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Autore: Matih Bobek    14/10/2015    1 recensioni
Brevi racconti tratti da esperienze quotidiane che vertono sulla vita nella Capitale, con un occhio di riguardo per le zone periferiche al nord, l'ignoranza e la cafonaggine del romano medio, le lotte con i mezzi pubblici, l'ansia di prendere la macchina per via del traffico. Divertenti, ironiche e irriverenti le storie presentano una grande varietà di temi, trattati con ferma lucidità analitica e un certo distacco. Dalla raccolta emerge il dipinto di una Roma in caduta libera, macera e spenta, specchio della situazione in cui versa l'Italia. La crisi economica e sociale vengono descritte con amara ironia.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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La maggior parte dei miei amici prende il ritardo come uno stile di vita. Inutile dire quanto la cosa mi debiliti. Credo onestamente che i ritardatari siano una delle più grandi piaghe sociali del XXI secolo.
Sono innumerevoli le volte che mi son ritrovato ad aspettarli le ore sotto casa per motivi futili e ragioni insignificanti: una volta perché non sapevano cosa indossare, un’altra perché non li ho avvertiti che stavo per arrivare, altre ancora perché credevano che l’orologio indicasse l’ora sbagliata. Ciò che più mi manda in bestia del loro atteggiamento è che loro non chiedono scusa. Mai. Per arcani motivi, sono convinti che il ritardo sia un sano stile di vita. Magari perché hanno letto sul Galateo che arrivare in anticipo è maleducazione, una delle scuse che rifilano più frequentemente. O forse, si sono imbattuti in qualche improbabile studio psicologico, di quelli svolti dalle università americane sprovviste di fondi, che dimostra quanto ritardare fortifichi il rispetto di se stessi. Psico-balle esistenziali degne di settimanali per adolescenti che ovviamente loro assumono come filosofia di vita.
Se non sono tanto audaci da rifarsi a queste perle per giustificare il loro comportamento, scaricano la colpa addosso a qualcun altro. Molto spesso sono i genitori, che li hanno segregati in camera, con pane, acqua e manette alle grate della finestra. La fata Turchina ha trovato traffico sulla tangenziale e non ha fatto in tempo a liberarli. Altre volte, la colpa è di alcune misteriose condizioni atmosferiche, come “l’acqua che cade dal cielo”. Dunque, l’acqua che cade dal cielo è una divinità atavica e pagana capace di mettere in ginocchio la Capitale. I paesi civilizzati la chiamano semplicemente pioggia. E’ sempre colpa della pioggia, soprattutto se il Raccordo è intasato, dicono i ritardatari. E’ vero… ma poi, penso, perché fare il Raccordo se abiti a la Giustiniana e devi arrivare alla Cerquetta? Ci sono volte in cui la colpa è semplicemente mia, giustamente. Sono io il cattivone che li ha avvertiti solo cinque giorni prima che l’appuntamento sarebbe stato alle sette. Cosa ne potevano sapere loro che non avrebbero avuto abbastanza tempo per limarsi le unghie? Dovevo immaginarlo, io.
Tra i tanti atteggiamenti che rendono odiosi i ritardatari, va fatta menzione di almeno altri due: 1) Sono lenti. Lenti come una canzone di James Blunt; lenti come la polenta valsugana; lenti come i libri di Faletti.
2) Il loro cellulare è sempre irraggiungibile; probabilmente lo smartphone ultimo modello serve solo a fotografare la cena per postarla su Instagram.

La combinazione di questi fattori rende i ritardatari distanti, inafferrabili, evanescenti. Anno dopo anno, è venuto a formarsi nel mio inconscio un istinto omicida nei loro confronti. Ma la loro capacità di sfumare come nebbia in val Padana li rende veramente invincibili. Ormai ne sono convinto: loro esistono a prescindere dal tempo, sono esseri i privi di ogni legame con lo scorrere dei secondi. Proprio come Sonia di Super tre: vive da sempre, senza avvertire la caducità dell’istante. Solo che lei, quando ero un dolce bambino dalle guanciotte rosate, rallegrava le mie giornate. Gli amici ritardatari invece le continuano a svuotare di ogni effettiva utilità e le lasciano inermi sul pavimento.
Insomma, non esistono armi contro di loro. In rarissime occasioni però, raggiungo picchi di autocoscienza ammirevoli: realizzano che arrivare alle 23 quando l’appuntamento è alle 19 è fuori da ogni grazia divina. Allora ricorrono a mezzucci vergognosamente idioti, come ad esempio mettere in avanti l’orologio di dieci minuti. Se quello che volevano era essere presi per i fondelli, bastava alzare la cornetta e chiamarmi. Comunque, di regola se ne lavano le mani: la loro è una nobile arte, secondo il loro personalissimo modo di vedere. E quindi nulla, bisognerà armarsi di santissima pazienza quando si sarà costretti ad andarli a prendere. Sarà meglio non girare senza il fidato gameboy con la cartuccia di pokemon giallo che allievi il dolore di attenderli le ore, in macchina, sotto casa. E mai lamentarsi! Penso ai loro futuri partner. Loro sì che sono condannati. Condannati per sempre.

   
 
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