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Autore: edoardo811    15/10/2015    4 recensioni
Se ne avessi la possibilità, cosa faresti? Salveresti il mondo... o lo distruggeresti?
Empire City.
Un brutale attacco terroristico distrugge mezza città e costringe in miseria i cittadini dell'altra metà.
La popolazione è chiusa dentro i confini della metropoli, in quarantena, ed è obbligata a vivere insieme a bande di tagliagole e psicopatici, che dopo l'attacco, rinominato l'esplosione, hanno deciso di scatenare tumulti dopo tumulti.
Rachel sembra una ragazza come tante, ma non è così. Lei ha qualcosa in più, qualcosa che la distingue profondamente da tutte le altre persone.
Mentre il caos per le strade dilaga, si ritroverà più volte ad avere a che fare con la sua natura e le sue diversità. Dovrà imparare a conoscere meglio sé stessa, fare i conti con il suo passato e i suoi sentimenti.
Conoscerà persone, visiterà luoghi e combatterà fino allo stremo.
Ed infine sarà posta di fronte ad un'ardua scelta. E decidere non sarà affatto facile.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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II

The Reapers

 

Prese una deviazione. Conosceva bene il posto, sapeva che se fosse passata per quella fitta rete di vicoli avrebbe battuto sul tempo gran parte delle persone che invece cercavano di raggiungere la piazza per strada.

Il rumore dei suoi passi risuonò in quell’ambiente desolato e maleodorante, sguazzò in diverse pozzanghere mentre correva. Fece una smorfia quando i suoi jeans già malridotti si sporcarono ulteriormente a causa dell’acqua.

Non c’era nessuno in giro. A quanto pare era stata l’unica ad avere quell’idea. L’unica abbastanza stupida.

I vicoli erano praticamente la casa dei Mietitori. Entrare in un vicolo equivaleva a farsi sparare addosso, o a farsi rapinare. La gente se ne teneva alla larga, semplicemente.

In poche parole, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Ma doveva correre il rischio. Morire di fame sarebbe sicuramente stato peggio che morire a causa di un proiettile. Era la prima vera occasione che aveva per procurarsi un po’ di cibo e non essere costretta a mangiare quelle poche schifezze che lei e Tara riuscivano a racimolare, e doveva lasciarsela scappare? Quel vicolo era solo una scorciatoia, né più né meno.

E comunque, nessun luogo era davvero sicuro, oramai, ad Empire. Ogni giorno quando ci si svegliava al mattino si ringraziava in silenzio il cielo per non essere stati accoltellati nel sonno.

Insomma, era la prima volta che entrava in un vicolo, non avrebbe mica davvero avuto così tanta sfortuna da incontrare proprio i Mietitori, no?

E per finire, lei non era una persona come le altre. Forse avrebbe avuto una piccola possibilità di sopravvivenza, in caso di incontri spiacevoli. Forse.

Quel pensiero le infuse un po’ più di coraggio. Sarebbe arrivata ad Archer Square in tempo zero. Inoltre, quel vicolo semi buio le infondeva una strana sensazione. Se ne avesse parlato con qualcuno probabilmente avrebbe fatto la figura della psicopatica, però sentiva che quel posto le infondeva... tranquillità. Benessere. Non come le strade luminose e in bella vista, in quelle si sentiva infastidita, in bella mostra, nonché esausta. In quel momento, invece, si sentiva piena zeppa di energie.

Affrettò il passo. Entrò in uno spiazzale in cui diverse automobili erano parcheggiate. Calcolò mentalmente la propria posizione, e dedusse di essere quasi a destinazione. Inspirò profondamente. C’era quasi, questione di attimi, di pochi metri, nessuno l’aveva vista, nessuno l’avrebbe...

Urla. Rachel sentì il cuore schizzarle in gola e si fermò di scatto, pietrificata. Alzò lo sguardo, cercò in ogni direzione, con il battito cardiaco alle stelle, un po’ per via della corsa, un po’ per via dell’ansia che quelle grida avevano trasmesso in lei. Non erano umane. Qualunque creatura avesse sbraitato in quel modo, di umano possedeva solo il ricordo.

Poi li vide. Si sentì morire dentro. Due uomini incappucciati al fondo dello spiazzale, vestiti di rosso dalla testa ai piedi, entrambi armati di fucili. Agitavano le armi, gridavano e saltavano sul posto come delle scimmie impazzite. Riconobbe quelle grida, riconobbe quelle giacche rosso sangue, riconobbe i loro mitra. Mietitori. La gang di tossici dipendenti che dopo i primi tumulti di Empire City aveva preso il controllo del Neon. Fu la prima volta che li incontrò di persona. Fu un attimo solo, ma bastò a segnare la sua esistenza. Quelle grida disumane, quei loro aspetti minacciosi, quei volti impossibili da scorgere sotto i cappucci, li avrebbe rivisti nei suoi incubi peggiori, ne era certa.

Le gambe le diventarono di burro. Si sentì impotente di fronte a loro. Avrebbe dovuto scappare, sparire da lì il prima possibile, correre fino a quando i polmoni non le sarebbero esplosi nella gabbia toracica. Ma non ci riusciva. Forse per la paura, forse per lo shock.

Finché quelli non le puntarono contro le armi. Quando le prime esplosioni si udirono e le prime fiammate illuminarono le bocche da fuoco, una voce nella testa di Rachel impazzì. Una sola parola disse: corri.

E Rachel corse. I proiettili fischiarono accanto a lei, la ragazza gridò di terrore. Vide un’auto parcheggiata li vicino. Non esitò un solo istante. Si gettò a terra, proprio dietro di lei. I proiettili si schiantarono brutali contro la carrozzeria arrugginita del veicolo. Il rumore che si generò ricordò parecchio quello della grandine, solo dieci volte più intenso.

La corvina si rannicchiò a terra e si tappò le orecchie, gridando a squarciagola per la paura. Quel rumore le stava facendo esplodere la testa.

Scorci di immagini della sua vita popolarono la sua mente, una dietro l’altra. Rivisse tutti i momenti più importanti della sua vita. Sua madre, il collegio, i suoi amici.

La sua vita non era mai stata un granché, a conti fatti. E ora sarebbe morta nella maniera più stupida che si potesse conoscere. Un’idiota, ecco cos’era. Altro che poteri, altro che coraggio, quei Mietitori le avrebbero fatto la pelle, era solo questione di tempo. Almeno la sua esistenza fatta di delusioni finalmente sarebbe finita. Forse era un bene. Anzi, era senz’altro un bene.

Chiuse gli occhi e attese. Attese che i proiettili la raggiungessero, o che uno dei Mietitori aggirasse la macchina e la catturasse. Inspirò profondamente e si preparò. E fu solo in quel momento che realizzò che... che gli spari erano cessati.

Ci volle tutta la sua forza di volontà per permetterle di sollevare di un centimetro la testa e guardare cosa fosse accaduto ai due Mietitori.

Sgranò gli occhi. Una figura vestita di nero era comparsa praticamente all’improvviso, e stava combattendo contro i due criminali rossi. Sferrava calci e pugni con estrema ferocia, senza mai sbagliare un colpo. Un Mietitore cercò di colpirlo con il calcio dell’arma, ma quello bloccò il colpo e lo disarmò, per poi colpirlo lui stesso con l’arma allo stomaco, piegandolo in due. L’altro Mietitore aprì il fuoco, ma l’individuo fu più veloce e lo disarcionò, per poi colpire anche lui con un calcio.

Gettò il fucile a terra ed estrasse un’ asta telescopica dalla cintura, poi colpì entrambi i criminali, il primo sotto il mento, ribaltandolo, il secondo in pieno volto, scaraventando anche lui a terra. I Mietitori cercarono ancora di rialzarsi, ma l’individuo li colpì ancora con estrema violenza, lasciandoli a terra.

Rachel lo guardò atterrita. Si era rimessa in piedi senza nemmeno rendersene conto, mentre guardava quel tizio. SI allontanò lentamente dalla macchina e lo osservò con attenzione. Era girato di spalle, ma non riconobbe comunque la sua uniforme. Di sicuro non era un Mietitore, ma non era neanche un poliziotto.

L’uomo si voltò all’improvviso verso di lei, facendola trasalire. Quando lo vide meglio, rimase in parte meravigliata e in parte intimorita dal suo aspetto.

La tenuta da combattimento nera era aderente, rendeva ben visibile il suo fisico ben definito. Aveva degli stivali alti fino a metà stinco e guanti, ginocchiere e copri avambracci grigi metallizzati. Diverse righe rosse scendevano lungo le placche grigie sulle cosce e lungo le spalle fino ai gomiti, una grande X del medesimo colore era invece ricamata sul petto.

Ma il volto era la parte più sorprendente. Era coperto da pittura facciale, i colori bianco e nero combinati sulla sua pelle gli davano le sembianze di un teschio. I capelli erano scompigliati e neri opachi come il carbone, gli occhi blu emanavano freddezza a dismisura. 

I due si guardarono per un istante. Rachel per un attimo temette che avrebbe attaccato anche lei, quando l’espressione di quello mutò radicalmente all’improvviso, facendosi preoccupata. Indicò verso la sua direzione e gridò: «Alle tue spalle!»

I nervi di Rachel saltarono all’improvviso e la ragazza si voltò.

Altre grida provennero dal vicolo indicato dall’uomo. Un altro individuo incappucciato girò l’angolo e corse verso di loro, sbraitando come un pazzo e brandendo due bottiglie molotov accese, una per mano.

«Quello è un kamikaze!» esclamò ancora l’uomo vestito di nero. «Allontanati!»

Rachel gridò. Cercò di nuovo di scappare, ma perse l’equilibrio e ruzzolò a terra. Il Mietitore era sempre più vicino, il cappuccio illuminato dalla luce degli stracci infuocati delle bottiglie e le sue grida gli davano un’aria quasi indemoniata.

«Alzati, presto!» gridò l’uomo truccato cominciando a correre verso di lei.

Le grida la fecero voltare. Il Mietitore correva ad una velocità sorprendente, non sarebbe mai riuscita a scappare da lui in tempo.

Fu a pochi metri da lei. Gridò più forte e sollevò entrambe le molotov, pronto a farsi saltare in aria solo per ucciderla. Rachel urlò di nuovo e sollevò una mano. Agì d’istinto. Chiuse gli occhi. Sentì una forte scossa elettrica percorrerle il corpo, per poi raggiungere la mano e disperdersi nel palmo.

Udì un altro grido disumano, seguito da un’esplosione. Il calore la raggiunse. Pensò di morire.

Poi riaprì lentamente gli occhi. Rivide lo spiazzale, le auto parcheggiate, i vicoli. Abbassò lo sguardo, vide il suo corpo, realizzò di essere ancora tutta intera. Aveva il respiro pesante, il battito cardiaco accelerato. Poi alzò di nuovo lo sguardo e strabuzzò gli occhi. Dove poco prima c’era il mietitore, ora c’era solo più un corpo carbonizzato, circondato da diverse fiamme.

Rachel rimase interdetta. Spostò ancora lo sguardo e vide la sua mano ancora sollevata. «N-No...» mormorò, sempre più incredula. «Non... non può essere...»

Il suo respiro si fece ancora più affannato. Abbassò lentamente la mano, senza staccare gli occhi da quel cadavere di Mietitore. Non riusciva più a pensare.

«Mio dio...» disse qualcuno alle sue spalle. Rachel si girò, vide l’uomo truccato ancora in piedi dietro di lei, la guardava ancora più atterrito. «La... la tua mano...»

I loro sguardi si incrociarono. Rachel non sapeva cosa dire. Dalla sua bocca non usciva altro che aria.

Altre urla provenienti in lontananza costrinsero entrambi a spostare lo sguardo. Da altri vicoli giunsero altri Mietitori, altri kamikaze, anche in cima a palazzi cominciarono a sbucarne fuori come funghi. Probabilmente quella era una zona calda.

Nel giro di pochi attimi ne arrivarono almeno una dozzina. La ragazza pietrificò di nuovo. Finalmente riuscì a sbloccare il proprio cervello e si ricordò come provare paura.

«Merda...» rantolò l’uomo truccato, per poi voltarsi verso di lei e fissarla quanto più severo possibile in volto.

«Corri.»

Rachel non se lo fece ripetere.

 

***

 

Andarono avanti fino allo stremo. Fino a quando le gambe avrebbero retto, fino a quando i polmoni non sarebbero più riusciti a pompare aria.

Per tutto il tempo, Rachel non fece altro che seguire l’uomo. Non era in grado né fisicamente né psicologicamente di rimanere da sola in quel momento, confidava che il suo precedente salvatore potesse ancora proteggerla, almeno durante la loro fuga dai Mietitori.

Attraversarono così tanti veicoli che finì col perdere l’orientamento. Calcolò, comunque, che oramai Archer Square fosse lontana anni luce. Quando, alla fine, furono sicuri di averli seminati, si fermarono per riprendere fiato.

Rachel non aveva mai corso così tanto, sentiva i polmoni bruciare, la milza dolerle terribilmente e le gambe in procinto di cederle. Ogni boccata d’aria le sembrava quasi vitale. Si appoggiò ad un muro con una mano e si piegò, per riprendere fiato. Quando abbassò lo sguardo, si rese conto di avere il palmo illuminato da un bagliore nero. Sussultò, poi scrollò la mano, pregando in silenzio che se ne andasse. Quando la luce opaca svanì, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

Accanto a lei, l’uomo non sembrava messo tanto meglio. Anche lui era piegato, anche lui cercava di riprendere fiato. Il sudore che gli imperlava la fronte aveva perfino cancellato alcune tracce di trucco. Era molto pallido, anche senza la pittura facciale bianca che gli copriva la pelle.

Fu in quel momento, guardandolo con più attenzione e da più vicino, che si rese conto che quell’uomo... non era affatto un uomo. Era un ragazzo, come lei, come Tara. Potevano perfino avere la stessa età.

Quello sembrò rendersi conto dello sguardo indiscreto di Rachel posato su di lui, e si voltò di scatto. La ragazza trasalì, ma non distolse comunque gli occhi. Nessuno dei due parlò, rimasero entrambi ad osservarsi e a studiarsi in silenzio. Il volto di lui era davvero inquietante. Chiunque fosse il suo truccatore, aveva fatto un ottimo lavoro.

«Sei... sei una Conduit» disse infine lui, raddrizzandosi.

«Una che?» domandò lei, con voce acuta per la sorpresa.

«Hai i poteri...» spiegò quello, con il fiatone.

«Beh... e-ecco...» Rachel esitò.

«Sei sopravvissuta all’esplosione.»

La ragazza sgranò gli occhi. Osservò incredula l’interlocutore. Arretrò, come colpita da uno schiaffo, in parte intimorita da quelle parole. «E... e tu come lo sai che sono sopravvissuta?»

«Da cosa pensi derivino quelli?» ribatté lui, accennando con il mento alla mano di Rachel, che nel frattempo si era di nuovo illuminata.

La ragazza sobbalzò quando se ne rese conto e di nuovo scrollò la mano, concentrandosi, tentando di far sparire quella stramaledetta luce. Sospirò ancora una volta quando ci riuscì. Era stata una stupida patentata ad entrare in quel vicolo, incapace com’era a controllare i suoi poteri. Non aveva mai avuto una vera chance contro quei Mietitori.

«Allora?» la incalzò ancora il ragazzo, con tono calmo, come se stessero discutendo sulla cosa più banale di quel mondo.

«I-Io... io...» Rachel ammutolì. Osservò con attenzione gli occhi glaciali del ragazzo, più il suo volto raccapricciante. Non sapeva cosa rispondere. Tutti quelli che avevano visto i suoi poteri erano scappati via terrorizzati, additandola come un mostro, un demone. Lui no. Lui era rimasto, la osservava con attenzione, per nulla spaventato e anzi, faceva perfino domande a riguardo. E sapeva anche che lei era sopravvissuta all’esplosione. Sapeva da dove derivavano i suoi poteri. Era la prima volta in assoluto che incontrava qualcuno che forse sapeva qualcosa, che forse poteva perfino aiutarla.

«Sì, sono... sono sopravvissuta.»

Mentre lo disse, le tornò in mente quel giorno. Quel terribile, fatidico giorno, di a malapena un mese prima.

Lei e i suoi compagni del collegio in gita nel Centro Storico, a vedere qualche museo di cui nemmeno ricordava il nome. Gar e Victor che come al solito si comportavano da buffoni, divertendo il gruppo. Richard e Kori, che ovviamente si tenevano per mano, Jennifer, Jade, Wally e tutti gli altri. Poi un enorme boato, la terra che aveva cominciato a tremare, i lampadari che avevano cominciato ad oscillare e gli oggetti in mostra che cadevano a terra, in frantumi. Poi vi era stata una luce azzurra e tutto era stato spazzato via.

Un attimo prima era lì, a vivere la sua vita in tutta tranquillità, in una pallosissima gita, un attimo dopo era in mezzo ad un enorme cratere, circondata da edifici in fiamme e macerie, ricoperta di ustioni e con i vestiti a brandelli. Si era rimessa in piedi e prima che fosse riuscita a formulare il più basilare dei pensieri, un elicottero l’aveva illuminata con un riflettore e un uomo con un megafono le aveva sbraitato di allontanarsi da lì, di raggiungere il ponte che univa il Centro Storico con il Neon.

Non ricordava di essersi mossa o altro. Sapeva che poco dopo il ponte era stato distrutto a seguito di altre esplosioni. Poi si era svegliata in ospedale, una settimana dopo. Avevano controllato le sue condizioni ed era uscito fuori che era perfettamente in forma. Un po’ ammaccata, ma sana con un pesce.

In un primo momento non ci aveva capito molto, ma non erano bastate che poche ore per permetterle di scoprire la agghiacciante verità. Lei era viva. Era in forma. Migliaia di persone, inclusi i suoi amici, incluso il ragazzo che amava, erano morti, per colpa di un’enorme esplosione che aveva distrutto mezzo Centro Storico. Un attacco terroristico, avevano detto ai notiziari. E lei era sopravvissuta. Nessun dottore si era chiesto il perché. Non ne avevano avuto il tempo, a causa degli avvenimenti successivi. Forse era appena avvenuto un miracolo, ma per lei non fu altro che l’inizio di una maledizione.

E dopo era successo tutto il resto. Mentre lei era in coma, la città aveva assistito alla sua stessa distruzione. I tumulti, la quarantena, l’ascesa dei Mietitori. Un processo lento ma progressivo.

Il mondo le era letteralmente crollato addosso. Non solo era rimasta in coma, non solo i suoi amici erano morti. L’intera città era morta. E quando aveva scoperto che Tara si era salvata dall’esplosione, beh, non aveva proprio fatto salti di gioia. Si era sentita come se al danno fosse stata aggiunta la beffa. E lo stesso doveva aver valso per la sua attuale coinquilina.

E per finire si era ritrovata quei poteri. Usciti praticamente dal nulla, senza motivo, senza spiegazioni. Erano apparsi fin dal primo giorno in cui si era svegliata. Ne era rimasta terrorizzata fin dal primo momento. Non era mai riuscita a controllarli e, anzi, a volte erano perfino loro a comportarsi in maniera autonoma. Ma forse, finalmente, qualcuno avrebbe potuto aiutarla.

«Tutto bene?» chiese il ragazzo, dopo diverso tempo.

Rachel drizzò la testa. Sicuramente era rimasta imbambolata di fronte a lui, in preda a quei tristi ricordi. Sospirò, poi annuì. «Sì, sì, sto bene...» Prese una piccola pausa, per raccogliere le idee, poi lo guardò. «Come mi hai chiamata, poco fa’? Con... Cond...»

«Conduit» rispose lui. «Si chiamano così le persone come te. Quelle sopravvissute all’esplosione, quelle con i poteri.»

«V-Vuoi dire che ce ne sono altre? Ci sono altre persone come me?!» domandò lei, basita.

«Più di quante tu possa immaginare.»

La corvina dischiuse le labbra. La notizia la sconvolse. Era convinta che lei fosse l’unica così, l’unica che era stata colpita da quella maledizione che erano i suoi poteri, l’unica sopravvissuta dell’esplosione. Si era sempre sbagliata. Pensò a coloro che dovevano trovarsi nella sua medesima situazione, intrappolati in una vita con addosso un fardello troppo grande per loro. E pensò anche a quelli che invece dovevano riuscire a padroneggiare i loro poteri con estrema facilità. Perché era ovvio che esistevano, a quel punto. «Q-Quindi i miei poteri... derivano dall’esplosione?» domandò, titubante.

Il ragazzo annuì ancora.

«Com’è possibile?!» strillò lei, sempre più incredula. «Come può un attacco terroristico aver...»

«Questo non lo so» la interruppe lui. «Non so come quell’esplosione possa averti fatto quello che ha fatto, tantomeno come tu abbia fatto a sopravvivere. So solo che le persone che sono sopravvissute all’esplosione ora hanno dei poteri come te e si chiamano Conduit.»

«E come fai a sapere queste cose, allora?»

Al ragazzo scappò un sorriso tirato, poi spostò lo sguardo e lo indirizzò verso il tetto di un palazzo. «Non hai la minima idea di quanti messaggi via radio si scambiano gli agenti federali infiltrati in Empire e il governo. A me è bastato solo tenere le orecchie aperte. Piuttosto...» Il suo sguardo tornò su di lei e si fece serio. «Perché non ti sei difesa da sola, da quei Mietitori?»

Rachel abbassò gli occhi, affranta. Si guardò le mani e sospirò. «Non... non sono brava, con i miei poteri. Non riesco ancora a controllarli bene. Inoltre quella era la prima volta che incontravo dei Mietitori, sono rimasta... sconvolta...»

«Mh, capisco. Beh, allora che ci facevi qui? Lo sai che i vicoli sono pericolosi.»

La ragazza sospirò. «Quella era una scorciatoia... volevo andare ad Archer Square per prendere qualche provvista. Peccato che ormai saranno finite...»

«Ah, già, le provviste. Mi spiace che tu non ce l’abbia fatta.»

 Non sembrava molto sincero, ma Rachel apprezzò comunque. Sorrise timidamente, poi tornò a guardarlo. «Beh, poteva andare peggio. Avrei potuto restare uccisa. Grazie per avermi salvata. Ti sono debitrice.»

Il moro ricambiò il sorriso. «È sempre un piacere per me malmenare i Mietitori.»

«Anche... anche tu sei un... un Conduit?»

«No, io no» rispose lui scuotendo la testa. «Sono solo bravo a menare le mani. E odio i Mietitori da morire.»

Rachel annuì, ancora profondamente grata.

Tra i due calò il silenzio. La ragazza si massaggiò un braccio, spostando il peso da una gamba all’altra, imbarazzata. Il ragazzo continuava a fissarla, non sembrava per nulla intenzionato a lasciarsi sfuggire dal suo campo visivo la corvina.

«Beh...» ricominciò lei, non riuscendo più a sopportare la situazione. «... se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi...»

«A dire il vero sì...» disse lui, per poi accennare con la testa alla rete di vicoli accanto a loro. «Non molto lontano da qui i Mietitori hanno allestito una specie di base. Tu hai dei poteri, e non sembrano niente male da come hai steso quel kamikaze, poco fa. Potresti aiutarmi a distruggergliela.»

«Cosa?!» La ragazza rimase ancora una volta senza parole. Aveva chiesto se poteva sdebitarsi solo per scaramanzia, per dimostrargli che gli era davvero riconoscente. Di certo non lo fece aspettandosi una risposta affermativa. Di certo non aspettandosi una proposta del genere. «Per poco non ci uccidevano e adesso tu...»

«Hanno delle provviste» la interruppe lui, sorridendole complice. «Non è quello che ti interessa? Provviste? Beh, loro ce l’hanno. E hai anche detto di essere in debito con me. La questione è semplice, tu mi aiuti e ti sdebiti, in cambio ti puoi tenere le loro provviste, tanto a me non servono. A me sembra piuttosto ragionevole.»

Rachel rimase in silenzio. Una parte di lei era davvero interessata a quelle provviste, l’altra invece avrebbe voluto scappare via, tornare a casa e rintanarsi in camera a piangere. L’idea di quel tizio rasentava i limiti della follia. Una come lei non sarebbe mai sopravvissuta se si fosse imbarcata in quell’impresa impossibile. «E come potrei aiutarti? A malapena so usare i miei poteri, per poco quelli di prima non mi uccidevano, non posso farcela...»

«Hai detto che eri sconvolta, per quello non sei riuscita. Ma a me è sembrato che dopo tu sia riuscita a controllarli bene.»

Rachel fece una smorfia. Non riusciva proprio a capire perché quel tipo fosse così insistente. Si erano appena incontrati! Cercò di mantenere la calma, e rispose in maniera tranquilla: «Ho solo avuto fortuna. Secondo te se ci riprovassi ci riuscirei di nuovo?»

«C’è solo un modo per scoprirlo» insistette ancora lui, per poi prendersi il mento e rimuginare. «Mh... vediamo... ecco, colpisci quel cassonetto» disse, accennando con il capo ad un cassonetto poco distante da loro.

La ragazza si mordicchiò l’interno della guancia, osservando il bersaglio datole. Abbassò lo sguardo e lo indirizzò verso la propria mano. Guardò di nuovo il ragazzo e lui le sorrise, rivolgendole un cenno del capo. «Provaci, forza.»

Rachel sospirò.

Al diavolo.

Se proprio quello non voleva mettersi in testa che lei era un’incapace, che non sarebbe mai riuscita ad aiutarlo in quel modo, glielo avrebbe fatto capire. Puntò il palmo verso il cassonetto e si concentrò. Inspirò profondamente, così da azzerare qualunque tipo di tremolio della mano. Non seppe cosa fare con esattezza, perciò immaginò semplicemente un raggio di luce nera partire da quel palmo e dirigersi esattamente verso il bersaglio. Nulla accadde.

La corvina sbuffò, irritata. «Ecco, visto?! Niente di nient...»

Si interruppe all’improvviso, quando una strana sensazione, ma neanche troppo estranea, la colpì. Avvertì di nuovo la scossa elettrica dentro di lei, la sentì percorrere tutto il corpo e disperdersi proprio nel palmo. Un raggio di luce nero partì da quel punto, sfrecciò come una saetta in mezzo al vicolo e si abbatté con precisione millimetrica sul cassonetto, facendolo saltare di diversi centimetri da terra.

Rachel rimase a bocca aperta, incredula. Abbassò lentamente il braccio.

«Visto? Sei in gamba» disse il ragazzo, sorridendo compiaciuto. «Sai fare altro?»

«C-Cosa?» Rachel esitò. A malapena sapeva come aveva fatto a sparare quel raggio e lui le chiedeva se sapeva fare altro?!

Stava per rispondere con una secca negazione, ma poi si bloccò. Le tornò in mente un vecchio aneddoto riguardante lei e le splendide quattro settimane che aveva trascorso con i poteri. In effetti, c’era un’altra cosa che forse sapeva fare, ma le sembrava una follia talmente grossa che non era davvero sicura di potergliela dire. Ma dato che lui era lì ad osservarla, dato che lei detestava essere sotto i riflettori in quel modo e dato anche il fatto che quel tipo era tremendamente inquietante, decise di rispondere. Sentendosi quasi stupida, mormorò: «So... so volare...»

«Cosa?!» esclamò lui interdetto, sorriso e calma spariti nel nulla all’improvviso.

Rachel incassò la testa nelle spalle. Quella era proprio la reazione che temeva da lui. «N-Non è così semplice» si affrettò ad aggiungere. «È successo solo una volta, una ventina di giorni fa’, quando... stavo... beh, litigando con una persona, e ad un certo punto il mio corpo è stato investito da una luce nera, le mie braccia si sono... ecco... trasformate in ali, e mi sono ritrovata a levitare da terra. Non è durato molto, non appena me ne sono resa conto sono stata assalita dal panico, la luce è scomparsa e sono caduta a terra. Non mi è mai più successo dopo, e di sicuro io non ci ho più riprovato di mia spontanea volontà...»

«Mh...» mugugnò lui, ritornando serio. Rachel percepì gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto per elaborare qualche diavoleria. Pensò che l’avrebbe mandata al diavolo. Sinceramente, lei lo avrebbe fatto. Nessuno sapeva volare, era impossibile. Probabilmente quelle ali di cui aveva parlato se le era sognate.

Quello invece la sorprese ancora una volta. «Beh... cosa stiamo aspettando allora?» disse, dopo quell’attimo di riflessione.

Rachel dischiuse le labbra. «Che... che intendi dire?»

Lui per tutta risposta sorrise diabolico. Assomigliò per davvero ad un teschio, in quel momento. Fu ancora più inquietante.

«Oh sì, sarà uno spasso. Forza, seguimi!»

 

 

 

   
 
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