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Autore: Targaryen    11/10/2015    12 recensioni
Le vicende narrate in questo racconto si svolgono prevalentemente a Eryn Galen e coprono il periodo che va dall’inizio della Terza Era sino alla fondazione di Dol Guldur da parte di Sauron. Nonostante l’ombra che cala sul Reame Boscoso, questa non è una storia di guerra.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amroth, Elrond, Galadriel, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sussurri di foglie e di vento'
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8. Oltre il Rivo Incantato (1050 T.E. - 1051 T.E)
 

E’ un brivido ciò che avverte, dita di ghiaccio che sfiorano la pelle e che si ritraggono non appena la mente cerca di metterle a fuoco, e l’alito gelido del vuoto che precede la fiamma.
Thranduil trasalisce, confuso. Si guarda intorno, i muscoli tesi e le braccia strette con più decisione intorno al corpo di Amariel, ma nella stanza nulla è cambiato. I bracieri ancora accesi rendono l’aria calda e gradevole e tutto si trova esattamente nello stesso stato in cui lo ha lasciato: la sopravesti appoggiate sulla sedia vicina, la bottiglia quasi piena e il calice vuoto sul tavolo, i libri riposti con cura sui ripiani, le lettere in parte ancora con il sigillo intatto e i fiori che portano la primavera in quel mondo sospeso tra il cielo e l’abisso.
Inspira profondamente ed estende i propri sensi seguendo le radici che penetrano nella terra, ma non percepisce alcun cambiamento nelle aule che sono divenute la loro casa. Vi sono voci che non giungono sin lì e tutta la vasta gamma di rumori connessi alle normali attività che vi si svolgono, e nulla è mutato neppure oltre le porte di pietra aperte sulla notte di Boscoverde. Sente chiaramente la calma che avvolge le sentinelle e le guardie poste a loro difesa, e il suo cuore rallenta la corsa.
Eppure qualcosa ha toccato il bosco. Non stava dormendo e non sono stati i sogni a condizionarlo, né vecchi ricordi ormai ridotti a visioni sfocate e distanti.
Nel suo abbraccio Amariel si muove appena, appoggiando il capo nell’incavo del collo e sospirando appagata. Con il procedere della gravidanza ha preso a riposare regolarmente per far fronte allo sforzo che corpo e spirito richiedono, e anche se Thranduil non ne sente sempre il bisogno si distende accanto a lei e veglia il suo sonno. E’ uno dei momenti che preferisce, quando la serenità di Amariel lo pervade mettendo a tacere ogni ansia e quando, oltre il silenzio di lei, riesce a parlare al figlio attraverso il linguaggio che ogni padre conosce e che non contempla l’uso di parole. Istintivamente ella si apre a lui ed egli accarezza quella parte di loro la cui identità diviene ogni giorno più forte. Da tempo sanno che sarà un maschio, ma non lo hanno rivelato a nessuno, e da tempo hanno scelto il suo nome. Uno solo, perché la vita dei silvani è semplice e i loro nomi lo sono altrettanto. Se ne vorrà altri li sceglierà da sé.
Nella semioscurità Thranduil sorride ed immerge il viso tra i capelli di Amariel, respirandone il profumo e abbandonandosi ancora una volta a quella sensazione di assoluto benessere che la vicinanza della moglie alimenta in lui. Non riesce a comprendere ciò che è accaduto poco prima, ma più la notte invecchia meno diviene importante scoprirne la causa, ed egli lo archivierebbe come un evento non degno di nota se non fosse che al sorgere dell’alba si ripete di nuovo.
Thranduil avverte il cuore accelerare i battiti, la confusione sostituita adesso dall’apprensione. Non è la sua pelle ciò che le dita sfiorano questa volta, ma foglie e corteccia, ed è il bosco a tremare in sua vece. Sente gli alberi a meridione ritrarre le radici dalla terra e piegare i rami per sfuggire a qualcosa che non gradiscono, e li ascolta invocare il sonno dell’inverno mentre lo scorrere della linfa rallenta nei fusti e quasi si ferma. Vede le foglie avvizzite nonostante stia sbocciando l’estate fermarsi sui rami, brandelli di vita destinati ad esalare in eterno l’ultimo respiro, e un manto di muschio malsano risalire lungo i tronchi e soffocare il suolo. Si accorge delle ragnatele tese nell’aria umida e pesante, immobili quasi il vento avesse smarrito la strada che lo conduceva sin lì, e non riesce a capire se stia guardando il presente o il futuro. L’unica cosa di cui è certo è che mai Boscoverde fu così nel suo passato, perché non ne ha mai scorto traccia nelle memorie ancestrali delle sue creature.
Con il respiro affannato si scioglie dalla stretta di Amariel facendo attenzione a non svegliarla, e si alza in silenzio. Indossa la sopraveste e lascia la stanza, percorrendo veloce scale e sentieri disegnati su archi di roccia che sfidano il vuoto, e raggiunge il più vicino tra i terrazzi da cui la vista può spaziare libera sul Reame Boscoso. Vi sono comode sedie e un grande tavolo in legno trasportato dal vecchio palazzo, e spesso lui ed Amariel vi si recano per contemplare insieme la nascita e lo spegnersi dei giorni. Si accosta al parapetto in pietra e si volge verso sud, abbassa le palpebre e si tuffa oltre il profilo dei monti. Il bosco non è ancora cambiato, ma qualcosa aleggia sopra Amon Lanc e la luce dell’alba non riesce a penetrarvi. Serrando i denti e costringendosi ad ignorare il terrore che sente crescere ai confini della propria anima, inala adagio e proietta il proprio pensiero sino a quei luoghi, scivolando di albero in albero fin oltre gli Emyn Duir e fermandosi quando qualcosa ne blocca la corsa. Qualcosa che lo ustiona più di quanto farebbe il fuoco prima ancora che riesca a sfiorarlo, e che lo costringe a ritrarre la mente e a curvarsi per il dolore.
Resta in ginocchio mentre la sofferenza scema lentamente, e solo quando si appresta a rialzarsi si accorge della presenza di Amariel e delle sue braccia che lo cingono con forza. Gli occhi della moglie non nascondono la paura ed egli cerca di sorriderle, appoggiandosi alla colonna e rifiutandosi di gravare su di lei mentre si rimette in piedi. Si fa guidare sino alla sedia più vicina e vi si abbandona, spossato.
“Cosa è accaduto, amore mio?”, domanda Amariel prendendo posto accanto a lui, le mani che stringono convulsamente le sue e la voce malferma.
“Non lo so, ma c’è qualcosa ad Amon Lanc che prima non c’era”, sussurra Thranduil, “Ho cercato di spingermi sin là, ma è stato come venire arsi nel corpo e nello spirito.”
Non le racconta della visione che ha avuto. Egli non possiede il dono della premonizione e quasi certamente non si tratta del futuro, ma solo di uno scherzo della sua mente suggestionata, e non intende angosciare Amariel più di quanto stia già facendo. Gliene parlerà, ma non adesso. Vede la moglie portarsi una mano al grembo e d’istinto la stringe a sé.
“Non temere”, tenta di rassicurarla, “Amon Lanc è lontano da noi e dal nostro popolo. Questo luogo è sicuro, ma dobbiamo informare re Amroth. Invieremo messaggeri il prima possibile.”
Amariel annuisce.
“Sei convinto che sia lui, vero?”, domanda, le parole percorse da un tremito.
 Thranduil accosta le labbra alla sua fronte.
“Prego che non sia così”, risponde, e non dice altro.
Restano in silenzio, abbracciati, mentre l’alba colora un bosco che ha ceduto il suo nome alla notte per vestirne uno nuovo, oscuro come gli anni che si spalancano dinnanzi ad esso. Ma il re e la regina ancora non lo sanno.
 
***

Amath è turbato, e questo è già di per sé motivo di allarme. Per di più alcuni messaggeri diretti nel Lórinand non hanno fatto ritorno e dal volto di coloro che sono stati inviati alla loro ricerca trapela qualcosa che va ben oltre lo sgomento e che non promette nulla di buono. Thranduil si impone di mantenere la calma e scaccia l’immagine del bosco malato che ha visto tempo addietro e che ancora lo perseguita. Si è confidato con Amariel poco dopo quel giorno di fine primavera, ed entrambi hanno convenuto che la sua visione non rappresenti il futuro, eppure il dubbio permane nonostante la primavera sia trascorsa ed anche l’estate stia volgendo al termine. L’autunno è alle porte e con esso la nascita di suo figlio, cosa che contribuisce a renderlo più propenso a preoccuparsi di quanto non lo sia solitamente.
“Vi ascolto”, dice, il calice deposto e le mani raccolte dietro la schiena.
Li ha accolti nello studio su cui si apre la biblioteca in cui hanno trovato collocazione i libri del vecchio palazzo, alcuni ereditati dal padre ed altri aggiunti da lui stesso, poiché non è sua abitudine incontrare coloro che devono fare rapporto nella sala del trono. La sala del trono serve per altro e, considerando la lontananza dei nuovi territori del Reame Boscoso dagli altri domini elfici, Thranduil è sicuro che verrà usata ben poco.
“I messaggeri dispersi non sono stati ritrovati, mio signore, ma crediamo di sapere cosa è capitato loro”, inizia Amath, “Personalmente, consiglio di proibire a chiunque l’accesso a quelle zone.”
Thranduil lo guarda con espressione interrogativa, attento a non far trapelare il timore che quelle poche parole hanno risvegliato in lui, e appoggia le mani sullo schienale della sedia che ha di fronte. Si volge verso uno dei silvani e lo inviata a parlare.
“Abbiamo percorso i sentieri che essi sono soliti seguire e all’altezza della vecchia via ci siamo imbattuti in un nido di ragni. Ragni enormi, a decine”, rivela, “Ne abbiamo uccisi alcuni, ma molti altri sono fuggiti rifugiandosi tra le chiome più alte. Le loro tele sono tese da albero ad albero. Abbiamo visto bozzoli della grandezza di un uomo appesi ai rami e ne abbiamo aperto uno. C’era il corpo di un mortale al suo interno, appassito come se la vita fosse stata succhiata da lui. Abbiamo fatto lo stesso con altri. Contenevano grossi animali ridotti nel medesimo stato, alcuni appena uccisi e i più ridotti a carcasse polverose. Abbiamo cercato i nostri compagni, ma non li abbiamo trovati. Oltre i monti il bosco è … diverso. E’ difficile respirare, non c’è più vento. Il suolo è viscido, gli alberi sembrano vecchi e contorti. Nessuno di noi ha mai visto nulla di simile. Abbiamo avuto paura, mio re, e siamo tornati indietro.”
Thranduil china il capo, ma non permette al panico di avere ragione di lui e solo le nocche bianche delle dita che artigliano il legno lo tradiscono. Non è stata una visione, dunque, e ora sa perché da quel giorno non è stato più in grado di comunicare con porzioni sempre più vaste di foresta, quasi gli alberi stessi lo respingessero dopo essersi aperti al suo tocco per secoli. Non era lui la causa, ma ciò da cui il bosco sta cercando di proteggersi, ritirando la sua coscienza e lasciando scheletri vuoti di legno e di foglie morte.
“Vi siete comportati bene”, approva, “Non potevate fare altro. Ora riposate.”
Con un cenno congeda tutti tranne Amath, che continua a fissare il pavimento di pietra, pensieroso. Non appena egli inizia a parlare alza lo sguardo e in esso Thranduil scorge l’incrollabile fermezza di sempre, e in silenzio lo ringrazia per quel dono che continua ad offrire a lui e al regno.
“A nord degli Emyn Duir la foresta è libera. Oltre non ne ho la certezza e ho solo sospetti circa la natura dell’ombra che è calata su di noi”, dice, “Se ho ragione non abbiamo la forza per affrontarla, e nel dubbio non ordinerò all’esercito di marciare verso sud. Voglio che venga tracciata una via che ci permetta di raggiungere il grande fiume senza dover attraversare territori pericolosi, e voglio che vengano terminate al più presto le torri di vedetta. Forse riusciremo a difendere almeno queste terre. I luoghi dove abbiamo vissuto un tempo sono perduti, e nessuno deve avvicinarsi ai monti senza il mio permesso.”
“Come tu ordini, mio signore”, annuisce Amath, ma non se ne va.
Thranduil non se ne sorprende.
“Parla”, lo invita.
“Conosci le creature che hanno contaminato il bosco?”, domanda, “Cosa sono?”
Thranduil trae un lungo respiro e siede adagio, mentre richiama alla memoria frammenti di vita perduta, luoghi e genti che non sono più. Ricorda una valle preda di tenebre e terrore, percorsa da acque che inducevano alla pazzia e terreno di caccia dei figli di colei che strisciò fuori dall’oscurità di Arda.
“Non posso averne la certezza, anche se temo che questa mia lacuna verrà presto colmata, ma ho valide ragioni per ritenere che si tratti di membri della progenie di Ungoliant”, risponde, “Durante la Prima Era mi trovai a passare nei pressi della Nan Dungortheb, e mi imbattei in alcuni di essi.”
“Possono essere uccise”, sottolinea Amath, come se alla fine sia questa l’unica cosa che conta.
“Sì.”
Amath annuisce, gli rivolge un leggero inchino e lascia la sala.
Di nuovo solo Thranduil sorride tra sé di fronte alla sicurezza del suo comandante, e quasi lo invidia. Quasi, perché non è certo che l’eccessiva fiducia in sé stessi giovi ad un re. Suo padre la possedeva, ed è morto trascinando nella tomba coloro che si erano affidati a lui.
Si alza e si incammina lungo le scale che conducono al terrazzo ove Amariel lo sta aspettando. Deve riferirle ciò che ha appreso prima che lo sappia da altri e deve riuscire a farlo senza metterla in ansia, cosa non semplice quando il proprio cuore è preda dell’angoscia.  
 
***

Nella nuova dimora la loro vita non è cambiata. Le loro abitudini sono rimaste le stesse e Thranduil ha fatto tutto il possibile per evitare che lei dovesse rinunciare a ciò che amava, incluso trasformare quelli che erano stati progettati come semplici punti d’osservazione in luoghi che permettono loro di conservare l’illusione di avere ancora gli alberi a portata di mano. Amariel sa che non è così e che, distendendo le dita, non potrà mai più sfiorarne le chiome, eppure i gelsomini che crescevano nel vecchio palazzo ora sono lì e il loro profumo è sempre lo stesso. E il bosco intorno a loro è bello come quello che prosperava ai piedi delle montagne, seppur un poco più fresco e lievemente diverso nella vasta gamma di odori e colori che scandiscono l’evolversi delle stagioni. E’ pur sempre il loro bosco, benevolo e carico di doni per chi lo ama, e sino a poco tempo prima Thranduil la conduceva ancora lungo i suoi sentieri nelle notti in cui Isil splendeva nel grembo di Elbereth.
Ora le loro passeggiate sono brevi ed è il sole che accompagna i loro passi più che la luna, ma questo non dipende dal bosco né dall’ombra che è calata su di esso, così lontana da loro e dalla loro vita. Dipende da lei e dalla gravidanza ormai giunta al termine, e dal rifiuto categorico del marito di rischiare che si affatichi troppo. Una sera, le ha raccontato Thranduil, mentre camminavano ha avvertito qualcosa di inconsueto nel modo in cui si appoggiava al suo braccio, qualcosa che ha interpretato come il segnale di uno sforzo eccessivo, e ha deciso che era tempo di rinunciare a quel loro piccolo piacere. Una privazione di ben poco conto alla luce della causa che l’ha motivata. Amariel ha sorriso e sorride ora mentre accarezza il cofanetto in legno che custodisce il suo ultimo dono. L’amore per ciò che è bello è un tratto del carattere del marito che ha scoperto subito dopo averlo conosciuto, ancor prima di rendersi conto della vera natura di ciò che provava per lui, ma aveva sottovalutato la sua propensione a farle regali e, nonostante scherzi con lui riguardo a ciò, ogni volta le emozioni le gonfiano il cuore. Anche i doni hanno un loro linguaggio segreto ed ella sa cosa il padre di suo figlio cerchi di dirle ogni volta.
“E’ bellissima”, sussurra, mentre le braccia del marito la cingono da dietro, “Grazie.”
Volge il viso e incontra le sue labbra, e sorride mentre si abbandona a lui. Baciare Thranduil è come dissetarsi alla fonte da cui nasce la rugiada, e non averne mai abbastanza.
Attendono, le dita intrecciate sul suo grembo ed il sole di metà autunno che li riscalda, restituendo all’aria il respiro degli alberi tramutatosi in acqua nella notte. Ormai il loro bambino può nascere in qualsiasi istante e il marito non la lascia mai sola, nonostante la vigilanza costante da parte di Maidhwen e delle dame al suo servizio. Non troppe, a dire il vero, perché Amariel non è cresciuta tra i fasti e la corona non l’ha trasformata in ciò che non è.
Thranduil le ha parlato della minaccia che è sorta a sud e delle creature che hanno preso possesso del bosco, e in sua assenza i pensieri vagano spesso lungo le tante possibili strade che il futuro dispiega dinanzi a loro. Alcune sono facili da percorrere ed altre ripide e dalla meta incerta, eppure nessuna di queste le pare impossibile da affrontare, e quando lui le è accanto le più ardue si dissolvono e tutto le sembra facile. Avverte la sua inquietudine mentre scorre i dispacci inviati da coloro che osservano e che ascoltano per suo conto, ma non riesce a condividerla sino in fondo. Dovrebbe farlo, poiché vi sono validi motivi per cui essere nervosi, ma è difficile pensare alla morte quando si è in procinto di dare la vita.
I passi di Maidhwen attirano l’attenzione di entrambi, ma Thranduil resta seduto accanto a lei e non si scioglie dal loro abbraccio.
“Perdona il disturbo, mio signore”, esordisce, “Amath domanda di poterti parlare.”
Amariel percepisce l’improvviso tendersi dei muscoli del compagno oltre il sottile tessuto che li separa e non ha difficoltà ad indovinarne le ragioni: Amath non fa mai nulla per caso.
“Fallo entrare”, la invita Thranduil.
Mentre Maidhwen si allontana la stringe con più vigore per un breve attimo e quindi si alza.
Amath giunge senza quasi far rumore.
“Amath”, lo accoglie, “Cosa ti conduce sin qui?”
“Un messaggio recapitato dalla guarnigione schierata lungo il confine sud, mio signore”, risponde questi, ma l’inflessione della voce rivela un’agitazione che non gli è consona.
“Ti ascolto.”
Amariel si accorge che il comandante indugia su di lei per un istante di troppo e si rende conto che avrebbe preferito che ella non fosse presente, ma ormai è troppo tardi e qualunque notizia egli porti la regina la apprenderà insieme al re.
“E’ stato avvistato un nido a nord dei monti”, rivela, “A fine primavera non c’era nulla, mentre ora vi sono tele che insudiciano le fronde e il silenzio è calato su quel lembo di bosco.”
Il cuore di Amariel ha un sussulto e la sua mano cerca d’istinto quella di Thranduil, che non esita ad accoglierla tra le proprie mentre torna a sedere al suo fianco. Attraverso quel contatto ella avverte il turbine di emozioni che si è scatenato in lui nell’apprendere quella notizia, ma dal suo volto poco o niente traspare ed ella è sicura che ad Amath il re appaia impassibile come pietra.
“Eliminatelo, e non permettete a nessuna di quelle nefaste creature di fuggire”, ordina, “Ricontrollate l’intero confine, e riferite.”
“Sarà fatto, mio signore.”
Con un rapido cenno del capo Amath prende congedo e lascia la stanza.
Per la prima volta, nonostante la presenza del marito e delle sue braccia che di nuovo la attirano a sé, Amariel non riesce a non pensare al reale significato delle parole di Amath: gli anni di pace che hanno accompagnato la loro vita insieme sono finiti e la strada che stanno percorrendo ha preso a salire. Ancora non si scorge la cima del monte né ciò che si nasconde oltre, ma il loro figlio non potrà passeggiare tra gli alberi con la stessa tranquillità con cui lo hanno fatto loro. Il bosco si sta addormentando per potersi un giorno svegliare di nuovo e gli alberi stanno seppellendo i ricordi laddove l’ombra non può raggiungerli. Verrà un giorno in cui non respireranno più con loro e non accoglieranno più i pensieri del re.
“Sono giunte notizie dal Lórinand?”, domanda.
Thranduil sospira.
“No, ma non dobbiamo stupircene”, dice, “Siamo lontani ed arrivare sin qui è divenuto pericoloso. Gli orchi si mostrano con maggiore frequenza.”
“E lord Elrond?”, insiste Amariel.
“Il signore di Imladris aspetta”, sussurra Thranduil, “Ma non ne conosco il motivo.”
Non li avrebbero lasciati soli, così avevano detto anni addietro, ma di fronte allo sconforto che trapela dallo sguardo di colui che ama quelle parole paiono ora ad Amariel niente altro che vuote promesse, anche se sa che vennero proferite in buona fede e che Elrond non li abbandonerebbe mai al loro destino. Vi sono senza dubbio ragioni più che valide a giustificazione del comportamento di coloro che essi ritengono amici, ma i buoni propositi non fermeranno ciò che si annida nell’ombra.
Deve allontanare il dubbio che vede germogliare nel cuore del marito e dischiude le labbra per parlare, ma per la seconda volta dal sorgere dell’alba qualcosa la distrae. Non è riuscita a definirne l’origine al suo risveglio, ma ora comprende e per un attimo, solo per un attimo, viene colta da un senso di smarrimento tanto incontrollabile quanto ingiustificato. Ciò che sta per accadere fa parte della loro natura e sarà la natura a dirle come comportarsi. Chiude gli occhi e si costringe alla calma, mentre ascolta il proprio corpo che ancora una volta sta cambiando. Non si sorprende nell’udire la domanda di Thranduil, la voce quasi esitante. Adesso anche lui ha sentito, e l’inquietudine di pochi istanti prima si sgretola, sostituita da una nuova ansia che fa tremare il suo spirito. Amariel ne percepisce il riverbero e sorride mentre porta la mano al suo volto, lasciandola scivolare su di esso leggera come la carezza del vento.
“Non avvertire Maidhwen”, dice, “Occorrerà tempo.”
Il dolore che prova è ancora un sussurro incapace di avere ragione del silenzio. Lo dominerà, infine, conquistandolo a piccoli passi, ma non in tempi brevi.
Thranduil annuisce, gli occhi chiari che le mostrano senza veli i sentimenti che nutre per lei, profondi ed antichi, e le emozioni che quella notizia ha scatenato nel suo cuore. Amariel lo abbraccia, per tranquillizzare lui e per trarre dal loro legame il coraggio di cui si accorge di aver bisogno.
“Andiamo in terrazzo”, suggerisce, “Camminiamo un po’.”
Thranduil la guarda per un lungo momento, indeciso se accondiscendere o meno. Non è quella la richiesta che si aspettava da lei.
“Ne sei sicura?”, domanda.
“Sì, ne sento il bisogno”, risponde Amariel, e gli posa un bacio sulle labbra.
“Come tu desideri.”
 

In fondo, pensa Amariel cercando di rilassarsi dopo l’ultima contrazione, la natura è saggia e anche il dolore è una forma di linguaggio. L’istinto insito in lei la guida ed ella deve solo assecondare le necessità del proprio corpo. Ha passeggiato all’inizio perché ne avvertiva l’esigenza, e dopo ha preferito restare seduta ed alzarsi di tanto in tanto. Ha mangiato qualcosa, ha bevuto e ha domandato al padre di suo figlio di accompagnarla nella loro stanza, e solo quando non si è sentita più in grado di camminare gli ha permesso di chiamare Maidhwen.
Thranduil avrebbe voluto eccedere in prudenza e farlo prima, ma ha rispettato la sua scelta ed è tornato da lei dopo pochi istanti. L’ha aiutata ad indossare una leggera veste da camera e a sdraiarsi, e ha preso posto al suo fianco. Quando è giunta Maidhwen Amariel ha sorriso vedendo l’agitazione che rendeva impacciato ogni suo gesto, e al loro ingresso ha salutato coloro che lei ed il marito avevano scelto tempo addietro per quel momento. Due silvane, esperte e discrete, che hanno chiuso la porta alle loro spalle e che hanno controllato che tutto stesse procedendo nel giusto modo. Le hanno consigliato di usare qualche cuscino in più e non l’hanno più disturbata.
Amariel è consapevole di ciò che sta accadendo intorno a lei, della luce delle lanterne che sta lentamente sostituendo quella del giorno e delle parole sussurrate nella stanza adiacente, ma ora si rende conto che comincia a trovare troppo difficile focalizzare la propria attenzione e stringe con più decisione la mano di Thranduil, traendo forza dalla sua presenza ed intrecciando ancor di più il proprio spirito al suo.
Avverte il tocco delle sue labbra sulla fronte, quasi una risposta alla sua tacita richiesta di sostegno, e sorride nell’udire le parole sussurrate contro la sua pelle.
“Ti amo anch’io”, gli fa eco, e poi trattiene un gemito mentre afferra con l’altra mano uno dei rami che si avvolgono intorno alla testata del letto, lo stesso in cui si è unita a lui la prima volta. Chi li ha intagliati nel legno probabilmente non immaginava che sarebbero serviti per quello scopo alla moglie del re.
Con l’avanzare della notte comincia a sentirsi stanca e ad avere sempre più difficoltà a fare ciò che il corpo le domanda, ma continua ad assecondarlo nonostante il dolore sia divenuto quasi assordante e raggiunga sempre nuove vette.
Avverte il sudore che le imbratta i capelli e la veste bagnata adesa alla pelle, e si sente ardere. Ha perso la nozione del tempo e l’unica presenza che cerca quasi con disperazione è quella del compagno. A volte si accorge di invocare il suo nome tra una spinta e quella successiva, e quando il fuoco vivo sembra posarsi sul suo ventre e aggiungere una nuova sofferenza a quella che già le dilania le carni sa che sono le braccia di lui a sostenerla e che è la sua voce a domandarle di non fermarsi. I loro spiriti sono talmente uniti da non permetterle più di distinguerli e per un attimo ha la sensazione di respirare insieme al bosco attraverso lui. Sente sé stessa urlare, ma continua a spingere inalando insieme alle foglie e accompagnando il figlio nel mondo. Prova quasi sconcerto quando non ne avverte più la presenza dentro di sé, ma poi ode un vagito che apre la strada ad emozioni troppo intense per poter essere descritte a parole, emozioni che appartengono al linguaggio dell’anima e che diventano lacrime sul suo volto mentre Maidhwen depone il neonato sul suo seno. Gli occhi dell’amica sono umidi, ma Amariel quasi non se ne accorge perché sono quelle di Thranduil le uniche lacrime ad essere importanti in quel momento per lei. Le sente farsi strada tra i suoi capelli madidi e mescolarsi alle proprie nel profondo dei loro cuori, mentre con mani tremanti accarezza insieme a lui il più grande dei doni che avrebbero potuto scambiarsi. E’ troppo presto per riuscire a dare un senso a ciò che stanno provando. Per ora possono solo arrendersi ai sentimenti e all’amore che li lega, incantati dalla nuova vita che hanno portato nel mondo e dimentichi di tutto il resto.
 
***

“Passeggiando in questi luoghi si ha la sensazione che nulla sia cambiato. Vi sono pace e bellezza, come nei boschi che circondavano il tuo palazzo ai piedi dei monti.”
Le parole di Elrond sono seguite da un lungo silenzio. Sente che Thranduil è felice della loro visita, ma ha capito da diversi giorni che ci sono argomenti che preferisce non affrontare e pensieri che tiene per sé. E forse fa bene, poiché troppo è capitato e, nel contempo, troppo poco per permettere loro di conversare dimenticando i rispettivi ruoli. Boscoverde non esiste più e i saggi sono rimasti a guardare, perché si credono lungimiranti o forse perché lo sono troppo poco. Nelle antiche sale di Imladris Elrond non ha mai avuto dubbi sulla condotta da tenere nonostante i sensi di colpa, ma ora non è più così certo di aver fatto la cosa giusta.
“Ti assicuro che molto è cambiato”, lo corregge Thranduil.
“Sì, ne ho visto i segni lontano da qui”, continua Elrond, “Ma la discendenza di Ungoliant non risponde ad alcun padrone, neppure a colui che tu ritieni possa tornare.”
Thranduil si ferma e si volge verso di lui. Non c’è ostilità nel suo sguardo, ma un tormento quasi palpabile.
“Credi che il sapere questo possa essere di una qualche utilità per me?”, ribatte, “Ritieni che possa aiutarmi a proteggere mia moglie, nostro figlio, il nostro popolo? Conoscere la ragione per cui l’ombra è calata sulle mie terre non dissolverà le tenebre. Le creature che brulicano a sud degli Emyn Duir uccidono, siano esse giunte di loro iniziativa o su ordine di qualcuno, e non sarà brandendo la vostra saggezza in guisa di spada che libererò la foresta.”
Raramente Elrond si è trovato nella situazione di avere difficoltà a sostenere lo sguardo del proprio interlocutore, ma questa è una di quelle situazioni. Vorrebbe voltarsi e proseguire, ma non lo fa perché se ha avuto la forza di scegliere la via da seguire deve averne anche per guardare negli occhi il risultato di quella scelta. Anche se il respiro accelera e se dolore e rimorso bruciano l’anima. La saggezza sa essere anche lama quando si ritorce contro colui che l’ha usata.
Thranduil respira adagio, nell’evidente tentativo di riprendere il controllo, e sorride mestamente.
“Questi sono giorni di immensa gioia per Amariel e per me e la vostra presenza è un dono in cui non osavamo sperare dopo gli ultimi eventi”, sussurra, “Quando partirete vorrei che ci separassimo in amicizia, ma temo che essa ne uscirà incrinata se mi domanderai di essere sincero con te in merito a quanto accaduto.”
Elrond deglutisce a vuoto.
“Sembra che questi alberi si nutrano delle mie certezze lasciandomi con ben poco in mano”, confessa.
“Vedere il campo di battaglia camminando tra i cadaveri non è come osservarlo dalla cima di un monte”, dice Thranduil, “Non se ne sente il fetore e il sangue non è altro che terra, lo sappiamo entrambi. Solo una cosa ti domando: sapete qualcosa che io non so su ciò che ha deturpato il mio regno?” 
Elrond scuote il capo.
“Non ancora.”
“La risposta che temevo di più”, dichiara Thranduil, e riprende a camminare.
 
***

Nonostante i millenni già vissuti per Thranduil non è mai esistita una primavera uguale a quelle precedenti. Ognuna è diversa nei colori e nei profumi attraverso cui Arda rinasce, perché le foglie sono nuove ogni anno e il vento che le fa cantare si assomiglia ma non è mai lo stesso, e le acque scorrono attraverso le stagioni intonando melodie che mai si ripetono.  
Anche quella primavera è diversa, ma lo è in modo speciale, come la prima delle tante primavere trascorse sedendo sul trono del Reame Boscoso o quella in cui egli ha deciso di essere marito, ed è anch’essa legata ad Amariel. E’ una primavera che apre un ciclo, come le altre, senza porre fine a quello precedente ma trasformandolo e rendendo la loro unione sempre più completa. Ci sono stati gli anni in cui si sono amati in silenzio, quelli in cui hanno vissuto il loro amore dinanzi al mondo con la benedizione dei Valar, ed ora è giunto il tempo in cui si amano e sono sposi e genitori. 
Thranduil ride di fronte alla tenacia con cui Legolas trattiene il suo dito con le manine minuscole. E’ fragile ed indifeso, eppure mostra già una vivacità che lo sorprende e che lo riempie di orgoglio. Amariel dice che l’ha ereditata da lui, ma Thranduil rimarrà sempre convinto che invece la debba a sua madre, come ogni cosa buona che ha preso da loro, del resto. A lui ha rubato il colore degli occhi, anche se vi è in quelli del figlio una punta di verde che li rende più terreni, e quel riflesso dorato dei capelli che si è unito al marrone di Amariel caricandolo di calore. Nei tratti del viso, invece, ciascuno dei due riconosce l’altro e l’unica cosa su cui entrambi concordano è che Legolas è bellissimo, anche se il loro giudizio non è e non deve essere obiettivo.
Si china e lo bacia, quindi siede sul bordo del letto e lo adagia tra le braccia di Amariel, con la stessa gentilezza con cui era solito farlo durante quei primi giorni dopo la sua nascita, ma senza più l’insicurezza di allora. Quando la moglie glielo ha fatto stringere per la prima volta, pochi istanti dopo averlo dato alla luce, egli temeva persino di toccarlo per timore di fargli del male, mentre ora non vorrebbe mai lasciarlo andare per paura che sia il mondo a fargliene.
“Ha fame”, sorride Amariel, avvolta dalla felicità di quei momenti e comodamente sistemata contro di lui.
Thranduil le posa un bacio sulla fronte.
“Lo abbiamo fatto aspettare”, dice.
La partenza di Elrond e della sua famiglia li ha obbligati a ritardare il pasto del figlio, e ora Legolas sta dimostrando di non avere la benché minima intenzione di separarsi dal seno della madre sino a quando non avrà recuperato.
“Non mi hai detto nulla della conversazione che hai avuto ieri con Elrond”, gli fa presente Amariel.
Il suo tono trattiene una sottile preoccupazione, del tutto fuori luogo in quelle stanze ultimamente frequentate solo da gioia e risa.
Thranduil allontana una lunga ciocca di capelli che minaccia di disturbare Legolas e trattiene un sospiro. Qualcosa si è spezzato nel rapporto che lo lega al signore di Imladris, ma non è accaduto il giorno precedente e non è accaduto in un istante preciso. E’ successo nel corso dei secoli, lentamente. Il dubbio si è insinuato in quell’amicizia nata attraverso i millenni e divenuta solida negli anni del bisogno, e ha cominciato a far divergere le loro strade, scavando un solco sempre più profondo e consumandola come l’acqua consuma la roccia. A Mordor Thranduil avrebbe messo la propria vita nelle mani di Elrond senza esitazione alcuna, mentre ora non è più così sicuro che quest’ultimo anteporrebbe la sua salvezza alla necessità di tutelare un bene più grande. Sa che non può biasimarlo per questo, anche se non riesce a comprendere quale sia il bene più grande in nome del quale lo ha costretto ad affrontare da solo la minaccia di Amon Lanc, eppure non riesce a non sentirsi ferito da quell’apparente abbandono. Se fosse rimasto a sud e avesse impugnato le armi forse Elrond ed Amroth sarebbero accorsi in suo aiuto, ma egli si è rifiutato di mandare altri silvani a morire e ha permesso a loro di attendere e alla tenebra di calare su Boscoverde. No, non più Boscoverde, si corregge. Sono giunte voci dalle propaggini meridionali: Taur-nu-Fuin chiamano ora il suo regno, la foresta d’ombra, rimembranza di un’altra seppellita dall’acqua e dalle ere, ed anche Amon Lanc ha un nuovo nome su cui ora non vuole riflettere.
“Non sa cosa stia accadendo, amore mio, nessuno lo sa”, sussurra.
Amariel resta in silenzio, pensierosa, ma quando Legolas allunga la mano e si aggrappa ridendo ai capelli del padre la sua ansia svanisce come d’incanto, e il suo sorriso illumina la stanza con la luce di tutte le stelle che affollano il firmamento.
La felicità sbocciata sul volto della moglie è la stessa che Thranduil sente nel cuore. Lascia al figlio il suo divertimento e si perde nella morbidezza di quelle labbra che tante volte ha fatto sue e di cui non riuscirà mai a saziarsi, finché Legolas non pretende la loro attenzione passando dai capelli di lui a quelli di lei. Entrambi si volgono e ridono, le tenebre dimenticate e solo l’amore padrone di quel piccolo mondo racchiuso tra spesse mura di pietra.
In fondo, pensa Thranduil, la storia del loro popolo ha dimostrato infinite volte che la forza non si misura solo dalla grandezza degli eserciti ed egli non si è mai sentito più forte di adesso, perché non ha mai amato così profondamente né ha mai avuto così tanto da perdere. Ha vissuto troppo a lungo per illudersi che la pace possa tornare dall’oggi al domani e ha visto l’oscurità troppo spesso per non accorgersi del calar della notte, eppure ora che la speranza lo guarda attraverso gli occhi di sua moglie e di suo figlio la notte non gli sembra più così scura. La affronterà per loro, e quando la luce giungerà di nuovo condurrà Amariel nella radura più bella camminando insieme a lei a piedi nudi nell’erba, dimenticherà l’ansia di quei giorni e tornerà ad amarla in mezzo alle stelle.
 
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Nota:
In questa fiction Legolas non è biondo, bensì castano. L’idea di un Legolas biondo, pur essendo perfettamente plausibile, ha guadagnato terreno solo dopo la proiezione dei film di P. Jackson, ma Tolkien non ci dice nulla circa il colore dei capelli del figlio di Thranduil.
 
 


SPAZIO AUTRICE

Questa storia termina qui, tra i sorrisi e con il cuore gonfio di speranza. Tolkien non ci fornisce alcun indizio su quello che segue e, pur sapendo ciò che attende Thranduil e Legolas, sul destino della regina possiamo avanzare le ipotesi più disparate. C’è chi crede che ai tempi de “Lo Hobbit” la madre di Legolas goda di ottima salute e viva accanto al marito, e c’è chi invece ritiene che non sia così: in mancanza di informazioni tutto è lasciato alla sensibilità del lettore. In ogni caso gli eventi che si svolgono dopo la nascita di Legolas meritano uno spazio tutto loro, ragion per cui ho deciso di non includerli in questo racconto.
Ringrazio tutti coloro che, silenti e non, hanno avuto la voglia e la pazienza di seguirmi sino alla fine o che sono semplicemente passati da queste parti. Un grazie speciale a Dea Bastet, Kiikyo e Aphrodia7 per le lunghe chiacchierate che hanno a dir poco rallegrato il “dietro le quinte”.
Un caro saluto e a presto!
 
  
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