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Autore: SagaFrirry    22/10/2015    0 recensioni
Terzo ed ultimo capitolo della trilogia. Ormai è trascorso molto tempo dall'ultima battaglia. I pianeti e gli universi si spengono, gli Dei si addormentano. Che sia la fine? E quel ragazzo con un teschio tatuato sul volto che ruolo avrà? Vecchie conoscenze, nuovi personaggi, profezie dimenticate e divinità risvegliate. L'inizio della fine!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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II

SENZA VITA

 

“Volo d’avvoltoi, in cerchio, attorno al corpo senza vita

mentre cade l’ultima lacrima, segno di una speranza ormai svanita.

Volo d’avvoltoi, in cerchio, attorno all’anima senza pace

mentre il resto del Mondo guarda, passa e…tace”.

 

“Che allegria, Kavahel…”.

Kavahel sorrise leggermente, sentendosi dire questo: “Non ti piace la mia canzone, mio caro Apollo, Aton, Hammon, Helios, Horus, Inti, Mihr, Saule, Suria, Tezcatlipoca, Tiwaz, Vivasvat, Wi, Yarhibol, Rik o qualsiasi altro nome che i nostri sottoposti ed adoratori ti hanno dato?” commentò, a mezza voce.

“Ma…chiamarmi "Sole" come fanno tutti ti è troppo difficile, Kavahel? Ad ogni modo, no. Non mi piace la tua canzone. È deprimente, come il Mondo là fuori”.

Kavahel guardava fuori dalla finestra, tenendo la fronte ed il suo piccolo corno rosso contro il vetro. Il cielo era nero, nero come i capelli del suo genitore scomparso che portava il nome di Kasday. Le stelle invece, molto numerose ma non sufficienti a smorzare il nero della notte, brillavano di un intenso color rosso a riflessi aranciati, com’erano gli occhi di Luciherus. Il vento soffiava senza sosta e Kavahel non sapeva come fermarlo. Doveva avere lui il controllo sui Mondi, ma non era così. Gli alberi, pietrificati e gelati come tanti delicati cristalli, protendevano i loro rami spogli verso quel cielo sempre coperto ed ogni essere vivente non divino doveva la sua esistenza esclusivamente alla protezione degli Dèi.

“Guarda che io sono stufo di lavorare per venire sempre coperto da nuvole, nebbia e neve!” borbottò il Dio del Sole, avvolto nel lungo mantello rosso per proteggersi dal freddo.

“Non è colpa mia…” sussurrò Kavahel “…è come se i Pianeti ed i Mondi fossero morti e non mi volessero più ascoltare. Io provo a governarne l’equilibrio, ma è difficile…”.

“Hei! Tranquillo! Scherzavo!” ridacchiò il Sole “Siamo tutti nella stessa barca, amico. Nessuno ti incolpa, ragazzino dalle mille responsabilità!”.

“Io incolpo me stesso…” sospirò, rassegnato, Kavahel, osservando il suo riflesso alla finestra con quegli enormi occhi dorati e quei capelli sparati in aria.

“Non dovresti” si intromise Vereheveil, che fin ora era rimasto in disparte.

Nel salone, erano riunite diverse divinità con i rispettivi Messaggeri. Il fuoco del camino non bastava a scaldarli e, respirando, formavano piccole nuvolette bianche.

“Non dovresti, figlio mio, sentirti in colpa. Non sei responsabile di ciò che sta accadendo”.

“E allora di chi sarebbe la colpa?” sibilò Kavahel, senza guardare Vereheveil.

Il Dio delle Letterature era cambiato molto nell’ultimo periodo. Era invecchiato. Gli occhi d’oro, una volta così grandi e luminosi, ora erano infossati e stanchi. I suoi capelli verde acqua ora erano quasi bianco latte e tutto il suo corpo mostrava i segni del tempo passato, era ricurvo ed acciaccato. Solo le mani non erano cambiate, mantenevano la bellezza che avevano sempre avuto.

“Non devi dare la colpa a te stesso” riprese Vereheveil “Stai facendo un buon lavoro, in fondo. La pace regna fra tutti i Mondi, la gente crede in te e, bene o male, si và avanti, no?”.

“Quanto sei ottimista…” si sentì dire, alle spalle, da una voce melodica.

“Ma guarda un po’…l’Alto Krì si è svegliato…” sogghignò il Sole, con uno strano tono di fastidio.

“Problemi, accendino rotondo?” ringhiò Krì, di risposta, alzandosi in piedi e sfiorando il soffitto.

“No, nessun problema…” rispose il Sole, alzando lo sguardo “…dico solo che, dato che Lei è un Alto, dovrebbe fare qualcosa per questo…come dire…tempo di merda…”.

“Le nuvole ti rendono nervoso, papà” cercò di calmarlo una giovane al suo fianco, la Dea della Luna e dei satelliti, succeduta a sua madre una volta che questa si era spenta.

Krì non rispose alla provocazione della divinità solare e si avvicinò a Kavahel.

“Figlio delle Letterature e degli Equilibri…” iniziò a parlargli “…tutti noi facciamo il possibile per far sì che gli Universi vivano ma, forse, è cambiato per loro il modo di vivere”.

Kavahel lo guardò in modo interrogativo e poi rivolse il suo sguardo alla Messaggera di Krì, Kiaritanya, che alzò le spalle e gli fece segno, con la mano, che il suo padrone era un po’ fuori di testa e che, probabilmente, stava vaneggiando come sempre. Krì, ignorando lo scambio di gesti dei due, riprese a parlare, incrociando leggermente le gambe.

“Ciò che intendo dire, e che voi non capite, è che siamo troppo impegnati a pensare alla vita come l’abbiamo sempre concepita: con il caldo, le stagioni, il verde e tutto il resto. Ma chi ci dice che, ora, non sia il tempo di cambiare concezione? Magari questo gelo, questo inverno perenne, questa apparente fine, non è altro che l’inizio di un nuovo tipo di vita?”.

“Tu sei pazzo” rimbeccò Kavahel.

“Non ti uccido solo perché sei l’ultimo Equilibrio rimasto” sbottò Krì.

“Sei in una botte di ferro, amico” rise il Sole.

“Vale lo stesso per te, astro smorto!” rimbeccò l’Alto e il Sole, di risposta, gli mostrò la lingua.

Vereheveil sorrise. Quelle discussioni gli ricordavano le sue liti con Luciherus. Nessuno nella sala capì il perché della sua risatina sommessa ma, dato che era da tanto che non mostrava segni di gioia, si rallegrarono a loro volta.

“Suvvia, Krì, non litighiamo! Dopotutto, io sono il Dio del Sole! Dovrei essere amichevole, caloroso e tenero, non certo una gran lagna come invece mi fa diventare questo tempaccio! E poi, cosa importante, se restiamo uniti sono sicuro che una soluzione si trova. Non dire minchiate del tipo che la vita deve stare nel ghiaccio e simili. IO sono il SOLE! E la vita nasce da ME! Dal calore che emetto e dalla mia forza, non dalla neve!”.

Krì sorrise, non molto convinto, e si rilassò, tornando a sedersi: “Il tuo lavoro lo fai, in fondo, Sole. Alimenti le piante di Heket, la Vita, che fan sì che le creature viventi crescano e sopravvivano”.

Le piante di Heket erano degli alberi nuovi, nutriti dai poteri di tutti gli Dèi e dal nucleo del Pianeta stesso, ricco di linfa magica. In quell’epoca buia, il Tempo si era intorpidito, forse sopraffatto dal gelo, e non andava più avanti. Lui, divinità antica, assieme alla moglie Memoria ed i loro figli, restava immobile, ad occhi chiusi, nel suo grande palazzo. Ad ogni suo lieve respiro, l’eternità avanzava di qualche secondo. I Pianeti, le stagioni e la vita stessa, con la mancanza dello scorrere del Tempo, erano immutabili. E questo non a causa del Dio del Tempo ma per volontà del pianeta stesso. Il Pianeta degli Dèi, centro dei Multiversi e dispensatore dell’energia divina, non voleva più eseguire gli ordini del suo attuale governante. Ignorava gli sforzi di Kavahel di riportarlo all’Equilibrio, e trasmetteva la sua volontà a tutti gli altri Pianeti. Per questo le divinità avevano creato gli alberi di Heket, in grado di fornire la capacità, a chi ne mangiava i frutti, di crescere. Questi frutti venivano dispensati ai mortali ed a tutte le creature incapaci di avere magia propria, o con magia insufficiente per crescere autonomamente, fino alla maturità. Dopodiché dovevano cavarsela da soli e la cosa generava non pochi problemi, perché i Pianeti non fornivano grandi quantità di cibo e possibilità di sopravvivenza. Questo creava un numero sempre più alto di orfani e decessi. Il Sole protestava per questo ma era perfettamente consapevole che anche le divinità avevano i loro problemi. Erano sempre più deboli, a causa della sempre minore fede in loro, e sempre di meno. Molte divinità, sopraffatte, si spegnevano. A che serviva la Dea della Primavera fra dei mondi di infinito ghiaccio? Non nascevano piccoli Dèi da un bel po’, dato che le loro energie erano tutte concentrate sul mantenimento della vita negli Universi. Il Sole stesso era preoccupato per questo. Sua moglie era morta e lui aveva solo una figlia femmina che, sì, aveva preso il posto della madre ma restava il dubbio su chi avrebbe preso il posto suo. Il ruolo di Dio del Sole passava di padre in figlio, fin dall’inizio dei tempi, ed ora non sapeva bene a chi sarebbe passato. Sapeva solo che iniziava a sentirsi stanco, specie perché lavorava invano, dato il forte gelo!

“Forse siamo giunti alla fine…” azzardò Kavahel.

A risposta di questo, Krì, inaspettatamente, gli tirò un ceffone dietro la nuca.

“Smettila di piagnucolare! Sei peggio di Kasday! La mia compagna non c’è più e l’unico figlio che mi è rimasto mi detesta, ma non per questo mi piango addosso!”.

“Ma io ho ucciso Kasday! Se non lo avessi fatto…a quest’ora sarebbe stato tutto diverso!”.

“Kasday voleva morire! Se non lo avessi ucciso tu, ci avrebbe pensato qualcun altro, scemo!”.

“Se solo rinascesse…” azzardò Vereheveil.

“No!” tuonò Krì, in uno strano eccesso d’ira “Non dobbiamo sempre e solo pensare al passato, a ciò che sarebbe potuto essere ed a ciò che mai sarà! Kasday è morto e noi dobbiamo imparare a vivere e a sopravvivere senza di lui, lei o quel che era! Tutti noi volevamo bene a Kasday, chi più, chi meno, ma tutti noi siamo anche consapevoli di ciò che è successo quel giorno…tranne te, mia cara” concluse, indicando la Dea della Luna e dei Satelliti che a quel tempo non aveva quel ruolo.

“Giusto” annuì il Dio del Sole, guardando fisso il fuoco nel camino, come ipnotizzato.

“Tu non sei un cattivo Dio, Kavahel…” iniziò a parlare Vereheveil, ma il figlio lo zittì.

“Non voglio sentire simili discorsi d’incoraggiamento, papà. Sono cresciuto ormai e non serve indorarmi la pillola. Guarda come ti sei ridotto tu in pochi anni! Ti sei consumato!”.

“Questo non è certo per colpa tua. Ormai nessuno ha tempo per leggere, scrivere e ricordare. Solo i bambini, che ormai sono sempre meno, stanno sui libri. Gli altri sono tutti impegnati a sopravvivere. Inoltre, il numero di parlanti è sempre più esiguo e molte lingue stanno scomparendo. Infine…hai sentito come parlano i giovani d’oggi? Sembrano dei poveri ritardati…è questo che mi indebolisce e mi invecchia. È questo che mi consuma e mi uccide, figlio mio. E tu, di questo, non hai colpa. Sinceramente…non ho nemmeno voglia che la cosa sia diversa. Il mio tempo è giunto. Sono nato fra gli angeli, e dovrei essermene andato già diverse Ere fa, ed invece sono ancora qui”.

“Certo che sei ancora qui! Sei un Dio, papà! E gli Dèi non muoiono perché si svegliano la mattina e decidono di farlo, come ha fatto il signor Kasday!”.

“Signor?!” esclamò il Sole, inclinando la testa.

Non aveva mai considerato Kasday come un “Signore” anche se era stato alle sue dipendenze.

“E se la pensi così, allora perché vuoi che sia la fine del Mondo?” domandò Krì, con il suo solito fare enigmatico e con lo sguardo perso nella bufera di neve che vedeva fuori.

“Non voglio che lo sia! Solo che…non so cosa fare” ammise Kavahel, chinando il capo.

“Non mollare. Ecco cosa devi fare. Tutti i presenti in questa stanza devono promettere che non si arrenderanno, che non si spegneranno, che non moriranno, e che insieme daremo nuova vita a questo Pianeta depresso. Promettetelo!” ordinò Krì, rialzandosi per l’ennesima volta.

“Prometto!” esclamò il Sole, alzandosi a sua volta.

“Prometto!” rispose sua figlia Selene, andandogli accanto.

“Prometto!” sussurrò Heket, la Dea della Vita, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.

“Prometto!” ringhiò Luciheday, la Dea della Morte, sempre presente anche se senza più il marito.

“Prometto…” mormorò Vereheveil, guardando suo figlio.

“Prometto” dissero altre divinità che fin ora non erano intervenute.

“Prometto” disse, infine, Kavahel dopo un profondo sospiro. Lo disse poco convinto.

Krì, soddisfatto, annuì. Poi lasciò la stanza, seguito a ruota dalla sua Messaggera Kiaritanya.

“Hai idea di dove sia mio figlio?” le domandò.

“Di solito sta da Mihael o dalle parti della Dea del Kaos”.

“Potresti andare da Mihael e vedere se è là?”.

Kiaritanya sbuffò: “Io…veramente…” iniziò, con lo sguardo accigliato “…ne avrei abbastanza di angeli, demoni e via discorrendo”.

“Ma tu sei un angelo!” le fece notare Krì, con un sorriso.

“Sì…ma preferirei che non me lo faceste notare”.

Detto questo, aprì le ali e scrisse in aria il sigillo per passare nel regno di Mihael.

   
 
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