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Autore: unannosenzapioggia    18/10/2015    3 recensioni
I am lost for words / The silence burns so much it hurts
[derek hale x female!oc]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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salve a tutti!
finalmente sono riuscita ad aggiornare, nonostante (e come sempre) questo capitolo non mi piaccia per niente! detto così, non è proprio un bell'invito per voi a leggere, ma è la verità e a me piace sincera ahaha comunque, volevo ringraziarvi per aver letto, recensito e aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite, GRAZIE MILLE!
riguardo alla storia, volevo dire una cosa: come vi avevo detto all'inizio, per me è difficile scrivere su personaggi già creati dal punto di vista estetico ma soprattutto caratteriale e psicologico e giustamente, una ragazza nella sua recensione mi ha fatto notare che Derek (alla fine dello scorso capitolo) non avrebbe mai sorriso al ricordo di una Emma spaventata perchè semplicemente non fa parte del suo carattere. quindi ho pensato: se notate nei miei capitoli aspetti del carattere dei personaggi che non rispecchiano i personaggi della serie, siete autorizzati a dirmelo! non mi offendo, anzi, è un modo per me per migliorare! ovviamente, non riuscirò ad essere fedele al 100% alla serie tv, cioè io di proposito darò aspetti del carattere ai personaggi che loro di normale non hanno, però se notate qualcosa, parlate pure!
ok, ho scritto moltissimo, ma volevo dire un'ultima cosa: anche questo capitolo è tremendamente noioso, ma ho bisogno di qualche capitolo così per farvi entrare nel vivo della storia quindi abbiate pazienza! ne vale la pena (spero!!) ahahah

spero di aver detto tutto, in caso abbiate domande non esitate a chiedere!
adesso vi lascio e vi auguro buona lettura
un bacio,
Giulia
 
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CAPITOLO DUE: MIDDLE OF NOWHERE
 

La campanella suonò fastidiosamente riportandola alla realtà: chiuse di scatto l’armadietto, seccata da tutto quel baccano che la circondava e che certamente non era il massimo di prima mattina.
Il solito incubo si era presentato tutte le notti ed era abbastanza convinta che avrebbe continuato. Non aveva dormito molto bene ed era nervosa, quindi qualsiasi cosa succedesse intorno a lei la rendeva ancor più irritabile. 
Anche la seconda settimana di scuola si era quasi conclusa e ancora non era riuscita a farsi nessuno amico. Aveva conosciuto qualche studente durante le lezioni, ma nessuno ancora l’aveva invitata a sedersi a pranzo e, proprio come il primo giorno, aveva passato quelle prime due settimane in biblioteca con un libro in una mano e un panino nell’altra. Scosse la testa, ripiombando nella realtà, avviandosi in classe: la prima lezione sarebbe stata quella di chimica: si alzava più volentieri la mattina al solo pensiero di poter partecipare a quella lezione, oppure a biologia o matematica. Le piaceva tutte ciò che avesse a che fare con la scienza e poteva ritenersi anche abbastanza brava.
Nonostante questo, non era mai stata un tipo competitivo e nemmeno una di quelle persone che avrebbe fatto del male a chiunque pur di emergere e raggiungere il proprio scopo.
Con questi pensieri nella mente, entrò finalmente in classe e si sedette in uno degli ultimi posti – visto che quelli in prima fila erano stati occupati – vicino ad un ragazzo, che se ne stava appoggiato con la testa sul banco e sembrava che dormisse.
«E’ libero?» chiese.
Lui aprì di scatto gli occhi e annuì, passandosi una mano sul viso sperando di portare via la stanchezza che lo attanagliava e non gli permetteva nemmeno di tenere gli occhi aperti. Emma si sedette, tirò fuori il materiale e sperò che almeno quel giorno il professore le avrebbe fatto fare qualche vero e proprio esperimento.
Quando, distrattamente, alzò lo sguardo in direzione della porta d’ingresso, vide entrare Lydia Martin. Non la conosceva personalmente, ma aveva sentito parlare molto di lei: alcuni dicevano che fosse una sensitiva, ma guardandola bene, Emma constatò che fossero solo voci di corridoio. Come poteva una ragazza del genere, bella, popolare, alla moda essere una sensitiva? Mentre altri dicevano soltanto che fosse un piccolo genio in chimica. E questo poteva anche essere credibile. Non le staccò gli occhi di dosso finchè non si mise seduta e tirò fuori il proprio quaderno. Poi entrò un altro ragazzo che le si sedette vicino e la salutò con un sorriso. Era poco più alto di Lydia e aveva i capelli scuri e la pelle olivastra.
«Buongiorno!» la voce squillante del professore la costrinse a spostare lo sguardo di fronte a sé. L’uomo sistemò il materiale sulla cattedra e vi si appoggiò pronto a parlare «Oggi lavorerete a coppie per portare a termine un piccolo e semplice esperimento»
Afferrò l’elenco dei suoi alunni e cominciò a formare qualche coppia. Quando Emma sentì pronunciare il proprio nome, istintivamente trattenne il respiro e si preparò al peggio.
«Grimes» la voce del professore riecheggiò per tutta la stanza. Il resto della classe guardò nella sua direzione, ma Emma cercò di non farci caso. Quella situazione si ripeteva ormai da due settimane: essendo quella nuova, ogni volta che qualcuno chiamava il suo nome, tutti si giravano a guardarla, come se fosse stata un extraterrestre «Potresti lavorare con Lahey»
La ragazza si guardò un po’ intorno, cercando il suo compagno, mentre il professore riprendeva a scorrere l’elenco dei nomi. Nessuno aveva alzato la mano, nessuno si era fatto avanti: forse era semplicemente assente, o forse…
«Sono io» parlò il ragazzo seduto vicino a lei, ancora mal disteso sul banco con gli occhi chiusi, interrompendo i suoi pensieri. Li aprì lentamente e si tirò su, sorridendole. Era davvero carino e, Emma potè constatare, molto più alto di lei: aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri «Ma ti avverto: non sono per niente bravo in chimica»
Ridacchiò, scuotendo la testa: per lo meno era simpatico. Da quando frequentava quella scuola, non aveva conosciuto molte persone e quelle poche con cui aveva parlato non erano state per nulla simpatiche.
«Sono Isaac, comunque» continuò lui, afferrando qualche strumento per l’esperimento da compiere.
«Emma» rispose allungando la mano verso di lui e stringendo la sua che sembrava molto più grande. Non l’aveva mai detto a nessuno, perché la metteva in imbarazzo, ma i ragazzi con le mani grandi erano sempre stati una sua debolezza.
Quelle due ore di lezione passarono velocemente: non riuscirono a concludere l’esperimento perché troppo impegnati a parlare del più e del meno. Non avevano affrontato argomenti importanti, ma Isaac le aveva raccontato qualcosa di se stesso e di Beacon Hills. La campanella suonò e nessuno dei due se ne accorse. Si resero conto della fine della lezione, quando metà classe era corsa via per non far tardi per pranzo ed anche il professore aveva lasciato l’aula. Così, accecati dalla fame per l’ora tarda, riposero le loro cose velocemente negli zaini, e si diressero verso l’uscita.
«Ti va di mangiare insieme?» le chiese Isaac.
La verità era che a lui era subito piaciuta: aveva dormito per i primi quindici minuti di lezione perché gli allenamenti di Derek lo uccidevano. Il giorno seguente aveva sempre sonno e i muscoli gli facevano male. Però si era accorto di Emma, con quei capelli scuri, gli occhi azzurri e le labbra rosee; si era accorto che fosse timida, che non parlasse molto e che mangiasse ogni giorno chiusa in biblioteca. Non la stava invitando per pietà, ma perché credeva che fosse simpatica e, dopo le due ore passate insieme, ne era del tutto convinto.
«Dici davvero?» chiese la ragazza sorpresa, facendolo ridere. Poi si rese conto della risposta stupida e cercò di rimediare «Sì, scusa, mi- Sì, mi piacerebbe»
Isaac annuì serio e si avviarono insieme alla mensa: quando entrarono, il ragazzo si incamminò sicuro verso un tavolo in particolare e quando Emma vide chi vi fosse seduto, trasalì: aveva capito che avrebbero mangiato insieme. Loro due. Da soli. Ma, chiaramente, aveva frainteso. Non che fosse un problema, ma per lei era già difficile relazionarsi con una persona alla volta, farlo con un intero gruppo le era praticamente impossibile.
Lo seguì, finchè non si fermò di fronte al gruppo. Stiles la vide e alzò una mano per salutarla e sorrise, cercando di masticare tutto quello che aveva in bocca. Emma lo trovava adorabile e buffo allo stesso tempo. Ecco perché le era piaciuto sin dall’inizio, anche se aveva parlato con lui solo il primo giorno di scuola.
«Ciao ragazzi» disse Isaac; Emma si sedette in mezzo tra lui ed una ragazza dai capelli biondo cenere «Lei è Emma»
Tutti, ad eccezione di Isaac e Stiles, la scrutarono per qualche secondo, rendendo la situazione abbastanza imbarazzante. Lo sguardo del ragazzo che durante chimica si era seduto vicino a Lydia la stava trapassando e fu costretta a distogliere il proprio per paura di rimanerne pietrificata da un momento all’altro. Sembrava che un paio d’occhi così potessero uccidere.
«Lui è Scott» Isaac ruppe il silenzio, un po’ infastidito. Sapeva che volessero capire se Emma fosse un lupo mannaro od una semplice umana, ma stavano esagerando e la stavano chiaramente spaventando. Già lui stesso, in classe, aveva appurato che si trattasse di una normalissima ragazza, ma ovviamente non ne fece parola con nessuno «Poi ci sono Malia,» continuò indicando la ragazza seduta accanto ad Emma «E poi Lydia, Kira, Boyd ed Erica»
Emma gli sorrise riconoscente e in men che non si dica, la situazione intorno a sé cambiò. Quel momento imbarazzante in cui aveva avuto gli occhi dell’intero gruppo su di sé si era finalmente concluso e tutti ripresero a parlare, passando dal cibo scadente della mensa, al test di matematica della settimana seguente, alla partita di lacrosse di quel sabato.
«A proposito,» cominciò Malia, voltandosi verso di lei «Ti va di venire?»
La ragazza rimase ferma immobile con la forchetta a mezz’aria e gli occhi spalancati. Le stavano davvero chiedendo di vedere la partita di lacrosse insieme sabato sera? Le scappò un sorriso: non poteva crederci. Nel giro di qualche ora si era fatta qualche nuovo amico e aveva una partita a cui partecipare quello stesso weekend.
«Si, è divertente» esclamò Lydia «Io, tu, Malia e Kira possiamo vederci nel pomeriggio e andare insieme alla partita, che ne dici?»
Emma era sempre più sbalordita: aveva pensato – e ne era convinta – che quella ragazza non le avrebbe mai rivolto la parola, perché troppo impegnata a mantenere la sua facciata da ragazza bella e popolare che non si abbassa a parlare con gli alunni che nessuno conosce e che frequentano quella scuola da sole due settimane. Invece, fu costretta a ricredersi: era stata davvero gentile.
«Davvero?» ripeté, incredula.
Malia annuì sorridendo, per poi ricordarsi di un’imminente lezione di matematica. Dopo aver insistentemente pregato Stiles di non farla andare, recuperò lo zaino e qualche libro e si allontanò con un’espressione imbronciata, facendo ridere l’intero gruppo.
 
Non era mai stata ad una partita di lacrosse. Anzi, non era mai stata ad una partita. Non aveva mai fatto parte di una squadra, suo padre non era mai stato un tipo sportivo, quindi era abbastanza ovvio che non avesse alcuna passione per l’attività fisica e non fosse una grande tifosa. Nonostante questo, le piaceva l’atmosfera: erano sedute sulle gradinate in attesa che cominciasse. Aveva trascorso il pomeriggio con le tre ragazze ed era arrivata alla conclusione che fossero davvero simpatiche, anche se quella con cui aveva stretto più amicizia era stata Malia. Le piaceva perché era gentile con tutti, ma allo stesso tempo non aveva peli sulla lingua e non si vergognava di dire ciò che le passasse per la testa. Le avevano raccontato che Scott, Isaac e Stiles fossero nella squadra, ma che quest’ultimo non fosse molto bravo a giocare.
Infatti, non appena si fece buio e le luci del piccolo campo furono accese, i giocatori uscirono dagli spogliatoi e Stiles fu il primo a sedersi in panchina. Lo salutò con un sorriso e un gesto veloce della mano, quando si voltò nella loro direzione e fece intendere loro che stasera era sicuro che avrebbe giocato. Malia sbuffò, sorridendo e scese dalle gradinate per andare a salutarlo ed Emma ipotizzò che fosse la sua ragazza, mentre Kira fece lo stesso con Scott.
Nel giro di pochi minuti, anche la squadra avversaria entrò in campo e la partita ebbe inizio. Non aveva mai sentito parlare di lacrosse, quindi per la maggior parte del tempo le fu difficile capire come si giocasse: aveva intuito che fosse simile ad altri sport come il football, ma oltre a quello sapeva di non essere una grande esperta.
Lydia si alzò, dicendole che sarebbe andata a prendere da bere qualcosa per tutte, così nel giro di pochi minuti si ritrovò seduta da sola. Si guardò un po’ intorno per vedere se ci fosse qualche faccia conosciuta, ma non incontrò gli occhi di nessuno. Fu la voce di Isaac a richiamarla dal campo che la riportò alla realtà. Lo salutò con un cenno della mano mentre attraversava il campo per avvicinarsi a Scott e Kira. Si scambiarono qualche parola, che a detta di Emma non aveva niente a che fare con la partita, per poi dividersi di nuovo e tornare a giocare.
I suoi occhi si muovevano in tutte le direzioni, cercando di seguire il gioco, ma all’improvviso la sua attenzione fu attirata dal suono di un cellulare. Si guardò un po’ intorno cercando di capire da dove provenisse, ma senza successo. Così, per sicurezza, controllò che non fosse il suo. Infine, si accorse della borsa di Lydia rimasta appoggiata sulla sua postazione, vicino a lei. La suoneria proveniva da lì. Lo lasciò squillare e tirò un sospiro di sollievo quando smise. Ma quella persona richiamò per altre tre volte e Emma si guardava intorno sempre di più in cerca della rossa, per chiederle per favore di rispondere a quel telefono perché la stava facendo impazzire.
Alla quarta chiamata, sbuffò sonoramente e «Al diavolo!» esclamò, infilando una mano dentro la borsa dell’amica, estraendone il cellulare.
Rispose senza nemmeno vedere chi fosse «Pronto?»
«Lydia!» tuonò una voce maschile dall’altra parte.
Trasalì spaventata «No, sono Emma. Lydia è-»
«Emma? Emma chi?» rispose confuso, senza aspettare risposta «Devo parlare con Lydia»
Il suo tono era così serio e piatto che ebbe ancora più paura. Non sapeva se fosse meglio rispondere oppure chiudere la chiamata. Optò per la seconda opzione e agganciò, leggendo Derek, sullo schermo del cellulare. Roteò gli occhi infastidita. Adesso ricordava: l’amico di Stiles.
Si affrettò a riporlo nella borsa non appena vide Lydia tornare e non appena la rossa si sedette, il telefono riprese a squillare.
L’afferrò e rispose «Hey Derek»
«Dovete venire qui, subito»
Lydia si fece pallida «Che sta succedendo?»
«Abbiamo visite» rispose, facendola respirare velocemente «So che vi sto mettendo in pericolo, ma non so se posso farcela da solo contro sei alpha. Mio zio compreso»
«Stiamo arrivando» rispose decisa, mentre cercava di metabolizzare l’accaduto.
Solo in quel momento si ricordò di Emma, seduta vicino a sé, quindi si voltò verso di lei sfoderando un bel sorriso, ma notando comunque la sua espressione turbata, e allo stesso tempo curiosa.
«Tutto bene?» azzardò, notando lo sguardo assente della ragazza.
Lydia ritornò alla realtà «Sì, ascolta» iniziò «E’ meglio se chiami tuo padre e torni a casa»
Corrugò la fronte «Perché?»
«Fa come ti dico, ok?» la ragazza la guardò alzarsi e dirigersi verso Kira e Malia che erano rimaste a bordo campo, per seguire meglio la partita. Le osservò attentamente mentre parlavano tra loro e in un momento – come se potessero sentire da metri di distanza – anche Scott e Isaac furono vicini a loro.
Non capì come riuscirono a convincere il coach a lasciarli andare, forse non ci provarono nemmeno. Stiles si unì a loro e Isaac la guardò preoccupato per un’ultima volta, prima di allontanarsi e sparire completamente dalla sua visuale.
 
Quando arrivarono, con ancora le divise di lacrosse indosso, la porta del loft di Derek era già aperta, così non si fecero problemi ad entrare. Tutto quello che videro, furono sei enormi alpha che li guardavano quasi ridendo come se avessero voluto ucciderli da un momento all’altro. E forse, era proprio per quello che si trovavano lì. Derek dava loro le spalle, ma si voltò quando lì sentì entrare e nonostante non lo desse a vedere, si rilassò, confortato dalla presenza di un aiuto.
«Hai portato i rinforzi?» uno di loro parlò lentamente, facendo qualche passo avanti nella loro direzione. Aveva in mano un bastone e Scott non ne colse subito il senso: solo in un secondo momento si rese conto che fosse cieco e si chiese come fosse possibile. Gli altri cinque rimasero alle sue spalle, mentre il ragazzo e Isaac si avvicinavano sempre di più a Derek, lasciando indietro le ragazze.
«Sei contro uno: non mi sembrava giusto» rispose Derek.
«Sono qui solo per parlare» continuò l’uomo, rimanendo fermo sul posto. Furono gli altri lupi ad avvicinarsi. Il loro aspetto era ancora umano, ma gli occhi rossi, i canini e gli artigli erano visibili ormai da minuti interi.
«Parla»
«Ti dice niente Emma Grimes?»
Derek corrugò la fronte, senza capire, ma era sicuro di aver già sentito quel nome da qualche parte. Poi ricordò: la ragazza che aveva incontrato a scuola, quando stava litigando con Stiles e la stessa che le aveva risposto al telefono quasi un’ora prima. Senza però capire cosa c’entrasse lei in tutta questa storia, si voltò verso il diretto interessato.
«Cosa c’entra Emma?» chiese Stiles.
«Ancora niente» rispose l’Alpha «Ma mi sarà utile. Lei stessa vorrà essermi utile, visto il conto in sospeso che ho con i suoi genitori»
«No!» esclamarono all’unisono Stiles ed Isaac; Derek alzò un sopracciglio e li guardò senza capire tutta quella loro volontà nell’aiutarla: alla fine era una questione tra Deucalion e quella ragazza. Perché si era rivolto a lui? Sapeva qualcosa di cui lui non era a conoscenza? Ma all’improvviso, cominciò a sentire lo stesso sentimento dei due ragazzi. Ripensò al suo viso e al fatto che gli fosse famigliare, che non fosse nuovo. E fu questo essenzialmente e inspiegabilmente che spinse Derek a reagire, a schierarsi dalla parte di Isaac e Stiles.
«Non lasceremo che le facciate del male»
Se l’avessero intesa come una minaccia o un semplice avviso, questo Derek non lo sapeva, ma delle sue parole era sicuro al cento per cento. Guardò Deucalion sorridere spietatamente come se avesse accolto quella frase, quella minaccia, quella sfida felicemente e senza paura. Nessuno aggiunse altro, così senza il minimo rumore i sei Alpha se ne andarono, con la silenziosa, ma consapevole, promessa che sarebbero tornati presto.
Derek sospirò pesantemente, rilassandosi dopo minuti interminabili durante i quali aveva teso i muscoli fino a farli quasi strappare, e si voltò completamente verso il resto del gruppo. Isaac e Stiles lo guardavano preoccupati, mentre sul volto degli altri era dipinta la stessa domanda a cui nemmeno lui riusciva a trovare risposta: perché Emma?
«Allora?» Isaac ruppe il silenzio.
«Dobbiamo proteggerla»

 
  
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