Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MZakhar    08/10/2015    2 recensioni
A chi non è mai capitato di affogare la propria delusione nell'alcol?
Sicuramente è successo a Vittoria – 23 anni, operatrice di un call-center – quando il suo, cosa? capo? fidanzato? amante?, ha deciso di darle buca proprio la sera in cui lei si aspettava di ricevere il tanto agognato anello... Ma si sa che l’alcol porta solo guai, soprattutto se brindando hai indossato vestiti firmati e affascinato ogni uomo del pub. Per questo al suo risveglio, non ricordandosi gran parte della serata, Vittoria sente di aver fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa che ha il volto di un uomo affascinante di cui non sa nemmeno il nome. Eppure... cosa sarà vero e cosa farà parte dell’immaginazione? A Vittoria non resterà che scoprirlo a proprie spese e per la prima volta, forse, riuscirà finalmente a vedere la sua vita dalla giusta prospettiva...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic



2
M O B U M A S O



Mi stava guardando. Lo notai con la coda dell’occhio e feci una smorfia nella speranza di fargli capire che la doveva smettere. Non riuscivo a stare dietro alle spiegazioni di Carlo e presi seriamente in considerazione l’idea di alzarmi e cambiare posto. Ma sarebbe stato troppo infantile, perciò attesi che lui finisse di parlare e approfittando della pausa che ci concesse affrontai Nicholas con un’occhiata. Lui incrociò le braccia al petto e con un movimento quasi impercettibile della testa mi indicò il mio capo.
Che?”, gli mimai allora.
Lui? Davvero?”, disse la sua espressione.
Alzai gli occhi al cielo e andai a prendere un’altra tazza di caffè. Una sola stamani non sarebbe stata sufficiente!
Quando tornai, Nicholas aveva abbassato lo sguardo sopra una cartellina verde che teneva tra le mani. Era seduto vicino alla lavagna e stava analizzando qualcosa con aria concentrata. In quel momento Carlo gli si affiancò e diede un’occhiata anche lui, dopodiché si misero a discutere tra loro gesticolando in modo piuttosto meccanico. A un certo punto Carlo si accigliò, puntò un dito su una riga e parve chiedere spiegazioni. Nicholas rispose con aria impenetrabile e Carlo strinse la mascella.
Che diavolo stavano combinando quei due? Vederli così vicini mi fece uno strano effetto. E se Nicholas si fosse lasciato scappare qualcosa riguardo a sabato? Prima di parlare con Carlo avrei dovuto assolutamente chiarire le cose con lui!
«Hei là!», esclamò d’un tratto una voce alle mie spalle, facendomi trasalire.
«Che aria seria!», sbuffò Tiziana piazzandosi davanti a me.
Poi seguì la direzione in cui avevo guardato fino a pochi secondi prima e ammiccò maliziosamente.
«Oh! Un bel pezzo di...hm, uomo, non è vero?», domandò.
Immaginai che si riferisse a Nicholas perché non avevo ancora mai sentito nessuno qui dentro chiamare in tali termini Carlo e in verità, pensandoci bene, la cosa mi infastidì un pochino. Anche Carlo era un bel pezzo di...hm, uomo, per quanto mi riguardava.
Mi strinsi nelle spalle.
«Oh andiamo!», esclamò allora Tiziana, proseguendo con un tono da cospiratrice: «Gira voce che sia anche ricco...». Alzai un sopracciglio.
«Perché? Sai chi è?».
«Non ne ho idea», ammise, «Però ho sentito dire a Valentina che è tipo un banchiere. O qualcosa del genere. Forse ha a che fare con la banca per cui svolgeremo le indagini nei prossimi mesi».
Banca? Indagini? Le rivolsi un’occhiata interrogativa.
Tiziana mi studiò un secondo poi scosse la testa.
«Non hai ascoltato una sola parola di quello che si è detto prima, non è vero?», domandò sogghignando.
Abbozzai un sorriso da “cavolo, mi hai scoperta” e lei fu abbastanza disponibile da rispiegare d’accapo: «La “Working for Progress Bank” o la WPB se preferisci... Hanno aperto da poco qui, in Italia le loro filiali e vogliono che intervistiamo i loro clienti per sapere se sono soddisfatti dei servizi offerti o se hanno qualche lamentela. Dicono che è difficile gestire la cosa dall’America, perciò gli serviamo noi», concluse.
Non mi uscì altro che un: «Oh...».
Sovrappensiero tornai a guardare Nicholas, domandandomi se avesse davvero a che fare con la WPB. Se si fosse rivelato vero mi sarei ritrovata nei guai più seri di quanto avessi pensato. Che sarebbe successo se fossi andata a confessare a Carlo che il tizio che ci assicurava una busta paga (compresa la sua) era lo stesso tizio che mi aveva messo le mani addosso da sbronza? Di certo gli interessi in ballo sommati al carattere irragionevole di Carlo non potevano portare a niente di buono! Deglutii un masso; non ero più sicura che gli avrei detto qualcosa.
«Hei là-à!», mi passò una mano davanti agli occhi, Tiziana, «C’è nessuno-o?».
«Scusa!», mi riscossi, «Dicevi?».
«Oggi sei più assente del solito», osservò Tiziana corrucciando le labbra, «Ci sei alla cena di stasera?».
Dovevo essermi persa la prima volta che me l’aveva chiesto.
«Sì, sì. Ci sono», mi affrettai ad annuire.
«Okay. Abbiamo deciso di andare in un localino giapponese. Hanno aperto da poco e...».
«Ottima idea», annuii di nuovo, però non la stavo già più seguendo.
Accorgendosene Tiziana sospirò e decise di non insistere, lasciandomi da sola con i miei pensieri per raggiungere Marco Sgabelli che si stava sbracciando per attirare la sua attenzione.
Ma che mi stava succedendo? Mi sembrava di avere un criceto al posto del cervello, che si sforzava di correre dentro la sua ruotina nella speranza di riuscire a scappare.
Intanto, dall’altra parte della stanza Carlo stava annuendo a Nicholas; i due sembravano meno tesi ora. Nicholas sorrise persino e Carlo ricambiò, anche se con meno entusiasmo. Poi quest’ultimo prese la cartella che stavano controllando e si allontanò in direzione del suo ufficio mentre l’altro estrasse il Blackberry dalla tasca dei pantaloni, affondandoci dentro il naso.
Adesso o mai più!, pensai d’impulso.
Quindi finsi di passare casualmente di lì e mi soffermai davanti all’uomo, esclamando: «Ma figurati. Nessun problema!».
Nicholas mi guardò come se fossi pazza.
«Non ti sei ancora ripresa dalla sbronza, per caso?», domandò inarcando un sopracciglio.
Gli rivolsi un sorriso a trentadue denti e annuii.
Lui assunse un’aria ancora più perplessa.
«È solo una tattica», gli dissi a bassa voce non appena fui sicura che nessuno ci stesse prestando attenzione.
«Una tattica?», ripeté, ma suonò più come “sei fuori di testa”.
Non potevo pretendere che capisse. Del resto avevo messo a punto questa strategia con Carlo, quando non volevamo che le nostre chiacchiere apparissero sospette. Avevo scoperto che se fingevi che fosse stato il tuo capo a parlarti, iniziando il discorso con una frase banale, la gente tendeva a pensare che riguardasse il lavoro e non si metteva a origliare. Anche se c’era chi, come Valentina per esempio, non sapeva proprio farsi gli affari suoi e ti spiava anche mentre tu eri convinto di no. Ma fortunatamente non era questo il caso.
«Lascia stare», tagliai corto andando dritto al sodo: «Perché sei qui?».
«Come?».
«Hai capito! Perché-sei-qui?!».
Nicholas si raddrizzò sulla poltroncina e con aria saccente incrociò le braccia al petto, strizzando leggermente le palpebre.
«Aspetta... Com’era? “Non penso che ti riguardi”?», citò, rivolgendomi un sorrisone.
Ma faceva sul serio?
«Penso che mi riguardi eccome!», sibilai, «Soprattutto alla luce di quello che è successo tra noi».
Nicholas esitò un secondo, quasi fosse sul punto di fare un osservazione. Poi però ci ripensò e il suo sorriso si trasformò in un ghigno.
«Giusto! La nostra fantastica nottata insieme...», annuì, «È questo che ti turba tanto?».
Se mi turbava? Cielo! Avevo tradito l’uomo che amavo con qualcuno che malauguratamente non sarebbe uscito tanto in fretta dalla mia esistenza. Certo che mi turbava!
«Senti», cercai di essere ragionevole, «Sarò sincera con te: vorrei poterti dire che mi ricordo questa fantastica nottata insieme e, anche se mi riesce difficile crederlo – no, non fare quella faccia – magari è stato davvero così, ma il mio ultimo ricordo risale alla tua domanda sui miei fiori preferiti. Per cui perché non cavalchiamo quest’onda e facciamo finta che sia finita lì, per il bene di tutti?».
«Assolutamente d’accordo», accettò Nicholas accompagnando le sue parole con un cenno della testa, «Non vogliamo mica che Carlo lo venga a sapere...».
Il sottinteso ironico non mi sfuggì e non potei fare a meno di storcere la bocca. Tuttavia non ero lì per litigare. Non se volevo convincerlo a tenere il becco chiuso. Quindi presi un bel respiro e dopo aver contato fino a cinque, chiesi: «Allora siamo d’accordo?».
Nicholas annuì tornando a digitare sul Blackberry, quasi la cosa non lo riguardasse più.
«Fantastico...», osservai a voce alta.
E giusto mentre stavo per girarmi e andarmene, apparve Carlo, domandandosi, a giudicare dall’espressione accigliata, cosa avessero da dirsi una centralinista e un banchiere che fino a quel mattino non si conoscevano neanche. A vederlo così, in presenza di Nicholas, mi sentii terribilmente a disagio. E non era successo manco la prima volta che eravamo rimasti bloccati da soli in macchina, quel lontano giorno di quasi due anni prima.
«Vittoria...», esclamò, ma suonò più come una domanda.
Avrei dovuto rispondergli? Cosa? Colpevole, Vostro Onore! Colpevole fino al midollo!, suonava troppo melodrammatico persino alle mie orecchie...
Lui attese ancora qualche secondo poi rivolse lo sguardo a Nicholas, che era sempre impegnato a digitare. Quando questo avvertì che l’altro lo stava osservando, alzò la testa e con aria meravigliata disse: «Vittoria, il mio caffè?».
Non seppi se esserne grata o infastidita. Nel dubbio grugnii qualcosa di incomprensibile e andai a prenderglielo. Quando tornai lui mi ringraziò in tono del tutto atono e Carlo, altrettanto atono, mi chiese di accomodarmi alla mia scrivania. Poi annunciò a tutti che la pausa era finita e riprese la riunione da dove si era interrotta.
Questa era la parte peggiore, perché iniziava a mietere vittime a destra e a manca. A rimetterci più di tutti quel giorno fu Marco Sgabelli che a quanto sembrava non aveva raggiunto un numero di chiamate accettabile. Anch’io ebbi la mia buona dose di “non puoi continuare così”, ma dato che non riuscivo a restare concentrata accettai ogni parola con più remissività del solito. Probabilmente Carlo si era accorto del mio strano umore, ma non potendo dire nulla cambiò bersaglio. Non che me ne importasse. Al momento tutto ciò che mi premeva era concludere la riunione e iniziare il giro di chiamate per non pensare più né a lui né all’altro!
Fui accontentata una trentina di minuti più tardi, quando sia Carlo che Nicholas si furono rinchiusi nell’ufficio del primo. Con ciò la mia giornata aveva ripreso a scorrere in maniera tranquilla, per quanto potesse essere tranquilla la giornata di una centralinista che al telefono si beccava gli insulti di ogni genere. Col tempo però impari a farci l’abitudine e io avevo ormai un master in questo. Anche il resto era andato come al solito: avevo pranzato nel Parco della Chiesa con Tiziana e Maria Grazia, avevo evitato l’ennesima discussione con Valentina e per finire avevo raggiunto la soglia di chiamate che mi ero prefissata per la giornata.
Così era arrivata l’ora di staccare e come ogni secondo lunedì del mese io e alcuni colleghi avevamo programmato di cenare fuori. Ormai era una sorta di rituale, nato un anno prima quando Marco, per aiutare a integrarsi a un neo assunto (per cui, tra l’altro, avevo sospettato si fosse preso una bella sbandata) aveva proposto di fare una pizzata tutti insieme. In seguito il neo assunto in questione se n’era andato (senza aver mai ricambiato i sentimenti del povero Marco), ma i nostri raduni erano rimasti.
Per l’uscita di stasera avevo intenzione di sfoggiare la mia nuova maglia, quella nera con gli inserti in pizzo. Era ancora nella mia borsa, dentro la sua busta, dove tenevo sempre un ricambio per sicurezza. Non si sapeva mai! Poteva capitare che a Carlo venisse in mente di portarmi da qualche parte o che mi rovesciassi qualcosa addosso durante il turno. Oppure, con la mia fortuna, entrambe.
In ogni modo, andai in bagno per cambiarmi.
Ma non feci in tempo a sfilarmi il dolcevita che qualcuno spalancò la porta e se la richiuse velocemente dietro, a chiave.
Allarmata, gettai un’occhiata allo specchio sopra il lavello e lì vidi Carlo.
«Che ci fai nel bagno delle donne?!», esclamai, coprendomi il seno come una stupida.
Lui ridacchiò, mi studiò dalla testa ai piedi, poi si avvicinò e appoggiandomi le mani all’altezza della vita mi obbligò a voltarmi. Aveva le mani gelate e non potei evitare di rabbrividire.
«Mi sono perso...», disse con voce da marpione.
In quel momento non ce la feci proprio a guardarlo negli occhi, così mi concentrai sulle mie ballerine, trovandole improvvisamente molto affascianti.
«Che c’è?», domandò allora Carlo, facendo un passo indietro.
Il suo tono era cambiato drasticamente in un attimo.
«Niente, perché?», mentii.
Lui mi alzò il viso e replicò: «Non si direbbe. È per stamattina?».
Mi sforzai di rimanere tranquilla, ma non ero mai stata brava a dire bugie. Annuii comunque, sperando di sembrare convincente.
«D’accordo», sospirò Carlo appoggiandosi contro il lavello a braccia incrociate, «Cosa c’era di tanto urgente?».
Ed eccomi qui, con la mia occasione di fare le cose nel modo giusto! Eppure, mentre cercavo di riordinare le idee, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era quella maledetta banca per cui avremmo lavorato. Avevo davvero così paura che Carlo sarebbe stato capace di agire d’impulso e scagliarsi contro Nicholas, perdendo così un cliente importante? Poteva darsi di sì come di no. In ogni caso fui sicura di non volerlo scoprire adesso.
Quindi dichiarai nel tono più freddo possibile: «Mi hai lasciata da sola al ristorante, ricordi?».
E non stavo fingendo del tutto, perché una parte di me ce l’aveva ancora con lui per questo. Dopotutto, in un certo senso, era anche colpa sua se era successo quel che era successo.
Carlo abbassò le palpebre e si massaggiò le tempie.
«Vittoria, non volevo, dico davvero... Ma Lisa...».
«Lisa, cosa?».
«Possiamo non parlare di lei per una volta?», chiese stancamente.
Ma io avrei voluto parlarne eccome, e c’erano diverse ragioni per farlo. In primis: anche se Carlo sosteneva il contrario, in realtà non ne parlavamo praticamente mai, e in secondo luogo perché concentrare la mia frustrazione su qualcosa che non fosse il mio tradimento mi aiutava a sentirmi meno in colpa.
Ciò nonostante lasciai perdere come sempre. Mi limitai ad annuire una sola volta e mi voltai per infilarmi il maglioncino. Carlo però fu più veloce. Si avvicinò e mi strinse a sé posando le labbra sul mio collo. Trattenni il respiro; potevo sentire il suo cuore battere forte contro la schiena mentre lui iniziava a lasciare una delicata scia di baci che proseguì fino alla spalla. Qui Carlo si fermò, scostò la spallina del reggiseno e mi diede un leggero morso, strappandomi un languido sospiro. Nell’udirlo le sue dita mi affondarono nella pelle bramose di sentirmi e con un gesto brusco lui mi voltò e mi tirò su, catturando prepotentemente la mia bocca con la sua.
Ricambiai non riuscendo a fermarmi. Ma avrei dovuto?
Carlo mi sussurrò all’orecchio quanto gli fossi mancata e mi schiacciò contro la parete.
No. Non sarei riuscita a fermarmi neanche se l’avessi voluto.
Per fortuna, a porre fine ai miei tormenti mentali arrivò qualcuno che bussò forte alla porta. Carlo si fermò e entrambi ci girammo verso l’entrata.
«Vittoria, datti una mossa!», sentimmo urlare Maria Grazia, «Abbiamo prenotato per le otto e mezza!».
Tirai un sospiro: «Arrivo!», risposi poi.
«Tic-tac!», ribadì lei prima di andarsene.
La ascoltammo martellare via sui tacchi e ci guardammo.
«Credo che faresti meglio a sbrigarti», mi disse Carlo a bassa voce, allontanandosi controvoglia da me.
«Già», concordai, «Perché non vieni anche tu per una volta?».
Non so cosa mi spinse a chiederglielo, ma comunque Carlo non fece una piega.
«Non penso sia una buona idea», rispose semplicemente, sistemandosi i polsini della camicia.
Mi morsi le labbra e m’infilai finalmente il maglioncino.
«Perché?», gli domandai poi, «Lisa ti aspetta correndo da una finestra all’altra? Ha minacciato di buttarsi giù se non arrivi entro il coprifuoco?».
«Non fare così, non mi piace! Sai che ha dei problemi», mi rispose con una smorfia.
D’accordo, dovevo concederglielo: stavolta ero stata piuttosto maligna. Ma andiamo, mi stava esasperando!
«Okay. Okay. Mi dispiace...», mi sforzai di sembrare sincera, «Allora ci vediamo domani?», mi avvicinai per dargli un fugace bacio sulla guancia.
Al che lui abbozzò un sorriso e annuì.
Così ci separammo. Io uscii per prima e raggiunsi il gruppetto che si era formato all’uscita dell’edificio, pronta a scusarmi per averli fatti aspettare. Lì però mi paralizzai, osservando una scena piuttosto bizzarra: Valentina e Nicholas erano fermi da una parte a ridere e scherzare. Nicholas era tutto denti e per la prima volta in tre anni vidi Valentina arrossire.
Afferrai immediatamente Tiziana per un braccio.
«Che cavolo ci fanno loro due qui?», le domandai a denti stretti.
Tiziana seguì la direzione del mio sguardo e leggermente intimorita rispose: «Nicholas si è autoinvitato. Non potevamo dirgli di no. Allora lui ha chiesto a Valentina se voleva unirsi a noi».
«Come? Perché?!».
Tiziana si strinse nelle spalle.
La lasciai andare e cercai di ignorare l’occhiata che mi rivolse Nicholas in quel momento. Lui però si scusò con la sua nuova amica e si avvicinò a me. Il suo sguardò si puntò sulle mie labbra e fui sul punto di diventare bordeaux quando lui si indicò un angolo della bocca. Di riflesso mi passai una mano sullo stesso punto, scoprendo di avere tutto il rossetto sbaffato.
«Dovreste stare più attenti, la gente potrebbe insospettirsi», sorrise come niente.
Che faccia da schiaffi!
«Grazie...», mormorai tetramente in tutta risposta.
«Figurati», assicurò lui.
Prima che potessi aggredirlo (almeno verbalmente) Marco intervenne per capire se mancava ancora qualcuno e una volta certo che eravamo pronti per partire, ci accordammo sui posti in macchina. Lui e Tiziana, che venivano al lavoro con i mezzi pubblici, finirono come al solito nella mia panda. Maria Grazia invece aveva deciso di abbandonare la bicicletta al parcheggio pur di farsi scorrazzare da Fausto Belli, un tizio biondo che si occupava di scartoffie al secondo piano. Ormai era palese che avesse una cotta per lui. E mentre tutti ci apprestavamo in questo modo a occupare le nostre carrozze, l’occhio mi cadde sul fuoristrada blu che era fermo due posti più avanti. Lì, sotto il lampione, reggendo la portiera del passeggero, Nicholas stava aiutando Valentina a salire. I nostri occhi si incrociarono per un istante, ma li distolsi subito augurandomi che quei due finissero per perdersi lungo la strada.
Ovviamente non ebbi tanta fortuna e giungendo al ristorante una ventina di minuti più tardi li vidi sbucare di fronte all’ingresso del locale.
Dovevo essere morta e finita all’inferno, non c’era altra spiegazione!
«Si può sapere che problema hai con quel Nicholas?», mi chiese a un certo punto Tiziana, inarcando il suo sottile sopracciglio tatuato.
La sua domanda mi colse talmente alla sprovvista che per poco non lasciai cadere la chiave della macchina mentre cercavo di infilarla nella toppa.
«Nessunissimo», mentii, un po’ troppo velocemente.
Come c’era da aspettarselo, lei non se la bevve.
«Già. Ed è per questo che continui a fulminarlo con le tue occhiatacce?», insisté.
«Io non fulmino proprio nessuno!», dissi sulla difensiva, «Nemmeno lo conosco!».
«Eppure noi vi abbiamo visto parlare oggi in ufficio», proseguì lei strizzando gli occhi.
«Mi ha chiesto solo delle informazioni», protestai, «E poi chi sarebbero questi “noi”?!».
«Io e Marco», rispose lei indicando il ragazzo al suo fianco.
Sentendosi nominare Marco alzò spaesato gli occhi dal gioco di Candy Crush Soda sul cellulare e passò lo sguardo dall’una all’altra. Io sbuffai e scossi la testa, ignorandolo.
«Tu guardi troppi telefilm!», dissi rivolgendomi a Tiziana.
Lei si mise le mani sui fianchi e strinse ancora di più le palpebre. In quella posizione, illuminata dalla luce di una luna piena, mi ricordò la statua di un’amazzone, con i suoi rasta biondi tinti di verde e blu sulle punte e i vestiti di finta pelle marrone che le stavano un po’ stretti sui fianchi e sul seno. Le mancava solo una lancia e sarebbe stata pronta per un set cinematografico.
Forse ero io a vedermi troppi telefilm, dopotutto.
«Ragazzi!», ci richiamò improvvisamente Maria Grazia uscendo dalla Peugeot nera di Fausto, «Vogliamo darci una mossa stasera?».
Nessuno fiatò. Solo Marco colse quell’interruzione per sottrarsi alla conversazione e scappare con la scusa di aver prenotato a proprio nome. E in verità ne fui felice anch’io, perché Tiziana smise di scrutarmi con la sua aria da detective e aspettò che Maria Grazia ci raggiungesse per chiederle com’era andato il viaggio. Lei ci prese a braccetto e con aria pomposa ci trascinò verso il locale, cogliendo l’occasione per metterci al corrente di ogni particolare. A quanto pareva, lei e Fausto si erano dati appuntamento per un caffè domani all’ora di pranzo, perciò non sarebbe stata dei nostri. Tiziana le assicurò che non c’erano problemi, anzi, era emozionata per lei, e io annuii con altrettanta convinzione. Tuttavia il mostriciattolo dell’invidia tornò a morsicarmi. Quando avrei potuto sorridere anch’io in quel modo e raccontare trasognata di me e di Carlo? La vocina maligna dentro la mia testa mi sbeffeggiò: te lo puoi scordare!.
Guardai di nuovo Nicholas che stava parlando con Valentina e per poco non scoppiai a ridere. Se anche quei due avessero deciso di iniziare una relazione allora per me non ci sarebbero state più speranze! Essere battuta sul tempo da una come Valentina avrebbe significato che ero messa male sul serio. E improvvisamente questo pensiero mi infastidì: come poteva essere? Nicholas si era interessato a lei, di punto in bianco?
Per fortuna Marco ci disse che il tavolo era pronto e che potevamo entrare, staccandomi dai miei ragionamenti. Quindi mi sforzai di seguire i discorsi di Tiziana e Maria Grazia e con loro entrai.
Eravamo in tutto una dozzina di persone. Non ero in confidenza con il resto del gruppo, perciò scelsi di sedermi accanto a quelli che conoscevo meglio, reprimendo una smorfia quando Valentina si mise proprio di fronte a me, sorridendo come una ragazzina a Nicholas che prese (prevedibilmente) posto accanto a lei. Comunque cercai di non prestarli troppa attenzione, anche perché ero certa che Tiziana mi stesse tenendo d’occhio. Perciò afferrai il menù e mi ci nascosi dietro, studiando il regolamento dell’“All you can eat”. In verità sapevo già come funzionava, la regola del prezzo fisso non differiva molto dagli altri locali che la usavano, tuttavia leggere era una distrazione rilassante. O al meno, lo fu finché il proprietario del locale non annunciò, in un italiano stentato, che era iniziata l’ora del karaoke. Nell’udirlo ebbi una brutta sensazione allo stomaco, come se avessi già vissuto qualcosa di simile. Timori che si rafforzarono quando iniziai a prestare attenzione all’ambiente attorno a me: ai tavoli in legno scuro, ai dipinti in stile asiatico e all’insegna “Benvenuti all’ORIENT” che era stata appesa all’entrata... Ero già stata qui! Non avrei saputo dire né quando né perché, ma di sicuro non era la prima volta che mettevo piede qui dentro. Eppure era impossibile, Tiziana non aveva forse detto che era un locale nuovo? Avrei dovuto ascoltarla con più attenzione, accidenti!
E mentre io sforzavo la mia materia grigia, dall’altra parte del tavolo Nicholas iniziò a osservare qualcosa alle mie spalle.
Sembrava sul punto di scoppiare a ridere e capii il perché quando la stessa vocina dall’italiano stentato esclamò: «Signolina in losso!! L’ho liconosciuta! L’ho liconosciuta!».
Ebbi un momento di panico. I miei colleghi mi guardarono e piano piano cominciai a sbiancare. Ma mi costrinsi a voltarmi verso l’ometto, alto quanto un bambino e del tutto calvo, che mi sorrise e prese a inchinarsi, sparando a mitraglietta parole nella sua lingua di cui ignoravo il significato. Sembrava realmente felice di vedermi e mi domandai a cosa dovessi tanta popolarità. Gettai un’occhiata allarmata a Nicholas ed ebbi lo strano presentimento che lui si stesse divertendo. Me lo confermò sollevando un angolo della bocca.
Accanto a lui Valentina chiese con voce piatta: «Vittoria, perché non ci hai mai parlato del tuo ammiratore?!».
Oh! Se gli sguardi potessero uccidere!
La fulminai e mi rivolsi al giapponesino: «Mi dispiace, deve avermi scambiata con qualcun altro...», sorrisi imbarazzata.
Lui s’inchinò di nuovo e rispose: «Nessuno sbaglio! Lei signolina in losso. Lei cantale bellissimo. Lei è gentilissimo con me. Mobumaso le offle la cena, signolina in losso! Okei?».
Non ebbi neanche il tempo di replicare che lui già scomparve dietro la tenda che separava la cucina dalla sala. Allora affrontai gli undici paia di occhi puntati su di me e deglutii pesantemente.
Mobumaso mi avrebbe offerto la cena.
Okay.
Speravo solo che includesse tanto di quel sakè da potermi dimenticare anche di questo!


---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Ed eccoci al secondo capitolo! :) E la trama s’infittisce, muahahahaha! XD Chissà chi è Mobumaso?! E chissà perché Nicholas è tanto interessato a Valentina?! Beh, chi vivrà, vedrà! XD Per il resto, rispero di non aver fatto troppi errori, ma quando rileggi dieci mila volte la stessa cosa finisce che le parole iniziano a sfumarti davanti agli occhi e non ci capisci più niente XD A parte questo, ho finalmente fatto i banner. Sì, perché da non averne neanche uno sono passata ad averne più di uno. Tutto perché sono indecisa su quale mi piace di più XD Magari potreste aiutarmi a decidermi :)
Nel frattempo un saluto,
Spero di sentirvi presto :)


M.Z.

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MZakhar