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Autore: Roof_s    21/10/2015    2 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inaspettata gentilezza



Kate

 

Guardai Olivia ballare come una pazza al mio fianco e mi spostai di un passo per evitare che mi colpisse nelle costole. Feci di tutto pur di non alzare lo sguardo sul piccolo palco allestito al fondo della sala di casa mia.
La gente attorno a me cantava a squarciagola ogni canzone che i White Eskimo proponevano. Quando il chitarrista, Haydn, attaccò con le prime note di quella che riconobbi come 'What's my age again?', il pubblico sembrò esplodere. Vidi qualcuno saltellare, altri battere le mani e in molti acclamare i musicisti da quattro soldi che avevo assoldato io stessa.
Fui sballottata da qualcuno alle mie spalle e mi accorsi che si trattava di Jane, scatenata sulle note di una canzone che, a quanto pareva, le piaceva particolarmente.
“Ehi, sono davvero bravi!” strillò Olivia, dandomi un colpetto per smuovermi dall'immobilità in cui ero piombata.
Sbuffai e spostai lo sguardo sul palco: Harry Styles intratteneva il pubblico muovendosi come una vera rockstar. L'osservai avvicinarsi al bordo del palco e muovere il braccio libero in direzione di alcune ragazze che sembravano aver perso la ragione.
Alzai gli occhi al cielo e mi allontanai da quella scena vomitevole. Mi feci largo tra la folla che ora non aveva che occhi per la band. Io passavo praticamente inosservata mentre Harry Styles e compagni si conquistavano le simpatie dei miei amici.
Raggiunsi la porta che dava sul cortile e la spalancai, bisognosa di fuggire dal disastro che io stessa avevo creato.
“Vaffanculo!” sbottai quando, nella fretta di allontanarmi, per poco non rischiai di crollare sui miei tacchi troppo alti.
Mi avvicinai alle automobili parcheggiate, la musica che ancora mi perseguitava. Sentii Harry ringraziare la folla con mille inutili parole.
Chi si crede di essere?, pensai scocciata.
La verità era che lui e i suoi amici erano davvero troppo bravi, e il mio progetto di deriderli davanti a tutta quella gente era andato a farsi benedire. Harry aveva avuto la meglio per l'ennesima volta e io non riuscivo a sopportare il pensiero di averlo aiutato.
“Tesoro!”
Mi voltai in fretta verso la porta da cui ero appena uscita: Michael si stava dirigendo a passo veloce nella mia direzione, due esili bicchieri di vino bianco stretti nelle mani.
“Kate, ti stavo cercando dall'inizio della serata!” fece lui a mo' di rimprovero.
Presi il bicchiere che mi reggeva e in un solo sorso finii tutto il vino.
“Mi dispiace, okay?” replicai brusca, agitando il bicchiere vuoto in aria. “Sono la padrona di casa e devo salutare tutti, non ho tempo per...”
“Calmati, Kate” m'interruppe Michael, poggiando le sue grandi mani sulle mie spalle e sorridendo. “È tutto a posto”.
Mi abbracciò con la consueta tenerezza e io lo lasciai fare, senza però ricambiare il gesto. Ero nervosa e delusa, non mi andava l'idea che Michael fosse uscito apposta per starmi vicino.
“Kate, stai bene?” mi chiese lui, come se avesse letto nella mia mente.
Lo guardai staccarsi da me e scrutarmi con aria preoccupata.
“Gradirei restare sola adesso, Michael. Intesi?” ribattei con arroganza.
Il mio fidanzato sembrò, in un primo momento, non prendere davvero sul serio le mie parole; ridacchiò e mi diede una leggera carezza sulla guancia destra. Ma quando io non accennai un sorriso di rimando, lui si fece più serio e domandò: “Sei seria?”
Annuii e ricacciai via la sua mano sul mio volto.
“Va' via, Michael!” sbottai, stufa.
Lui, mortificato come non l'avevo mai visto prima d'ora, arretrò di qualche passo. Io non lo fermai, rimasi semplicemente in attesa di vederlo sparire.
Intanto, da dentro la mia villa sentii provenire gli inconfondibili suoni che segnavano la fine di un altro brano: applausi smisurati e urla d'incitazione. Harry parlò di nuovo al microfono e ci fu un nuovo boato di battiti di mani e fischi.
Quando Michael fu scomparso, anche io mi avviai verso la sala che avevo lasciato pochi minuti prima. Rimasi sulla soglia, dietro tutti i miei invitati, e alzai lo sguardo sul palco: Harry aveva dato il tempo ai suoi compagni, e il batterista aveva iniziato a tenere il ritmo della canzone seguente.
Mi domandai quanto ancora sarebbe andato avanti quello spettacolo così umiliante per me.
Quando il chitarrista cominciò a suonare le prime note di chitarra, il pubblicò partì alla carica con nuove ovazioni.
“'I bet that you look good on the dance floor', gente! Cantate con noi!” esclamò Harry con voce tonante sopra le urla del pubblico e i suoni combinati di chitarra, basso e batteria.
Lo fissai mentre cominciava a cantare sporgendosi verso le ragazze che, proprio sotto il palco, ormai avevano abbandonato ogni contegno e si scatenavano come delle vere groupies. Harry sapeva muoversi come un vero cantante, non pareva nemmeno più lo stesso ragazzo che avevo incrociato nei corridoi di scuola. Aveva una voce adulta, profonda e roca; si spettinava i capelli con noncuranza come se quello fosse soltanto un altro concerto come tanti prima d'ora; ipnotizzava il pubblico con le sue parole, guardava dritto negli occhi della gente e animava lo spettacolo come un attore. Anche io mi ritrovai mio malgrado a osservarlo attentamente, decisa a non perdermi nemmeno un gesto o una parola.
Ma come fa?!, mi domandai irritata, guardandolo raccogliere nuovi consensi tutto orgoglioso.
La sua presenza scenica mi faceva arrabbiare ancora di più, perché si muoveva in modo impeccabile e sarebbe stato di certo più bravo di me in qualsiasi spettacolo teatrale.



Quando le luci sopra il piccolo palco si abbassarono e la band salutò tutti con profondi inchini, mi feci più avanti schivando la folla. Passando in mezzo agli invitati sentii chiaramente dire a parecchi: “Sono stati bravissimi!”, “E chi l'avrebbe mai detto che quei quattro sapessero suonare così bene!” oppure “Dovrebbero farlo più spesso!”
Raggiunsi il banco bar, allestito esclusivamente per quella serata, e ordinai un Martini liscio senza ghiaccio: mi sentivo umiliata e sconfitta sul mio stesso campo di battaglia. Voltandomi a sinistra intravidi Michael poco distante, uno sguardo offeso stampato in viso mentre mi teneva d'occhio. Alzai gli occhi al cielo e tornai a guardare alla mia destra.
“Kate!”
Sobbalzai e intercettai lo sguardo eccitato di Olivia, giunta in quel momento alle mie spalle. Si accorse subito che non ero dell'umore giusto per commentare quanto formidabili fossero stati i White Eskimo.
“Stai bene?” mi domandò senza smettere di sorridere.
Afferrai il mio Martini e lo levai in alto, gli occhi freddi puntati in quelli della mia amica.
“Mai stata meglio”.
Mentre Olivia mi guardava perplessa, bevvi metà cocktail in un unico lungo sorso. Quando mi staccai dal bicchiere, per poco non fui soffocata da una tosse nervosa e innaturale. La mia amica mi diede qualche colpetto e io tirai su il viso asciugandomi gli occhi.
Alle sue spalle intravidi Harry Styles e il chitarrista dei White Eskimo farsi largo tra la folla, che li fermava per complimentarsi e dargli appuntamento a qualche altro evento musicale.
Harry si defilò da due ragazze tutte intente a profondersi in complimenti esagerati e venne verso di me e Olivia.
“Io... devo... devo andare” mormorai, asciugandomi in fretta gli occhi lacrimanti.
Mi voltai e posai il bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone, ma quando tornai a guardare verso Olivia, vidi Harry e il suo amico dietro di lei che mi fissavano trionfanti.
“Piaciuto il concerto?” domandò il primo.
Me lo ritrovai di fianco, troppo vicino perché potessi trattenermi dal maltrattarlo come facevo sempre. Eppure mi accorsi che Olivia guardava i due ragazzi senza più alcuna traccia di odio: piuttosto sembrava incuriosita.
“Non ero di certo sotto il palco a sciogliermi quando gesticolavi con le mani come un mentecatto” ribattei rivolta a Harry.
Lui sembrò interdetto, ma il suo amico sfoderò un sorriso a metà tra il divertito e il meravigliato.
Harry si appoggiò al bancone e sbuffò; si voltò verso il suo amico e disse: “Haydn, Catherine. Catherine, Haydn”.
Io fui costretta a stringere la mano al chitarrista.
“Ci conosciamo già” dissi rivolta a Harry.
Lui alzò le mani in alto. “Non lo sapevo”.
Vidi Olivia sfiorare la spalla di Haydn e presentarsi a sua volta; la cosa mi diede la nausea.
“Sei più delusa di quanto credessi” sussurrò Harry, sorridendo sornione.
Haydn e Olivia stavano parlando e nessuno ci avrebbe sentiti. Fissai Harry, a un soffio dal suo volto, e sibilai: “Fai attenzione, Styles. Sto esaurendo la pazienza”.
Lui ridacchiò e ordinò un cocktail a base di vodka. Poi tornò a guardami con aria divertita, il gomito puntato sul bancone. Distolsi lo sguardo, innervosita.
“Avevi organizzato tutto questo per ridicolizzarmi”.
“E se anche fosse?”
Harry alzò le spalle. “Sei una vera vipera, Catherine”.
Toccò a me ridere sprezzante. “Pensi che la cosa possa offendermi? Sei patetico e pure un illuso”.
“Intanto io mi sto godendo la serata. Tu, invece, stai ribollendo dalla rabbia e hai allontanato tutti per stare da sola. Chi dei due è più patetico, ora?”
Gli scoccai un'occhiata velenosa, ma non potei ribattere perché in quel momento Haydn tornò a guardare nella nostra direzione. Olivia si allontanò e io mi affrettai a seguirla.
Dovevo allontanarmi da quell'arrogante che, in una maniera o nell'altra, continuava a mandare all'aria ogni mio piano. Aveva scoperto segreti che non sarebbero dovuti venire a galla, sapeva della mia iscrizione al gruppo teatrale e, la cosa peggiore di tutte, ora pareva non commettere più alcun passo falso. Forse quell'ulteriore danno era tutta colpa mia... E questo non faceva che aumentare la mia frustrazione.
Mi accorsi solo in quel momento che qualcuno aveva fatto partire un pezzo di musica elettronica abbastanza movimentato. Olivia mi prese per mano e mi trascinò con sé al centro del salone gremito.
“Dov'è Michael?” urlò al mio orecchio.
Vidi Sarah e Mary sgomitare tra la folla per raggiungerci; la prima era evidentemente su di giri per il troppo alcool, mentre la seconda sembrava stanca di doversi occupare di lei.
“Ragazze, Sarah ha già infilato la lingua in bocca a metà degli invitati” sbuffò Mary a voce alta.
La nostra amica, ubriaca marcia, alzò la mano che reggeva il bicchiere di vino in alto e urlò.
Alzai gli occhi al cielo: non era la prima volta che vedevo le mie amiche bere in modo esagerato, ma solitamente io le accompagnavo volentieri. Non accadeva spesso che qualcuna di noi si ubriacasse e le altre rimanessero in disparte a guardarla, ma io non avevo mai toccato l'esagerazione: se bevevo, mantenevo comunque un certo, dignitoso contegno. Non amavo perdere il controllo, perché se qualcuno mi avesse visto, sarei stata subito additata e criticata.
Sarah mi si gettò addosso, avvinghiandosi al mio corpo come se fossimo fidanzate, e diresse le sue labbra verso le mie ridendo. D'istinto le mollai un ceffone in pieno viso e lei si staccò da me come colpita da un fulmine.
“Kate...” borbottò Sarah, tastandosi il volto con stupore. “Sei... sei... impazzita?”, e scoppiò a ridere.
Sbuffai e mi allontanai da loro, lasciandole sorprese e sconcertate. Mi ero ripromessa di organizzare la migliore festa di sempre, ma per colpa del mio crescente malumore non riuscivo proprio a godermi la serata.
Schivai un paio di ragazze che mi salutarono allegramente senza nemmeno ricambiare i loro saluti, attraversai il salone e scorsi di sfuggita Michael, intento, insieme ai suoi migliori amici, a intrattenere alcune ragazze di cui non ricordavo i nomi. Lui si accorse di me in un secondo momento, ma dopo un istante sentii la sua presa dolce sul mio polso. Mi fece voltare con delicatezza e mi fissò preoccupato.
“Kate, possiamo parlare un secondo da soli?”
Sospirai concentrandomi attentamente sulla fontana che, oltre le vetrate del salone, zampillava nel mezzo del mio splendido giardino.
“Non sono di buon umore” risposi con semplicità.
“Vorrei capire che cos'è successo” insistette Michael con dolcezza.
Mi decisi a guardarlo negli occhi e capii in quel momento che lui era innamorato di me. Glielo si leggeva in viso, e non importava quante altre belle ragazze ci fossero a quella mia festa: lui sarebbe stato pronto a rinunciare ad ogni divertimento, se io lo avessi desiderato.
Sapere di avere quel potere su di lui mi rinfrancò un po', e anche il successo di Harry Styles mi parve meno importante; dopotutto, lui rimaneva un perdente e Michael sarebbe stato sempre al mio servizio, quando avessi richiesto di fare fuori un nemico.
“Non importa” dissi, altezzosa. “Torniamo dentro e balliamo”.
Michael stringeva ancora la mia mano nella sua; mi guardò per un po', incerto, ma alla fine non si oppose quando io lo risospinsi verso l'ingresso.



Aprii gli occhi e mi accorsi di trovarmi al caldo sotto le mie morbide coperte bianche. La sera precedente non avevo chiuso le persiane delle finestre e ora, alle prime ore di quella serena domenica mattina, il sole faceva già capolino nella mia stanza. Mi tirai su e poggiai la testa contro il muro, appesantita da un indesiderato mal di testa. Mi resi conto di non ricordare con esattezza come si era svolta la serata precedente dopo che io avevo fatto pace con Michael. Ero certa solo di una cosa: avevo bevuto, e forse anche un po' più del dovuto.
L'assenza di Michael al mio fianco nel letto e il completo silenzio dal piano di sotto segnalavano che la festa doveva essersi conclusa in maniera tranquilla.
Mi alzai dal letto e mi rivestii in fretta. Una volta in corridoio, controllai che ogni antico quadro di mio padre fosse al proprio posto. La casa sembrava come l'avevo lasciata prima di dare inizio alla festa.
Avevo scelto quel fine settimana proprio perché mio padre aveva deciso di concedersi qualche giorno a Londra assieme alla sua fidanzata. Ora però dovevo accertarmi che tutti i tre piani della villa fossero in ordine e puliti, altrimenti mio padre mi avrebbe scuoiata viva.
Scesi nel salotto, controllai la cucina, i due bagni, le camere da letto per gli ospiti al primo piano: anche lì non trovai nulla fuori posto, eccezion fatta per qualche macchia sul pavimento.
Possedere una casa enorme era spesso motivo di vanto, ma in casi come quello costituiva anche un bel problema: controllare stanza per stanza richiedeva più tempo del necessario.
Scesi infine al piano terra, dove avevo dato la festa. Aprii le porte scorrevoli della vasta sala dove ieri avevo fatto allestire il banco bar e il palco, e rimasi a bocca aperta: il pavimento era cosparso di bicchieri di tutti i tipi, larghe chiazze di liquido si erano sedimentate sulle piastrelle di marmo bianco e intravidi diverse impronte di scarpe qua e là; il banco bar era un cimitero di bottiglie e tovagliolini di carta appallottolati; sul palco il microfono era caduto rotolando pericolosamente vicino al bordo, mentre alcuni amplificatori erano stati abbandonati lì nei paraggi. Camminai fino al centro della sala e mi guardai attorno atterrita: avrei dovuto pulire tutta quella schifezza? Mi ci sarebbero volute ore, se non giorni, e mio padre sarebbe tornato verso sera.
Notai uno dei piccoli fanali di luce colorata alle pareti rotto, e mi sentii montare la rabbia dentro. Probabilmente la festa era stata grandiosa per chi vi aveva partecipato come invitato, ma ora toccava a me mettere tutto in ordine.
Sbuffai e tornai indietro fino alla mia camera da letto. Cercai il mio cellulare, che sembrava essere andato perso.
“Dove diavolo l'ho messo?” borbottai, perplessa.
Sollevai i cuscini, guardai in ogni cassetto della scrivania, spalancai l'armadio, ma non c'era traccia del mio telefonino.
Strillai dalla rabbia e scagliai un cuscino contro la porta. Non avevo modo di contattare le mie amiche perché venissero a ripulire casa, mio padre sarebbe ricomparso nel giro di dieci ore e io non sapevo da dove cominciare per provare a rendere la casa un posto decoroso.
Mantieni la calma, Kate. Forse non se ne accorgerà... sì, certo, non lo noterà solo se gli metterai un paraocchi per i prossimi giorni, pensai sconfortata.
Scesi di nuovo al primo piano e cercai un paio di guanti in lattice, due o tre sacchi della spazzatura belli ampli e uno sgrassatore detergente. Uscii dal bagno con il mio armamentario, incerta se darmi davvero alle pulizie di casa: non mi era mai successo di dover fronteggiare una tale sporcizia, non capivo cosa fosse successo la sera prima per riuscire a produrre tutto quel pandemonio. Normalmente le feste a casa mia erano tranquille e all'insegna dell'eleganza. Che cos'era andato storto quella volta?
Arrivai al piano terra e con un sospiro affranto cominciai ad avviarmi alla ricerca dei bicchieri dispersi. Pestai più volte cocci di vetro e mi affrettai a raccogliere anche quelli. Aggirai il banco bar e mi ci intrufolai sotto per ripulire meglio: raccolsi accendini rotti, altri bicchieri, bottiglie ancora mezzo piene e persino un pacchetto di preservativi vuoto.
“Grazie tante, ragazzi” mormorai schifata, gettandolo nel sacco della spazzatura in fretta.
Dopo circa venti minuti di ricerca e di borbottii indignati, sentii suonare il campanello. Ancora piegata sotto il bancone, scattai sbattendo dolorosamente la nuca contro il bordo.
“Ahia!” esclamai, le lacrime agli occhi.
Mi alzai in tutta fretta e mi sfilai i guanti in lattice, abbandonandoli sul bancone angora ingombro di sporcizia. Corsi fuori dalla sala e risalii la larga scalinata che conduceva al primo piano.
Arrivata alla porta di casa, sollevai il ricevitore cercando di nascondere ogni traccia di panico.
“Chi è?”
In un primo momento nessuno rispose, poi riconobbi chiaramente l'ultima voce che avrei desiderato sentire in quel momento.
“Ehm... Ciao, Catherine, sono Harry. Ho dimenticato un paio di cose a casa tua, non è che posso...?”
“No!” sbottai, infastidita.
Riattaccai con forza e mi allontanai dalla porta, ma dopo qualche passo Harry suonò di nuovo al campanello.
Alzai gli occhi al cielo, tornai al citofono e questa volta risposi con decisione: “Torna a casa, ti farò portare la roba lunedì mattina da Sarah”.
“Catherine, ho dimenticato il portafogli con tutti i miei documenti!”
“Non sono affari...”
“Rimarrò qua fino a quando non arriverà qualcuno. Così sarà poi difficile nascondere le prove del...”
Premetti sul tasto del citofono, gli occhi serrati dall'ira. Attesi di sentire il cancello richiudersi prima di aprire la porta di casa.
Harry Styles si fece avanti guardandosi attorno con aria ammirata. Era vestito con un paio di semplici jeans blu scuro e una felpa marrone.
“Sbrigati” gli intimai senza preamboli.
Lui varcò la soglia di casa mia con un allegro “Permesso?” e si fermò alle mie spalle.
“Wow, questa villa è davvero bella!” si complimentò, osservando con attenzione il salotto.
“Che c'è? Per caso questa stanza è grande come tutta casa tua?” lo presi in giro.
Harry mi lanciò un'occhiata stanca. “Simpatica come al solito, noto...”
Sbuffai e lo superai, diretta verso le scale del piano terra.
“A proposito, ottima scelta degli abiti!” mi urlò dietro, quando fui a metà scalinata.
Mi voltai e lo guardai ridacchiare in silenzio. Solo un attimo dopo mi ricordai di avere addosso un semplice paio di pantaloncini corti e una canottiera parecchio scollata. Mi coprii il petto incrociando le braccia e dissi: “Ero sola, prima che tu venissi a ficcare il naso a casa mia”.
“Stai tranquilla, neanche io muoio dalla voglia di restare qui a sentirti dire che sono un fallito” scherzò Harry, raggiungendomi.
Continuai a scendere e tornai nella sala della festa. Dopo qualche istante anche Harry varcò la soglia e si guardò attorno divertito. Lo sentii produrre un lungo fischio e chiusi gli occhi, imponendomi di restare calma.
“Stai davvero pulendo o è frutto della mia immaginazione?” mi derise lui.
“Prendi la tua roba e lasciami in pace!” sbottai, chinandomi sotto il bancone.
“Certo”.
Per qualche minuto lui si limitò a frugare sopra e sotto il palco, alla ricerca degli oggetti smarriti, e io continuai a ripulire il pavimento da scartoffie e pezzi di vetro. Dopo un po', però, Harry ruppe il silenzio con una delle sue snervanti risatine allegre.
“I tuoi amici sono stati proprio degli ospiti scortesi!” esclamò, alzando sopra la testa un preservativo che aveva tutta l'aria di essere stato usato.
Feci una smorfia disgustata e mi affrettai a raggiungerlo.
“Gettalo nel sacco” gli ordinai. “E lavati le mani”.
Harry mi spiò con aria scaltra. “Non avrei mai immaginato che fossi una donna di casa. Cucini anche torte nel tempo libero?”
Gli lanciai la mia occhiata più feroce. “Non ho tempo da perdere con un perfetto idiota come te, Harry Styles. Mio padre sarà di ritorno entro sera e se scopre questo casino, io sono morta”.
Mi allontanai nuovamente da lui e tornai a trafficare con rifiuti e bottiglie. Dopo qualche istante Harry parlò di nuovo.
“E sei sola a fare tutto questo?” domandò, molto meno sfacciato di prima.
Annuii senza alzare lo sguardo.
“Per caso vuoi che ti aiuti?” si offrì con tono cauto.
Appoggiai una mano al bordo del bancone e lo guardai, ancora in ginocchio sul pavimento imbrattato.
“Ti ho chiesto aiuto?” feci, scontrosa. “No, quindi non devi restare qui. Sei d'intralcio”.
Harry assunse un'aria sorpresa, ma non parve particolarmente turbato dai miei modi bruschi: ci stava per caso facendo l'abitudine?
Scossi il capo per cacciare quei pensieri; la sola idea di avere sempre e costantemente a che fare con quel ragazzo mi irritava.
Dopo parecchi altri minuti di completo silenzio, Harry saltò su sollevato e annunciò di aver ritrovato il portafogli con tanto di carte di credito. Si impossessò anche del proprio microfono, dimenticato assieme agli amplificatori, e raggiunse le doppie porte scorrevoli.
“Be', ci vediamo” mi salutò, incerto.
Non gli risposi nemmeno, desideravo soltanto che se ne andasse e mi lasciasse sola. Udii le porte aprirsi. Infilai la mano in un angolino buio sotto il bancone e sentii qualcosa solleticarmi la pelle. Ritrassi la mano e scorsi un ragno sulle mie dita. Cacciai un urlo disumano e balzai su, colpendo lo sgrassatore e il sacco della spazzatura.
“Che c'è?” domandò Harry, subito tornato indietro per assicurarsi che non fosse successo nulla.
Scossi il capo, sentendomi così stupida per aver urlato in quel modo. Borbottai qualcosa d'indistinto, e Harry fu costretto ad avvicinarsi.
“Che hai detto?” domandò.
Lo guardai negli occhi e, piena di una bruciante vergogna per ciò che stavo per fare, dissi: “C'è un ragno là sotto. Potresti catturarlo tu?”
Harry sorrise e io distolsi lo sguardo, un'altra volta umiliata e infastidita.



“Metterò della musica, però, perché la tua eloquenza mi disturba un tantino”.
Guardai Harry di sbieco, mentre lui mi dava le spalle e navigava con fare esperto sul menù del suo cellulare. Dopo poco una canzone che non conoscevo partì inondando la vasta sale di note dolci e delicate.
Avevo accettato l'aiuto di Harry Styles, messa alle strette dalla mancanza di tempo e dalla paura di dover affrontare altri insetti nella mia impresa.
“Chi è?” domandai, incapace di restare in silenzio.
Harry non si distrasse: aveva iniziato a riordinare il palco, spostando gli amplificatori e i cavi sul pavimento.
“Che cosa?” domandò lui.
“Chi canta questa canzone?” ripetei.
“Oh!” esclamò Harry, distratto. “Johnny Cash. Lo amo”.
“Non lo conosco...” mormorai, alzandomi finalmente dal pavimento sporco.
Vidi Harry guardarmi con aria stupefatta.
“Non conosci Johnny Cash?!”
“Be'... no! Che cosa c'è di tanto strano?” risposi, stizzita.
Harry si raddrizzò e disse: “È uno dei padri della musica folk americana, e...”
“D'accordo, lo adori” tagliai corto, gesticolando con la mano. “Discuteremo un'altra volta dei tuoi gusti musicali”.
“Ecco che Catherine Alexandra Cavendish ci mostra come evitare conversazioni spinose...”
“Chiudi il becco, Styles!”
Harry rise e scosse il capo, i ricci folti come scossi dal vento.
Ripresi a lavorare, adesso affaccendata attorno al ripiano del bancone. Vi spruzzai dello sgrassatore sopra e sfregai con l'unica, consunta spugna che ero riuscita a trovare di sopra.
“E tu che musica ascolti?” mi domandò Harry dopo poco.
“La musica chiudi-la-bocca-e-lavora” risposi distrattamente, impegnata a sfregare una macchia nera difficile da cancellare.
“Oh, sì, ottima scelta. E che ne dici del genere potresti-anche-evitare-di-darmi-ordini-dato-che-ti-sto-aiutando?”
“Ah ah, molto divertente, Harry!” feci, seria.
“Ehi, io sto cercando di fare conversazione! Non è mai morto nessuno per aver risposto a un paio di domande” si difese lui.
Sospirai, stanca. “Se avessi voluto rispondere a un paio di domande avrei chiesto a un giornalista di aiutarmi”.
Harry sbuffò e si rimise a lavorare in silenzio. Ero contenta di averlo finalmente zittito. Non mi andava giù l'idea di aver ceduto e accettato che si fermasse per aiutarmi a riordinare il salone, ma d'altronde ero rimasta completamente sola: non avevo modo di contattare le mie amiche e non avevo idea di dove fosse sparito Michael dopo la serata precedente.
Tuttavia continuavo a chiedermi perché Harry Styles si fosse proposto di ripulire casa mia. Io lo avevo trattato nel peggiore dei modi e continuavo a fare di tutto per infastidirlo e mettergli i bastoni fra le ruote, eppure eccolo lì a pulire chiazze di vodka sul pavimento.
Mi ritrovai a spiarlo con la coda dell'occhio, un po' sospettosa e un po' incredula. Per fortuna la musica riempiva il silenzio tra di noi e io non ero obbligata a dover parlare. Non avrei saputo che cosa dire in quella circostanza: conoscevo a malapena il mio compagno di pulizie e tutto ciò che avevamo condiviso fino ad allora erano stati segreti scottanti e ricatti.
“Catherine, ho trovato un cellulare” annunciò Harry, spezzando il filo dei miei pensieri.
Mi tirai su dal bancone e camminai verso di lui. Anche a distanza riconobbi il mio telefono.
“È mio, credevo di averlo perso” mormorai, sollevata. “Grazie” aggiunsi.
Harry fece un cenno del capo e tornò a lavorare. Lo fissai qualche istante in silenzio prima di tornare al mio posto. Posai il cellulare sul lato del bancone già ripulito e ripresi il mio lavoro.
Harry cambiò la canzone e di nuovo la chitarra di Johnny Cash ricoprì il grattare delle spugne. Mentre, assorta nei miei pensieri riguardanti Michael, terminavo di sgrassare la superficie liscia del bancone, Harry prese a cantare con la sua — dovevo ammetterlo — bella voce tonante. Non si preoccupava minimamente di sembrare fuori luogo.
“Da quanto tempo canti?” domandai di colpo, senza quasi accorgermene.
Mi immobilizzai dov'ero, sconvolta dal fatto di aver formulato quella domanda. Harry s'interruppe e dopo poco lo sentii dire: “Mi pareva di aver capito che avessimo abolito qualunque tipo di conversazione”.
Sbuffai e afferrai un bicchiere di plastica che era sfuggito alla precedente pulizia dei pavimenti.
“Comunque, da quasi dieci anni”.
Rimasi in silenzio, ripetendomi la sua risposta nella mente. Ma che diavolo mi era saltato in testa? Lui e la sua band mi avevano rovinato la serata, non volevo dare l'impressione di interessarmi alla sua maledetta musica.
La cosa che mi bruciava maggiormente era stato accorgermi di quanto Harry Styles si muovesse bene sul palco: sembrava nato per farlo, per incantare la folla e coinvolgerla nei suoi spettacoli. Anche io avrei desiderato avere la stessa positiva influenza su chi mi avesse guardata recitare.
“Sembravi a tuo agio al centro della scena ieri” lo informai, fingendo una certa noncuranza.
“È un complimento?” domandò lui.
Feci spallucce. “Immagino di sì...”
Harry ridacchiò e io mi voltai, preoccupata che potesse ricominciare a fare battute su di me.
“Detto da un'aspirante attrice, questo è un complimento!” esclamò, facendomi l'occhiolino.
“Io non sono un'attrice” ribattei, secca.
“Infatti io ho detto aspirante attrice” replicò lui con prontezza.
Hear the trumpets, hear the pipers,
one hundred million angels singin'.

La musica riempì di nuovo il temporaneo silenzio tra me e Harry. Quella canzone mi piaceva, era allegra e motivante, mi faceva sentire più leggera e ottimista.
“Come vanno i corsi, a proposito?” mi domandò Harry, tutto interessato.
Mi avviai verso il sacco della spazzatura e gettai alcuni mozziconi di sigarette ritrovati in un angolo della sala.
“Ho fatto una sola lezione per ora”.
Harry spostò la scaletta di tre gradini che avevamo affiancato al piccolo palco e per un attimo la musica fu coperta dal rombo del legno che grattava contro il pavimento.
“E com'è... andata... questa lezione?” domandò di nuovo lui con la voce contratta dallo sforzo.
Lanciai una breve occhiata nella sua direzione e lo vidi asciugarsi il sudore dalla fronte.
“Bene. Mi hanno assegnato un ruolo importante” risposi, sentendomi assai strana nel conversare così tranquillamente con Harry.
“Qual è il tema dello spettacolo?” mi domandò ancora lui.
Abbandonai il flacone di sgrassatore e agguantai la scopa abbandonata poco prima contro la parete della sala. Mi appoggiai al manico e soppesai la sua domanda.
“Insceneremo Pulp Fiction” spiegai, tranquilla.
Harry si tirò più su e alzò le sopracciglia in un'espressione di stupore.
“Questa è la prima volta che ci propongono un'opera teatrale interessante!” esclamò.
“Ti è piaciuto il film di Tarantino?”, questa volta toccò a me fare domande.
Harry annuì entusiasta. “L'ho adorato! Così come adoro Tarantino e tutto ciò che produce. Quell'uomo è incredibile!”
Ebbi un leggero tuffo al cuore al ricordo di ciò che avevo pensato io quando avevo scoperto che lo spettacolo teatrale si sarebbe basato sul remake del film più celebre del regista: io amavo Tarantino e amavo 'Pulp Fiction'.
Annuii brevemente e mi voltai in fretta per non mostrare il mio stupore. Non volevo che Harry sapesse di condividere quella passione con me; avrei preferito ignorare la verità io stessa, ma ormai era troppo tardi: ci eravamo incamminati lungo un sentiero irto di pericolosi argomenti, e avevo paura che, proseguendo, avremmo scoperto tanti altri punti comuni.
“E dimmi: che ruolo interpreterai?” domandò Harry, sereno come se io e lui non avessimo mai avuto da ridire.
Sbuffai. “Continua a lavorare, altrimenti si farà sera e noi saremo ancora qua occupati con... scope e... guanti”.
Harry non replicò, ma riconobbi il rumore della scopa che spazzava sul legno del palchetto allestito. Rimanemmo in silenzio per parecchio tempo. Tra noi c'era solo più la musica che continuava imperterrita a cullarci con melodie sempre diverse le une dalle altre. Dopo un po' finii quasi per scordarmi di essere in compagnia e tornai a torturarmi con i soliti pensieri angosciati: pensavo a Michael, a come mi ero comportata con lui la sera prima, al fatto che lui mi fosse sembrato troppo innamorato e che ciò mi avesse anche leggermente infastidita. Finii per distrarmi più di una volta, rovesciando ripetutamente l'acqua intrisa di detersivo per pavimenti.
“Catherine, forse dovresti fare una pausa” arrivò a riscuotermi la voce di Harry dopo quella che mi parve un'eternità.
Non ci eravamo più rivolti la parola e io non avevo più prestato attenzione a ciò che faceva: quando mi voltai, vidi che aveva rimesso in ordine metà della grande sala, mentre io ero ancora nel mio solito angolino scuro a cercare di far brillare il marmo sporco.
“Che ore sono?” borbottai, stanca di stare chiusa lì dentro a fare un lavoro che odiavo.
Lui controllò sul suo orologio da polso. “Quasi mezzogiorno”.
Mi battei un colpetto sulla fronte. “Sono passate un sacco di ore!”
“Be'...” cominciò Harry.
Lo interruppi con un gesto della mano. “Vado di sopra a bere qualcosa, qua si muore di caldo”.
Mollai scope e stracci e mi avviai a passo deciso verso le porte scorrevoli. Poi, però, mi ci bloccai a pochi passi di distanza, mentre Harry riprendeva a lavorare senza dire una parola.
Non mi piaceva l'idea che fosse rimasto insieme a me quasi tutto il mattino e mi piaceva ancor di meno il fatto che avessimo parlato come due vecchi amici, ma mi sentivo terribilmente in debito nei suoi confronti. Non avrebbe dovuto fermarsi ad aiutarmi, ma l'aveva fatto e io non potevo ignorare quell'inaspettata gentilezza.
Sospirai e cercai di mettere a tacere la voce che, nella mia testa, suggeriva di oltrepassare le porte e sbatterle in faccia a Harry Styles.
“Vuoi qualcosa da bere?” domandai in tono spiccio, imbarazzata.
Harry si ridestò e si passò il dorso della mano sulla fronte.
“Ehm...” mormorò, colto alla sprovvista. “Sì... Dell'acqua può andare bene, grazie”.
Scossi il capo e tornai alle vecchie maniere.
“Togliti pure dalla testa che io ti porti da bere come una serva, Styles. Tu ora molli quella schifezza e mi segui” ordinai, lieta di avere un pretesto per potermi comportare come sempre.
Vidi Harry alzare gli occhi al cielo, ignaro del fatto che lo stessi osservando, e non potei fare a meno di sorridere sotto i baffi.





Eccoci finalmente a un capitolo dove le cose cambiano un po' dal solito registro: Catherine è costretta a non ignorare il gesto di Harry e da qui ne nasce una prima vera conversazione.
Ovviamente questo non vuol dire amore folle, ma a me è piaciuto scrivere questo capitolo perché finalmente si entra nel vivo della storia e perché mostra che anche Catherine non è poi così insopportabile come cerca di sembrare il più delle volte.
Che pensate del capitolo? Vi è piaciuto? Vi aspettavate questa conseguenza del concerto?
Sarò più che lieta di leggere i vostri pareri, positivi o negativi che siano.
Ringrazio sentitamente tutte le lettrici che stanno ancora leggendo la storia, vi sono grata! Ogni momentino libero che ho qua in Germania lo passo a scrivere o a leggere, quindi... ho intenzione di continuare a pubblicare. :)
Un grande abbraccio,



Martina


 
   
 
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