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Autore: Lovingit    19/10/2015    1 recensioni
"Ho diciotto anni da due settimane, una vita sociale inesistente, sono depressa, vivo la mia vita tra casa e ospedale e il mio fegato è andato. Come se non bastasse il mio dottore mi ha abbandonata, lasciando letteralmente la mia vita nelle sue mani. E Dio solo sa se non preferirei affidarla al diavolo in persona."
Dal primo capitolo: "Cercherò di essere più chiaro: ci sono due tipi di pazienti. Il primo tipo: quelli rassegnati, le vittime quelli che ormai non sentono più nulla. Il secondo tipo è quello degli incazzati- non potevo credere che avesse appena usato una parolaccia -che ti attaccano per ogni cosa- dice per poi sedersi sul mio letto, con mio enorme disgusto -Per quanto mi riguarda non sopporto nessuno dei due tipi ma se possibile sopporto ancora meno quelli incazzati che però non reagiscono"
Questa è la storia di una ragazza rassegnata e di un uomo fin troppo duro. La medicina non è mai stata più amara.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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-Come vede ho già un medico- obietto secca sfiorando il confine della maleducazione. 
-Max!- Mi rimprovera di traverso Lear che, nel frattempo, è rimasto con lo sguardo fisso su quell'ometto che ho deciso di rinominare il "parassita". Ora, questo tizio potrebbe essere un medico perfetto, fenomenale, un premio Nobel persino più bravo di Crow, anche se lo dubito, ma l'unica cosa che vorrei in questo momento è che uscisse dalla stanza scusandosi profondamente per l'errore commesso. Il dottore in questione, però, non sembra affatto toccato dalle mie dure parole ma, al contrario, avanza verso di noi con le mani affondate nelle tasche del suo camice bianco, perfetto ma fin troppo lungo e con un sorriso antipatico stampato sulla sua faccia antipatica mi dice:
-Sapevo ci sarebbe stata della resistenza, ma non si preoccupi signorina: sono bravo tanto quanto il mio collega...modestamente- ridacchia rumorosamente in modo scomposto, posando una mano sulla spalla di Lear mentre gli lancia un'occhiata di intesa. Potrei giurare di vedere il mio dottore trasalire e usare tutto l'autocontrollo di cui dispone per evitare di rispondere male o peggio...mi sfugge un piccolo sorriso quando mi rendo conto che oramai le sue espressioni, i suoi sospiri e persino i suoi impercettibili movimenti non sono più un codice impossibile da decifrare per me, il che non potrebbe far altro che rendermi euforica, soprattutto sapendo con quale difficoltà le persone riescono anche solo ad avvicinarsi a lui. 
-Posso chiedere il motivo di questo cambiamento improvviso?- Domando riprendendomi dai miei pensieri, decisa a risolvere in fretta la cosa.  
-Certamente cara- risponde subito lui avvicinandosi ancora e costringendo Lear a farsi da parte per evitare di essere travolto -vedi, devi sapere che in ospedali grandi come questo è quasi inevitabile che ci siano dei cambiamenti, fanno parte della vita: non devi esserne spaventata! Semplicemente questo è un lavoro e capita che per orari o convenienza ci siano suddetti cambiamenti- dice prendendo fiato per la prima volta e, senza darmi il tempo di replicare, con un fare superiore come se stesse parlando ad un bambino, mi blocca con un gesto della mano -e non ho potuto fare a meno di notare, quando sono entrato, quel...chiamiamolo tatuaggio...carino, davvero, ma deve essere tolto al più presto-
-Lo avrei tolto anche io Stein, ma non c'è pericolo finché- prova ad intromettersi Lear.
-perché potrebbe esser potenzialmente pericoloso per te, cara- giuro. Se avesse detto un'altra volta cara non avrei risposto di me stessa. 
-Lear che ne dici di andare a chiamare un'infermiera? Dille di prendere acqua calda e un panno- lo aveva veramente detto. Guardo Crow strabiliata. 
-Stein non credo sia necessaria tutta questa fretta- dice Lear a fatica -piuttosto che ne dici tu di darmi un minuto per parlare con la mia paziente- continua sottolinenando il mia... ci sono due uomini, due dottori nella mia stanza che si fronteggiano con lo sguardo, finché il buon parassita non arretra di un passo alzando falsamente e scherzosamente le mani:
-e va bene dottor Crow, hai vinto una battaglia- scherza col suo finto sorriso mentre lascia la stanza -ma come si sa...non la guerra- chiude con una velata minaccia sotto forma di battuta scomparendo dietro la porta. 
-Incredibile!- Sbotto non appena rimaniamo soli -Cosa credeva di fare? Venire qui e scegliere a suo piacimento "ehi tu, sei la mia nuova paziente"- dico imitandolo malamente -cos'è? In questo ospedale c'è una gara a chi ha più pazienti di cui non sono a conosc- 
-Ragazzina! Smettila!- Mi interrompe bruscamente Lear, bloccandosi dopo aver fatto avanti e indietro per la stanza almeno venti volte. La sua reazione mi lascia stupefatta, sgrano gli occhi e attendo che si degni di spiegarmi il suo comportamento.
-Smettila- ripete stavolta più lentamente, si appoggia al muro della stanza con le spalle un po' ricurve e si mette le mani tra i capelli mentre io sono ancora in attesa di una sua reazione.
-Ragaz- si schiarisce la voce in un modo che non sembra appartenergli -Max- riprende profondo perforandomi con lo sguardo -So per certo che...che il dottor Stone saprà prendersi cura di te al meglio e-
-Prendersi cura di me al meglio?- Ripeto indignata -Hai forse battuto la testa?- Gli domando ridendo divertita sicura che stia scherzando quando, in realtà, Lear mi guarda con un'espressione seria:
-No, non ho battuto la testa- inizia e quando mi vede prendere fiato per controbattere mi sovrasta con la voce -e no, non ho bevuto, non ho assunto nulla e non c'è niente di strano in me! Ti sto solo dicendo che Stone è un...buon medico e che ha esperienza con i casi come il tuo- dice trafelato sporgendosi col corpo verso di me sottolineando ancor di più la sua foga.
Rimango a guardarlo impietrita e sconvolta dalle sue parole, posso giurare di sentire i miei occhi pizzicare affinché io rilasci le lacrime che sto trattenendo.
-Non farlo. Non osare- mi rimprovera Crow avvicinandosi ancora di più -non osare- ripete fissandomi duro e so che si riferisce ai miei occhi lucidi.
-Non dirmi cosa fare- cerco di ribattere guadagnando un po' di dignità -e non permetterti di trattarmi così!- Gli urlo arrabbiata e sembra che il mio tono faccia effetto perché lo vedo indietreggiare e sbarrare gli occhi rendendosi finalmente conto del suo comportamento: i suoi cambiamenti di umore iniziano a farmi venire il mal di testa, un minuto prima mi fa una delle sorprese più belle della mia vita e quello dopo è qui ad urlarmi contro per lasciarmi alle cure di un viscido. 
-Mi dispiace- dice riacquistando lucidità -mi dispiace Max, io non so cosa...- è davvero così dura per lui esprimere a parole qualcosa che non sia disprezzo o odio.
-Allora dimmi che diavolo ti prende!- Lo incalzo asciugando con quanta più discrezione riesco una lacrima.
-Non mi prende nulla- mi dice per la seconda volta -ma non capisco la tua reazione: lui è un medico, che differenza c'è se è lui a curati o io? Stiamo solo aspettando Max! Passiamo le giornate a sperare che qualcuno muoia e che quel qualcuno sia sulla lista dei donatori e che sempre quel qualcuno abbia il tuo gruppo sanguigno e, come medico, purtroppo, non c'è niente che io possa fare per cambiare questa cosa!- Dice d'un fiato a voce talmente alta da darmi fastidio alle orecchie: proprio quando pensavo mi stesse chiedendo scusa eccolo affondare il coltello nel mio cuore ricordandomi quanto la mia vita sia ad un soffio dal spegnersi assieme a queste dannate macchine che mi circondano.
-Vattene- gli dico incolore senza guardarlo.
-Cosa pensavi Max? Che fossi il tuo cavaliere o il tuo angelo custode? Che basti solo la mia presenza per guarirti magicamente? Sai bene che non è così e sai che non-
-Ho detto vattene. Vattene o chiamo le infermiere- sibilo ancora senza degnarlo di uno sguardo, lui è combattuto: sposta il peso più di una volta poi sferra un pugno contro il comodino vicino facendomi sobbalzare e se ne va. 
Quando sbatte la porta alle sue spalle porto le ginocchia al petto e, racchiusa in me stessa, mi lascio andare a dei singhiozzi che da tanto tenevo dentro me e quando li sento talmente forti da non lasciarmi respirare, capisco che ormai è troppo tardi e che il secondo più grande errore della mia vita l'ho già fatto senza che nemmeno me ne accorgessi: si dice che l'amore cura ogni ferita, nel mio caso l'amore è solo sale. Sale sulle ferite. 

Il parassita non mi ha più disturbata per il resto della giornata, Crow deve avergli detto che stavo riposando per non dovere dare spiegazioni sul perché stessi così male. A dir la verità non ho visto più nessuno da quando lui è uscito dalla mia camera il che è deprimente perché non ho fatto altro che pensare alla litigata e a John: da quando mi hanno detto del suo trasferimento a causa delle sue condizioni nessuno si è degnato di farmi sapere nulla così ho deciso di chiamare un'infermiera che solo ora si presenta in camera:
-Hai bisogno di qualcosa?- Fantastico. L'amica di Nora. 
-Si, no. Cioè non per me...volevo sapere, il mio compagno di stanza, John, ha notizie di lui? Come sta?- Chiedo ansiosa.
-Sei un suo familiare?- Mi risponde lei annoiata.
-No- dico -ma- 
-Allora in questo caso, mi dispiace, ma non posso dirti nulla tesoro- ribatte falsamente. La giornata sta andando di male in peggio.
-Oh...grazie comunque- strascico le parole che mi costringo a dire per evitare altre litigate, l'infermiera mi fa un cenno con la testa e scompare, ma prima che io possa esalare un sospiro, sento la sua voce.
-Allora cara, come andiamo?- Lui. Il parassita. Nella mia stanza, tornato a reclamare la mia malattia come sua. Non gli rispondo dando adito alle sue supposizioni:
-Sei ancora arrabbiata?- Chiede mimando le virgolette con le mani mentre ciondolando si avvicina a me: la sua camminata è scomposta, l'espressione sorridente ma in un qualche modo spenta e stana...posso averlo giudicato male e frettolosamente prima, quando cercava di strapparmi a Lear ma ora, a mente fredda, non riesco comunque a cambiare l'idea che mi sono fatta di lui. I suoi movimenti, i suoi occhi...
-Non sono mai stata arrabbiata- rispondo secca -ero, sono- mi correggo subito -sono solo perplessa- concludo fredda. 
-È normale cara- "cara" sarà il mio incubo stanotte -ma come ti ho già detto si è deciso che è meglio così e-
-E posso appellarmi a qualcosa per contrastare questa decisione?- Domando immobilizzando il suo sorriso a trentadue denti.
-No- risponde con un sorriso nervoso mentre controlla le flebo -direi di no, inoltre non per vantarmi ma sono abbastanza bravo e davvero, non comprendo questo astio- continua sinceramente imbarazzato. Forse ha ragione e mi sto solo comportando come un'adolescente viziata e stupida, infondo lui non ha nessuna colpa se non quella di abusare della parola "cara" e avere una faccia che i più riterrebbero "da schiaffi".
-Ha ragione- dico ormai calma -mi scusi, è stata una giornata...particolare- sospiro malinconica -non...non sto molto bene oggi e inoltre non vogliono farmi sapere nulla sul mio amico e- 
-Allora Maxwell- inizia lui senza sembrare di avermi sentita. 
-Solo Max- lo correggo io interdetta.
-Max, abbiamo per le mani una brutta malattia: non preoccuparti, mi hanno già detto come l'hai presa- di nuovo le virgolette con le mani -quindi niente imbarazzi- afferma sorridendo. Gli hanno detto come!?
-Mi scusi cosa le hanno detto?- Chiedo preoccupata.
-Hai fatto la cattiva ragazza eh?- Mi dice scherzando, io spalanco gli occhi incredula -Non preoccuparti- riprende subito -tutti gli adolescenti lo fanno ma, come ho detto, non preoccupiamoci- batte le mani felice -dalla nostra abbiamo il fatto che sei giovane, di buona famiglia e- ho smesso di ascoltarlo a "cattiva ragazza": allora non mi ero sbagliata su di lui! Non riesco a credere che mi abbia detto una cosa simile.
-Sta scherzando vero?- Domando dandogli un'ultima possibilità di redenzione; lui mi guarda stranito e, badando poco alla mia bocca spalancata, prosegue come una palla demolitrice:
-Cominceremo con il togliere questi farmaci contro il dolore, non sono nemmeno di questo Stato: per quanto ne so potrebbero essere illegali qui- parla dei medicinali che mi aveva dato Crow, quelli per cui si era arrabbiato, quelli che mi evitavano il vomito...
-Io rispetto alla lettera i regolamenti e non vorrei incorrere in procedimenti per queste situazioni- virgoletta ancora con le sue mani che ora guardo con disgusto -non preoccuparti: ci sono validissimi farmaci equivalenti! Secondo, niente più tatuaggi!- Mi ammonisce fissando il punto in cui si trova quello fatto prima con Lear. 
-Voglio che lei mi ascolti per un attimo- dico scura e decisa decidendo di porre fine a questa pazzia e quando catturo finalmente la sua attenzione continuo -voglio che lei chiami i miei genitori, il direttore di questo ospedale e che gli dica che voglio parlare con loro e voglio anche che trovi informazioni sul mio amico. Quello che non voglio è che lei sia qui e che mi parli in questo modo, quindi ora per favore esca e mi lasci in pace se davvero vuole evitare spiacevoli situazioni- concludo mimando ed enfatizzando le sue virgolette con un gesto delle mani. Suppongo di averlo fatto arrabbiare a sufficienza perché lo vedo indietreggiare infastidito, mentre, senza rispondermi esce lasciandomi sola con un sorriso stampato in faccia: so cavarmela anche senza di te Lear Crow...un punto per la ragazzina.

-Scusa- mi sento chiamare da una giovanissima infermiera che non ho mai visto prima. Alzo lo sguardo dal libro che sto leggendo e la vedo sulla soglia -mi è stato detto che puoi avere informazioni sul tuo amico- dice monotona. E così, alla fine, il parassita ha deciso di collaborare! 
-Grazie! Oh mio Dio finalmente- dico felice cercando di mettermi in piedi con gin troppa foga.      
-C'è suo figlio e ha detto che possiamo tenerti informata: purtroppo il signor John è peggiorato nelle ultime ore e dobbiamo tenerlo sotto stretta sorveglianza...-
-Peggiorato?- Ripeto e il sorriso mi muore in faccia -Ma...posso- deglutisco impaurita -posso vederlo?- Domando speranzosa.
-Mi dispiace ma questo io, io davvero non so. Non credo signorina, non è una parente e già dare queste informazioni è-
-Per favore- insito ma so già che mi dirà di no. 
-mi dispiace, non posso davvero- mi fa sincera. Sono sconfortata e di nuovo sola quando lei lascia la stanza ma mi rendo conto che devo cambiare qualcosa e decido di alzarmi: oggi la Max sottomessa e calma ha smesso di esistere, da oggi le mie battaglie le combatto da sola a partire dal cercare di rimettermi in piedi. Quando riesco nell'impresa arrivare alla porta non è più un miraggio.
-Signorina!- Mi sento richiamare, una volta uscita, dall'infermiera di prima -Signorina cosa fa?- Chiede allarmata 
-Sto andando a trovare il mio amico- rispondo ferma continuando ad avanzare.
-Si fermi o sarò costretta a- 
-Cosa sta succedendo?- Mi blocco quando davanti a me si para una montagna bianca, alzo lo sguardo, vedo il suo viso e mi sento mancare per un attimo.
-Dottore- dice sollevata lei -la signorina vuole vedere a tutti i costi il suo amico ma non è possibile: non è una parente-
-Si, conosco le regole- taglia corto Lear.
-Per fortuna c'è lei: non sapevo più che fare- conclude sollevata.
-In questo caso è un peccato che il dottor Crow non sia più il mio medico curante- intervengo fissandolo dritto negli occhi.
-Sono comunque un medico signorina Stone- dice calcando sul mio cognome: è così strano sentirlo dire da lui, quasi impersonale dopo tutte le volte che mi ha chiamata per nome e capisco che anche per lui deve essere così -non si preoccupi- dice rivolto all'infermiera rimanendo però con gli occhi su di me -me ne occupo io ora- conclude facendola allontanare.
Mi prende per un braccio e mi trascina dolcemente dietro un angolo.
-Cosa credi di fare?- Domanda arrabbiato
-Voglio vedere John, mi hanno detto che è peggiorato e io sono l'unica persona che lo conosce e gli vuole bene all'infuori di suo figlio, credo di averne il diritto- gli faccio presente.
-Ma questo non ti dà il diritto di comportati così: non metterti in mostra, non fare la sovversiva e soprattuto non combattere il sistema per farla pagare a me o per dimostrare quanto sei orgogliosa: non ti conviene nelle tue condizioni di bisogno- sibila.
-Per falra pagare a te!?- Ripeto stizzita -Notizia dell'ultima ora Crow; non tutto gira attorno a te e al tuo ego, lo sto facendo per John e non per te. Come può solo venirti in mente una cosa del genere!- 
-Perché so che in un'altra occasione mi avresti chiesto aiuto e sai che ti avrei aiutata- mi dice calmo e serio -non sono più in grado di dirti di no e tu lo sai- continua.
-E allora non dirmelo- dico sfinita e triste. Lo guardo ancora e lui afferra il mio carrellino della flebo e il mio braccio sostenendomi mentre mi accompagna. 

-Solo da dietro il vetro?- Chiedo piangendo silenziosamente.
-Si, mi dispiace- mi sento rispondere da Lear che nel frattempo è rimasto in disparte lasciandomi sola difronte alla visione di John, il mio amico John dalla voce calda e il bel sorriso, steso diritto su un letto, tenuto in vita da un respiratore. 
-Sta soffrendo?- Insito.
-È difficile dirlo, non si sa con certezza: nessuno sa con certezza cosa provano le persone durante il coma- mi spiega -io credo di no- continua sorprendendomi e facendomi fare una risata amara:
-non mentire, non con me- gli dico -Quanto tempo credi gli sia rimasto?- 
-Io...non so se supererà la notte- mi risponde decidendo di seguire il mio consiglio. Non posso fare a meno di strizzare gli occhi e serrare i denti, sento il cuore immobile e pesante e i polmoni sempre più vuoti, le mani mi fanno male talmente sono strette in dei pugni. Mi volto lentamente, apro gli occhi ma respiro a fatica e trovo Lear davanti a me con lo sguardo fisso nel vuoto: ha il viso pallido come se avesse visto un fantasma.
-Cosa?- Domando preoccupata, lui si riscuote fretta e mi guarda smarrito:
-Nulla- dice veloce risultando poco convincente -nulla io- sospira -io- inizia a guardare a destra e a sinistra, si porta una mano alla gola -Max- dice con un respiro strozzato -Max ti prego- continua protendendo una mano verso di me; io sono completamente sconvolta e non so che fare, ho paura mente mi avvicino a lui e afferro la sua mano gelata.
-Sono qui- lo rassicuro -io...Lear- lo richiamo quando lo vedo iper ventilare. Lo faccio sedere su una delle sedie e mi metto accanto a lui accarezzandogli la schiena mente lui a testa bassa cerca di riprendere un respiro regolare. Non ne ho mai avuto uno ma potrei giurare che questo è un attacco di panico in piena regola. 
 -Mi dispiace- dice col fiato corto -mi dispiace- 
-Lear- dico piano io -Lear che è successo?- Domando cauta.
-Per un attimo- dice ancora sconvolto -per un attimo ti ho vista al suo posto e...cazzo Max, me lo ero ripromesso. Mi ero ripromesso di non soffrire più ma- lo abbraccio di slancio stringendolo forte e con il viso sepolto nel suo collo mi lascio andare: tutte le lacrime trattenute, tutta la rabbia, tutto l'amore...e mentre ci stringiamo capisco che nonostante quanto cerchiamo di auto convincercene per quanto cerchiamo di dimostrare il contrario non siamo forti, non siamo invincibili: Lear non lo è ed io non lo sono perché abbiamo la stessa paura, perché entrambi abbiamo troppo da perdere: l'amore.   






Autrice: mi scuso immensamente per l'assenza, come ho detto a chi mi ha scritto in privato (vi ringrazio infinitamente per l'interesse mi avete davvero scaldato il cuore) in questo periodo ho dovuto affrontare esami, problemi personali e sinceramente non volevo pubblicare un capitolo che poi avrei ritenuto mediocre quindi mi dispiace e spero vorrete perdonarmi. Non posso assicurare un aggiornamento ogni 1/2 giorni come accadeva prima, la scuola mi consuma anima e mente, ma posso assicurarvi che mi impegnerò a pubblicare con costanza per dare a questa storia un degno seguito. Vi ringrazio molto e se vi va fatemi sapere cosa pensate del capitolo :)
Presto ci sarà anche un pov di Crow per spiegare al meglio le sue emozioni. 
Grazie ancora, Lovingit  
   
 
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