Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Kotoko_chan    09/10/2015    7 recensioni
Kuroko Tetsuya è un ragazzo timido e di poche parole, che entra nella squadra di basket del liceo Seirin, dove incontrerà Kagami Taiga, il suo esatto opposto. Tra i due si creerà una certa intesa anche se Kagami non riesce a spiegarsi il motivo per cui Kuroko odia essere toccato. Che sia colpa del suo passato? E qual è il suo legame con la "Generazione dei miracoli"? Cosa unisce questi sei ragazzi straordinari ma così altezzosi? Tra partite di basket e colpi di scena, riuscirà il nostro sesto uomo a liberarsi dei suoi vincoli? Lo scoprirete solo leggendo...
Genere: Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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34. La scelta
 
L’acqua fredda scorreva all’interno del lavandino immacolato della sua camera d’ospedale mentre lui, stringeva forte i bordi per non cadere. Aveva appena finito di lavarsi il viso per eliminare le ultime tracce delle lacrime causate da Kagami.
Era andato via, per davvero… non si era voltato, non era corso indietro per abbracciarlo, rassicurarlo, per dirgli che sarebbe andato tutto bene. L’aveva lasciato lì, solo, portandogli via l’unica certezza della sua vita, l’amore che Kagami provava per lui ed ora, non c’era più nemmeno quello.
Si trattenne dal piangere di nuovo e, alzò il volto per osservare la sua immagine riflessa allo specchio. Un paio di occhi gonfi e arrossati ricambiarono il suo sguardo. Sospirò rassegnato, non poteva fare altro per nascondere quei segni e sperava solo di non incontrare presto i suoi genitori. Tornò a sedersi sulla sedia a rotelle e, nel farlo, sentì un tintinnio proveniente dalla sua tasca. Tastò quella parte e sentì la collana con il ciondolo a “T” di Kagami. Per la rabbia, portò la mano al collo, alla ricerca della catenina della sua collana ma, nel momento in cui stava per strapparla via, si fermò. Chiuse gli occhi con aria sofferente e lasciò andare la catenina. In quel momento il suo cuore era diviso in due: da una parte Kagami, con la sua dolcezza e premura, il suo sorriso, il suo broncio da bambino, la sua risata contagiosa e la sua forza di volontà; dall’altra Akashi, sotto il suo lato da duro aveva sempre fatto di tutto per proteggerlo, amarlo. Tutte le sue prime esperienze le aveva avute con lui, aveva scoperto cosa voleva dire amare, condividere la propria vita con qualcuno e l’aveva salvato da morte certa mettendosi in una posizione rischiosa.
Aprì gli occhi con decisione. In quel momento Akashi aveva bisogno di lui e non l’avrebbe abbandonato come aveva già fatto in passato.
 
***
 
Akashi era rannicchiato su se stesso, sopra l’enorme letto della camera arancione dell’Imperatore. Ormai, intorno a lui, quel colore aveva preso il predominio e, il colore rosso, avvolgeva debolmente il suo corpo. Si sentiva molto stanco, desiderava solo chiudere gli occhi e non riaprirli più però, le parole dell’Imperatore continuavano a ronzargli in mente senza lasciarli la possibilità di rilassarsi.
Aveva ragione, tutti ormai lo odiavano anche Murasakibara, nonostante si fosse mostrato sempre amichevole aveva notato il suo sforzo di stargli accanto nell’ultimo periodo e poi… era ancora vivo?
Scosse la testa orripilato ricordando le sue ultime azioni: il gas, Murasakibara, la lotta sul tetto con Kuroko e la caduta. Si portò le mani alla testa cercando di controllare il suo respiro affannoso. E se fossero morti per causa sua? Come avrebbe fatto dopo essersi svegliato?
“Come potresti fare? Già… che bella domanda…”
Alzò debolmente il viso verso il ghigno soddisfatto dell’Imperatore, seduto al bordo del letto.
“Tu lo sai se sono morti, vero? Vero?” chiese debolmente Akashi.
L’Imperatore si fece serio, guardandolo intensamente.
“Sì”.
Akashi impallidì e la luce rossa che l’avvolgeva si spense. Solo i suoi occhi brillavano debolmente.
“No, no, no!”
L’Imperatore si avvicinò alla figura tremante sul letto, con un sorriso dolce.
“Ssshh… tranquillo. Ci sono io con te…” gli posò delicatamente la mano sulla testa, accarezzandolo come un gatto “per tutto questo non ho fatto altro che aiutarti e lo farò anche questa volta”.
“Se sono morti, come farò? Come farò? Come!!! ATSUSHI! TETSUYA!” urlò piangendo.
 Si scostò da quel tocco, per immergere il volto nel cuscino, soffocando i suoi singhiozzi disperati.
“So come puoi fare” disse l’Imperatore alzando la voce, per sovrastare i singhiozzi.
“C-c-come?” riuscì a chiedere.
“Abbandonati a me”.
Akashi spalancò gli occhi e si mise immediatamente seduto, stringendo a sé il cuscino, come ancora di salvezza.
“C-c-cosa intendi per abbandonati a m-me?” chiese tremante “c-come ab-biamo sempre f-fatto?”
“No” rispose lui con tono deciso “questa volta ci sarò sempre e solo io”.
Akashi strinse convulsamente il cuscino.
“Questo vuol dire che io…”
“… esatto. Resterai qui per sempre”.
Akashi deglutì nervosamente e le lacrime ripresero a scendere.
“Non voglio morire!”
“Non morirai. Resterai qui, tranquillo, senza che nessuno possa farti soffrire. Dimenticherai tutto e vivrai felice… pensaci. In questo momento sono l’unico che può risolvere la situazione una volta sveglio, l’unico che potrà rendere felice tuo padre in azienda, l’unico che saprà riallacciare i rapporti con i Miracoli rimasti” Akashi strinse il cuscino sconvolto.
“Io… io…”
“Prendi la mia mano, Seijuro” disse porgendogliela “se lo farai, porrai fine a tutte le tue sofferenze. Per sempre”.
 
***
 
Stava percorrendo il corridoio con aria assente, facendo scorrere le ruote della sedia rotelle sul freddo pavimento dell’ospedale. La sua destinazione era la camera di Akashi per riprendere il posto che aveva abbandonato la sera prima, il suo fianco e la sua mano. Non faceva altro che stringerla, in silenzio, non sapendo cosa fare pur di rivederlo con gli occhi aperti.
Nei pressi della sua camera incontrò Murasakibara che, con espressione seria, stava sbirciando dietro l’angolo. Non indossava più il suo pigiama ma una semplice maglietta viola accompagnata a un paio di bermuda.
“Murasakibara-kun, che ci fai qui? Non eri stato dimesso?” chiese curioso.
Lui si voltò di scatto facendogli cenno di stare zitto e di avvicinarsi. Lui obbedì curioso, affiancandolo. Da quella posizione riuscì ad udire le voci concitate del dottore che si stava occupando di Seijuro e degli Akashi.
“Quindi… sta bene?”
La voce della signora Akashi era sollevata.
“Sì, a livello fisico sta bene. Un po’ debole, però non è in pericolo” confermò il dottore con voce profonda.
“Ma allora perché ancora non si sveglia?” chiese il signor Akashi perplesso.
“Ho una teoria… forse azzardata” rispose il dottore titubante.
“Quale?” chiesero all’unisono i genitori.
“Che non vuole svegliarsi”.
A quelle parole calò un silenzio lugubre e, Murasakibara e Kuroko si guardarono allarmati.
“Per quale motivo? Non ci credo!” urlò la signora Akashi.
Il marito la prese per mano e guardò negli occhi il dottore.
“Mi sta dicendo che mio figlio ha perso la voglia di vivere?”
“Io…”
“Non è così” mormorò Murasakibara coprendo le parole del dottore. Si voltò verso Kuroko con aria pensierosa.
“Vuoi dire che…” disse Kuroko spalancando gli occhi.
“… sì, non dipende da Akashi. Ma dall’Imperatore” concluse Murasakibara annuendo.
“Ancora lui! Perché non si arrende!?” sbottò Kuroko irritato.
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo dei genitori di Akashi che li guardarono con aria sofferente.
“Buongiorno” dissero all’unisono i due ragazzi inchinando leggermente il capo.
I genitori risposero al saluto e si diressero con aria cupa nella camera del figlio, lasciando fuori i ragazzi.
“Murasakibara! Sei ancora qui?”
Il dottore aveva svoltato l’angolo facendo un sorriso.
“Si, sono venuto a salutare Akashi” rispose con aria stanca.
“Anch’io” disse Kuroko facendosi vedere.
“E’ un bene che tutti e due siate qui. Ho un compito da affidarvi” disse con aria seria.
“Quale?” chiese Kuroko.
“Dovete parlare con Akashi. Dovete dargli un motivo per tornare qui”.
I ragazzi si guardarono non capendo.
“I genitori lo stanno già facendo, quel ragazzo ha bisogno di un motivo per tornare. Aiutatelo, altrimenti non tornerà mai più”.
 
***
 
“N-non c-capisco” disse Akashi guardando la mano sicura dell’Imperatore.
“Perdendo la memoria ti sembrerà di aver sempre vissuto qui e non avrai più problemi” rispose “se prenderai questa mano, tutto finirà e finalmente ti sentirai bene”.
“Perché non possiamo fare come abbiamo sempre fatto?” chiese sospettoso.
“Perché sei troppo debole”.
Akashi lo guardò ferito.
“Ormai non hai più la forza di lottare. Non ti sei reso conto che nell’ultimo periodo hai fatto sempre e solo affidamento su di me, cancellando te stesso? È dal secondo anno delle medie che le cose vanno così. Se non fosse stato per te nessuno sarebbe morto!”
Akashi emise un verso, come di un animale ferito, tappandosi le orecchie.
“NO!”
“Forza Seijuro, è giunta l’ora di afferrare la mia mano e porre fine alle tue sofferenze”.
Akashi liberò le orecchie dalle sue mani tremanti e ne porse una verso di lui. L’Imperatore sorrideva, un sorriso vittorioso mentre attorno a lui il colore arancione pulsava come un cuore umano.
“Seijuro?”
Akashi si fermò sbattendo le palpebre.
“Forza Seijuro!”
L’Imperatore stava diventando impaziente e il sorriso cominciò a scemare dal volto.
“Seijuro, ci senti? Siamo i tuoi genitori”.
Akashi si guardò intorno sorpreso.
“Seijuro! Prendi la mia mano!”
“Seijuro tesoro, la tua mamma e il tuo papà sono qui, per te…”
Un singhiozzo interruppe le parole della madre.
“Non ci riesco, non ci riesco!” sentì mentre la voce si allontanava.
“Mamma? Mamma, sei tu?”
Silenzio.
“Mamma, rispondimi!!”
Si alzò in piedi barcollante, trovandosi in pigiama. Guardò i suoi piedi notando che stavano sparendo, inghiottiti dall’arancione pulsante.
“Ma cosa diavolo…”
Lanciò un’occhiata all’Imperatore che lo osservava dal letto con aria soddisfatta.
“Vedi? Dopotutto quello che hai fatto neanche i tuoi genitori non riescono a parlarti” disse con un ghigno.
“Io…”
Dei rumori lo zittirono e si guardò intorno. Delle voci in lontananza, confuse… chiuse gli occhi concentrandosi, senza però riuscire a distinguerle. Quando li riaprì si rese conto che stava fluttuando perché le sue gambe erano scomparse.
“NO!”
“Afferra la mia mano Seijuro, sono la tua unica ancora di salvezza in questo mondo. Se non lo farai, scomparirai, per sempre” disse l’Imperatore avvicinandosi a lui “Prendila” insistette porgendogliela.
Spaventato, allungò la mano, fermandosi nuovamente quando una delle voci confuse, divenne più chiara.
“Akashi, mi senti? Sono Atsushi”.
Akashi strabuzzò gli occhi.
“E’ vivo!” esultò.
I suoi occhi, ormai quasi del tutto arancioni, brillarono di una luce rossa che fece digrignare i denti dell’Imperatore.
“Vorrei dirti tante cose… ma tu sai meglio di me che non sono bravo con le parole…”
Akashi sorrise e il rosso si diffuse lentamente nella parte alta del suo corpo.
“Seijuro, non è vero che…” tentò l’Imperatore ma, fu zittito nuovamente da Murasakibara.
“So perché non vuoi tornare qui da noi. Hai paura delle conseguenze, paura di tutti noi, dai tuoi genitori ai Miracoli… però io non ti ho mai abbandonato, perché dovrei farlo adesso?”
“Atsushi…” mormorò mentre i suoi occhi luccicarono di lacrime.
“L’incidente in villa, non è colpa tua. E’ stato pianificato dall’Imperatore, tu non avresti mai fatto del male nessuno, per questo ti chiedo di tornare. Mi sembra strano dirti queste parole e credo che non le sentirai mai più pronunciare! Io… ti voglio bene. Sei non solo il mio migliore amico ma un fratello. Per cui torna, torna da me!”
“ATSUSHI!” il suo corpo pulsò di luce rossa mentre le gambe tornarono integre.
“Seijuro, non farlo!”
“Stai zitto! L’incidente alla villa è stato causato da TE!”
Il suo corpo pulsò nuovamente di luce rossa, facendo indietreggiare l’Imperatore.
“No, aspetta!”
“Akashi-kun?”
Il suo cuore perse un battito e chiuse gli occhi per concentrarsi. Aveva sentito bene?
“Akashi-kun… sono Kuroko”.
“Tetsuya…” mormorò ad occhi chiusi.
“E’ strano parlarti in questo modo… non sono neanche sicuro di cosa sto facendo…”
L’insicurezza del suo Tetsuya, quella piccola parte di lui che aveva sempre amato.
“In questi giorni è successo di tutto durante la tua assenza. Ho scoperto la verità che mi hai sempre nascosto”.
Akashi deglutì nervosamente. Sapeva a cosa si stava riferendo.
“Ti volevo dire… grazie. Grazie per tutto quello che hai fatto per me. Grazie per avermi protetto e per aver continuato a farlo anche sulla terrazza. E se ti senti in colpa, non ci pensare più. So che tutto ciò che è successo in questi mesi è colpa dell’Imperatore, tu non mi avresti fatto mai del male, mi hai sempre protetto”.
Una lacrima scivolò sul viso di Akashi e strinse i pugni per la rabbia.
“Akashi-kun… no. Sei-chan. Ti prego, torna da me. Nessuno qui ti odia, vogliamo tutti il tuo ritorno. Vogliamo tutti rivedere il nostro capitano. Io voglio rivederti sorridere. Ti prego… svegliati”.
Akashi aprì gli occhi e tutto intorno a lui divenne rosso, cancellando l’arancione.
“No, no, no…” disse l’Imperatore scuotendo la testa.
Akashi si sentì carico, vivo come non lo era mai stato. La sua energia pulsava e voleva solo uscire da quella stanza che era diventato il suo incubo peggiore negli ultimi anni a causa dell’Imperatore.
Si avvicinò con passo sicuro verso lo specchio e vide alla sua sinistra Kuroko che lo stava guardando con apprensione e, alla sua destra Mursakibara.
“No! Non puoi farmi questo! Non puoi ucciderti così!” urlò l’Imperatore.
“Uccidermi?” chiese perplesso voltandosi a guardarlo.
“Sì” annuì lui, con occhi folli “io e te siamo la stessa persona. Non capisci? Siamo come lo yin e lo yang, siamo…”
“Lo so cosa siamo” lo interruppe “tu sei me e io sono te. Hai ragione”.
L’Imperatore si sentì sollevato e sorrise debolmente.
“Siamo due opposti che hanno lottato troppo a lungo. Io volevo essere come te, la tua forza e sicurezza sono sempre stata la mia più grande aspirazione. Volevo essere anch’io così” sorrise beffardo “quanto sono stato idiota. Ho cercato di diventare ciò che già ero”.
L’Imperatore lo guardò, riuscendo a seguire il suo discorso contorto.
“E quindi, a che conclusione sei giunto?” chiese incrociando le braccia e chinando leggermente il capo, osservandolo come un essere raro.
“Che tu non devi morire. Devo semplicemente equilibrare me stesso per vivere al meglio” rispose sorridendo.
Gli porse la sua mano con una sicurezza mai mostrata fino a quel momento, una sicurezza degna dell’Imperatore.
“Allora? Cos’hai intenzione di fare?” chiese osservando il corpo dell’Imperatore sgretolarsi.
Lui, con un sorriso beffardo, gli porse le sue mani ed entrambi chiusero gli occhi.
“Buona fortuna, Seijuro…”
“Buona fortuna a noi”.
Quando riaprì gli occhi sentì un dolore diffuso su tutto il suo corpo e, nel momento in cui capì di essere in un letto, si preoccupò. Non era riuscito a farcela?
“Akashi-kun…”
“Akashi…”
“Seijuro!”
Intorno a lui vide i suoi genitori con Kuroko e Murasakibara. I loro volti erano umidi di pianto e allo stesso tempo sorridenti.
“Sono tornato” disse cercando di sorridere.
Kuroko e Murasakibara si guardarono sollevati mentre sua madre abbracciò stretto suo marito scoppiando in lacrime.
“Bentornato figliolo”.
 
***
 
Era passata una settimana dal risveglio di Akashi e il suo recupero stava avvenendo con costanza. Riusciva a camminare con le sue gambe e scarrozzava Kuroko per tutto l’ospedale. I medici erano soddisfatti per il suo recupero e già parlavano di dimetterlo insieme a Kuroko che stava iniziando a camminare con le stampelle.
In quei giorni non avevano parlato molto di ciò che era successo, troppo felici del suo risveglio. Murasakibara continuava ad alloggiare nella villa al mare di Akashi, andando ogni giorno all’ospedale. Aveva aggiornato gli altri sulle condizioni di Akashi e tutti lo avevano chiamato con sua enorme sorpresa, non pensava che dopo tutto quello che era successo gli rivolgessero la parola.
Era pomeriggio inoltrato ed Akashi teneva per mano Kuroko, aiutandolo a fare i primi passi senza stampelle. Non vedeva l’ora di tornare a giocare a basket e affrontare i suoi ex compagni di squadra.
“Bravo Tetsuya, stai facendo progressi” disse aiutandolo ad accomodarsi su una panchina del giardino.
“Ottimo! Così possiamo tornare a scuola e allenarci” commentò sorridente.
Akashi gli passò una bottiglietta d’acqua che lui accettò con piacere.
“Grazie” disse lui aprendola.
Se la portò alle labbra osservato da Akashi con attenzione.
“Che c’è? Ho qualcosa addosso?” chiese dopo aver deglutito l’acqua.
“Non torni al Seirin?”
Kuroko distolse lo sguardo, chiudendo la bottiglietta d’acqua.
“No, come ti ho già detto, resto al Rakuzan” disse in tono secco.
“Sei sicuro?” insistette lui.
“Sì, non ho più intenzione di lasciarti”.
Akashi sospirò, prendendo dalle mani di Kuroko la bottiglietta d’acqua. L’aprì e bevve sotto lo sguardo deciso del più piccolo.
“Sai, non ho bisogno di un’ombra nella mia squadra” commentò dopo aver terminato di bere.
“Ogni squadra ha bisogno di un’ombra e io sarò la tua” replicò in fretta.
“Tetsuya, io non ho bisogno di un’ombra”.
Kuroko lo guardò ferito e distolse lo sguardo puntandolo all’orizzonte. Da quella posizione avevano un’ottima visuale di tutto il giardino e, tra alcune foglie che svolazzavano, riuscivano a vedere alcuni pazienti che si stavano godendo il sole del tardo pomeriggio.
“Ma… io ho bisogno di te” disse in tono lamentoso “io… ti amo ancora”.
Un sorriso malinconico apparve sul volto di Akashi.
“Tetsuya, questa esperienza mi ha fatto crescere molto. Ho capito il perché, ad esempio, l’Imperatore ha compromesso la sua posizione, perseguitandoti. Ero io che desideravo ardentemente di riaverti con me e, vederti insieme a Kagami, ha spinto l’Imperatore a muoversi in quel modo. Anzi, a muovermi in quel modo” si corresse.
“Cosa stai dicendo? Tu e l’Imperatore siete due entità diverse. Quello che ha fatto è stato orribile, tu non l’avresti mai fatto” replicò lui afferrandogli una mano.
“No” disse lui scuotendo leggermente la testa “sono io che ho fatto quelle cose orribili. Ho ucciso il coach, ho reso impossibile la vita degli unici amici che abbia mai avuto, ti ho fatto del male, ti ho quasi ucciso, Tetsuya”.
“NON E’ VERO!” urlò Kuroko, rosso in volto “tutto questo non ha senso… tu… tu… hai sconfitto l’Imperatore! Altrimenti perché hai entrambi gli occhi rossi? È per caso ancora qui?”
“Tetsuya, calmati” disse con tono pacato, accarezzandogli i capelli “non esiste né l’Imperatore né Akashi. Esiste solo Akashi Seijuro” sorrise.
“N-no! Ti aiuterò! Ti aiuterò a cancellare per sempre l’Imperatore!” disse lui agitato.
“Perché dovrei annientare una parte di me? Non voglio” replicò tranquillamente. Accavallò le gambe e guardò davanti a sé con il volto rilassato.
Una farfalla stava svolazzando intorno a loro e si andò a posare sul suo ginocchio.
“Ti ricordi che durante il ritiro estivo hai incontrato Kagami?” chiese osservandola con interesse.
Lui annuì posando il suo sguardo sulla farfalla. Era minuta e delicata, con le sue piccole ali bianche.
“Hai provato a sedurmi pur di salvarlo e quando ti ho chiesto se avresti fatto tutto questo per me la tua risposta è stata per te non l’avrei fatto. Ma per Sei-chan si” avvicinò lentamente la mano alla farfalla, porgendo il suo indice vicino alle sue zampette “ancora non ci arrivi?” aggiunse sorridendo “tu non mi ami” concluse.
“Non è vero” replicò lui velocemente “ti ho sempre amato”.
“Appunto, mi hai amato. Ma ora non più” la farfalla salì sull’indice e Akashi la guardò soddisfatto.
“No, io… io…” balbettò lui con le lacrime agli occhi.
“…mi ami?” completò lui “se fosse così, non indosseresti ancora la collana con il ciondolo a “T”. Anzi” aggiunse lanciando un’occhiata alla maglietta del pigiama “con le due “T”. Ancora non capisci?”
Kuroko strinse al petto i due ciondoli con aria sofferente.
“Ho preso la mia decisione, non ti abbandonerò, mai più” disse ma, questa volta la sua voce era leggermente incrinata.
“Ah, mio piccolo Tetsuya” sospirò portando l’indice davanti a sé “c’è una bella differenza tra l’amare e l’avere pietà. Avresti mai pensato di spingerti così tanto per una persona sola? Inoltre, chi l’avrebbe immaginato che quel testone di Kagami prendesse questa decisione così drastica” commentò. La farfalla cambiò posizione, puntando verso il cielo.
“La vita è così breve… pensa a questa farfalla. È stata per così tanto tempo una crisalide e adesso è nata, per vivere intensamente l’unico giorno di vita che gli rimane” la farfalla spiccò il volo, allontanandosi dai due ragazzi “un po’ come la tua storia con Kagami, però siete ancora delle crisalidi” si voltò verso di lui, cogliendo due lacrime spuntargli dagli occhi “allora Tetsuya, quando deciderai di diventare farfalla con Kagami?”
“Akashi-kun…” mormorò “mi dispiace!” chinò il busto davanti a lui “mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!” continuò mentre le lacrime continuavano a scendere “però, per quanto mi dispiace lui… mi manca troppo!”
Akashi sorrise e lo abbracciò, consolandolo con delle semplici carezze.
“Cerca di vivere felice, Tetsuya. E anch’io farò lo stesso”.
 
***
 
Epilogo
 
“L’allenamento è finito ragazzi! Potete andare negli spogliatoi, a domani!”
I ragazzi si accasciarono a terra con dei sorrisi soddisfatti, quel giorno avevano fatto del loro meglio per soddisfare le richieste del coach che, sembrava più energico del solito.
“Ci vediamo coach!”
“A domani sensei!”
“Buon ritorno a casa ragazzi”.
“Ah! Kuroko sensei!”
Kuroko si voltò trovandosi di fronte la manager della squadra di basket.
“Dimmi” disse gentilmente.
“Q-questi, p-può consegnarli ad Ao-Aomine-sama?” balbettò, porgendo un pacchetto.
“Va bene” rispose.
Lei ringraziò e scappò via sotto lo sguardo divertito del coach. Da quando si era diffusa la notizia che conosceva Aomine Daiki, nella scuola tutti non facevano altro che tormentarlo, consegnando bigliettini, pacchetti e altro. Dopotutto era l’asso della nazionale di basket. Di recente una sua collega lo perseguitava per conoscerlo e, per sbarazzarsene, le aveva detto che aveva una ragazza gelosa.
Si diresse con allegria nel suo ufficio, pronto per cambiarsi: indossò un jeans, una maglietta bianca e una camicia di jeans sbottonata. Era primavera inoltrata e il caldo era quasi estivo, quindi si mise sotto braccio la giacca.
Uscì dall’edificio scolastico con un sorriso stampato sul volto, dirigendosi al vecchio campo da basket che avevano utilizzato da ragazzi lui e gli altri. Quel giorno si sarebbero ritrovati tutti. Prima però aveva un impegno urgente da portare a termine.
“Zio Tetsu!”
Sulla soglia dell’asilo, vicino al campo, un bambino dai capelli blu lo osservava con gioia. Indossava il grembiule celeste e un buffo cappello giallo.
“Aoi, sono qui” disse sorridente.
“Zio!”
Il bambino si avvinghiò alle gambe di suo zio rischiando di farlo cadere.
“Zio Tetsu!” disse strofinando il viso sulle gambe.
“Ehi, ehi, ehi Aoi! Vieni in braccio”.
Si chinò e issò il bambino sulle spalle, dove iniziò a strofinare vigorosamente le guance sui capelli di Kuroko.
“Non ha fatto altro che nominarla” commentò la maestra d’asilo guardando con interesse dalla sua parte.
Rispetto alle superiori, era diventato più alto ma non a sufficienza a suo avviso. I suoi occhi azzurri brillavano con la luce solare e, i suoi capelli, stavano diventando una massa informe a causa di Aoi.
“La mamma non ha lasciato nessun bagaglio?” chiese.
“No, ha già portato tutto a casa del signor Aomine” rispose educatamente.
“D’accordo, allora arrivederci” disse allontanandosi.
La maestra si inchinò e corse all’interno perché aveva sentito urlare.
“Aoi, sei più affettuoso del solito” commentò ridacchiando.
“Sì! Papà!”
“Già, tra poco potrai rivedere papà” disse  con un sorriso.
Per tutta risposta Aoi si strofinò più forte.
Aoi era il figlio di Aomine, avuto da una relazione con una modella quattro anni prima. Più che relazione, si era trattato di una notte folle e, qualche mese dopo, le aveva annunciato di essere incinta. Per il bene del bambino, avevano vissuto insieme per un anno, per poi separarsi: lei era innamorato di un altro e Aomine aveva riallacciato i rapporti con Kise, perdonato da tutti dopo qualche mese dall’incidente alla villa. Kuroko era ancora un po’ restio nei suoi confronti a causa di quel passato così complicato però, quando vedeva il suo migliore amico così felice e anche quella peste di suo figlio così affezionato a lui, non riusciva a portare rancore. Non era stato facile per Aomine trovare la felicità ed ora che c’era riuscito, non voleva essere il guastafeste della situazione.
Svoltarono in un vicolo e si dovettero fermare a causa di un’enorme ombra. Aoi stritolò i capelli di Kuroko, spaventato mentre lui, con un sospiro, riuscì a far allentare la presa.
“Buon pomeriggio, Murasakibara-kun” salutò.
L’ombra scomparve, sostituita dalla mole gigantesca di Murasakibara.
“Kuro-chin” disse.
Aoi si tranquillizzò e guardò con entusiasmo Murasakibara.
“Zio! Dolce!” esclamò tutto contento.
“Tra poco” rispose accarezzandogli la testa.
Con una mano lo sollevò, posandolo sulle sue spalle.
“ALTO!” urlò entusiasta Aoi.
“Mantieniti forte, Aoi” disse lui divertito.
Kuroko li guardava preoccupato, era un po’ troppo alto per i suoi gusti e, se si fosse fatto male, Aomine avrebbe ucciso entrambi.
“Allora Murasakibara-kun, come prosegue il lavoro?” chiese incamminandosi.
“Bene, sto per aprire un’altra pasticceria” rispose mantenendo forte il vivace Aoi.
“Ancora? Vuoi conquistare il mondo con le tue torte?” chiese sbalordito Kuroko.
“Non sarebbe male come idea…” mormorò pensieroso.
“Murasakibara-kun…” commentò rassegnato Kuroko.
Uscirono in una grande piazza, dove alcuni bambini stavano giocando a calcio sull’erba. Il campo da basket, poco distante, era occupato da alcuni ragazzini intenti ad ascoltare Midorima e Takao. Stavano mostrando come poter fare canestro al primo colpo. A bordo campo, sulle gradinate, c’era Satsuki che aveva i capelli legati in un elegante chignon, con in braccio un bambino di un anno dai capelli verdi.  Si voltò nella loro direzione quando sentì urlare “ZIA!!!”
“Aoi-chan! Tetsu-chan! Mu-kun!” esclamò agitando la mano con entusiasmo.
Il bambino sorrise battendo le mani.
“Guardate! Anche Haru è felice di vedervi!” commentò allegra.
Seduta su un gradino più in basso, una bambina dai capelli rosa e dagli intensi occhi verdi, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo con aria annoiata però, quando vide Murasakibara, sorrise. Essere pasticcere serviva a conquistare il favore di qualsiasi bambino, anche se la bambina in questione era Toshiko Midorima. Era la figlia di sette anni di Midorima e Momoi. Si erano sposati dopo il liceo e avevano proseguito i loro studi anche se, solo Midorima li aveva terminati diventando un medico mentre Momoi, aveva preferito occuparsi della loro bambina. Negli ultimi anni però, aveva assunto il ruolo di segreteria per il presidente di un’importante compagnia.
“Ohi, Takao! Ma cosa combini? Non sai più giocare a basket?”
“Senti chi parla!”
Si erano avvicinati Midorima e Takao che, come al solito, stavano battibeccando.
“Buon pomeriggio” salutò Kuroko.
“Ah, siete qui?” chiese Midorima a mo’ di saluto.
“Shin-chan! Sei sempre il solito scorbutico!” commentò Takao alzando gli occhi al cielo.
Midorima non rispose e guardò Aoi, ancora sulle spalle di Murasakibara.
“Se sta il figlio, dov’è il padre?” chiese alzandosi gli occhiali.
Kuroko controllò l’orologio, rendendosi conto che Aomine doveva essere lì già da un pezzo.
“Il suo volo dovrebbe essere già arrivato” disse perplesso Kuroko.
Il suono di una brusca frenata li zittì. Poco distante era arrivata una Ferrari gialla che, aveva parcheggiato per metà sul marciapiede e per metà nel parcheggio.
“Gli avevo detto di non essere così appariscente” commentò esasperato Midorima.
“Dai Shin-chan! Fallo divertire!” disse Takao.
“Non voglio paparazzi in giro” sbottò guardandosi intorno “ci sono qui i bambini” aggiunse guardando i suoi figli e Aoi.
Dall’auto sbucò un ragazzo biondo, con un paio di Ray-Ban calati sugli occhi. Indossava la divisa da basket della Teiko e guardò con un sorriso verso il campo da basket.
“PAPACCHI!!” urlò Aoi dalle spalle di Murasakibara.
“AOICCHI!” urlò di rimando lui.
Corse velocissimo verso di lui e prese in braccio il bambino.
“Aoicchi! Papacchi è qui!!” disse stringendolo al petto.
“PAPACCHI!!!” continuò ad urlare il bambino strofinando il volto sul petto.
“Midorima-kun, il primo a dover essere frenato è Aoi” commentò Kuroko divertito.
Midorima sospirò rassegnato e sua figlia alzò gli occhi al cielo, tornando poi a leggere.
“Comunque perché gli altri sono così in ritardo? Ho il turno di notte all’ospedale” commentò Takao guardando l’orologio da polso di Kuroko. Takao aveva seguito le orme del suo amico diventando però infermiere.
“Ohi, Kise!”
Kise e Aoi guardarono oltre la rete che circondava il campo da basket e, videro Aomine con un completo sportivo, armato di bagagli.
“Maledetto! Dovevi venirmi a prendere all’aeroporto!”
“Scusa, Aominecchi! Me ne sono dimenticato!” rispose lui regalandogli un sorriso smagliante.
Aomine sbuffò. Quando sorrideva così, non sapeva mai come reagire. Aveva un sorriso disarmante.
“Papà…”
Aomine guardò suo figlio che, tra le braccia di Kise, aveva iniziato a piangere.
“Aoi! Cosa succede!?” disse preoccupato.
Lasciò a terra le valigie e corse all’interno del campo, prendendo in braccio il bambino.
“Aoi?” chiese preoccupato “Stai male? Hai la febbre? Midorima! Sei un dottore! Fa qualcosa!” continuò agitato.
Aoi, in lacrime, abbracciò forte il padre continuando a chiamarlo.
“Stai tranquillo, gli sei solo mancato” rispose Midorima con un sorriso.
“Papà…”
Aomine diede all’improvviso le spalle a tutti e si allontanò portando via suo figlio. Kise lo seguì dandogli delle pacche affettuose sulla schiena.
“Chi l’avrebbe mai detto che diventare genitore l’avrebbe cambiato fino a questo punto?” chiese una voce perplessa.
Tutti si voltarono trovandosi Akashi in giacca e cravatta, con i capelli rossi scompigliati, in lontananza alcuni agenti che lo controllavano.
“Presid… no, Akashi. Cos’è successo? Perché hai i capelli scompigliati? Ti avevo lasciato un’ora fa in perfetto ordine!” commentò Satsuki sorpresa.
“Siccome ero in ritardo ho preso l’elicottero” rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Cosa dicevi sul non farsi notare?” commentò Takao divertito verso Midorima.
Haru intanto, tra le braccia della mamma, si era agitato alla vista di Akashi.
“Incuti sempre timore…” disse Murasakibara rassegnato.
“Ti sbagli” rispose Midorima.
Infatti Akashi, aveva appena appreso in braccio Haru che lo abbracciò contento mentre Toshiko corse verso la sua direzione con il libro.
“Zio, l’ho quasi finito di leggere” disse orgogliosa.
“Ottimo lavoro!” commentò lui sorridendo “la prossima volta ti porterò un libro nuovo”.
Lei sorrise felice e si mise accanto a lui.
“Siamo tutti?” chiese Takao.
“No” rispose Satsuki “manca…”
“ECCOMI!!”
Un ragazzo dai capelli rossi arrivò trafelato con una serie di valigie, guardandosi intorno con aria omicida.
“Aomine!” urlò individuando il suo compagno di squadra.
“Che vuoi? Non sono sordo!” sbottò lui raggiungendoli.
“Come hai osato lasciarmi da solo in aeroporto? Per trovare un altro taxi ci ho messo un’eternità!”
“E’ colpa di Kise” rispose lui semplicemente.
“Ehi!”
“Basta!” esclamò Momoi prendendo in mano la situazione “non è l’ora della partita?”
Tutti annuirono e andarono ad occupare il campo. I bambini rimasero vicino a Momoi, curiosi di vedere all’opera i Miracoli.
“Però che perdita di tempo… io e BaKagami siamo dei campioni… non c’è sfida” commentò Aomine con uno sbadiglio.
“Prova a superarmi e poi ne parliamo” commentò Murasakibara.
“Perché vuoi farti male? Le tue mani non sono preziose?” chiese Aomine con tono di sfida.
“Sono un pasticcere, non un medico”.
“E il medico qui presente vi batterà” disse Midorima accorciandosi le maniche.
“Non scherziamo, siete troppo deboli” ridacchiò Aomine.
All’improvviso non sentì più la terra sotto i piedi, trovandosi seduto sul campo.
“Dicevamo?” chiese Akashi con noncuranza, sciogliendo il nodo alla cravatta.
“Akashicci!” disse Kise ridendo.
Kagami intanto, stava mettendo le sue fedeli scarpe da basket, affiancato da Kuroko.
“Allora, come sono state queste due settimane senza di me?” chiese sistemandosi i lacci.
“Lente” rispose malinconico Kuroko.
Kagami alzò gli occhi e sorrise.
“Anche per me”.
Lo abbracciò improvvisamente, sotto lo sguardo divertito di tutti.
“BaKagami! Sei troppo smielato!” commentò da lontano Aomine.
“E tu?” chiese Kise affiancandolo “quando stiamo insieme fai di peggio” aggiunse sottovoce.
“Ehi!” disse imbarazzato.
“Andiamo?” chiese Kagami prendendolo per mano.
“Si” rispose sorridendo.
Si avviarono all’interno del campo da basket, coperti da fischi e risate, mentre i loro ciondoli a forma di “T” brillavano alla luce del sole.
 
Fine
 
Angolo della follia @.@
Bene… bene… “Tela di Ragno” è ufficialmente finita! *festeggia e piange allo stesso tempo*
Sono felice di averla terminata perché era giunto il momento che tutti trovassero la loro strada… però… è finita ;(
Spero che la scelta di Kuroko vi sia sembrata giusta. Il ragionamento di Akashi non fa una piega e ha capito che ciò che provava era solo pietà e tanti sensi di colpa. Kuroko si sente colpevole e vuole rimediare, purtroppo però in modo errato.
L’epilogo… mi sono divertita troppo a scriverlo! L’ho sempre immaginato un po’ folle con i vari protagonisti molto più sciolti. Sono stati molto tesi in questa fan fiction xD
Infine i bambini… ho sempre pensato che una testa calda come Aomine potesse combinare una cosa del genere! =D e poi volevo l’happy ending di Aomine con Kise. Si cresce, le situazioni cambiano e si sono ritrovati ^^
 
Bene, ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi fino alla fine, sopportato i miei scleri, incoraggiato, criticato… i recensori, i lettori silenziosi (ne siete tantissimi!)
Grazie per avermi supportato, grazie mille a tutti =)
 
Se volete aggiungere sono su Facebook ;)
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Ciao a tutti!
 
*Kotoko-chan <3
   
 
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