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Autore: road chan    08/10/2015    4 recensioni
Lo storico Bellamy Blake ha bisogno di fare colpo sui suoi futuri datori di lavoro.
Possiede tutto ciò che l’Ark Enterprises sta cercando, eccetto una fidanzata, che – secondo la migliore amica di Bellamy – lo farà brillare.
Ma è tutto perfetto perché Raven ha appena trovato la ragazza giusta.
C’è solo un problema.
Bellamy Blake e Clarke Griffin si odiano davvero, davvero tanto.
[STORIA AGGIORNATA E MODIFICATA]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nove

Dalla Grecia con il jet lag o

Baci rubati

 

 

Bellamy Blake era solito svegliarsi sempre all’alba.

Eppure, quella sua abituale routine quotidiana sembrava essersi ormai consolidata unicamente nell’appartamento di Clarke Griffin; letteralmente dall’altra parte del mondo.

Quando, alla fine, i suoi occhi si aprirono, sbattendo stancamente le palpebre, un paio di volte di troppo, percepirono il presagio di un lenzuolo vuoto e di un tavolino estraneo ai piedi del letto.

Nessuna Clarke assonnata cui dare il buongiorno.

Le mani del moro continuavano a stringere, febbrili, le coperte di lino bianco che, nonostante la pregiata e rinomata tessitura variopinta, non erano poi così morbide come la striscia di pelle fredda, tra la canottiera e i pantaloncini di cotone, che la bionda indossava per dormire.

O che aveva indossato, piuttosto, fino all’altra sera, quando una camicia da notte color salmone era comparsa al suo posto, tutta seta e pizzo…

“Stavo iniziando a preoccuparmi di dover fare colazione senza di te.”

Bellamy si voltò al suono della voce di Clarke e la trovò in piedi accanto alla finestra, ancora dentro quella dannata camicia da notte, con le tende aperte e il cellulare stretto tra le mani.

“Mi dispiace se non sono abituato ai viaggi quanto te” si lamentò.

Trattenendo uno sbadiglio, aggiunse: “Miller non scherzava riguardo al jet lag.”

Clarke rise. “Vieni e guarda.”

Bellamy si tirò giù dal letto e fece qualche passo in direzione della bionda.

Diede un’occhiata al paesaggio e non si sentì più così stanco.

“Cazzo.”

Clarke lo fissò incuriosita.

Il puro e infantile stupore sul viso del moro la invogliò a sorridere genuinamente.

“Clarke, siamo ad Atene!”

Quasi per abitudine, le cinse le spalle con un braccio e la tirò più vicino a sé. “Clarke, quella è l’Acropoli – proprio lì! Guardala – beh, l’impalcatura, ma – ” si fece sfuggire una risatina. “Fanculo, è così eccitante.”

Rimasero così ancora per un po’, con Bellamy che balbettava su quanto fosse meraviglioso e stimolante tutto ciò in mezzo ai colori sbiaditi dell’alba e con Clarke appagata nel vederlo tanto elettrizzato; e poi, la rumorosa suoneria elettronica di Skype iniziò a risuonare dal telefono della ragazza.

“Come rovinare il momento, Clarke” scherzò Bellamy, mentre la bionda accostava lo schermo al suo raggio di visuale.

“È tua sorella, acidone.”

Le sopracciglia di Bellamy si aggrottarono all’unisono.

“Perché hai mia sorella su Skype?”

“Mi ha aggiunto lei mentre stavamo sull’aereo” disse Clarke rapidamente, selezionando l’opzione Risposta Video Automatica.

La faccia di Octavia comparve attraverso lo schermo del cellulare, assieme alla metà di quella che Bellamy e Clarke riconobbero essere di Raven.

“Ciao a Clarke e…” Raven fece una pausa. “…Apparentemente al bicipite sinistro di Bellamy.”

Il moro si abbassò al livello di Clarke, posando le mani sulle ginocchia, mentre la bionda aggiustava il telefono per inquadrare entrambi.

“Hey, O” disse Bellamy. “Hey, Raven.”

La conversazione non durò moltissimo ma in quella mezz’oretta i due ragazzi raccontarono del viaggio in aereo e scoprirono che alcuni tubi a casa di Monty erano scoppiati dopo nemmeno un giorno che erano partiti e invece che assumere un idraulico, Monty aveva chiamato tutti i suoi amici e Nate si era presentato con un “potentissimo martello da combattimento” che aveva immediatamente indotto Octavia – l’unica persona che non era stata invitata a casa di Monty – a chiedere “È per caso un riferimento a Thor?”

Quando l’accesso a internet di Clarke si esaurì, Bellamy controllò l’ora sul cellulare.

“Vuoi fare la doccia prima te?” le chiese, dato che avevano circa venti minuti di tempo per non arrivare vergognosamente in ritardo a colazione.

Gli occhi blu di Clarke si staccarono dal mini schermo e la bionda annuì.

“Certo, sicuro – farò in fretta. Tu dovresti iniziare a preparare le borse per la gita di oggi.”

Si allontanò da lui per afferrare uno degli enormi asciugamani che lo staff dell’hotel aveva lasciato sopra il letto e Bellamy sollevò un sopracciglio.

“Lo sai, si tratta di una gita di un giorno. Non credo che avrò bisogno di altro, oltre al portafoglio e al telefono.”

Clarke si voltò verso il moro non appena raggiunse la soglia del bagno.

“Può succedere di tutto in un giorno.”

L’ultima cosa che Clark Griffin desiderava, mentre faceva la fila per una seconda porzione di frutta, era sostenere una conversazione con Thelonious Jaha.

Ma ancora, l’universo non era mai stato minimamente interessato nel dare a Clarke Griffin ciò che voleva; quindi, non appena l’uomo di colore si avvicinò, la bionda tentò di sfoggiare il suo sorriso migliore.

“Buongiorno, Clarke. Confido tu abbia dormito bene.”

“L’ho fatto – o almeno, meglio di chiunque debba ancora adattarsi alle sette ore di differenza.”

Thelonious rise di gusto. “Te la cavi meglio degli altri. Stiamo ancora cercando di svegliare Drew e Diggs.”

“Il jet lag è un assassino” disse Clarke, riempiendosi la ciotola con del cocomero e qualche fico.

“Bellamy ha praticamente inventato l’espressione persona mattiniera, eppure, stamattina, è rimasto intontito per almeno mezz’ora dopo che mi sono svegliata.”

Thelonious annuì appassionatamente, gesto che Clarke associava ai diplomatici e ai dirigenti delle aziende.

Era un cenno del capo che ti faceva capire che stava ascoltando, che comprendeva e apprezzava ciò che gli veniva detto, anche se non aveva ancora previsto in che modo rispondere all’interlocutore.

La ragazza non credeva che non fosse genuino ma non riusciva nemmeno a riconoscere, nelle sue azioni, una parvenza di sincerità.

“Tua madre è stata contenta di vederti all’aeroporto. Sia te che Bellamy.”

Clarke si trattenne dal rispondergli a tono, sforzandosi di pensare che quest’uomo era il capo del suo fidanzato e che lei non aveva il diritto di mettere tutto a repentaglio.

Doveva essere educata per il bene di Bellamy.

“Non la vedevo da parecchio tempo” disse invece.

“Troppo tempo” rispose Thelonious.

Il piatto di Clarke era pieno e con il rumore di una gola che si schiariva a mo’ di esortazione dietro di lei, la bionda liberò rapidamente la fila.

Il turista scocciato, la cui colazione era stata ritardata a causa della conversazione di Clarke e Thelonious, iniziò ad accaparrarsi il cibo, selezionando la frutta dal vassoio.

Thelonious rimase momentaneamente in silenzio.

“La gita di oggi agli Archivi Generali non dovrebbe durare molto” riferì a Clarke. “Abbiamo pensato che ci saremmo subito tolti di mezzo la classica riunione noiosa, in modo tale che i nostri futuri impiegati potessero avere l’opportunità di portare con loro i relativi partner nei giorni successivi.”

L’uomo di colore le sorrise.

“Immagino che Bellamy soffrirebbe al pensiero di farti perdere l’occasione di vedere così tante sculture classiche.”

Clarke annuì. “Lui sa quanto io ami l’arte.”

“Bene” disse Thelonious. “Pensi di riuscire a sopravvivere stamattina, rilassandoti in piscina e riprendendoti dal volo o tu e la ragazza di Jasper – uh – Maya, preferireste fare un giro turistico in città?”

Lei non ci aveva ancora minimamente riflettuto, perciò glielo comunicò.

“Sono sicura che Bellamy tornerà indietro con abbastanza storie da raccontare, da durare per almeno settantacinque anni; nel frattempo, credo di potermi concedere qualche ora di pace e tranquillità.”

“Meraviglioso.”

Thelonious sembrò notare solo in quel momento il piatto pieno tra le mani di Clarke e dichiarò: “Non dovrei interrompere la tua colazione. È stato bello vederti, Clarke.”

Lei gli disse che era sempre un piacere, anche se non era vero, e quando tornò al tavolo dove Bellamy stava ridacchiando per qualcosa che aveva appena detto Harper e Jasper stava quasi per ingoiare il cucchiaio, fu colpita da un pensiero improvviso.

Aveva mentalmente identificato Bellamy come il suo fidanzato?

Quando raggiunsero la camera dopo colazione, Bellamy si lasciò scappare un profondo sospiro.

“Ancora cinque minuti e avrei potuto uccidere Jasper Jordan.”

Clarke rise, allontanandosi dal protettivo tocco della mano del bruno attorno alle sue spalle per attraversare la stanza.

“Ti avrei probabilmente aiutato.”

“Con una lancia in pieno petto” rifletté Bellamy. “In realtà ne stavo parlando con Murphy davanti alla macchinetta del caffè.”

“Oh, è per questo che c’è voluto tanto per un Espresso?”

Bellamy le lanciò un sorrisetto sarcastico.

“C’è questa scuola di gladiatori, a Roma, e Murphy si chiedeva se sarebbe stato possibile andare a vederla e magari iscriversi per qualche mese.”

I lati della bocca di Clarke si alzarono contro la sua volontà.

“T’immagino a correre in battaglia con una lancia.”

Ci rifletté ulteriormente. “O con una spada. O – ”

“In pratica, mi stai descrivendo come un essere incline alla violenza.”

“Non alla violenza, necessariamente, ma senza dubbio alla sopravvivenza.”

C’era qualcosa che lei non riusciva a decifrare nel modo in cui lui la guardava. Era sempre lo stesso modo, ma con dell’altro.

Era nostalgico, riconoscente – era così tante cose nel giro di quell’ultimo minuto che lei si voltò dall’altra parte e ogni cosa sparì.

L’itinerario di Bellamy, che Clarke aveva infilato dentro il suo bagaglio a mano nonostante il moro l’avesse quasi imparato a memoria per quante volte lo aveva letto, affermava che l’escursione del giorno sarebbe durata solo quattro ore.

“Pensi che potrai sopravvivere qualche ora senza di me, Clarke?”

Il tono scherzoso della sua voce era doloroso; doloroso perché le solleticava tutti i capelli dietro la testa, come se lui le stesse alitando quelle stesse parole dentro l’orecchio e ogni respiro si faceva sempre più profondo e stuzzicante lungo il suo collo.

Le labbra di Clarke si strinsero di colpo.

“Non sono sicura” replicò, piegando l’itinerario e voltandosi per affrontarlo.

Non sapeva a che razza di gioco stessero giocando ma era determinata a non commettere errori.

“L’ultima volta che siamo stati separati per così tanto tempo, io lavoravo.”

Bellamy le lanciò un’occhiata, dimenticandosi del libro ingiallito che teneva tra le mani. “Non hai portato nessun tipo di lavoro, vero?”

“Ho solo un caso aperto, al momento” rispose onestamente la bionda.

“Ma sono certa che Gustus potrà gestirlo da solo – di solito ci pensa lui, alle cose che Lexa non fa in tempo a finire.”

Bellamy fece un passo in direzione di Clarke, posando il libro sopra il comodino di fianco a lei.

“Se vuoi, ho l’Eneide e circa tre mattoni sull’arte che potrebbero interessarti. Potresti scendere in piscina, ricaricarti. Te lo meriti.”

“Che cosa te lo fa dire?” chiese lei, restringendo gli occhi e scrutandolo intensamente.

Bellamy sogghignò.

“Clarke, vivo con te. La tua esistenza, il cento per cento delle volte, è fottutamente incasinata.”

Questo fece ridere anche lei.

“Ok, mi tocca ammettere che è vero. Però non dovevi sprecare la metà dello spazio nel tuo bagaglio con tutti quei libri solo per evitare di farmi annoiare.”

“Certo che dovevo” disse Bellamy, perdendo un battito. “Sei la mia ragazza migliore.”

Dopo un momento, aggiunse: “Non dire a O che te l’ho detto.”

“Le mie labbra sono serrate” rispose Clarke, diligentemente.

Afferrò il libro di Bellamy e lo esaminò (anche se era stata più assorbita dal proprietario del libro che in quel momento le stava pure fissando la bocca).

L’Eneide di Virgilio.”

Bellamy annuì. “È meglio dell’Odissea. Cavolo, perfino la metà del primo capitolo è più eccitante di tutti e ventiquattro i volumi dell’Odissea.”

Qualcuno bussò alla porta e Bellamy si voltò.

La voce di Jasper Jordan risuonò attutita.

“Andiamo, Bellamy! Voglio accaparrarmi un posto buono sul pullman!”

Il moro fissò nuovamente Clarke, mormorando: “Dio, qualcuno chiuda la bocca a quel marmocchio prima che lo uccida.”

E poi qualcun altro – Harper – gridò: “Fanculo, Jordan! Lui è mio sin da quando stavi ancora studiando la sabbia del suolo Americano!”

Clarke incontrò gli occhi di Bellamy, sollevando un sopracciglio.

“Sei un ragazzo ambito.”

Bellamy fece una smorfia divertita.

“In tutta onestà, preferirei sedermi vicino a Harper per quarantacinque minuti piuttosto che a Jasper per qualsiasi lasso di tempo.”

“Buona cosa che tu sia suo allora, uh?”

Bellamy spinse Clarke, il sorriso ancora sul viso.

Si voltò e afferrò il cellulare, ficcandolo dentro la tasca posteriore dei pantaloni assieme al portafoglio e a una penna.

Poi camminò a grandi passi verso la porta, spalancandola e gridando: “Da fratello maggiore, posso dire che l’essere di qualcuno è sicuramente l’impegno più vincolante tra tutti.”

Harper mostrò il dito medio a Jasper.

Con Bellamy, Harper e Jasper riuniti a casaccio lungo il corridoio, la testa di Monroe spuntò da dietro l’angolo dell’androne.

“Ragazzi, il pullman parte tra cinque minuti. Smettetela di preoccuparvi dei cavolo di posti a sedere e portate giù i vostri culi.”

Jasper li salutò e Harper si voltò verso Bellamy. “Pronto ad andare?”

Bellamy annuì lentamente.

Le sue mani tastarono la tasca posteriore, dove c’era tutto ciò di cui aveva davvero bisogno e poi disse: “Merda.”

Clarke, guardandolo dalla porta d’ingresso con le braccia incrociate, gli chiese: “Che, hai dimenticato qualcosa?”

“Sì.”

E poi, prima che lei potesse domandargli altro, accorciò la distanza tra loro e premette un bacio sulle labbra della bionda.

La mano destra sfiorò il suo viso per una frazione di secondo e lei tentò di allungare un braccio per scostarlo ma lui si era già allontanato e le stava facendo l’occhiolino.

“A dopo, Clarke.”

Harper aveva probabilmente alzato gli occhi al cielo e Jasper stava gongolando come un bambino di quattro anni ma Clarke non poté fare altro che sorridere.

“Ci vediamo, Bellamy.”

  
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