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Autore: Roof_s    19/10/2015    1 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Harry

 

Ero spaventato, elettrizzato e sconfortato allo stesso tempo. Mi fermai sul bordo della stretta stradina sterrata, ascoltando il lontano suono dell'acqua che scorreva al di là degli alberi dietro cui mi ero riparato.
Spensi il mio lettore mp3 e lo infilai nella tasca dei pantaloni della tuta sportiva. Non riuscivo a concentrarmi su nient'altro che non fosse il pensiero della serata del giorno seguente, quando avrei finalmente suonato per la prima volta davanti a un pubblico vero e proprio. Niente più pareti insonorizzate a nasconderci al resto del mondo, niente più applausi isolati da parte di Elisabeth, l'unica in grado di giudicare la nostra bravura. Avrei davvero impugnato il microfono e cantato davanti a buona parte della scuola che frequentavo da anni nell'anonimato. Se all'inizio avevo pensato che Catherine Alexandra avesse combinato solo più casini del normale nella mia vita, nelle ultime ore mi ero convinto che, in fin dei conti, l'averla salvata fosse stata una vera fortuna.
Mi appoggiai al tronco dell'albero alle mie spalle e restai immobile ad ascoltare il fiume scorrere e il ritmo regolare dei miei respiri affannati dopo la corsa.
Sapevo perfettamente quali erano le sue intenzioni: aveva accettato di invitarmi alla sua festa solo per farmi tacere e, nelle sue più rosee speranze, per ridicolizzarmi in maniera definitiva davanti a mezza scuola. Catherine Alexandra non sapeva nulla della band, non poteva capire quanti sacrifici io e i miei amici avessimo fatto per suonare insieme, non aveva idea di quanto significasse per me il canto; ecco perché ero sicuro di poter vincere anche quella battaglia. Lei si illudeva che io, Haydn, Nick e Will fossimo tanto incapaci nella musica quanto lo eravamo alle prese con la vita di tutti i giorni, ma si sbagliava di grosso e io ero felice di poterla finalmente zittire.
Mi riscossi da quei pensieri e feci marcia indietro, diretto verso il passaggio che dal folto della boscaglia portava al sentiero vicino alla riva del fiume. Ero stanco ma felice, e correre mi aiutava a restare in esercizio per quando mi si sarebbe presentata l'occasione di cantare. Apparentemente sembrava andare tutto alla grande, se non fosse stato per l'aria carica di sospetto che tirava tra me e i miei amici fin da quando era venuta fuori quella storia del segreto che mi legava a Catherine Alexandra.
Se Will e Nick avevano presto smesso di bombardarmi di domande, lo stesso non si poteva di certo dire di Haydn, il quale mi trattava con un certo fastidioso distacco da ormai una settimana. E a poco era servito annunciare ai miei amici l'invito di Catherine Alexandra come la migliore occasione di sempre: la notizia aveva solo aumentato i sospetti del mio migliore amico, rinforzando la sua convinzione che io stessi tramando qualcosa alle sue spalle.
Sospirai e salii il sentiero scosceso fino a raggiungere il ponte.
Non sto facendo nulla di male, Haydn! Come diavolo devo dirtelo?”
Scossi il capo, bruciante di vergogna al ricordo delle domande indagatrici di Haydn il giorno prima. Era difficile cercare di convincerlo della mia sincerità quando in verità ero costretto a tener fede alla promessa fatta a Catherine Alexandra. Non avevo alcuna intenzione di rivelare ai miei amici delle sue idee suicida, perché sapevo che si trattava di una questione delicata; al tempo stesso, però, non potevo fare a meno di pregare Haydn di fidarsi di me senza prove concrete, perché io non ero né interessato né affezionato alla sua amata.
Catherine Alexandra era quanto di più distante e diverso da me ci fosse al mondo: amava far soffrire la gente ed ero certo che, se si fosse ritrovata al mio posto, non avrebbe esitato un istante a spiattellare un segreto così grande alle sciocche amiche che si portava sempre dietro. Non apprezzava le sue amiche e le trattava come schiave; non era nemmeno lontanamente innamorata del suo fidanzato, che usava come icona per sfoggiare la sua influenza su tutto e tutti; eppure qualcosa in tutto ciò continuava a non convincermi. Nonostante Catherine Alexandra giocasse quel ruolo così perfettamente da sembrare reale, io ero convinto che la sua fosse in parte una messinscena. Certo, aveva un modo di fare altamente arrogante e prepotente, ma era davvero così stupida e superficiale come voleva sembrare?
Percorsi i larghi viali di Holmes Chapel pensando all'ultima conversazione avuta con quella ragazza così strana e insopportabile: l'avevo aggiunta su Facebook e lei, insospettatamente, aveva accettato la mia richiesta d'amicizia. Dopo essermi visto trattare con i soliti modi bruschi, avevo dato un'occhiata al suo profilo virtuale: anche lì, come nella vita reale, si era creata un'immagine gloriosa e del tutto falsa. Le sue foto erano contrassegnate da cifre vertiginose di 'mi piace' e i commenti dei suoi ammiratori non facevano altro che accrescere l'idea di perfezione che si era creata attorno a lei.
Quando giunsi a casa, vagando da un pensiero all'altro, notai quasi subito le luci accese al piano terra. Mia mamma aveva detto che sarebbe arrivata da lavoro verso le sette e mezzo, e l'orologio al mio polso segnava appena le sette meno un quarto.
Aprii il cancello e arrivai alla porta. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedere chi ci fosse in casa, che una ragazza castana piuttosto carina irruppe nella stanza strillando il mio nome.
“Harryyyy!” urlò mia sorella, allargando le braccia e stringendomi a sé con calore.
“Ge... Gemma!” borbottai a fatica, stretto nel suo abbraccio. “C... che cosa... ci fai qui?”
Mia madre fece capolino dal bagno e sorrise al settimo cielo.
“Tua sorella è venuta a trovarci un po' prima del previsto, non sei felice?” spiegò.
Gemma annuì con vigore. “Non ho ancora gli esami e mi mancavate, così ho pensato di restare a Holmes Chapel prima di tornare a Manchester”.
Sorrisi, riprendendo il fiato dopo essere stato strapazzato come un peluche.
“È proprio una bella notizia, Gemma!” esclamai.
Mia sorella sorrise e poi guardò verso nostra madre. “Mamma, mi stava raccontando che qua c'è un'atmosfera un po' tesa ultimamente”.
Scoccai un'occhiataccia obliqua a nostra madre, la quale sorrise con aria innocente.
“Non vorrete dirmi che state davvero litigando per ciò che penso io?” chiese Gemma con una smorfia.
“Temo proprio di sì” sospirai, slegando le scarpe e gettandole vicino alla porta.
“Gemma forse potrà aiutarti a capire che lo studio è una faccenda seria...” s'intromise nostra madre.
“Non ci penso nemmeno, mamma!” ribatté lei, esterrefatta.
Nostra madre perse la sua aria allegra e fissò mia sorella con aria di rimprovero.
“Che cosa...?”
“Harry, penso che dovresti fare un tentativo” mi disse mia sorella con aria seria.
La fissai incredulo. “Intendi il canto?”
Gemma annuì e sorrise allegramente. “Dovresti venire con me a Manchester e cominciare a esibirti in pubblico”.
“Non mettergli strane idee in testa” fece nostra madre, avviandosi verso la cucina.
Non appena fu sparita, sussurrai a mia sorella: “Domani sera canterò a una festa per la prima volta”.
Gemma lanciò un gridolino eccitato.
“Davvero, Harry? Posso venire a sentirti?”
“In verità...”, esitai mordendomi la lingua: sarebbe stato saggio spiegare a mia sorella che cos'era successo nelle ultime settimane?
Gemma mi guardò con curiosità crescente e io decisi di raccontarle a grandi linee ciò che mi aveva portato a ottenere tale chance.
“Nella mia scuola c'è una ragazza che è davvero... amata da tutti. In pratica le ho fatto un favore, e per sdebitarsi ha deciso di invitare me e gli altri alla sua festa di domani sera” riassunsi.
Gemma annuì. “E io non potrò partecipare?”
Immaginai la faccia di Catherine Alexandra alla vista di mia sorella invitata alla sua festa esclusiva e sorrisi divertito: sarebbe stato molto soddisfacente infliggerle quel colpo basso. Peggio di uno Styles potevano essere solamente due Styles.
“Diciamo che tra me e questa ragazza non corre proprio buon sangue” spiegai.
Mia sorella non parve turbata dalla cosa. Sfoderò l'ennesimo sorriso sereno e riprese a parlare dei miei progetti: “Io penso che tu stia facendo la cosa giusta. Sei sempre stato un ottimo cantante!”
Arrossii imbarazzato e domandai: “Come fai a esserne tanto certa? Non ho mai cantato in pubblico...”
“Ma come? Non ti ricordi del matrimonio di zio Gerard? Ai tempi eri già un piccolo prodigio, lo dicevano tutti” esclamò Gemma.
Risi, ancora più imbarazzato di prima: non avevo del tutto rimosso quei ricordi, in cui ero stato costretto a intonare le note di canzoni a dir poco ridicole, vestito come uno stupido damerino.
“Spero di essere migliorato da allora” ammisi.
Gemma sbuffò e mi afferrò sotto braccio. “Prima che tu scompaia nella tua stanza per darti al canto, voglio un resoconto completo di ciò che hai fatto negli ultimi tempi. Quali altre novità hai da raccontarmi? Quando diventerò zia?”
Scoppiai in una sonora risata, mentre seguivo mia sorella senza oppormi.
“È altamente improbabile, al momento, Gemma. Ho quasi più possibilità io di diventare un cantante famoso che tu zia”.



E il sabato arrivò con estrema velocità, come se qualcuno avesse premuto sull'acceleratore. Col passare delle ore e l'avvicinarsi della serata, la mia spavalderia diminuì vistosamente.
Dopo aver mandato un breve messaggio a Catherine Alexandra per ricevere indicazioni su luogo e orario della festa — e dopo essere stato liquidato con un semplice indirizzo scritto frettolosamente —, mi ero recato a casa di Nick, dove ad attendermi c'erano già i miei tre amici pronti per le ultime prove prima del grande debutto.
Avevamo programmato tutto: dalla nostra entrata in scena fino al grande finale, accompagnato dalle note di 'Are you gonna be my girl?' dei Jet. Nick e Will sembravano al settimo cielo ma non davano segno di paura o agitazione: forse quell'esibizione per loro non sarebbe stata decisiva quanto per me e Haydn. Infatti io e il mio migliore amico sapevamo che, se avessimo fatto una buona impressione sul pubblico, nessuno ci avrebbe più visti come dei poveri sconosciuti qualunque.
Ripresi a cantare dopo una breve pausa, accompagnato dal familiare rullo di tamburi di Nick e dal graffiante suono della chitarra di Haydn.
Stop making the eyes at me, I'll stop making the eyes at you, and what it is that surprises me...
La mia bocca si muoveva quasi automaticamente, avevo cantato quelle parole così tante volte che ormai non avevo più bisogno di concentrarmici sopra. Chiusi gli occhi e feci un passo avanti, il microfono ben stretto in mano. In un lampo vidi nella mia testa una sala enorme, addobbata a festa, e tutto attorno gente che saltava come impazzita, battendo le mani al ritmo della musica; poi vidi Felicity proprio sotto il palco sul quale io cantavo a piena voce; sorrideva e cantava le poche parole che riusciva a capire e mi fissava con quei suoi meravigliosi occhi azzurri...
I bet that you look good on the dance floor, I don't know if you're looking for romance or...
Se solo fossi riuscito, nella realtà, a riscuotere il successo che avevo nei miei sogni, Felicity avrebbe potuto cambiare idea su di me.
Terminai la canzone mettendo tutto me stesso in strofe e ritornelli finali, cercando di trasmettere la mia forza attraverso il canto.
Quando Haydn concluse la canzone con un ultimo tocco alle corde ancora vibranti della sua chitarra elettrica, dal fondo dello scantinato si levò un urlo di pura gioia.
Nick levò i pugni stretti in aria e sorrise. “Siamo stati incredibili!”
Fissai di nuovo il microfono al sostegno e annuii. “Ottime prove, davvero ottime”.
Haydn posò la chitarra con sguardo pieno di traboccante affetto per lo strumento e si voltò nella nostra direzione.
“Allora, ripassiamo la scaletta: si comincia con 'Fat lip' e si prosegue con 'In too deep', d'accordo?” disse, serio come non mai.
Nick e Will annuirono ripetutamente.
“Dopodiché abbiamo 'Pretty fly' degli Offspring, che sarà il nostro pezzo forte” aggiunse, guardandomi dritto negli occhi.
Sorrisi fiducioso, certo che con quel brano ci saremmo conquistati l'approvazione del pubblico.
“Poi suoneremo 'What's my age again?' e 'First date' dei Blink 182, e se per quel momento della serata avremo fatto un buon lavoro, saremo già acclamati da tutti a gran voce” proseguì.
“E così sarà, puoi starne certo” intervenne Nick, rigirandosi le bacchette della batteria tra le dita.
Haydn annuì, ma evitò sorrisi eccitati: sembrava voler mantenere il controllo delle proprie emozioni, per evitare slanci di eccessiva fiducia.
“Infine toccherà a 'I bet you look good on the dance floor', 'More than meets the eye' e 'Are you gonna be my girl'”.
Will annuì e si sfilò il basso di dosso. “Dopo la serata di domani riceveremo inviti ogni settimana”.
“Me lo auguro” dissi, spegnendo l'amplificatore del mio amico. “Mia sorella è tornata a Holmes Chapel e le sarebbe piaciuto sentirmi questa sera”.
Will scattò sull'attenti. “Gemma è qui?”
Haydn e Nick scoppiarono in una serie di fischietti di scherno rivolti a lui, il quale arrossì leggermente e si voltò per sistemare il basso nella custodia.
Nessuno dei miei amici aveva mai fatto segreto del loro debole nei confronti di mia sorella, ma sembrava che Will fosse rimasto maggiormente colpito dai grandi occhi chiari e i modi frizzanti di Gemma.
“Io penso che dovresti invitare Gemma” scherzò Haydn, allegro come non lo avevo visto da giorni. “È pur sempre la sorella maggiore impaziente di sostenere il proprio fratellino”.
Nick scoppiò a ridere ma Will parve ridestarsi da un sogno.
“Lo state facendo apposta?” chiese a Haydn.
Tutti e tre scoppiammo a ridere e Will sbuffò, spazientito.
“Che cosa direbbe la Cavendish se ti permettessi di invitare gente che lei magari non approva?” azzardò Will.
Improvvisamente l'atmosfera si fece meno calda e felice, e Haydn si voltò d'istinto nella mia direzione. Vidi Nick scoccare un'occhiata feroce a Will: aveva toccato di nuovo l'argomento tabù della settimana, ossia il mio rapporto con Catherine Alexandra.
“Non dirà nulla, perché non ho intenzione di invitare Gemma” tagliai corto, distogliendo lo sguardo da Haydn; tornai a maneggiare cavi e strumenti musicali pur di evitare gli occhi accusatori del mio amico.
“Ben detto!” esclamò Nick, intervenendo repentinamente. “Non deconcentriamoci, abbiamo un concerto a cui pensare”.
Tornammo a mettere ordine nel piccolo scantinato dove provavamo i nostri pezzi, tutti immersi in un silenzio denso di significato. Io, dal canto mio, preferivo tenere la bocca chiusa per non dare a Haydn la possibilità di ricominciare a tormentarmi. Dovevo dimostrare al mio amico che tra me e Catherine Alexandra non c'era alcuna relazione sentimentale, e per far ciò avevo bisogno che Felicity Skinner si accorgesse di me. Se fossi riuscito a uscire con la ragazza dei miei sogni, Haydn non avrebbe più avuto nulla di cui temere.



Quella sera ebbi problemi anche con i vestiti, cosa mai successa prima nella mia vita. Rimasi incredibilmente zitto e immobile per una ventina di minuti davanti all'armadio aperto, intento a far vagare lo sguardo da un paio di jeans all'altro.
E ora che cosa mi metto addosso?
Non mi sentivo più così ottimista a proposito della prima grande esibizione. Non sapevo come ci si sarebbe dovuti vestire per un concerto: stile trasandato oppure cura maniacale di ogni dettaglio? Papillon oppure semplice t-shirt? Si trattava di un concerto in piena regola, ma avrebbe avuto luogo nella villa dei Cavendish, che era tutto fuorché sobria. E da qui sorgeva il mio dubbio atroce: che cosa avrebbe detto la gente di me, se mi fossi presentato in jeans e maglietta?
Sospirai, afferrai un paio di pantaloni neri che mi scendevano larghi sulle gambe magre e un maglietta bianca del tutto anonima: non sarei stato elegante, ma neanche troppo appariscente e, forse, ridicolo.
Mi vestii e mi girai verso lo specchio lungo e stretto che avevo fatto installare dietro la porta della mia camera da letto: non avevo assolutamente l'aria di un musicista, ma non sembravo nemmeno un pagliaccio. Eppure mancava qualcosa...
Girai sui tacchi e tornai davanti all'armadio spalancato, frugando con foga tra le maglie e i maglioncini ripiegati in ordine. Sfilai dalla massa una camicia a grandi quadretti blu scuro intramezzati da righe di una sfumatura più chiara. La indossai lasciandola aperta sul petto. Tornai allo specchio e, proprio mentre sorridevo soddisfatto al mio doppione riflesso, qualcuno bussò alla porta.
“Harry, i ragazzi sono qui” annunciò mia madre.
“Ehm... D'accordo, di' loro che arrivo subito” risposi, tutto a un tratto agitato.
Mi affrettai a richiudere l'armadio e ad afferrare il portafogli e il cellulare abbandonati sul letto. Mi spruzzai un goccio di profumo sul collo e spalancai la porta. Correndo lungo il corridoio, incrociai lo sguardo eccitato di mia sorella affacciata dalla sua stanza.
“Buona fortuna, Harry!” esclamò.
Alzai una mano in aria e urlai: “Grazie, Gemma!”
Attraversai il salotto e l'ingresso alla velocità della luce, sfrecciando davanti agli occhi spalancati di mia mamma vicina alla porta di casa.
“Ciao, Harry” fece in tono morbido.
“Ciao, ma'!” esclamai, baciandola sulla guancia di slancio. “Un augurio di buona fortuna?”
Lei sorrise e levò gli occhi al cielo. “D'accordo, in bocca al lupo, Harry”.
“Così sì che va bene!” esclamai, divertito.
Mi richiusi la porta di casa alle spalle e corsi verso la macchina nera di Haydn, parcheggiata proprio di fronte al nostro cancello. Montai in auto con un salto e fui accolto dalle urla eccitate dei miei amici.
“Hai preso tutto? Possiamo partire?” domandò Haydn, che per l'occasione si era vestito interamente di nero.
Notai con un certo sconcerto che lui, Will e Nick apparivano molto più eleganti di me.
“Ragazzi, pensate che sia vestito come un deficiente?” domandai, preoccupato.
“Ma tu sei un deficiente, Harry” rispose Nick, allegro.
Haydn ridacchiò sotto i baffi e Will, al mio fianco sui sedili posteriori, mi diede una pacca leggera.
“Abbiamo capito la tua mossa: vuoi farti notare in mezzo a noi, giusto?” scherzò.
“Come no!” sbuffai.
Nick si voltò sul sedile anteriore e rise. “Harry spera che Felicity sia presa da un attacco di intelligenza acuta e non faccia caso ai suoi abiti da plebeo”.
Sorrisi, anche se dentro di me ero maledettamente inquieto. Che cosa avrebbe detto Felicity vedendomi così diverso dal resto del gruppo? Avrebbe riconfermato la sua idea secondo cui ero un inutile spreco di tempo?
“Non sono poi così male” s'intromise Haydn, spiandomi dallo specchietto retrovisore.
Alzai una mano in segno di gratitudine. “Grazie, amico”.
La strada verso casa Cavendish era piuttosto lunga, perché lei non abitava in centro come noi: la sua villa di proporzioni hollywoodiane non avrebbe trovato abbastanza spazio incastonata tra misere casette di città e condomini scoloriti.
Uscendo dalla strada cittadina, ci immettemmo lungo un percorso incatramato di recente e fiancheggiato da un centinaio di piccoli alberelli ben potati. Alla base della stradina erano state installate luci giallognole che illuminavano il percorso per i visitatori.
Haydn fece un lungo fischio ammirato. “Certo che i Cavendish non badano alle spese, eh?”
Deglutii atterrito: tutto quel lusso non faceva altro che rendermi ancora più spaventato.
“E aspetta di vedere dove suoneremo!” esclamò Nick. “Ieri io e Will siamo venuti a montare la batteria, e non riuscivamo a smettere di fissare... Guardate!”
Davanti all'enorme cancellata in fine ferro battuto stavano due signori elegantemente vestiti, che avevano il compito di accertarsi che chiunque varcasse la soglia fosse il benvenuto.
Haydn tirò giù il finestrino e disse: “Siamo la band che suonerà questa sera”.
“Nome?” domandò la guardia più a sinistra.
White Eskimo”.
Il tizio controllò una lunga lista che teneva fra le mani inguantate e fece un cenno di assenso al compagno.
“Prego” fece quest'ultimo, aprendo il cancello manualmente.
Haydn guidò lungo la stradina acciottolata che portava al fondo del cortile della villa; lì una quindicina di auto erano già state parcheggiate, e molti ragazzi si voltarono al nostro arrivo. Forse si aspettavano chissà quale bella ragazza o influente giocatore di rugby, perché quando noi quattro scendemmo impacciati dall'automobile di Haydn, un mormorio sorpreso si sparse tra la folla.
Will sbuffò e si stirò il colletto della camicia bianca.
“È arrivata l'ora di mostrare a questi ruffiani chi siamo” borbottò, per niente abbattuto dalla gelida accoglienza.
“Venite” disse Haydn, facendosi strada in mezzo ai nostri compagni di scuola, ancora intenti a spiarci e criticarci.
Ci dirigemmo verso uno dei tanti ingressi di quella favolosa villa, proprio di fianco all'entrata del garage che quella sera sarebbe rimasto serrato per chiunque. Haydn sembrava aver perso l'uso della parola: bussò prima di spingere leggermente la porta in avanti e mettere piede in casa.
“Avanti, avanti!” fece una vocetta brusca.
La porta si spalancò e ci ritrovammo a fissare una delle amichette di Catherine Alexandra, il volto contorto in una smorfia schifata. Senza toglierci gli occhi di dosso, questa esclamò: “Kate, sono arrivati gli ospiti d'onore!”
Mi fu subito chiaro che non eravamo davvero i benvenuti: lo capii dal tono di voce di quella ragazza, ma a confermarlo fu l'occhiata sprezzante che ci rivolse la padrona di casa al suo arrivo.
Alta, truccata in maniera impeccabile, infilata in un vestito bianco radente il suolo, che lasciava completamente scoperta la sua schiena liscia, Catherine Alexandra era davvero bella da togliere il fiato. E nonostante ci stesse fissando con enorme disprezzo, nessuno di noi quattro poté fare a meno di notare che tutte le ragazze lì attorno sfiguravano di fronte a tanta bellezza.
Scosse il capo per liberare il volto da alcuni ciuffetti piegati in morbidi boccoli, gli unici sfuggiti al perfetto chignon alto che si era fatta per l'occasione.
“Benvenuti” disse con aria divertita. “Spero che questo non sia troppo per gente come voi”.
Ci indicò la sala preparata apposta per la serata: grandi pilastri in stile dorico raggiungevano il soffitto di un bianco accecante. I miei tre amici superarono Catherine Alexandra senza una parola; io li seguii ma mi sentii afferrare per il braccio. Guardai la ragazza al mio fianco e la vidi abbozzare un sorriso trionfante.
“Ottima scelta degli abiti” mi stuzzicò sottovoce. “Sei pronto a sfigurare?”
Liberai il braccio dalla sua presa e le scoccai un'occhiata fiera.
“E tu? Sei pronta a svelare il tuo segreto?” sussurrai in tono velenoso.
Catherine Alexandra sorrise con strafottenza.
“Vedremo chi riderà per ultimo”.
“Già, lo vedremo... Kate”.
Lei aprì bocca per rimproverarmi l'uso del suo nomignolo, ma non fece in tempo a parlare, perché proprio in quel momento arrivarono nuovi ospiti che andavano accolti. Proseguii, felice di aver avuto la meglio contro di lei.
Raggiunsi i miei amici al fondo dell'enorme sala del piano terra, fingendo che non fosse successo nulla in quei due minuti di assenza, ma intercettai l'occhiata offesa di Haydn. Evitai il suo sguardo e salii sul piccolo palchetto allestito apposta per la serata.
“Dobbiamo aspettare che tutti gli invitati siano arrivati” annunciò Will, sfiorando le corde del basso.
“Certo”.
Accesi il microfono e guardai i miei amici accordare i loro strumenti. Nessuno nell'enorme sala ci stava guardando: Catherine Alexandra aveva attirato tutta l'attenzione su di sé e noi eravamo troppo insignificanti per essere notati.
A un certo punto mi sfuggì il microfono di mano e questo cadde a terra con un colpo secco e un acuto fischio assordante; qualcuno si voltò per maledirmi e io mi affrettai a rimettere tutto a posto. Alzai di nuovo lo sguardo e incrociai gli occhi azzurri di Felicity, che aveva appena varcato la soglia della sala, agghindata in un semplice abito nero con strass e perline agli orli delle maniche. Ci fissammo per qualche istante e poi lei distolse lo sguardo, accennando un sorriso.
Era una forma di derisione? Oppure voleva incoraggiarmi?
Mi sentii infinitamente più leggero e mi passai una mano fra i capelli riccissimi. Avrei voluto avere un taglio più sbarazzino, più affascinante, ma i miei capelli sembravano non voler prendere alcuna altra piega.
Inspirai profondamente e rimasi in attesa che la lunga fiumana di gente in entrata si interrompesse. Solo allora mi sarei davvero sentito a mio agio.



Catherine Alexandra si avvicinò al palco su cui i nostri strumenti erano posizionati già pronti e accordati. S'impossessò del mio microfono e annunciò con la sua consueta vocetta cordiale: “Benvenuti, ragazzi! Sono felicissima di avervi tutti qui questa sera per una delle feste che, ve lo prometto, sarà tra le migliori di sempre”.
Parecchia gente applaudì, e fui sicuro che il motivo di tanto successo fosse dovuto più all'abito provocante di Catherine Alexandra che alla festa in sé.
“E ora vorrei introdurre la band che questa sera suonerà per noi” continuò, accogliendo gli applausi e i fischi d'approvazione con aria orgogliosa. “Sono alla loro prima prova davanti a un pubblico, quindi vi chiedo di essere clementi...”
Molti tra gli astanti non riuscirono a reprimere risatine divertite, e io mi feci piccolo piccolo lì ai piedi del palco.
“Questi sono i White Eskimo!” esclamò Catherine Alexandra, perfetta nei panni di presentatrice televisiva.
Rimise il microfono al suo posto e la guardai scendere dal palco con un'andatura studiatamente lenta. Ero certo che si fosse trattenuta dal parlare male della mia band, glielo si leggeva in volto. Passò a un soffio da dove mi trovavo io e una ventata di profumo fruttato colpì le mie narici.
Io salii la scaletta laterale per primo, senza soffermarmi a controllare di essere seguito dai miei amici. Un leggerissimo applauso si levò dalla folla, e solo in quel momento realizzai davvero quanto vasto fosse il nostro primo pubblico. Non riuscivo nemmeno a scorgere Felicity in mezzo a tutta quella gente.
E poi Haydn e Will partirono con l'attacco combinato di basso e chitarra; Nick si scatenò poco dopo sulle note iniziali di 'Fat lip' dei Sum 41. Sentii il ritmo impossessarsi di me, la voglia di cantare salì vertiginosamente fino a permeare le mie ossa.
Stormin through the party like my name was El Niño. When I'm hangin' out drinking in the back of an El Camino...” cantai, guardando il pubblico davanti a me.
La musica era alta, riempiva la sala come un abbraccio caloroso. La gente inizialmente rimase quasi imbambolata a fissarci con stupore, come se nessuno avesse mai sospettato che sapessimo suonare; pian piano, però, vidi qualcuno iniziare a seguire la musica, muovendo la testa su e giù e canticchiando i ritornelli insieme a me.
“... Maiden and priests were the gods that we praied. 'Cause we like having fun at other people's expense and cutting people down is just a minor offence then...
La gente sembrò sempre più convinta che io e i miei amici non fossimo mostruosi esseri velenosi, e vidi parecchi ragazzi dare avvio a timidi tentativi di headbanging.
Sempre più eccitato da quell'accenno di apprezzamento, proseguii la canzone scatenandomi a mia volta su quel piccolo palco fatto apposta per i White Eskimo.
Terminata la prima canzone, il pubblico applaudì in modo molto più deciso ed entusiasta che all'inizio. Sorrisi di sfuggita a Will, il quale sembrava non riuscire a credere alla scena.
Toccò a 'In too deep', sempre dei Sum 41, e anche sulle note di questa canzone parecchia gente cominciò a perdere l'ostentato autocontrollo iniziale. Intravidi alcune ragazze avvicinarsi al palco per vedere meglio.
La canzone terminò in un accesso di applausi e grida di approvazione. Solo mentre mi preparavo per il brano successivo intravidi Catherine Alexandra, appostata sul lato destro del palco con le braccia incrociate al petto e un'espressione di profonda infelicità stampata in viso.
Sorrisi, al settimo cielo, e annunciai: “La prossima canzone si intitola 'Pretty fly for a white guy' e sono sicuro che tutti la conosciate”.
Ci fu uno scroscio di applausi e urla eccitate, vidi parecchi volti illuminarsi al ricordo della canzone.
Nick attaccò fornendoci il ritmo da seguire e io iniziai a cantare, estasiato dall'ottimo risultato delle prime due canzoni.




Carissime lettrici,
al contrario di quanto potesse sembrare, non mi sono affatta dimenticata di questa fan fiction, a cui tengo molto e che voglio assolutamente portare avanti.
Purtroppo ci ho messo un po' ad aggiornare perché in Erasmus il tempo per cazzeggiare è davvero poco, POCHISSIMO. Ci ho messo due settimane solo per avere internet a casa e ho pure iniziato le lezioni (alquanto difficili, argh!).
Quindi, ecco il settimo capitolo. Spero vi piaccia e ringrazio come sempre chiunque stia seguendo questa storia: per me significa moltissimo.
Un abbraccio,


Martina



 
   
 
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