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Autore: Piperilla    12/10/2015    0 recensioni
[Dal Capitolo 3]
«Lei è una Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
«Proprio così. Tuttavia non credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete già» disse Samaah.
«Però lei sa perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere» insisté Giovanni.
«Lo so benissimo, ma voi non comprendete i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti» cantilenò la vecchia.

Dopo la tregua costata tanto sangue, Giovanni e Sofia si ritrovano per un nuovo viaggio: quello che li porterà a scoprire la verità sul quel legame così potente e misterioso che impedisce loro di separarsi.
[Per capire la storia, è necessario leggere "I Testimoni del Fuoco"]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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Distesa nel letto d’ospedale che occupava ormai da una settimana, Sofia osservava i suoi amici rumoreggiare con un pallido sorriso dipinto sul volto.
   Da quando Claire, Aleja e Martina l’avevano portata a Roma, Laurence, André e Blaze andavano a turno a trovarla. Di solito le raccontavano degli addestramenti e di tutte le piccole banalità quotidiane, ben sapendo quanto ne sentisse la mancanza. Quel giorno, invece, erano tutti e tre lì.
   «Ieri sera Marcos ha sciolto il palazzo di ghiaccio che alcuni miei Apprendisti avevano realizzato in ore di duro lavoro» la informò André. Sofia scoppiò a ridere.
   «E ne è uscito vivo?» chiese divertita.
   «Per un pelo» disse Blaze. «È scappato veloce come il vento e si è nascosto».
   Laurence sedette su un angolo del letto.
   «Quando pensi di tornare a casa, Sofi?»
   «Tra un paio di giorni, credo. Ormai sto meglio» rispose lei con un sorriso. Qualcuno bussò alla porta e la testa di Gregory fece capolino.
   «Generi di conforto in arrivo!» annunciò, estraendo un paio di tavolette di cioccolata dalla tasca della giacca. Gli occhi di Sofia brillarono.
   «Fantastico, stavo morendo di fame!».
   Gli altri scossero la testa. Mentre la ragazza iniziava a scartare la prima tavoletta, Gregory scambiò un’occhiata con gli altri tre uomini. La cosa non sfuggì a Sofia.
   «Greg, conosco quello sguardo. Cosa devi dirmi?» lo incalzò.
   L’uomo si accomodò su di una sedia e si fissò la punta delle scarpe.
   «Sai, poco fa Giovanni è venuto alla Valle…».
   Un ringhio sordo lo interruppe; Aleja soffiava come una gatta infuriata, manifestando così tutta la sua rabbia. Martina e Claire non sembravano meno arrabbiate. Sofia, al contrario, era estremamente divertita.
   «Sono curiosa di sentire cosa voleva» esclamò; una volta tanto, non aveva idea del motivo che aveva spinto Giovanni ad agire in un certo modo.
   «Voleva sapere se ti avevamo rimpiazzata». A rispondere non fu Gregory ma André. Una smorfia d’irritazione stravolse il viso della giovane.
   «Quello che voleva sapere davvero era se mi ero salvata o no. Immagino abbia manifestato un certo disappunto, quando lo avete informato del fatto che sto bene» replicò.
   «In effetti sembrava piuttosto deluso» ammise Gregory. «È stato difficile fermare Blaze: credevamo l’avrebbe murato vivo in un blocco d’acciaio, quando l’ha visto arrivare».
   Chiamato in causa, il ragazzo si limitò a sbuffare.
   Appollaiata sul davanzale della finestra, Martina fece dondolare i piedi con aria assorta prima di parlare.
   «Perché era tanto arrabbiato con te da lasciarti da sola nel deserto, a morire?» domandò a Sofia. L’altra la guardò con indifferenza.
   «Credo faccia parte della sua natura, cercare di uccidermi. Forse spera che così il richiamo del Canto del Fuoco cesserà» rispose.
   Prima che qualcuno potesse farle qualche altra domanda, un’infermiera si affacciò alla porta.
   «Ma quanti siete? Non potete stare tutti qui!» strillò.
   «È meglio che non la facciate arrabbiare… andate, ci vediamo a casa tra un paio di giorni» li congedò Sofia.
   I suoi amici la salutarono rumorosamente ignorando le occhiatacce dell’infermiera, che si richiuse la porta alle spalle lasciando sola Sofia.
   Nella penombra lei si voltò verso la finestra, fissando lo sguardo nel cielo buio e freddo di Dicembre. Si addormentò così, sognando le vie di Roma illuminate a festa che si trovavano appena oltre quel vetro.

*

Un grido altissimo, acuto e disumano fece vibrare tutti i vetri.
   I Portatori del Centro, confusi e allarmati, si sparpagliarono all’esterno tentando di capire da dove provenisse il suono e soprattutto da chi o cosa fosse scaturito. Alcuni secondi e l’urlo si ripeté, più alto, intenso e prolungato.
   Sgomitando tra la folla Jackson, Tsukiko e Xavier arrivarono a poche decine di metri dal bosco.
   Mentre l’urlo stridulo si ripeteva per la terza volta, costringendo molti Portatori a proteggersi le orecchie con le mani, Tsukiko si guardò attorno.
   «L’urlo viene da laggiù» disse, indicando il bosco. Sembrava spaventata.
   «Ma chi può emettere un suono del genere?» domandò Jackson. Aveva i peli della nuca dritti come aghi.
   «Questo è il grido di un Elementale» li informò Xavier con voce piatta. Gli altri due si voltarono a guardarlo, accigliati.
   «E perché mai un Elementale dovrebbe gridare così?» gli chiese Jackson.
   «Per lo stesso motivo per cui lo farebbe un essere umano: perché qualcuno gli sta facendo del male o lo ha fatto infuriare» fu la risposta.
   «Non so perché ma ho la brutta sensazione che c’entri Giovanni» borbottò l’americano, dirigendosi verso gli alberi. Non si sbagliava: arrivato al grande ippocastano vide che Giovanni era là, furioso come non mai. Un paio di accette erano state abbandonate a terra, ai piedi dell’uomo: le lame erano smussate e, in molti punti, scheggiate. Impugnando una scure di argentea Energia, l’italiano stava vibrando dei colpi potenti e decisi al tronco dell’albero; a ogni colpo, il grido che aveva allarmato tutti saliva al cielo, irato e dolente: proveniva dall’albero stesso.
   Jackson si scagliò in avanti e afferrò Giovanni per le braccia, tirandolo indietro.
   «Giovanni, che stai facendo? Fermati!» gli intimò; senza degnarlo della minima attenzione l’altro si divincolò e sferrò un altro violento colpo contro l’albero.
   Assieme al grido, stavolta dall’ippocastano scaturì anche una figura: una fanciulla bellissima, dai lunghi capelli biondo scuro e aggrovigliati e coperta da quelle che sembravano foglie e scaglie di corteccia si librava nello spazio tra l’albero e i due uomini. Furiosa, spalancò la bocca ed emise un grido ancor più penetrante dei precedenti: allargò le braccia e un’onda invisibile si propagò nell’aria, scagliando indietro i due uomini.
   «Una Driade!» esclamò Jackson atterrito. Non aveva mai visto uno Spirito degli Elementi; raramente si manifestavano ai Portatori, preferendo la calma e l’isolamento.
   Giovanni si rimise in piedi, inciampando nelle radici degli alberi. La comparsa dell’Elementale che viveva nell’ippocastano che aveva cercato di abbattere con tanta decisione sembrava averlo riportato alla ragione. Mentre pensava a cosa fare, la Driade urlò ancora.
   «Come possiamo placarla?» gridò l’italiano tappandosi le orecchie.
   «Non potete. L’unico modo è tentare di riparare all’offesa, al danno che gli è stato arrecato» disse Xavier alle sue spalle non appena la Driade smise di gridare. Gli occhi dei tre uomini furono catturati dalla profonda ferita che si apriva sul tronco massiccio dell’albero. Xavier riscosse gli altri due dalle loro riflessioni.
   «Non urlerà ancora a lungo: tra poco si vendicherà» disse a Giovanni in tono impaziente. L’italiano lo guardò corrucciato.
   «Come lo sai?»
   «Non è importante» lo liquidò l’altro con un gesto sbrigativo della mano. «Risana quell’albero, e in fretta».
   Giovanni obbedì immediatamente. Lo sguardo indecifrabile di Xavier lo metteva stranamente a disagio; continuava ad avere l’impressione che nascondesse qualcosa. Mentre si inginocchiava lentamente, vide con la coda dell’occhio Xavier che trascinava via Jackson. Intuendo solo in quell’istante la furia che aveva scatenato e il pericolo che correva, l’uomo sedé sui propri calcagni e poggiò i palmi delle mani a terra. Inizialmente lasciò fluire solamente un piccolissimo flusso di Fuoco per non mettere in allarme la Driade; quando il tronco dell’albero iniziò a ricomporsi, dato che l’Elementale sembrava essersi calmato almeno in parte, Giovanni aumentò la densità del Fuoco che stava evocando. Dopo parecchi minuti di duro lavoro, a ricordo della furia devastatrice che aveva scatenato sull’incolpevole albero non restava che una seconda cicatrice.
   Sempre in ginocchio, l’uomo alzò cautamente lo sguardo sulla Driade che, dopo averlo osservato intensamente per alcuni istanti, si tuffò nell’ippocastano sparendo alla vista.
   Tirando un profondo sospiro di sollievo Giovanni si alzò, raccolse le accette rovinate e spezzate che aveva abbandonato al suolo e uscì rapidamente dal bosco. Ad attenderlo trovò i Portatori del Centro – tutti, fino all’ultimo – schierati in una massa compatta. Con un gesto di stizza si fece largo tra la folla che al suo passaggio si aprì, quasi avessero paura della sua vicinanza.
   Mentre Tsukiko congedava gli allievi, sospendendo le lezioni per quel giorno, Xavier si apprestò a seguire l’italiano. Fatti solo pochi passi, però, fu bloccato da Elizabeth.
   «Perché state sospendendo gli addestramenti?» gli domandò furiosa.
   «Perché nessuno riuscirebbe a concentrarsi, dopo quello che è successo. Neanche tu» rispose tranquillamente Xavier. La sua risposta ebbe l’effetto di benzina gettata sul fuoco: strepitando, Elizabeth iniziò a protestare. Lo sguardo che l’uomo le rivolse non era quello di un normale trentenne; ero lo sguardo di un uomo di almeno cent’anni. Lo sguardo di chi ha visto troppo.
   «Sei sempre così arrabbiata, così smaniosa di controllare il tuo potere. Non provi alcun piacere nell’apprendere. Cos’è che ti manca, per essere felice?» le chiese. Senza attendere la risposta, se ne andò.
   Pensierosa, Elizabeth si fermò a riflettere. Le parole di Xavier l’avevano colpita: cosa le mancava, per essere felice?
   La sua mente le diede la risposta prima che la ragione vi si potesse opporre: e il volto di André affiorò dai ricordi. Elizabeth scosse la testa. Sentiva nostalgia di André. Si era chiesta più volte se fosse sopravvissuto alla gravissima ferita che aveva subìto il giorno della battaglia, ma la parte della sua mente che la spingeva a voler acquisire un potere sempre maggiore le aveva impedito di soffermarsi sul pensiero di lui. Scosse di nuovo la testa, chiedendosi cosa dovesse fare. Poi, incapace di prendere una decisione, si allontanò per andare a esercitarsi.

*

Xavier osservò Elizabeth perdere l’ennesima battaglia con se stessa e soccombere una volta di più all’ossessiva smania di potere che la divorava. Scuotendo la testa si voltò, chiedendosi se fosse l’aria dell’Irlanda a rendere quei Portatori così maledettamente ostinati e incapaci di prendersi ciò che realmente desideravano.

*

Dei colpi leggeri alla porta prepararono Sofia all’ingresso del dottore. Nel buio, non scorse che il camice bianco.
   L’uomo si accostò al letto e dopo un istante la sua voce spezzò il silenzio.
   «Allora signorina, come va questa sera?» domandò con voce bassa e allegra. Sofia si tirò a sedere mentre un sorriso pieno di gioia le danzava sul volto.
   «Michele!»
   «Sì, mia cara, sono proprio io» rispose lui accomodandosi sul bordo del letto. Le passò una mano sui capelli. «Come ti senti?»
   «Oh, io sto molto meglio» disse Sofia, stiracchiandosi come una gatta. «Non ti chiederò come hai scoperto che ero qui: non so come tu ci riesca, ma quando sono a Roma conosci ogni mio spostamento».
   Michele sorrise.
   «Stavolta è stato più facile di quanto pensi: ho incontrato Aleja, questa mattina, e mi ha detto che eri qui. Così ho pensato di passare a trovarti».
   L’unica risposta che ricevette fu un sorriso ancora più ampio. Le batté un dito sul naso.
   «Dato che stai meglio, cosa ne dici di una passeggiata?» la tentò.
   «A quest’ora? Ma fuori fa freddo!» si lagnò Sofia.
   «È vero ma Roma, di notte, è ancora più bella… illuminata a festa poi!» insisté Michele.
   Sofia sbuffò, lanciandogli un’occhiata di traverso mentre si alzava, recuperava i propri vestiti e andava a cambiarsi. Dieci minuti dopo si allontanavano indisturbati nell’oscurità.

*

La luna scintillava sulla neve compatta, dando un aspetto irreale a chiunque si fosse avventurato all’esterno. Facendo strada a fatica, Gregory giunse a uno dei varchi che portavano alla Valle degli Elementi.
   «Questo è uno dei tanti passaggi che ci collegano all’esterno» spiegò alle persone che lo seguivano. «Non li usiamo spesso; le rare volte in cui ci avventuriamo all’esterno dobbiamo farlo in modo rapido, e così utilizziamo le Fenici. Per voi che venite alla Valle per la prima volta, però, è utile capire dov’è situata. Per questo abbiamo preso la strada più lunga» proseguì.
   Martina, Claire e Aleja annuirono mentre Gregory apriva il passaggio e faceva loro cenno di precederlo.
   «C’è ancora molta strada da fare?» chiese Martina, il respiro ansante, mentre s’inerpicavano su una collinetta; Sofia la prendeva continuamente in giro per la sua pigrizia.
   «Siamo quasi arrivati» la rincuorò Gregory.
   «L’avevi detto anche mezz’ora fa!».
   Claire soffocò una risatina. Un attimo dopo André sbucò da nulla, andando loro incontro.
   «Ce ne avete messo di tempo!» esclamò. «Andiamo dentro, così potrete scaldarvi» aggiunse, conducendole nel salottino in cui mesi prima aveva salutato i suoi amici, pronto a partire.
   Le tre ragazze, tremanti, sedettero di fronte a un bel fuoco scoppiettante mentre Gregory procedeva alle presentazioni.
   «André, Blaze e Laurence li conoscete già» disse, guardandosi attorno. «Gli altri quattro Maestri: Costa, Gloria, Viola e Friedrich» proseguì, indicandoli a mano a mano che li nominava. «Claudio e Cornelia, il padrino e la zia di Sofi», i due le salutarono con un sorriso e un cenno del capo «e alcuni dei nostri allievi: Ailie, Fernando, Emma… oh, ci sono anche Serj e Pietro» concluse, indicando il gruppetto che, riunito attorno a un tavolo, chiacchierava animatamente.
   «Loro sono Claire, Aleja e Martina. Amiche di Sofi» disse Gregory a mo’ di spiegazione.
   «A proposito di Sofia» intervenne Pietro «sappiamo quando tornerà?».
   «Tra un paio di giorni» rispose Cornelia prima di intavolare una conversazione con le nuove arrivate. Intanto Serj fissava Aleja come ipnotizzato. Blaze gli assestò una violenta gomitata nelle costole.
   «Se ti piace, va’ a parlarle» gli bisbigliò. Senza farselo ripetere, il ventisettenne si avvicinò ad Aleja con aria spavalda e sedette accanto a lei. Le bisbigliò qualcosa all’orecchio con aria sicura; la risposta della ragazza fu tale da far scivolare via dalla faccia di Serj l’espressione baldanzosa e sostituirla con una confusa e mortificata. Blaze ridacchiò.
   «Non so cosa Aleja gli abbia detto» confidò ad André e Laurence «ma se è riuscita a farlo stare zitto, ha tutta la mia stima».
   Proprio in quel momento qualcuno aprì la porta con violenza, mandandola a sbattere contro il muro.
   «Giovanni!» esclamò Greg, un po’ spaventato e un po’ sorpreso mentre nella stanza l’atmosfera si raggelava. «Che ci fai qui?».
   Blaze e Claudio si alzarono minacciosi.
   «Come è arrivato qui, semmai» lo corresse il più anziano in un ringhio.
   Giovanni rivolse loro un’occhiata altrettanto gelida.
   «So bene come si arriva. Ho insegnato a Sofia quasi tutto quello che sa: riconosco il suo stile» disse astioso. «E non crediate che mi faccia piacere essere qui. Ci sono venuto solo perché non sapevo come contattarvi».
   «Be’, cosa vuoi?» lo incalzò Serj. Giovanni lo guardò minaccioso, ma il ragazzo non si fece intimorire.
   «Visto che una zelante amministratrice di un ospedale di Roma ha ritenuto opportuno svegliarmi alle cinque del mattino per dirmi che mia figlia era sparita – cosa che non suscita in me il minimo interesse – ho pensato di dirlo a voi. Non ho intenzione di ricevere altre chiamate di questo genere» spiegò sprezzante l’uomo.
   «E perché la cosa dovrebbe riguardare noi?» domandò Blaze.
   «Da quando in qua tu hai una figlia?» chiese invece André.
   Giovanni sbuffò.
   «Quando l’ho rapita, ho creato documenti e un passato a Sofia. Le ho dato il mio cognome: risulta essere mia figlia a tutti gli effetti» rivelò controvoglia.
   Le espressioni di chi aveva di fronte variavano dallo sgomento alla rabbia. Claudio, che vedeva la cosa come l’ennesimo affronto a Tamara e Thobias, era senza parole per l’indignazione; Aleja, al contrario, sembrava tranquillissima.
   «Probabilmente era solo stanca di stare rinchiusa. E poi non è la prima volta che sparisce… di sicuro sarà di ritorno tra poco» disse.
   Gregory la guardò, convinto solo in parte.
   «Eppure non riesco a scrollarmi di dosso questa brutta sensazione. Se solo non avesse rubato quei libri, se non l’avesse fatto… forse sarei più tranquillo. Prospero se ne accorgerà, è solo questione di tempo» replicò sconsolato.
   «Prospero? Prospero Limardi?» chiese Martina. «Ma che c’entra lui con Sofi?».
   «Sofi ha rubato dei libri dalla sua biblioteca privata, quasi tre mesi fa» spiegò Greg.
   Un flebile «Oh» si levò dalle tre ragazze. Giovanni spalancò gli occhi per lo stupore.
   «Che significa, che ha rubato dei libri dalla biblioteca di Limardi? È una follia!» esplose l’italiano, perdendo la propria freddezza.
   «Non è la prima volta che Sofia fa qualcosa di stupido e pericoloso» disse Blaze. «Si vede che ha preso da te, paparino» lo schernì subito dopo.
   Giovanni, troppo preso dai propri pensieri, neanche lo guardò.
   «Questo è diverso!» gridò, camminando agitato davanti al fuoco. «Voi non capite… Prospero Limardi è pericoloso, e per Sofia lo è più che per chiunque altro! Deve stargli lontana!».
   Gregory e Laurence assottigliarono lo sguardo. «Giovanni, se sai qualcosa che noi non sappiamo, questo è il momento giusto per parlare» disse il secondo, freddo come raramente lo si era visto.
   Giovanni lo guardò arcigno, recuperando di botto tutto il proprio autocontrollo, e non rispose.
   «E se Prospero avesse scoperto del furto? Potrebbe aver mandato qualcuno a rapirla!» esclamò Claudio, terrorizzato.
   «Impossibile. Non l’avrebbero mai presa alla sprovvista, soprattutto adesso che sta bene» decretò André.
   «Non possiamo esserne sicuri» ribatté Cornelia. «E se mandassimo Nabeela a cercarla?» propose.
   Gli altri accolsero favorevolmente il suggerimento. André si mosse per chiamare la Fenice, mentre Laurence scriveva frettolosamente su un foglietto di carta. Quando il giovane francese tornò con la Fenice appollaiata sulla spalla, Laurence legò il cartiglio a una zampa del bell’animale.
   «Va’ a cercare Sofi» le disse piano, accarezzandole la testa. Nabeela lo guardò per un istante con i suoi piccoli occhi lucenti e poi svanì.
 
*

Profondamente addormentata, Sofia contrasse i muscoli del volto. Agitò una mano e si girò, tentando di scacciare qualcosa che la pungeva. Senza darsi per vinta, Nabeela le beccò il lobo dell’orecchio con un po’ più d’energia.
   «Ma che accidenti…?» bofonchiò la ragazza, stropicciandosi gli occhi e tirandosi a sedere.
   Nabeela le diede il buongiorno scuotendo gioiosamente la coda.
   «Ciao bellezza!» bisbigliò Sofia, accarezzando le piume morbide come la seta. La Fenice protese una zampa verso di lei.
   «Che cos’hai qui?» chiese la giovane, slegando il biglietto e leggendolo. Lo accartocciò, gettandolo sul letto. «Accidenti bellezza, è meglio sbrigarsi» disse Sofia, schizzando fuori dal letto e iniziando a correre in giro cercando i propri vestiti. Nabeela le svolazzò dietro, un calzino stretto nel becco.
   «Grazie» ansimò la ragazza, saltellando su un piede solo mentre s’infilava il calzino, alla disperata ricerca dei pantaloni. Nabeela le lasciò cadere il maglione sulla testa.
   «Trovami anche l’altro calzino, per favore» la pregò Sofia, riemergendo dal maglione con i capelli irrimediabilmente arruffati. «Ah, eccovi!» sbottò, trovando i pantaloni appallottolati sotto il tavolo. Se li infilò e agguantò le scarpe mentre la Fenice tornava con il bottino stretto nel becco.
   «Direi che siamo pronte ad andare» esclamò Sofia dopo essersi infilata il calzino mancante e le scarpe, il giaccone sottobraccio e la sacca stretta in pugno. Lei e Nabeela erano appena sparite quando una serratura scattò e Michele emerse dal bagno, pettinato, sbarbato e avvolto in un accappatoio.
   «Sofi?» chiamò, guardandosi intorno e controllando ogni stanza. Quando arrivò in camera da letto trovò il letto vuoto e il foglietto spiegazzato sulle lenzuola. Lo lesse e scosse la testa, chiedendosi cosa impedisse a Sofia, ogni volta, di salutarlo prima di sparire.

*

Sofia e Nabeela si materializzarono nella grande biblioteca buia e deserta.
   «Andiamo» disse la ragazza. Nabeela le si appollaiò sulla spalla mentre uscivano dalla biblioteca.
   Appena messo piede nel corridoio, Sofia sentì delle voci provenire da una stanza poco lontana.
   «Cos’è tutto questo caos?» chiese, infilando la testa nella stanza. Alla sua apparizione tutti le corsero incontro, sollevati.
   «Si può sapere dove accidenti ti eri cacciata?» le domandò Blaze, furioso.
   «Davvero hai rubato dei libri nella biblioteca di Prospero Limardi?» chiese invece Martina.
   «Come hai potuto accettare di spacciarti per la figlia di Giovanni?» sbottò Claudio.
   Sofia alzò una mano, ignorando tutte le loro domande concitate.
   «Cosa ci fa lui qui?» domandò con voce gelida; aveva infatti scorto Giovanni mollemente abbandonato in una poltrona.
   «Prenditela con i dirigenti dell’ospedale in cui ti trovavi: sono stati loro a chiamarmi per informarmi che eri sparita» rispose annoiato. Lei strinse i pugni.
   «Be’, ora puoi andartene» sibilò tra i denti.
   «Sono dovuto arrivare fin qui a piedi, a causa della neve. Non vorrai farmi tornare indietro allo stesso modo!». Il sorrisetto che le rivolse era ironico: era certo che la ragazza gli avrebbe offerto di farsi ricondurre al Centro da una Fenice. Ma la risposta di Sofia lo spiazzò.
   «È esattamente quello che desidero» rispose lei. «Ah, e spero tanto che lungo la strada tu cada in un crepaccio o che una frana si abbatta su di te, seppellendoti» aggiunse con aria cattiva.
   «Sofi!» la riprese Cornelia, scioccata.
   «Un tempo avresti fatto qualunque cosa per me» ricordò amaro Giovanni.
   «Un tempo non mi avresti picchiata, né avresti provato a uccidermi» replicò Sofia. «Sono cambiate parecchie cose, da quando avevo diciannove anni»
   «Me ne sono accorto. Io so dov’eri, ma non credere che durerà; tornerai sui tuoi passi, prima o poi» disse inacidito, muovendosi verso la porta ancora aperta.
   «FUORI!» gridò Sofia.
   Giovanni se ne andò, il naso per aria e l’espressione orgogliosa.
   «Pensavi davvero quello che hai detto?» le chiese Laurence rivolgendole un’occhiata significativa.
   «Se desidero vederlo ridotto in pezzi? Sì, lo penso davvero» rispose lei con una smorfia. Dopo alcuni istanti di doloroso silenzio si rivolse a Emma. «Oggi lavori con me» annunciò, facendo strada verso la porta. Poi si voltò. «Ehi, mi servite anche voi!» disse a Pietro, Ailie, Serj e Fernando.
   «Noi?». Pietro sembrava confuso quanto gli altri. Sofia annuì.
   «Sono curioso di sapere cosa ci insegnerà» disse Serj a Ailie mentre seguivano Sofia fuori dalla stanza.

*

«Michele, finalmente sei arrivato!».
   Leggermente perplesso, l’uomo guardò il suo collega: sembrava fuori di sé. In lontananza si sentivano passi frettolosi risuonare sui pavimenti e voci concitate.
   «Cosa c’è, Luigi? Perché tutto questo trambusto?». Controllò l’orologio. «Non sono neanche le otto!»
   «È successa una cosa tremenda, inspiegabile… Prospero è fuori di sé…». Come se l’uomo l’avesse sentito, un terribile urlo carico di rabbia si fece strada fino a loro insieme a dei passi, sempre più vicini: un istante dopo un altro loro collega voltò l’angolo, trafelato.
   «Michele, per fortuna sei qui!» ansimò.
   Sempre più perplesso, l’uomo puntò i grandi occhi nocciola sul nuovo arrivato.
   «Non siete mai stati così felici di vedermi, prima d’ora. Si può sapere cosa vi è preso?»
   «Prospero ti vuole vedere. Subito» annunciò il terzo uomo.
   Un brutto presentimento si fece strada in Michele. Mascherando l’agitazione si allontanò a grandi passi, lasciando gli altri due uomini imbambolati lì dove si trovavano.
   
 
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