Erano barricati nella fattoria da
quasi una settimana e non avrebbero potuto restarci ancora a lungo. Era rimasto
poco di tutto: cibo, acqua, munizioni, il loro plotone, l’Umanità stessa
sembrava giunta al capolinea. L’unica cosa che abbondava erano i morti ed erano
famelici.
«Mitch,
secondo te è giorno fuori?»
domandò Carol smuovendosi dal torpore in cui era piombata da quando Doc se
n’era andato. Mitch non ne aveva idea, tutte le finestre erano sprangate con
assi di legno e non lasciavano passare la luce del sole. L’unica illuminazione
era il camino che mantenevano sempre acceso per allontanare il freddo esterno e
dissuadere i non morti dall’usarlo come via d’accesso. Era l’unica cosa che
temevano, il fuoco, vi si tenevano alla larga quasi ricordassero il pericolo
che rappresentava. Doc se l’era domandato spesso nei mesi precedenti se i morti
ricordassero ancora qualcosa della loro vita passata, di ciò che erano stati.
Aveva smesso una settimana prima, proprio oltre la porta su cui si concentrava
lo sguardo di entrambi. Chiudendo gli occhi Mitch poteva ancora sentirlo
grattare disperato il legno della porta cercando di aprirla e le urla, Dio
santo le urla. Si erano impresse a fuoco nella sua mente le grida strazianti che
supplicavano salvezza e poi la morte mentre i cadaveri lo mangiavano vivo. La parte peggiore fu barricare la porta
sapendo che se l’avessero aperta anche solo per mettere fine alle sue
sofferenze l’avrebbero subito raggiunto nello stomaco di quei mostri. Era
ancora là fuori Doc, quel che restava di lui almeno.
«Allora?» chiese
ancora Carol riscuotendolo dai cupi pensieri in cui era piombato. Mitch spiò da
sotto la porta la situazione fuori usando la lucida lama del suo coltello come
specchio, il sole vi si rifletteva sopra. Spostarono la cassapanca che bloccava
la porta per poterla aprire usando la massima cautela e tenendo sempre le armi
pronte. Fuori non c’era più nessuno, solo le poche ossa superstiti di Doc che
biancheggiavano al sole del mattino. Soffiava una brezza leggera e nonostante
fosse ormai prossimo l’inverno, si stava piuttosto bene. La giornata ideale per
scavare un’altra tomba.
Misero quel poco che restava di Doc in un sacco e lo
portarono sul retro della fattoria dove sotto una maestosa quercia riposavano
in fila i loro commilitoni: Colm, Mickey, Lyla, Tom, Miranda, il tenente Corbin
e altri. Le loro piastrine in verità, i corpi avevano dovuto abbandonarli nel
punto in cui erano morti mentre scappavano dalla città. Tom e Lyla li avevano
seguiti per giorni durante la fuga, restituirli alla morte era stato molto
difficile, soprattutto per Carol che di Tom era innamorata anche se non glielo
disse mai.
«è la fine, vero?» domandò Carol mentre
Mitch incideva il nome del loro compagno sulla rozza croce che aveva fabbricato
con un paio d’assi di legno. «Gli ultimi giorni dell’Uomo».
«Il pessimismo fa
male al fegato» la esortò Mitch, ma darle torto era sempre più difficile ogni
giorno che passasse. La radio era silenziosa da tanto tempo, per quanto ne sapevano,
erano gli ultimi rimasti. Aveva ancora senso sperare a quel punto? Non era
forse meglio darci un taglio una volta per tutte? Mitch ci aveva pensato a
lungo e aveva preso la sua decisione. Commemorarono Doc in silenzio, quel che
c’era da dire era già stato detto tante, troppe volte per aver voglia di
ripeterlo ancora.
«Mitch credi che i
dinosauri sapessero che non sarebbero durati per sempre?» domandò Carol
all’improvviso alzando lo sguardo al cielo terso.
«Non dire fesserie, con le noci che avevano per cervello, era già tanto che sapessero di dover mangiare per vivere». Carol scoppiò a ridere, era passato tanto tempo dall’ultima volta e non ce ne sarebbe stata un’altra. Mitch la colpì al capo con la pala una, due, tre volte finché non crollò a terra con la testa sfondata e il rosso del sangue non andò a mischiarsi col verde dell’erba. Era giunto alla conclusione che farla finita ora era la cosa più pietosa, più umana da fare. Lui e Carol avevano sofferto abbastanza.
Mitch si rimise al lavoro, c’erano altre due tombe da scavare.