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Autore: RisinG    19/10/2015    3 recensioni
Liberamente ispirata dalla lettura del manga, la storia si colloca 6 mesi dopo il rientro di Akito Hayama in Giappone.
Deciso ad accorrere in aiuto di Tsuyoshi, Akito impegna sé stesso e le proprie risorse in un importante torneo di arti marziali che sta per svolgersi in Giappone e che rappresenta l'ultima speranza per la famiglia dell'amico. La manifestazione sarà anche un'occasione per confrontarsi con quanto accaduto a Los Angeles durante la permanenza di 2 anni. Sana scoprirà persone ed eventi di cui era all'oscuro e dovrà decidere e trovare la strada giusta per affrontare le conseguenze di quanto accaduto insieme ad Akito.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
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Doppio confronto

Capitolo 6 - Doppio Confronto

 

Ndr 19/10/15 Non avrei mai immaginato che scrivere un racconto lungo fosse un’impresa così ardua per me. Più vado avanti, più la stesura dei capitoli diventa complicata e faticosa. Anche stavolta, non sono pienamente convinto di essere riuscito a rendere nel migliore dei modi tutto quello che avrei voluto raccontare, per cui lo capirei se dovessero giungermi eventuali critiche. Tuttavia, la storia prosegue prendendo sempre più forma. Questo estratto illumina un aspetto fondamentale della vita di Sana che fin ad ora non aveva trovato collocazione nella mia linea temporale. Auguro a tutti una buona lettura, e resto a vostra disposizione.

 

***

Quella sera si annunciava tranquilla in casa Kurata. L’esperienza della cena di gruppo era rimasta fortunatamente un unicum della carriera di Sana in quanto cuoca, dopo il quale, la ragazza aveva nuovamente consegnato le redini della cucina alla signora Shimura. Con somma soddisfazione da parte di tutti.

Dopo cena la ragazza si era rinchiusa nella propria stanza asserendo di voler telefonare ad Akito e la signora Kurata l’aveva imitata adducendo la scusa del manoscritto (alla quale, beninteso, nessuno più credeva da un pezzo).

Soltanto una persona, all’interno della villa, sembrava non riuscire a godere di quell’atmosfera pacifica.

Da diverso tempo, Rei Sagami tentava di avere, senza successo, una conversazione con Sana. Ma la ragazza continuava inesorabilmente a sfuggirgli adducendo le motivazioni più inverosimili. Se non avesse preso un’iniziativa decisa, quel dialogo a cui tanto teneva non sarebbe mai avvenuto.

Era ormai giunto al punto di sentirsi letteralmente divorato dall’ansia.
Non desiderando altro che porre fine a quel tormento, si decise a salire con convinzione al secondo piano e bussare alla sua porta.

Le avrebbe parlato senza esitazioni. Avrebbe persino rischiato di rompere il loro decennale rapporto di lavoro, amicizia e stima reciproca. Ma tacere sarebbe stato colpevole, a quel punto.

Era già in piedi davanti alla soglia e aveva alzato la mano per bussare quando lo colse un attimo di esitazione che gli congelò il braccio a mezz’aria.

Innumerevoli preoccupazioni presero ad affollargli la mente; tutta la sua sicurezza iniziale svanì in un lampo. Cosa sarebbe stato di lui se la discussione avesse preso una piega spiacevole? Avrebbe dovuto lasciare la casa? Sana stessa gli avrebbe chiesto di farlo?

Si rese conto di star sudando; inspiegabilmente sentì l’esigenza di aggiustarsi il nodo della cravatta, quasi dovesse presentarsi ad un importante appuntamento di lavoro. Il suo disagio era lampante.

Era ancora lì in piedi a tormentarsi quando la porta della stanza si aprì improvvisamente.

Rei, colto totalmente alla sprovvista, ebbe un immediato sobbalzo che quasi lo fece inciampare. Al contrario, il volto di Sana, emerso dall’interno della camera, appariva sereno.

- Da quando hai paura di me? - gli chiese sorridendogli timidamente.

L’uomo, ancora scioccato, esibì un’espressione confusa che le fece scappare una risatina nervosa.

- Mi aspettavo di trovarti qui - spiegò lei, inclinando leggermente testa.

- Io… davvero non so cosa dire - balbettò Rei, mortificato, non trovando ancora il coraggio per guardarla negli occhi.

La ragazza sorrideva ancora.

- Be’, qualcosa dovrai pur dirmi. Ormai sono giorni che ci provi, e stasera a cena era evidente che fossi tormentato; ho semplicemente tirato le somme -

- Quindi te lo aspettavi… La telefonata ad Hayama… - intuì lui, cominciando a riacquistare padronanza di sé e della situazione.

Questa volta, toccò alla ragazza abbassare lo sguardo.

- Era solo una scusa… Ero d’accordo con la mamma - disse semplicemente
- Ti va di entrare? - propose spostandosi leggermente dall’uscio.

Non appena ebbe messo piede all’interno, Rei prese subito posto alla sedia della scrivania; Sana si accomodò sul letto, le braccia protese sulle gambe e la testa china tipica di chi nutre un senso di colpa.

Rimasero in silenzio per alcuni secondi; alla fine, fu proprio lei a prendere l’iniziativa.

- Io… Credo di doverti delle scuse, Rei - esordì guardandolo.

Lui rimase muto. Una parte di sé fu felice di quelle parole; l’altra cominciò a sentire il peso di aver nascosto fino a quel momento i suoi sentimenti.

Decise comunque di non intervenire e lasciarla proseguire.

Sana si fece coraggio, e continuò.

- So che cosa pensi. E’ dal ritorno di Hayama che ho abbandonato quasi del tutto il lavoro. Non ti ho dato spiegazioni e ho lasciato che ti tormentassi per tutti questi mesi. Credevo, col tempo, di essere diventata una persona meno insicura; invece mi rendo conto di avere ancora una volta tentato di aggirare un problema senza risolverlo. Ti prego di scusarmi, non avrei dovuto - disse dispiaciuta.

I grandi occhi castani esprimevano una tenerezza infinita. Il suo rammarico era commovente; Rei non avrebbe potuto portarle rancore nemmeno se gli avesse fatto un torto assai peggiore. Ciò nonostante, era pur sempre deciso a dirle senza esitazione qualcosa che l’avrebbe fatta sicuramente soffrire.

Sospirando, si tolse gli occhiali da sole, che ancora usava indossare ogni volta che parlava con lei, e la guardò.

- Riesci sempre a sorprendermi. Pensavo già a quanto sarebbe stato difficile confessarti tutto, ed ecco che arrivi tu e mi togli dall’imbarazzo. Sei molto più matura di quello che credi - le disse sincero, facendola sorridere ancora.

Era un po’ più rassicurata quando gli si rivolse di nuovo.

- Quindi non ce l’hai con me? - chiese ancora un po’ timorosa.

Rei scosse la testa.

- No Sana, non ce l’ho con te. Non posso nasconderti di aver sofferto molto, soprattutto nelle ultime settimane - rispose - Ma non posso dimenticare tutto quello che hai fatto per me sin da quando eri piccola - aggiunse francamente - Vorrei solo che tu mi dicessi quali sono i tuoi progetti per il futuro… -

Tirò un lungo sospiro e finalmente le fece la domanda che avrebbe chiarito tutti i suoi dubbi; e deciso il suo futuro.

- Con me puoi essere onesta. Perché hai abbandonato la carriera? Riprenderai prima o poi a lavorare? Desideri ancora… Che io sia il tuo manager? -

La ragazza chiuse gli occhi, prendendosi qualche momento per riordinare le idee. Avrebbe cercato di spiegargli le cose coerentemente, senza farsi prendere dall’emozione.

- Le cose hanno preso una piega strana negli ultimi mesi - esordì tormentandosi le mani - Il lavoro è sempre stato importante per me; è vero, ho deciso di metterlo da parte temporaneamente, ma questa situazione potrebbe cambiare in futuro… -

- A cosa ti riferisci? - le domandò Rei, non riuscendo ancora a mettere a fuoco il problema, ma cominciando a intuirne l’origine.

Il sospetto divenne certezza mentre le chiedeva - Dimmi la verità, sei sicura che non si tratti di nuovo di Hayama? -

- No, no, non è così - ribatté Sana, punta sul vivo, arrossendo leggermente in viso.

Di nuovo, scese il silenzio, dovuto stavolta alla poca credibilità della risposta.

- Forse è così - riconobbe alla fine la ragazza, alzando la testa - Ma non per le motivazioni che credi tu - aggiunse convintamente.

Rei accavallò le gambe, tentando di darsi un tono. Portò la mano destra all’altezza del mento, assumendo un’aria da pensatore talmente fuori posto sulla propria persona, che a Sana venne una gran voglia di ridere, nonostante il momento fosse delicato.

Ma non avrebbe riso, se avesse saputo che poco prima, nella mente del suo manager, alla parola “Hayama” si erano risvegliati sentimenti legati ad un’inimicizia mai celata e al fastidio di trovarsi di nuovo il biondino tra i piedi come fonte di problemi per la ragazza verso la quale provava lo stesso affetto di una sorella minore.

- Io non credo niente; so soltanto quello che vedo - le disse Rei, guardandola negli occhi in un modo che quasi le mise paura.

L’uomo sentì montare dentro di sé un incontenibile risentimento verso Akito. Non gli erano forse bastati i guai che aveva già causato in passato? Perché quel teppista non si decideva a uscire una buona volta dalla vita della ragazza? Più ci rifletteva, e meno gli sembrava possibile che un animo nobile come quello di Sana potesse avere affinità con uno arido come quello di Hayama.

- E quello che vedo - proseguì alterandosi a causa di quei cattivi pensieri - è un’attrice che spreca il proprio talento per correre dietro al suo ragazzino; come manager, ho il dovere di consigliarti di rifletterci bene; stai commettendo un grosso errore -

Più che la scarsa considerazione nei confronti della sua maturità, fu il sentir nominare Hayama “ragazzino” a non piacerle per niente.

Sana sentì crescerle nel petto uno sdegno bruciante; le riuscì di mantenere momentaneamente la calma e non rovinare subito tutto; ma non poté mascherare l’acredine nel tono della voce.

- Non si tratta di correre dietro a nessuno! - ribatté caustica - Sai Rei, ci sono delle cose più importanti del lavoro, a questo mondo! -

Rei si sentì accusato e rispose senza riflettere - Senza dubbio, ma a volte mi domando se tu sia in grado di riconoscerle ancora! -

Qualcosa nell’atmosfera era cambiato. Una gelida tensione era calata tra di loro ed entrambi apparivano maldisposti l’uno verso l’altro.

- La verità è che a te Hayama non è mai piaciuto - lo accusò lei alzandosi di scatto dal letto, senza più riuscire a dominarsi.

Rei si alzò a sua volta; nel suo volto, ormai più nessuna traccia di giovialità - E’ vero; non mi è mai piaciuto. Troppe volte ti ho vista soffrire a causa sua; la vostra è una storia disgraziata -

La durezza di quelle parole fu tale che a Sana parve di ricevere un ceffone in pieno volto. L’astio di Rei nei confronti del suo ragazzo la ferì profondamente.

- Come puoi esprimerti così? - lo aggredì - Tu non lo conosci! Non sei in grado di giudicarlo! Ti è mai venuto il sospetto che potrei avere le mie buone motivazioni per comportarmi così? Non è stato Hayama a chiedermi di rinunciare al lavoro! L’ho deciso io, di mia iniziativa, e quello che abbiamo passato non ha niente a che vedere con questo… -

Il manager allargò le braccia, lasciando che il fiume di parole che aveva tenuto in serbo si riversasse su di lei, crudelmente. Nonostante sapesse che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla; nonostante si fosse preparato per mesi a quel momento, il suo temperamento tranquillo venne meno.

- Sana… Ha tutto a che vedere! Perché non riesci a capirlo? Neanche una storia tra due adulti avrebbe potuto essere più complicata della vostra! Ti ritroverai sola e ti resterà solo il rimpianto di aver mandato tutto all’aria! -

Per Sana, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non riuscì più a ragionare coerentemente; il risentimento le colorò le gote di rosso e le fece salire le lacrime agli occhi. Puntando il dito contro l’uomo che prima di Akito aveva rappresentato il centro del suo modo insieme alla madre, lo accusò violentemente e con parole gravi.

- Sei un egoista! Tutto ciò che ti preme è salvaguardare la tua posizione di manager! Sei mosso unicamente dall’interesse per il denaro! -

Nel volgere di pochi secondi, l’implacabile crepa delle incomprensioni si propagò da un capo all’altro della stanza, sacrificando il loro rapporto sull’altare delle meschinità umane.

Rei rimase lì attonito, sconvolto. Gli sembrò di essere vittima di un incubo orribile. Fu costretto a prendere atto che i suoi timori erano divenuti realtà; se ciò fosse avvenuto per colpa sua, o di Sana, a questo punto non aveva più alcuna importanza. Tutto era andato in frantumi.

Lentamente, nonostante fosse sera tarda, si infilò di nuovo gli occhiali da sole e disse con voce rotta.

- Ti auguro ogni bene. Lascerò questa casa stanotte stessa; abbi cura di te -

E con passi gravi si avviò fuori dalla stanza. Quando chiuse dietro di sé la porta della stanza, rimase ancora per un momento fermo sulla soglia, sperando infantilmente che Sana lo richiamasse, che potessero parlare ancora un’ultima volta.

Sospirando, si diresse in camera sua con la morte nel cuore.

 

 

Sana era rimasta in piedi al centro della stanza; non era riuscita a trovare la forza di fermarlo. Provava un odio bruciante per Rei; non soltanto per come avesse tenuto in scarsa considerazione la maturità delle sue scelte; ma anche, soprattutto, perché aveva risvegliato il mostro dell’inquietudine che aveva albergato stabilmente nel suo cuore.

Sfinita, si distese sul letto portandosi una mano alla fronte.

A sé stessa, non poteva mentire. Sapeva che le parole di Rei sulla sua storia con Hayama erano in parte vere. Era stata una relazione maledettamente complicata; e lei aveva sperato che dopo il rientro del ragazzo dagli Stati Uniti il peggio fosse passato.

Invece, il nuovo Akito, pur essendo ancora il ragazzo di cui si era innamorata prima della partenza, era tornato con addosso una specie di infelicità di cui lei si era accorta immediatamente.

Aveva cercato di scavargli nell’animo per carpirne qualcosa; ma per la prima volta non ci era riuscita. Il ragazzo aveva preferito non dirle niente, limitandosi a vaghe rassicurazioni alle quali non aveva creduto.

Per aiutarlo e stargli vicina, aveva comunque deciso di abbandonare temporaneamente tutte le sue attività, compresa quella radiofonica di assistenza sociale che così tanto l’aveva confortata durante i 24 mesi di assenza di Hayama.

Quella scelta le era sicuramente costata parecchio, poiché Sana amava molto il suo lavoro; semplicemente, si era accorta di amare di più lui, e aveva desiderato ardentemente che questo bastasse.

E tutto sommato, era quasi bastato. La vita aveva ripreso in qualche modo a scorrere tranquillamente. Si era abituata a non lavorare più, anche se saltuariamente le veniva ancora un po’ di nostalgia dei tempi in cui, affaccendata e correndo a perdifiato, sfrecciava in macchina con Rei da una stazione televisiva all’altra.

In quel momento però, la paura delle cose non dette ed i sensi di colpa per aver ferito Rei con parole che non appartenevano al suo mondo, avevano messo in bilico quasi tutte le sue certezze; sicché ebbe la sensazione che tutto le stesse sfuggendo di mano; si rannicchiò su di un fianco e pianse.

 

 

Akito guardò il display del cellulare ancora per un momento, poi si decise ad attaccare. Era strano che non rispondesse, dal momento che aveva insistito così tanto per essere tenuta al corrente sull’andamento degli allenamenti.

- Mah, chi la capisce è bravo - mormorò a sé stesso infilandosi il cellulare nella tasca.

La sorella, di passaggio nel salone dopo aver sistemato in cucina, lo sentì sussurrare e volle tentare di saperne di più, da brava curiosa quale era.

Si avvicinò con passo felpato alle sue spalle, approfittando del rumore di fondo della televisione accesa per non farsi udire.

- Va tutto bene? Per caso Sana non è raggiungibile? -

Akito ebbe un sobbalzo che lo fece scattare in piedi alla stregua di un marine sull’attenti. Si voltò infastidito verso la ragazza.

- Natsumi! Ti sembra questo il modo di arrivare alle spalle? -

La ragazza rise - Suvvia era solo un gioco, non capita spesso di vederti usare il cellulare -

Akito alzò le spalle - Solo quando serve; non come te che ci perdi le giornate; finirai per lobotomizzarti il cervello -

Per quanto fosse più grande di lui di alcuni anni, Natsumi soffriva di reazioni che il fratello faticava a comprendere e che la rendevano, almeno all’apparenza, molto più infantile.

Gli mostrò la linguaccia - E’ una fine che farai tu molto prima di me se continui a beccarti tutti quei colpi in testa col karate -

La stessa lingua tagliente restava comunque la prova più lampante della loro parentela.

Erano sul punto di continuare a beccarsi quando improvvisamente suonò il campanello.

Il padre di Akito, Fuyuki Hayama, giunse dalla stanza attigua e andò ad aprire lasciandosi alle spalle i figli interdetti : Non erano soliti ricevere visite a quell’ora.

 

 

- Buonasera; posso sapere con chi ho il piacere? - chiese garbatamente, rivolgendosi allo sconosciuto che stanziava sulla soglia di casa sua.

L’uomo indossava un lungo pantalone marrone oltre ad una camicia bianca lasciata cadere sul ventre prominente.

Da sobrio, Ohki-san aveva un aspetto decisamente più rassicurante rispetto al solito. Dovendo presentarsi alla famiglia Hayama, aveva saggiamente deciso di evitare di ricorrere al solito cicchetto serale.

Magari avrebbe recuperato il tempo perduto una volta rientrato a casa.

- Buonasera a lei; si ricorda di me?      Il mio nome è Tsumuri Ohki e sono il padre di Tsuyoshi -

Sentendo nominare l’amico del figlio, Fuyuki finalmente lo riconobbe. L’ultimo ricordo che aveva di lui risaliva ai tempi in cui Akito e Tsuyoshi frequentavano ancora le elementari; si ricordò di averci avuto a che fare in occasione di uno degli ultimi consigli scolastici.

- Il padre di Tsuyoshi, ma certo. E’ un piacere rivederla; la prego, desidera accomodarsi? Posso esserle utile? -

- E’ molto gentile, grazie - disse Tsumuri, riconoscente.

 

Non appena furono entrati in casa, la reazione di Akito non tardò a manifestarsi.

- Papà, che cosa ci fa lui qui? - chiese il ragazzo con fare aggressivo, accigliandosi.

Il padre rimase titubante per un momento.

- Akito, conosci già il signor Ohki, il padre di Tsuyoshi? -

Akito serrò i denti; durante il loro ultimo incontro, di fronte all’indifferenza che aveva manifestato verso il destino dei propri figli, lo aveva apostrofato “pelatone” rischiando di scatenare una colluttazione.

- Certo che lo conosco - rispose bruscamente.

Il padre di Tsuyoshi alzò le mani nel tentativo di manifestare le sue intenzioni pacifiche.

- So di non godere della tua stima, Hayama-kun; sono venuto qui soltanto per parlare e nient’altro; ti prometto che andrò via presto -

Akito, di tutta risposta trattenne a stento uno sbuffo. Quella visita si annunciava come l’ennesimo fastidio.

Natsumi aveva assistito alla conversazione, e per rompere l’imbarazzo che si era venuto a creare propose energicamente.

- Perché non vi accomodate tutti in cucina? Preparerò qualcosa di fresco da bere -

Il padre, colse al volo l’occasione - Davvero una buona idea, figliola. Venite, avanti - e li condusse nella stanza.

Seduti tutti e tre intorno al tavolo, con Fuyuki al centro e gli altri due di lato, l’atmosfera non era delle più serene.

Akito continuava a guardare Ohki-san in cagnesco, e sembrava pronto a scattare alla prima occasione buona. Il padre di Tsuyoshi, nel frattempo, cercava ostinatamente di mantenere un contegno degno di un funerale.

Alla fine fu il padre di Hayama, dopo aver saettato lo sguardo da un capo all’altro del tavolo, a prendere la parola, con la solita calma e compostezza.

- Allora signor Ohki, immagino che il motivo di questa visita abbia in qualche modo a che fare con il torneo. C’è stato per caso qualche problema con i documenti? -

Tsumuri alzò finalmente la testa, che aveva tenuto calata fino a quel momento.

- Assolutamente no; tutto è in regola e pronto per l’inizio della competizione tra 45 giorni -

- Allora che cosa è venuto a fare? - si intromise prepotentemente Hayama

- Akito… - fece suo padre tentando di riportarlo alla calma

- Lasci stare, Hayama-san - lo tranquillizzò il padre di Tsuyoshi - Suo figlio ha tutte le ragioni per avercela col sottoscritto. In realtà sono venuto qui stasera solamente per ringraziarlo -

Akito si accigliò - Mi dispiace, ha sprecato il suo tempo. Non occorre che mi ringrazi di nulla -

Tsumuri insistette - Invece devo farlo. Stai rendendo un grande favore a me ed alla mia famiglia; voglio che tu sappia che non lo dimenticherò. Anche Tsuyoshi mi è sembrato contento - aggiunse con fare malinconico.

Ma il biondo non era disposto a cedere così facilmente.

- Ma davvero… Da quando le importa se suo figlio è contento? - chiese con crudele sarcasmo.

Ohki-san abbassò la testa.

- Da molto più di quanto tu non creda - gli rispose stringendo i pugni. Sapeva che quel ragazzino sarebbe stato un osso duro, ma non immaginava fino a quel punto.

A quel punto, Fuyuki intervenne tentando di riportare il dialogo a livelli accettabili di civiltà.

- Akito, non potresti essere meno severo con il nostro ospite? Ricorda che è giunto fin qui per ringraziarti, pertanto merita un trattamento più rispettoso da parte tua -

- Il mio rispetto ce l’hanno le persone che lo meritano - ribatté Akito girandosi verso il padre - Quest’uomo non ha la minima idea dei danni e delle sofferenze che le sue azioni hanno causato. Lo dimostra il fatto che sia venuto qui stasera -

Tsumuri lo guardò strabuzzando gli occhi - Che cosa intendi dire? -

Hayama si voltò verso di lui - Visto che non riesce a capirlo da solo; glielo dirò io. In questo momento lei non dovrebbe essere qui a parlare con me, bensì dall’altra parte del quartiere a tentare di spiegare a sua moglie come mai suo figlio verrà pestato a sangue nel prossimo torneo! -

In quel momento giunse Natsumi con le bevande fresche e tutti ne approfittarono per prendersi una pausa doverosa.

Il padre di Tsuyoshi utilizzò quel fortunoso momento di break per raccogliere le idee, sorseggiando la bevanda.

Posando lentamente il bicchiere si rivolse al giovane.

- Se potessi ancora parlare con mia moglie, credimi, lo farei. In compenso, posso parlare con te. Perciò ti prego di ascoltare quanto ho da dirti -

Di ascoltarlo, Akito non aveva alcuna voglia, tuttavia un’occhiataccia del padre lo fece desistere dal protestare ancora.

Respirando profondamente, Tsumuri parlò senza riserve. La gravità nella sua voce gli ricordò molto quella del figlio la sera in cui gli aveva chiesto aiuto.

- So di aver sbagliato molte volte nella mia vita. Ho avuto già modo di pentirmene senza che tu infierisca su di me; e pagherò con la solitudine il prezzo delle mie scelte errate. Tutto ciò che desidero adesso è aiutare la mia famiglia rispettando l’ultimo vincolo che mi lega a loro : Quello economico. Per questo ti ringrazio per aver deciso di aiutare mio figlio, e che tu ci creda o no, hai la mia gratitudine -

Si trattava, in bocca a lui, di un ringraziamento sincero. Persino Akito non poté restare indifferente di fronte al suo parlare onesto, e assunse un atteggiamento lievemente meno ostile nei suoi confronti.

Ciò nonostante, non fece sconti quando gli disse come la pensava.

- Tsuyoshi non ha alcuna possibilità di farcela -

L’uomo lo guardò tristemente.

- Ne sei sicuro? -

- Purtroppo, è una certezza - rispose Akito bevendo dal suo bicchiere
- Non crederà possibile imparare il karate in poco più di 2 mesi? Lei gestisce una palestra, dovrebbe sapere come funziona - aggiunse causticamente.

A quel punto suo padre volle fargli una domanda.

- Akito, tu hai seguito un programma speciale in America… Non pensi che sia possibile fare in modo che Tsuyoshi possa seguirne uno identico? Aumenterebbe le vostre possibilità -

- E’ quello che stiamo già facendo - gli rispose il figlio - Ma abbiamo comunque poco tempo -

- Se solo voleste… - propose timidamente Tsumuri - …Potreste venire ad allenarvi alla palestra, a Shinjuku… -

Akito non si diede neanche la pena di rispondergli. Andare ad allenarsi in palestra, come in qualsiasi altro luogo, non avrebbe inciso sulle loro possibilità di vittoria. Era una mera questione di tempistica.

- Cosa pensi che succederà? - gli chiese Fuyuki.

- Per come la vedo io - spiegò Akito - Stiamo parlando di un’impresa disperata. A questo torneo parteciperanno alcuni tra i migliori atleti di karate in circolazione. Tsuyoshi ha una volontà ferrea e sta imparando velocemente; tuttavia stiamo parlando di pochi mesi di addestramento che si scontreranno contro anni di preparazione atletica. Il risultato è scontato -

Tutti, al tavolo, colsero la spiacevole allusione che il ragazzo aveva volutamente lasciato incompiuta.

Tsumuri sentì una morsa di disagio serpeggiargli dentro, e improvvisamente ebbe paura per le sorti del figlio. Una paura che l’entusiasmo per la sua partecipazione al torneo aveva tenuto sopita fino a quel momento.

- Per questo le dicevo di non ringraziarmi - continuò Hayama, alzandosi dal tavolo - Dovrebbe farlo se potessi garantirgli di vincere, ma non posso; l’unica cosa che posso garantirle, è che andrò fino in fondo, insieme a lui -

A quel punto, Ohki-san si rese conto che la conversazione era terminata, e fece anch’egli per alzarsi e tornare a casa. Prima di congedarsi, volle tuttavia chiedere un ultimo favore al ragazzo.

- Nonostante non parliamo quasi mai, ho visto mio figlio molto contento in questi giorni; sembra una persona nuova da quando si allena con te, pare stia anche acquisendo più fiducia in sé stesso. Per favore, non dirgli nulla sulla mia visita di questa sera, ma soprattutto, non rivelargli che secondo te non ha speranze; gli taglierebbe le gambe -

Akito volle protestare - Io non mento mai -

- Non ti sto chiedendo di mentire; soltanto di considerare il fatto che è meglio che lui arrivi al torneo convinto di potercela fare piuttosto che con la certezza di perdere datagli dal suo stesso sensei - rispose stancamente Tsumuri - Conosco mio figlio percui accetta questo buon consiglio : convincilo di essere forte e lui lo diventerà davvero - dopodiché si rivolse al padre di Hayama.

- La ringrazio per avermi accolto in casa sua stasera, e perdoni ancora se l’ho disturbata a quest’ora -

Fuyuki lo salutò con garbo - Ma le pare; sono sicuro che avremo modo di rivederci anche prima del torneo. Si riguardi -

Ohki-san uscì dalla casa assaporando la piacevole brezza di quella calda sera d’estate. Sospirando, alzò la testa rivolgendo lo sguardo alle stelle, e si disse che, forse, quella sera avrebbe anche potuto evitare il cicchetto della buona notte.

 

 

Akito, suo padre e la sorella avevano preso di nuovo posto a sedere sul divano del salotto. La televisione stavolta era spenta e tutti e tre aspettavano in silenzio il momento giusto per parlare.

- Sembra un uomo migliore di quanto appaia - osservò Natsumi

- Ha abbandonato la famiglia. Si è ritrovato senza un soldo, e adesso sta cercando un modo per uscirne; è fortunato ad avere un figlio che si prenda cura di lui, nonostante non lo meriti - rispose Akito.

- Tutti possiamo sbagliare, nella vita - gli fece notare suo padre con una punta di disagio, dovuta certamente alla delicatezza del discorso che stavano affrontando - Ma è confortante sapere che voglia rimediare ai propri errori - aggiunse imbarazzato.

Hayama non poté fare a meno di ricordare che anche loro, un tempo, erano stati una famiglia divisa e segnata dal dolore. Il rapporto difficile che aveva avuto con la sorella e con il padre lo avevano profondamente destabilizzato durante quegli anni bui.

Il ragionamento lo portò ad apprezzare ancora di più il cuore d’oro di Tsuyoshi, che nonostante le avversità, aveva messo da parte il risentimento nei confronti del padre, per aiutare lui e la sua famiglia.

Gli venne da chiedersi come avrebbe reagito lui, al posto dell’amico, se a trovarsi in difficoltà durante quegli anni bui, fosse stato uno dei suoi parenti.

Per fortuna, aveva avuto Sana al suo fianco, ad aiutarlo e a riportare la serenità; decise allora che Tsuyoshi avrebbe avuto lui.

Quel pensiero lo spinse di nuovo a domandarsi come mai Sana non avesse risposto alla telefonata fatta mezz’ora prima. Avrebbe voluto ritentare, ma l’ora tarda lo fece desistere. Tuttavia, uno spiacevole presentimento gli tenne compagnia per tutta la notte.

 

 

Sana non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare alla lite con Rei e alle parole dure che si erano rivolti quella sera.

Ancora stesa nel letto con indosso una leggera sottoveste, guardava fissamente lo schermo del proprio cellulare dove lampeggiava la chiamata persa da parte di Hayama.

Avrebbe tanto voluto rispondergli; ma una sorta di blocco psicologico dovuto agli avvenimenti di quella sera l’aveva portata ad ignorare la telefonata.

Quella notte, la ragazza rifletté a lungo senza chiudere occhio sul da farsi. Poco prima dell’alba, decise che al più presto avrebbe parlato al ragazzo, nonostante la prospettiva le incutesse una strana paura che non sapeva spiegarsi.

“Non posso più esitare; adesso devo capire” si disse girandosi nel letto per l’ultima volta prima di cedere alla stanchezza. Il suo, fu un sonno agitato. Di nuovo, l’incubo della bambola tornò a manifestarsi con la sua terrificante presenza, facendola piangere nel sonno.

 

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