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Autore: kety100    17/10/2015    2 recensioni
Credo che il titolo dica tutto, no? Voglio raccontarvi una disfatta - tipo, la mia, ecco -. Perché noi abbiamo perso: ci abbiamo provato, abbiamo combattuto, ma abbiamo perso. Non che ci si possa fare gran che, a questo punto, e raccontarlo a voi non cambierà niente questo è chiaro e lampante ... ma se fossi in voi vorrei sapere cos'è successo. Almeno sapete con chi prendervela, quando le cose inizieranno ad andar male, giusto? Dunque ci sono sei regole semplici semplici che ho imparato nella mia carriera: se le avessi seguite all'inizio, forse ora non saremmo qui. Ah, e poi c'e la Numero Sette, che è quello che non dovete mai fare - e che io ho fatto, ovviamente -. Insomma, a fare questa cosa siamo stati un po' costretti, non è che ne avessimo tanta voglia, ecco. Vi racconteremo la storia in modo oggettivo, giuro, a partire dall'inizio ... è la parte più importante, quella. Che alla fine abbiamo perso lo sapete già, ma magari quello che è successo nel frattempo v'interessa.
Genere: Azione, Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Siamo qui oggi per porgere i nostri saluti alla scomparsa Natalina De Luca, nata il 25 dicembre 1898 e scomparsa il 23 dicembre 1998 »
 
Il motivo per cui si trovava nella chiesa di Sant’Antonio Abate in quella triste vigilia di Natale poteva essere riassunta più o meno così: La sua omonima bisnonna – Natalina … e poi la gente si stupiva se si faceva chiamare Nat. Nessuna persona importante si chiama Natalina – era spirata pochi giorni prima, rovinando il giorno più bello dell’anno a tutta la famiglia e facendo sprofondare i nipoti in una sorta di triste rassegnazione. I genitori non l’avevano nemmeno fatta avvicinare alla bara, sostenendo che la vista dell’amata nonna scomparsa l’avrebbe sconvolta. Nat li aveva fissati per qualche istante, prima di scrollare le spalle e voltarsi, perché infondo a lei non importava molto. Gli aveva comunque fatto notare che si era vista tutte le stagioni di Game of Thrones, di The Walking Dead e di un’altra ventina di serie TV molto violente, quindi non poteva sul serio sconvolgersi davanti ad una vecchia morta. Si era beccata una sberla ed un’occhiataccia, assieme al muto ordine di stare in silenzio e restare ferma alla panca della chiesa, assieme ad un’anziana signora addolorata che affermava di essere la migliore amica della defunta Natalina De Luca.
Nat sospirò, accasciandosi sulla panca e tirando fuori nono manga di Assassination Classroom, fresco di fumetteria e pronto per essere sfogliato. Insomma, l’aveva già letto su internet, però avere il manga fra le mani, cartaceo e reale … era tutta un’altra sensazione, diciamocelo. Le dava l’idea di godersi davvero la storia, di immergersi in quel mondo di assassini e risate che era Assassination Classroom: respirava l’aria della 3E ed escogitava piani per uccidere Korosensei. Nat non avrebbe saputo spiegarlo, ma sentiva come se le storie si facessero più reali, quando le leggeva su un libro stampato. Ma del resto non avrebbe saputo spiegare nemmeno il motivo per cui le piaceva tato leggere, quindi forse la sua opinione non contava.
« Se il mondo vero fosse più interessante, io non leggerei tanto » bofonchiò, a bassa voce e di pessimo umore, sprofondando di più nella scomoda panca ed iniziando a leggiucchiare il manga.
Come sua abitudine, iniziò a giocherellare con il portachiavi appeso alla borsa: un oggetto vecchio e spelacchiato – un animale, probabilmente –, stinto dai numerosi lavaggi. Un relitto dell’infanzia, scherzosamente nominato Mr. P da tutti i membri della famiglia e cui lei era molto affezionata. Non aveva mai avuto nulla di speciale, e Nat si era spesso chiesta perché continuasse a tenerlo. Forse perché l’aveva ricevuto da piccola e ci era abituata, non ne aveva idea. Sotto le sue dita, la morbida stoffa iniziò a pulsare.
 
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Maya era bionda. Era probabilmente la prima cosa degna di nota, in lei: quella lunga, morbida cascata di capelli di un biondo miele, caldo ed intenso come poche altre cose. Certo, poi si sarebbe potuta registrare la pelle color biscotto, di quella sfumatura particolare ed invitante che molti pensano non esista nella vita reale, oppure il fisico morbido e ben fatto, o ancora gli occhi verde-azzurro … insomma, fra tratti cesellati e sguardi intensi, Maya era esteticamente perfetta. Per compensare e somigliare ad un essere umano, avrebbe dovuto avere almeno un difetto, se non altro caratteriale: l’intelligenza di un cactus, ad esempio, oppure la profondità di una pozzanghera. O magari la vita sociale di un criceto, tanto per restare in tema metafore. Invece no: Maya sembrava racchiudere in se tutte le qualità immaginabili. Era bella ma modesta, gentile ma grintosa, innocente ma non ingenua … e si potrebbe continuare, suppongo. Apparteneva pure ad una buona famiglia, con il padre medico e la madre avvocato – e la sorella violinista di fama, certo –, rinomati in tutto il mondo per la loro bravura ed intelligenza.
Fino a pochi mesi prima, Maya Nyberg era stata una felice adolescente svedese, che viveva nel centro di Stoccolma e studiava in una delle università più importanti del paese. Certo, la Svezia era un paese gelido, ma lei vi era nata e cresciuta: amava quel luogo, ed amava la vita che conduceva. Due mesi prima la signora Nyberg, nata Vogel, era entrata nella grande camera della figlia e, accarezzandole i capelli, le aveva detto che la famiglia si sarebbe trasferita in Spagna: a nulla erano valse le proteste di Maya. Prevalentemente perché la ragazza si era limitata a chiedere se fosse proprio necessario, aggiungendo che lei avrebbe preferito restare in Svezia. Non aveva strepitato né sbattuto i piedi, non aveva gridato né si era arrabbiata: si era limitata a restare ferma al centro del salotto, mordendosi il labbro inferiore ed osservando i genitori quasi rassegnata. Ricevuta la spiegazione che sua madre aveva bisogno di caldo per qualche anno, si era limitata a ritirarsi nella sua stanza: Maya era una ragazza ubbidiente e generosa, nel momento in cui si svolsero i fatti, e non si sarebbe mai nemmeno sognata di protestare troppo alle decisioni dei genitori. Se all’epoca avesse insistito di più, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma tant’è. Andare in giro a dare la colpa ad altri non servirebbe a nessuno.
In ogni caso, fu in quel modo che la bionda si ritrovò ad impacchettare la propria roba e a salutare i propri amici, prendendo lezioni di spagnolo accelerato e ritrovandosi, meno di due mesi dopo, in un paese del tutto sconosciuto di cui conosceva a malapena la lingua. Le erano bastati pochi giorni per arrivare a non sopportare la Spagna: era troppo calda e colorata, e la gente continuava a parlare in quell’assurda lingua piena di vocali e suoni morbidi, gesticolando come se non ci fosse un domani. Nonostante tutto però, pareva che i sorrisi e le gentilezze non mancassero, anche se li … beh, era pieno di cibo piccante. Maya odiava il cibo piccante, che la faceva sudare e puzzare e le dava l’impressione di essere sporca, e promise a se stessa che alla prima occasione sarebbe tornata in Svezia. Le avevano detto, poi, che il caldo sarebbe addirittura aumentato in estate, e la bionda non aveva potuto trattenere un gemito: già quello era un Natale orrendo, perché rovinarlo ancora di più? Si era ritirata in camera sua – in effetti, era più grande e luminosa di quella vecchia, doveva ammetterlo – con un sospiro, sfilandosi la collana di cristallo che aveva al collo e giocherellandoci distrattamente. Era stato il regalo di un suo ex, qualche anno prima, ma le era piaciuta tanto che non aveva fatto la fine di tutti gli altri regali – nello specifico: nel bidone della spazzatura – e l’aveva tenuta. In quel momento però desiderò buttare anche quella, spezzare ogni legame con la sua vecchia vita: la scagliò fuori dalla finestra con un gesto rabbioso, dando sfogo con quel semplice movimento ai mesi di solitudine che l’aspettavano. Rialzato lo sguardo, non poté trattenere un grido.
 
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Bisognava ammettere che chiamare due gemelli in modo simile era comodo: per far arrivare di corsa Samantha e Samuel, infatti, alla signora Wilkes bastava un unico grido, una parola di tre lettere strillata fuori dalla finestra. Era un ottimo metodo per richiamarli all’ordine quando andavano a bighellonare in giro, stuzzicando serpenti velenosi e divertendosi a stuzzicare le pecore. I due Sam erano, in tutta sincerità, dei veri e propri teppisti. E come tutti i teppisti, erano amatissimi dalla madre e bellamente snobbati dal resto della famiglia. Il loro passatempo preferito era andare in giro a fare danni, ridendo del mondo intero e divertendosi assieme agli amici. Avevano sedici anni, quindi perché preoccuparsi?
I due non avevano, in realtà, poi così tanti amici con cui giocare: nel cuore del deserto australiano c’erano più pecore che persone. Eppure ad entrambi andava bene così. Perché non avrebbe dovuto, infondo? Avevano tutto quello che due ragazzi potessero desiderare: spazio in quantità, una lunga serie di essere viventi da tormentare … ed erano assieme. Facevano tutto assieme, letteralmente: dormivano nello stesso letto, si facevano la doccia in contemporanea non c’era verso di separarli per giocare. La madre sosteneva che era già un miracolo che i due mangiassero in due piatti distinti e non si sedessero nello stesso posto a tavola. I vicini – se di vicini si può parlare, visto che abitavano a svariati km di distanza – li chiamavano sempre “i due Sam”, e sapevano che dove andava Samantha c’era anche Samuel, e dove c’era Samuel … beh, Samantha non sarebbe di certo stata lontana.
Erano chiaramente la luce degli occhi della madre, che aveva avuto loro due dopo tre aborti spontanei e che era stata informata che non avrebbe più potuto avere figli: da li a diventare una donna apprensiva ed iperprotettiva, pronta a scusare i gemelli ed a difenderli per ogni malefatta, il passo era stato breve. Era arrivata a regalargli due portachiavi identici, rossi come i loro capelli: due semplici palline da bowling minuscole e brillanti, che anche dopo tutti quegli anni non erano scolorite affatto. La signora Wilkes affermava di non averglieli regalati nel vero senso della parola, ma che semplicemente un giorno li aveva trovati davanti alla porta ed aveva deciso che era un segno: doni di un angelo per i suoi bellissimi bambini. La signora Wilkes era molto religiosa, e credeva sia nell’occulto che in tutta una serie di fenomeni paranormali che la gente comune avrebbe definito “coincidenze” … inutile dire che i due gemelli erano venuti su più che scettici e praticamente atei. Era stato il signor Wilkes, fra una tosatura di pecore e l’altra, a convincere la moglie a far vaccinare i bambini ed a portarli non solo in chiesa ma anche all’ospedale ogni tanto: la donna diffidava di medici, ospedali e qualunque cosa non riuscisse a comprendere. Fosse stato per lei, gli aborigeni australiani avrebbero dovuto convertirsi all’istante, e l’Inquisizione avrebbe avuto il diritto di girare liberamente nel mondo portando il suo messaggio di pace e gioia cristiana.
Quel giorno tuttavia non ci furono strilli che tennero: Amelia Wilkes fu costretta ad uscire di casa, lasciando la cena incustodita, solo per scoprire che i suoi adorati bambini erano spariti dalla faccia della Terra. Inutile dire che non sarebbero bastati i servizi segreti per ritrovarli, vero?
 
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Pedro De Rosa non era nulla di speciale. Era un ragazzino smilzo, pelato, con gomiti e ginocchia appuntite e mani nervose, che agitava continuamente in tic irrefrenabili. Non aveva nulla di particolare, almeno a prima vista … ne ad una seconda, terza o quarta. Non era intelligente, sveglio o anche solo vagamente interessante sotto qualunque punto di vista. Sorrideva raramente, ed ancor più raramente si lasciava andare a risate vere e proprie. Non era capace di essere divertente, e tutto ciò che desiderava era essere lasciato in pace. In questo era effettivamente un ragazzo speciale: riusciva a passare inosservato ovunque, a casa ed a scuola, ed anche se era nel primo banco, proprio di fronte alla cattedra, capitava che gli insegnanti lo considerassero assente anche se si trovava in classe. L’unico suo conforto era un vecchio calzino sdrucito, a misura di un bambino dell’asilo – nonostante i suoi tredici anni, Pedro sembrava ancor un moccioso in età elementare –, che era finito fra le sue mani scure senza una ragione precisa. O meglio, una ragione c’era: l’aveva rubato. Molti ladri non ricordano quando hanno iniziato a far sparire le cose, ma Pedro era fra i fortunati che sapeva esattamente com’era iniziata. Si era trattato quasi di un incidente: aveva visto il calzino di Robert Bobfit, il bambino più grosso e cattivo che avesse mai visto, abbandonato in un angolo durante l’ora del pisolino, e non era riuscito a trattenersi. Aveva semplicemente allungato una mano e l’aveva preso, senza che nessuno facesse caso a lui, come al solito. Neppure i genitori si erano accorti che qualcosa non andava, e Pedro aveva scoperto la soddisfazione che gli dava allungare una mano e prendere cose che non gli appartenevano. Dai calzini era passato agli elastici, alle mollette e poi addirittura a soldi ed orologi. Oggettivamente, Pedro un po’ sveglio lo era … insomma, aveva un’intelligenza un filo più alta nella media, quando bastava per farlo andare piuttosto bene a scuola. Se avesse continuato con la sua vita, sarebbe potuto diventare un buon ladro, capace com’era di intrufolarsi nelle vite altrui non visto, abilissimo nel muovere svelto le mani. Ovviamente però, Pedro non continuò con la sua vita, sebbene in un certo senso sia diventato un ladro, di questo bisogna dargliene atto.
Quel giorno era stato particolarmente umiliante per lui: Caroline, la bionda dell’ultima fila, si era fatta beccare mentre chiacchierava con Elena e Bonnie, sue compagne di banco. Non che questo di per se fosse una novità, ma era stato Pedro a denunciarle quella volta, stufo del loro continuo chiacchiericcio e desideroso di fargliela pagare almeno un po’. Le tre si erano beccate una strigliata in silenzio, ma poi a ricreazione Pedro aveva visto Klaus, Damon e Kol, i fidanzati delle tre ochette, guardarlo da lontano con rabbia. Era quasi sicuro che l’unico motivo per cui non lo avevano pestato fossero state le ragazze, che li avevano trattenuti dopo la scuola … eppure gli altri avevano già iniziato ad etichettarlo come spione, oltre ad una serie piuttosto lunga di epiteti non particolarmente carini.
Per fortuna quel giorno la sua classe usciva prima, ed il ragazzo si era affrettato a tornare a casa e chiudersi dentro prima che a qualcuno venisse in mente di fargli qualcosa o di inseguirlo per il semplice gusto di tormentarlo. Mentre si affrettava ad accendere il computer, qualcosa lo colpì in testa, facendogli perdere i sensi.
 
 
Angolo me:
Dunque, ho deciso che cercherò di aggiornare circa ogni due settimane, in modo da avere il tempo sia per scrivere il capitolo che rileggerlo e correggerlo. Mi sono divertita da morire a descrivere la signora Wilkes – liberamente ispirata alla mia vecchia aguzzin … ehm, catechista –, e mi scuso con chiunque sia di religione cristiana. Vorrei inoltre ricordare che l’Inquisizione è taaaaaaaaanto cattiva ed il suo messaggio non era proprio pacifico e gioioso.
Inoltre, un giochino divertente da fare nell’attesa del nuovo capitolo: i personaggi cambieranno tutti nome, senza eccezione – non so nemmeno perché mi sono sprecata ad inventarmeli a questo punto, ma vabbeh –, e vorrei far decidere a voi cosa fargli scegliere. Dopo un capitolo è un po’ troppo poco, me ne rendo conto, ma magari qualcuno di voi ha già qualche idea per loro – le mie fanno un filo spoiler, temo … oooooops ^^ –. Dunque, vi chiederei di darmi i nomi nelle recensioni o come MP, come preferite, e nel prossimo capitolo li metterò nel commento: i più votati verranno inseriti. Dunque, ricapitolando:
- Si manda (MP o recensione poco importa) un altro nome per ogni personaggio – può essere anche solo un diminutivo, perché no? –. Non dovete per forza darmi un nome per ognuno di questi cinque: che ne so, magari l’utente PincoPanco ha ventordici soprannomi per Maya e mi manda solo quelli, mentre il rispettabile signor PancoPinco ne ha uno per ciascuno. Vi chiedo di non mandarmi sul serio ventordici nomi a PG però, non ce la potrei fare XD diciamo che accetto massimo tre nomi a personaggio, massimo quattro.
- In seguito, io lo aggiungo nel prossimo capitolo e saranno gli altri a dirmi quali appioppare in maniera permanente. Credo che metterò una semplice scaletta, tipo: PancoPinco propone: … blablabla, tutti felici e contenti, evviva gli sposi! Dunque, avete capito.
- Piccola nota: non provate a votarvi da soli. È inelegante, scontato e si rischierebbe di finire come nel terzo di Pirati dei Caraibi, in cui ogni pirata Nobile vota per se stesso. Se non sapete di che parlo, andate a vedere quei meravigliosi film e rifatevi gli occhi con Johnny Depp
 
P.S.
Per chi se lo stesse chiedendo, si: con Pedro ho sul serio nominato TVD, e non ho potuto fare a meno di citare le mie coppie preferite. Sto ancora aspettando che Caroline si svegli, mandi a quel paese Stefan e corra verso New Orleans più in fretta possibile per staccare la testa di quella brutta idiota di Camille. E magari per riportare un po’ di buonsenso in testa a Klaus perché no, nonostante quello che crede lui una stupida barista di NO non è il nuovo Freud. Molla la guerra e corri dalla tua vera bionda, stupido ibrido!



Ovviamente spero anche che Elagna si svegli, certo. Come potete dubitarne?
  
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