel mare di luce rovente avvicinarsi ad ogni suo respiro. Aveva gridato, ma anche la voce gli era venuta meno mentre annegava in quel bianco soffocante pronto ad inghiottirlo, con l’orribile certezza che forse si sarebbe nemmeno schiacciato sul fondo di quel luogo perché il calore del motore lo avrebbe incenerito molto prima trasformandolo in una pioggia di cenere.
Ecco, forse quella avrebbe raggiunto il termine della discesa.
Ma il calore lentamente svanì, seguito invece da una sensazione di freddo e di vento mentre la persona che lo stava stringendo al massimo delle proprie forze continuava a muoversi verso l’alto, volando via come se dal pozzo di reazione vi fosse una nidiata di draghi pronti ad inseguirli e vomitare fuoco sulla loro fuga. Aprì la bocca e si riempì i polmoni d’aria, forse la stessa che gli era sfuggita durante le grida della caduta: il suo salvatore lo stava afferrando per le spalle, e lo avrebbe riconosciuto persino se non avesse proferito parola.
Dopotutto soltanto uno di loro sapeva volare. “Tsk, se tu avessi messo su qualche muscolo non ti ritroveresti con il fiato corto, Dai!”
“Smettila di accampare scuse! Adesso cerca di tenerti stretto o ti perderai i fuochi d’artificio!” gridò, cercando di far sentire la sua voce oltre le correnti d’aria che riempivano il reattore come enormi vortici che il ragazzo sfruttava scivolando nel volo a destra ed a sinistra per salire nonostante il loro peso. Matoriv riusciva ad usare gli incantesimi Lura e Tobelura per sollevarsi in aria di qualche metro, ma nessun umano che conoscesse riusciva a volare come Dai. “Questa volta daremo a Mistobaan una bella lezione!”
Il suo corpo si riscaldò, avvolgendosi di luce, e prese quota sempre più velocemente. Davanti agli occhi del soldato iniziarono a scorrere pareti metalliche, tubature, condotti, grate, mille altre cose che durante la caduta altro non erano state che sottili punti che si allontanavano; Dai si mosse insieme all’aria, vorticando nel vapore ma spostandosi sempre verso l’alto ed Auron poté solo sperare che al ragazzo non venisse a mancare la forza nelle braccia proprio in quel momento.
Un boato gigantesco accolse il loro ritorno.
Zachar era in piedi al centro della passerella, i capelli rossi privi di qualunque fermaglio che volavano nell’aria come una cometa: le braccia erano spalancate, e con la sua magia era riuscita a ricreare il passaggio di ghiaccio che adesso Mu ed Aban, finalmente libero, stavano attraversando con tutto il fiato che avevano in gola. Auron la guardò, quasi incantato, notando con gioia che non vi era nessun graffio lungo i suoi vestiti e che in mezzo a quel fragore, illuminata da tutti gli incantesimi che Mistobaan stava riversando su di lei, rimaneva comunque la donna più bella del mondo.
Il suo Futuro.
Dai non fece nemmeno in tempo ad appoggiarlo a terra che la magia bianca di Leona fece sentire i suoi effetti, rilassandogli i muscoli e spandendo un leggero calore lungo ogni parte del suo corpo, richiudendo rapidamente le ferite riportate. “Sei in ritardo, principessa. Ci siamo permessi di iniziare la battaglia senza di voi … anche se in effetti avevamo bisogno di un aiutino!”
“L’importante è che siate sani e salvi. Credo che adesso la nostra priorità sia sconfiggere Mistobaan, far esplodere questo posto ed andarcene da qui!”
“Oh, di Mistobaan non c’è da preoccuparsi …”
Accanto a lui comparve Matoriv; senza dubbio gli incantesimi di guarigione di Leona dovevano essersi concentrati in primo luogo su di lui, perché il vecchio mago aveva ripreso il suo caratteristico colorito e si stava scrocchiando rumorosamente le dita, tossicchiando quasi per richiamare l’attenzione dei druidi che ancora stavano riversando i loro incantesimi sul nemico. “… mi sa che dovremo chiamare il buon vecchio GSB e dirgli di venire a recuperarne i pezzi! E adesso, signori, tutti quelli non vogliono avere un frontale con il fondo di questo simpatico reattore sono pregati di tornare indietro, imboccare le scale e mettersi ad una civile distanza di sicurezza. Non sono responsabile di arti mancanti, ustioni varie, accecamenti e via discorrendo”.
Auron non se lo fece ripetere due volte: con la testa che ancora gli scoppiava per lo spavento afferrò il polso di Mu e lo scagliò oltre l’ingresso, incurante delle sue proteste, lo sguardo fisso sulla fiamma e sul ghiaccio che si stavano formando nelle mani di Matoriv e con la certezza che stavolta l’incantesimo avrebbe fatto a pezzi quello che ne rimaneva della Masamune. I druidi si allontanarono a coppie, veloci e silenziosi, mettendo tra i loro mantelli neri e verdi l’esile figura di Leona e degli altri maghi che avevano viaggiato con il suo gruppo. Mistobaan aprì il palmo della mano sinistra e vide la tela del Toma Messaijin comparire accanto ai loro piedi, ma una fiammata dalle mani di Zachar la travolse come un soffio trasformando in cenere anche il più piccolo filo; il loro avversario ruggì di rabbia, e lei gli rispose emettendo un suono basso, simile ad un fischio, che in un attimo riempì lo spazio intorno a loro e si infranse lungo le pareti del reattore causando una pioggia di fumo nero, scariche e scintille che coprirono per qualche istante la tunica bianca del Braccio Destro e le sue pericolose dita. Auron le venne accanto, indeciso se farle notare che la situazione richiedeva una ritirata immediata oppure rimanere lì insieme a lei, preparandosi a subire la violenza della magia che l’anziano incantatore stava per scagliare.
“Ho un conto in sospeso con l’Impero” disse lei, quasi anticipando i suoi pensieri. “E non ho intenzione di fare nemmeno un passo indietro. Tu aspettami lì fuori, Auron”.
“Nemmeno per sogno …”
Sorrise.
“Se tu resti qui, rimango anche io”.
“Sicuro? Auron, non è il momento di fare il piccioncino. Rischi solo di fare il pollo arrosto!” sbraitò Matoriv, con la forma gigantesca della Medroa bene in vista tra i suoi pugni. La sfera bianca emanava una luce gelida e rovente allo stesso tempo, e la sua semplice presenza frantumò tutto quello che rimaneva del ponte improvvisato, dalla cortina di fumo e dei parapetti ancora in piedi dopo il loro violento scambio di colpi. Il mercenario rosso gli grugnì una rispostaccia, ma non riuscì ad udire le sue stesse parole quando l’incantesimo abbandonò le mani del mago, fece vibrare la passerella e fu scagliata in alto in direzione di Mistobaan. Zachar aprì entrambi i palmi in alto, creando qualcosa di luminoso ed appuntito che si mescolò e si perse alla carica della magia principale, avvolgendola di saette azzurre che rimbalzarono per tutta la superficie del reattore.
Auron strinse gli occhi e fissò la figura del Braccio Destro svanire nel bagliore della Medroa: lo vide prepararsi a respingere l’incantesimo allargando le braccia, ma non appena gridò una controffensiva due lame si piantarono proprio davanti, spingendo di piatto il braccio destro ed il sinistro e costringendolo a fronteggiare la devastante fame della Medroa ed il genio distruttivo del suo creatore. Le spade, una più piccola ed una leggermente più lunga, furono le prime a bere l’energia dell’incantesimo e furono attraversate da un bagliore che bruciò le braccia di Mistobaan fino alle spalle: Aban e Dai, il maestro ed il discepolo, strinsero le loro armi con tutta la forza che avevano in corpo e le spinsero sempre più in profondità, squarciando la tunica bianca. Il duplice “Aban Strash!” che ne seguì venne gridato al cuore del reattore, ma si perse nell’urlo di Mistobaan e nel successivo boato.
Senza pensare a niente altro afferrò il polso di Zachar e la trascinò via di lì. Quella che scosse la piattaforma fu un’onda di suono, magia e potenza che fece cedere le giunture residue e le trasformò il filamenti di fuoco. Diede la più forte spinta che conoscesse alla schiena di Matoriv e lo allontanò mentre sotto gli stivali il metallo si piegò in due rischiando di scaraventarlo di sotto una seconda volta mentre l’eco dell’incantesimo rimbombò per l’intero reattore probabilmente fino al nucleo. Dall’ingresso vide lo sguardo terrorizzato di Mu andare nel punto in cui Mistobaan era sparito nell’impatto solo per poi vedere la forma di Aban scaraventata contro tutti loro da un Dai piuttosto malconcio, con i bracciali lungo l’arto destro totalmente polverizzati ed un taglio profondo sulla guancia che Leona corse subito a guarire.
Auron riprese a respirare solo quando l’intero spazio smise di vibrare ed il freddo pavimento di duracciaio della Morte Nera ritornò stabile, duro e fermo come prima della battaglia; si accorse solo qualche minuto dopo di avere ancora il polso di Zachar stretto nella propria mano, ma quando fece per scusarsi e liberarlo la vide sorridere dietro alla massa di capelli scompigliati, alla veste bruciata all’altezza del collo e ai copiosi rivoli di sudore e pulviscolo scuro. Sorrideva quasi divertita come non l’aveva mai vista da quando l’aveva conosciuta.
Sorrideva a lui, e questo valeva più di ogni altra cosa. Aveva visto gli occhi di centinaia di donne, ma soltanto quelle iridi verdi, un po’ arrossate per la fatica, raccoglievano tutto il Futuro che il mondo avrebbe mai potuto offrirgli. In quello sguardo riuscì persino a riflettersi, pieno di polvere, lividi e sangue rappreso, una massa di cicatrici che testimoniavano soltanto una vita passata a combattere ed uccidere.
In quello sguardo, per la prima volta, non c’era nessun Kaspar.
“Beh, che dire …” fece lei senza allontanare la mano. “Ce l’abbiamo fatta, no? Distruggiamo il nucleo del generatore ed andiamocene via!”
“Ehm … ecco …”
Aban e Matoriv erano più intenti a insultarsi rumorosamente che a cercare di rimettersi in piedi, specie perché il mago stava simulando qualche inesistente ferita soltanto per ricevere le attenzioni della principessa guaritrice che invece stava ricoprendo Dai di raccomandazioni per il prossimo scontro; i druidi si erano ricongiunti, contandosi più volte e scambiandosi robuste pacche sulle spalle insieme al gruppo di giovani maghi volontari che erano partiti insieme a loro. Il che lasciava soltanto Mu in piedi davanti a tutti, con i capelli che volavano in ogni direzione sospinti dall’energia del pozzo di reazione; i suoi occhi erano fissi nel punto in cui il loro nemico era stato inglobato dalla magia e non accennavano a spostarsi, quindi Auron abbandonò per un istante la mano della donna che amava e seguì lo sguardo del suo migliore amico che con un filo di voce mormorò un “… non proprio”.
La figura di Mistobaan era ancora in aria, esattamente nel punto dove Dai ed il suo maestro l’avevano lasciata: fluttuava al centro del reattore in maniera brusca, scomposta, quasi come se tutto il suo corpo fosse attraversato da violente scosse. Le maniche erano svanite ed un nuovo squarcio nella tunica si era aperto tranciando via ogni forma di stoffa al di sotto delle ginocchia lasciando esposte le gambe sottili. Entrambe le mani erano chiuse alla base del collo nel punto in cui il fermaglio stringeva il mantello: nessun pugno levato, le dita retrattili scomparse.
Auron non era un esperto in magia, ma sarebbe stato pronto a scommettere la sua semidistrutta Masamune che il loro avversario non avesse eretto alcuna barriera difensiva e che avesse incassato il colpo di proposito. E se davvero non si era trasformato in un mucchietto di cenere dopo l’impatto della Medroa … “Maledetti, insolenti, schifosi, putridi vermi!”
Il tono era basso, biascicato ed intervallato da un paio di colpi di tosse, ma non servì altro per richiamare l’attenzione di tutti loro; quando persino Matoriv si voltò nella sua direzione, il loro avversario smise di fluttuare ed atterrò sui pochi palmi liberi della passerella che la Medroa e l’Aban Strash avevano lasciato. Nonostante fosse provato dallo scontro non si vedeva nemmeno una goccia di sangue sfuggire da sotto l’enigmatica tela.
“Come … COME AVETE OSATO?”
“Ah, beh, se insisti ti faccio un rapido riassunto. Il tempo giusto per finire di trasformarti in spezzatino!”
“TACI! TACETE TUTTI!”
Il grido di Mistobaan si sovrappose alla battuta di Matoriv. Auron si accorse che raramente aveva visto la figura incappucciata camminare a terra come un essere umano, ma in quell’istante la creatura aveva un passo tremolate ed insicuro. L’unica cosa impassibile era rimasto lo sguardo, le due luci che perforavano anche il buio sotto il cappuccio lacero: si fermarono su di loro, poi corsero verso l’alto, quasi a cercare la fine del reattore. “GRANDE IMPERATORE PALPATINE, CHIEDO PERDONO! IO, IL PRIMO TRA I SUOI SERVI, HO MISERAMENTE FALLITO!”
“Ragazzi, qualcuno lo uccida o quantomeno lo stordisca prima che inizi a …”
“DISGRAZIA SU DI ME! DISGRAZIA SULLA MIA ESISTENZA! DISGRAZIA SULLA MIA NATURA INFERIORE E DEBOLE! GRANDE IMPERATORE PALPATINE, LUCE DELLA GALASSIA, QUESTI UOMINI HANNO MINACCIATO IL SUO ALTISSIMO DONO! E IO, CHE NON SONO DEGNO DI INGINOCCHIARMI DAVANTI AL VOSTRO TRONO, DEVO CUSTODIRLO A COSTO DELLA MIA VITA!”
Ma si è accorto che sta facendo una sceneggiata davanti ai suoi nemici? pensò Auron, indeciso se attaccare di nuovo il loro nemico o almeno aspettare che la dimostrazione di arte oratoria fosse finita. Aveva avuto modo di combattere contro Mistobaan e le sue armate durante gli ultimi anni di guerra, e per quanto il primo tra i Generali del Grande Satana fosse famoso per la voce che attraversava senza sosta ogni palmo sul campo di battaglia, non poteva ignorare il fatto che questa reazione fosse un po’ … strana. Qualunque cosa avessero fatto gli imperiali alla sua mente, il mercenario non voleva saperlo. Ma istintivamente si accorse di provare un briciolo di pietà per quella creatura che sin dall’epoca del Castello dell’Oblio tutti avevano cercato di condizionare, controllare e sottomettere nei modi più vili. Forse stenderlo, legarlo e portarlo al signore dei demoni come segno di distensione non sarebbe stata una cattiva idea; certo, prima avrebbero dovuto placarlo …
“MIO SIGNORE, MIA LUCE, MIO UNICO DIO! SO DI NON POTER USARE IL POTERE CHE VOI MI AVETE CONFERITO SENZA PERMESSO, MA IO DEVO PROTEGGERE IL DONO! NON HO MAI CHIESTO ALTRO, MIO INDISCUSSO SOVRANO!” gridò, inginocchiandosi a terra e fissando ancora in alto, quasi se un ipotetico Imperatore potesse fluttuare sopra di lui e giudicarlo. Auron sentì lo sguardo interrogativo di tutti rimbalzare da un’iride all’altra, e perfino il mago battagliero ritirò dalle dita un nuovo incantesimo e rimase a guardare la figura incappucciata. “ACCETTERO OGNI PUNIZIONE, MIO SOVRANO. MA PROTEGGERE IL VOSTRO DONO E’ IL MOTIVO PER CUI ALLA MIA INFIMA ESISTENZA E’ CONCESSO DI VIVERE! DUNQUE PERMETTETEMI DI SCIOGLIERE LE SACRE CATENE E SOTTOMETTERE QUESTI VERMI CHE HANNO OSATO ATTACCARE QUESTO LUOGO. MISERI MEMBRI DELLA RESISTENZA …”
Perché ho un cattivo presentimento?
Mistobaan si voltò di nuovo nella loro direzione. Auron vide Dai estrarre subito la spada e portarsi davanti a Leona, ma il Braccio Destro scosse una mano e la lama del ragazzo volò via. I druidi innalzarono i bastoni, ma fu il pulsare della Masamune contro la sua schiena che lo avvisò che la quantità di magia presente nell’aria stava aumentando vertiginosamente e senza dubbio proveniva dal loro nemico. La mano destra corse lungo il mantello e si fermò dove il fermaglio argentato chiudeva la tunica. Le dita enormi scivolarono lungo la catenella luminosa, e quella si aprì senza un solo rumore.
L’abito bianco scivolò a terra.
“INGINOCCHIATEVI E SCOMPARITE ALLA PRESENZA DEL DONO DEL MIO PADRONE!”



Narratore: “Registe, ma Misto ha il Caps Lock perennemente attivo? Sapete, il Muro del Suono ci ha fatto causa, e tra i diritti d’autori e cose varie saremmo presto costretti a fare fagotto!”
Registe: “Minaccia il Muro del Suono, allora! Digli che altrimenti faremo partire le grancasse naniche per tutta questa serie e anche nella prossima!”
Narratore: “Scendete anche ai ricatti …”
Registe: “Non lo abbiamo mai negato”.
Narratore: “Comunque avete visto come sono stato epico nello scorso capitolo? Il corpo meraviglioso, il piumaggio color della notte, la chioma d’avorio? Avete notato i lettori in delirio? Mie signore, ammettetelo, il mio corpo –che ho presto a quel giovinastro di Sephiroth- fa successo. Dovete farlo comparire di più!”
Regista: “Sento le sirene del CIM. Forse siamo salve!”

 
  
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