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Autore: Happy_Pumpkin    20/02/2009    1 recensioni
Amava la sua fidanzata.
Ma ancora non sapeva su di lei cose veramente insignificanti... non era umana, lavorava in compagnia di un licantropo e non solo... quella sera, senza nemmeno saperlo, avrebbe detto addio alla sua vita perfetta per ritrovarsi scaraventato in un insieme di avventure, di segreti e di personaggi fuori dal comune.
Follia allo stato puro.
Genere: Romantico, Dark, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ray
Come al solito un capitolone. Raccomandazioni: leggere con calma e misura. XD



Icaro


Il terreno sembrava una massa informe sotto i suoi piedi, persino camminare gli risultava difficile anche per via della mente annebbiata e della vista confusa.
Sevoftarta, Controllore del Consiglio, aveva subito un incantesimo.
Se qualcuno l'avesse saputo avrebbe potuto anche scordarsi del suo ruolo di primo piano nelle decisioni prese dal Consiglio stesso.
“Dannazione!” esclamò furibondo.
Ecco uno dei tanti periodi nei quali era meglio stargli lontano, a meno che non si fosse guidati da un intraprendente spirito suicida.
Si controllò le mani, avvertendo un forte odore di incenso. Assottigliò gli occhi, come cercando di riordinare le idee, e contro ogni aspettativa dovette riconoscere che molto probabilmente non era stato Astaroth a incantarlo.

Il profumo di quel fumo leggero che veniva fatto volteggiare leggero per i loro subdoli dei.
Era stato un umano.
Un umano che lo aveva allontanato da Ray e dal suo ancora inattivo potere.
Seppur con il passo incerto, facendo fatica a sollevarsi da terra, cercò di concentrarsi per tentare di captare eventuali tracce del demone o, meglio ancora, dell'umano.
I risultati furono però ben scarsi, per non dire nulli. Eppure quell'odore non faceva altro che alimentare una seducente supposizione su dove si fosse diretto Astaroth.

Gli altri del gruppo, notò con disappunto, dovevano avere le sue stesse difficoltà ad inseguire i due compagni mancanti. Lo percepiva... anche loro li cercavano.
Si trattenne a stento dal far saltare in aria l'intera Organizzazione quando scoprì che avevano la ferma intenzione di raggiungere il Consiglio.
Lui doveva trovarsi lì prima che tutto degenerasse, anche se dalla sua parte aveva un prezioso alleato.
Furioso fu costretto suo malgrado a rientrare, per quanto avrebbe preferito dirigersi da tutt'altra parte... gli scappò però un sorriso: in fondo Astaroth, se aveva formulato giustamente le sue teorie, gli aveva fatto un grande favore.

*°*°*°*

Itamar chiuse ancora una volta gli occhi vitrei, abbassando il capo e inspirando profondamente.
Cercò con tutte le sue forze di percepire le tracce di Astaroth e Ray ma fu inutile... sembrava che ogni loro più remota essenza si fosse completamente eclissata, quasi come se fossero stati risucchiati in una dimensione parallela.
E questo non era possibile.
Solo un demone era in grado di creare una nuova dimensione. E quel demone non poteva aver nulla a che fare con loro.

Spazientito spalancò gli occhi sbattendo un pugno sul tavolino davanti a lui ma, non essendo concentrato, passò attraverso la sostanza di legno e vetro che avrebbe voluto spezzare in mille pezzi.
“Accidenti! Perché? Perché non riesco a rintracciarli?!”
Fissò con il broncio Talasia che teneva le braccia incrociate.
Poi scattò in piedi ondeggiando, tenendo le labbra corrucciate come se volesse scoppiare a gridare, ma si trattenne limitandosi a serrare i pugni delle mani trasparenti.
La vampira aspettò qualche istante a parlare finché non disse mordendosi un labbro pensosa:
“Non preoccuparti. Andremo direttamente al Consiglio a farci restituire Ray. Non servirà rintracciarli per capire dove si sia diretto Astaroth.”

Nonostante tutto le sue parole però non erano risultate così taglienti come volevano essere. Le risultava difficile credere che davvero Astaroth potesse averli traditi con il Consiglio.
Eppure i fatti parlavano chiaro... all'improvviso il demone aveva deciso di catturare Ray, proprio quando meno se lo aspettavano, proprio quando avevano abbassato la guardia...

Itamar rimase immobile, fluttuante, a guardare Talasia andarsene per raggiungere Kain.
A che cosa serviva essere morto se non poteva aiutare quando era necessario?
Si guardò le mani trasparenti, quasi sperando che vi fosse scritto un suggerimento su come proseguire. Rimpianse, davvero, la sua vita da umano anche se erano passati circa cinquant'anni da quando era morto.
Eppure era rimasto così... infantile, pessimista, a volte capriccioso... era rimasto un ragazzino in fondo, sebbene forse molto più amareggiato.
Quando alzò lo sguardo vide Sophia che lo fissava.

La ragazza, incrociando gli occhi con quelli privi di pupilla del fantasma, spostò immediatamente lo sguardo con fare imbarazzato.
Itamar la guardò immobile... in quella ragazza rivedeva tutto ciò che lui non sarebbe mai stato, quella giovinezza che aveva sfiorato solo per un istante.
La voce di Sophia, quando quest'ultima improvvisamente parlò, era appena percettibile, come soffocata:
“Scusa... non volevo guardarti... sono stata maleducata.”
“Anche perché non c'è molto da guardare.” ribatté fissandosi rabbioso i piedi che poggiavano per sua volontà sul pavimento.

Sono un fantasma, dannazione!

“Non devi prendertela perché non sei riuscito a captare Ray e Astaroth. Non hai nessuna colpa, ci dev'essere qualcuno che è in grado di... non so, magari inibire i tuoi poteri psichici... insomma, dovete essere uniti in un momento come questo. Vedrai che sistemerete tutto.” concluse.
Poi all'ultimo si sigillò la bocca ritraendo le labbra riducendole ad una sottile riga incerta.
Abbassò gli occhi, portandosi con affanno una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per poi aggiungere confusamente.
“Bene... bene io... sì, credo che debba raggiungere Laerth – aprendo la porta aggiunse in un soffio – ci vediamo dopo.”

Itamar la guardò stupito andarsene.
Si sentì confuso... in un modo piacevole, quasi leggero, come se non avesse aspettato altro che immergere la testa in un mare di caos per non uscirne più. Affogare in quella confusione che gli faceva perdere l'orientamento.
Sophia era sempre stata così bella e radiosa?

*°*°*°*

E' necessario che io parta. Devo andare, voi non potrete seguirci, siete due semplici umani alla fine dei conti e noi... beh, dobbiamo raggiungere il Consiglio. Non potrete essere al sicuro.
Non so perché stia davvero facendo tutto questo... per amore, per dovere, per principio... probabilmente tutte e tre le cose insieme.
Non ringrazierò Kain e Itamar mai abbastanza... mi seguono in questo cammino, nonostante tutto.
Uccideremo per strada. Sì sono consapevole di essere senza rimorsi... la vita che toglierò agli umani per sfamarmi non ha alcuna importanza per me.
Mi sento trascinata, travolta e arrabbiata perché sto perdendo il controllo del mio mondo che, secolo dopo secolo, ho cercato di costruirmi.
Se qualcuno dovrà essere sacrificato per permettermi di ricreare ciò che si sta sfaldando sotto i miei piedi allora... che venga sacrificato.
Incontrerò Icaro. Dovrei supplicarlo?
No.
Mah... decisamente... i miei piedi non riescono a toccare il suolo.

*°*°*°*

Era una sera priva di nuvole, le stelle si aggrappavano al cielo splendendo su quell'immenso tappeto d'oscurità.
I loro piedi sfioravano l'acqua con gentilezza, quasi accarezzandola con la punta delle dita pallide.
Sembrava quasi che, vibrando per quei leggeri movimenti sulla superficie, si riuscisse a sentire un suono dolce, una melodia notturna cantata soltanto per loro tre, creature della notte.
Viaggiando nel buio, a pelo dell'acqua, Talasia si sentiva privata della concezione del tempo, come se il paesaggio notturno che la circondava avesse deciso di far loro uno splendido incantesimo.

Non avvertiva nemmeno la stanchezza delle ore passate a viaggiare sul mare.
Le era difficile rendersi conto di quanto effettivamente ci stessero impiegando ma, prima o poi, sarebbero arrivati su quell'isola concludendo quanto lasciato in sospeso.
Kain correva accanto a lei sollevando delle gocce d'acqua salata che arrivavano a bagnarle le gambe nude... si era trasformato in licantropo e a quattro zampe sembrava poter divorare quell'immensa distesa marina.
Gli occhi erano attenti, vitali, la bocca dai denti aguzzi leggermente aperta per prendere meglio il fiato... Talasia fu contenta di vedere Kain correre.
Lo avvertiva, in quel momento il licantropo si sentiva davvero libero, come quando aveva corso nel deserto.
Aveva bisogno di uno spazio illimitato, senza confini o barriere, nel quale non doveva preoccuparsi degli altri o di quello che sarebbe successo se fosse andato troppo oltre.

Poco distante da loro la vampira vide Itamar.
Era un bellissimo scintillio luminoso che si perdeva tra le onde del mare, una stella che sembrava non aver più avuto la forza per rimanere ancorata a quel cielo troppo grande.
Quando si immergeva nell'acqua, avvolto dalla schiuma turbinosa, sembrava una luce fioca ma incredibilmente attraente, una luce che non smetteva di brillare nonostante ci fosse un telo cupo a tentare di soffocarla.
E quando riemergeva, in tutto il suo splendore, con dei rivoli d'acqua che ancora scivolavano per quel materiale trasparente mantenuto corporeo solo per forza di volontà, sembrava poter abbagliare il mondo e far suo il buio per cambiargli l'abito in un vestito di luce.

Era bello. Sentire la brezza del mare tra i capelli, avvertire l'acqua fredda sulle punte dei piedi scalzi, assaggiare il gusto di salsedine sulle labbra secche.
Ma non sarebbe durato per sempre.
Quella magia notturna, che aveva incantato loro, piccoli viandanti sperduti, ben presto sarebbe svanita.
Sospirò. In fondo andava bene anche così.
Avrebbe assaggiato il sapore della notte ancora, ancora e ancora.


*°*°*°*

Si sentirono quasi dei ladri a percorrere le strade nel silenzio della notte. Persino i sospiri mentre attendevano che passasse un umano, troppo ubriaco per capire anche solo dove si trovasse, facevano troppo rumore.
I loro passi erano leggeri, a malapena arrivavano a toccare il terreno così sconvenientemente duro rispetto all'acqua che li aveva accolti.
Ma finalmente erano arrivati.

“Creta.” aveva mormorato Talasia.
Quell'isola le ricordava tutto ciò che in quegli anni si era lasciata alle spalle. E ora il ricordo le veniva rigettato addosso come se, inconsciamente, lo avesse legato a sé con un filo sottilissimo ma che non sarebbe mai riuscita a spezzare.
E, suo malgrado, aveva sentito la sabbia, le rocce, sotto i suoi piedi bagnati una volta raggiunta la riva. Aveva sentito la presenza di Icaro, forte, soffocante persino.
Come se lui la stesse aspettando e, probabilmente, era così.
Si portò una mano vicino al petto, stropicciando la maglia scura.
Perché sentiva ancora quel sentimento?
Quella nostalgia accompagnata da un dolore che non sarebbe riuscita a medicare, neanche dopo millenni.
Perché si sentiva ancora così inesorabilmente unita a Icaro?

Ma, quando giunsero di fronte al complesso palaziale appartenuto millenni fa a Minosse, la sua testa si svuotò di ogni pensiero.
Quel gigantesco palazzo, dalle colonne rosse, la sala del trono, le scale e gli spazi aperti che si intersecavano tra di loro creando un tessuto di ombre e luci, si ergeva davanti a loro.
Loro che, immortali, potevano vederlo per quello che era realmente e non un insieme di strutture restaurate da intraprendenti sedicenti archeologi nell'Ottocento.
Un palazzo che, dopo il terremoto che aveva sconvolto la talassocrazia della potenza cretese, era stato usato da chi anni prima ne era stato cacciato.
Conosceva la storia di Icaro, sapeva cosa per lui rappresentassero quelle mura.
Voltando lo sguardo vide le macerie, coperte dalla vegetazione e dalla polvere delle rocce erose dal vento, appartenenti al labirinto.

Rabbrividì.
Distolse lo sguardo puntandolo verso la grande scalinata d'accesso affiancata da due torrioni che sembravano all'apparenza sguarniti.
Le venne istintivo fare una smorfia scettica: chi volevano prendere in giro? Il Consiglio sapeva sicuramente che erano giunti fin da loro e, con ogni probabilità, erano a conoscenza anche delle  intenzioni che li avevano spinti fino a quel punto.

Kain, tornato umano da quando avevano messo piede sull'isola, era rimasto reticente a fissare il gigantesco complesso massaggiandosi il collo con una mano.
Infine commentò dopo aver sbuffato seccamente:
“Entriamo. Indugiare non servirà a niente. Prima risolviamo la situazione meglio sarà.”
Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro di poco decoroso nei confronti dei membri del Consiglio che negli ultimi anni gli avevano gentilmente rovinato la vita ma lasciò perdere iniziando a salire le scale.
“Ci ammazzeranno lentamente, ecco tutto.” borbottò Itamar seguendolo, sembrando dimenticarsi come al solito della sua condizione.
A quel punto Talasia li raggiunse, facendo una corsa per poi afferrare Kain sulle scale così che i capelli bronzei del ragazzo ondeggiarono nervosamente quando lui si voltò.

“Non dovete seguirmi. Non è giusto che facciate questo per me o... per qualsiasi altro motivo.” rispose con voce bassa e profonda.
Kain schioccò la lingua, roteando gli occhi, per poi darle una leggera spintarella con la spalla e superarla, commentando dandole le spalle:
“Ti preoccupi troppo Talasia. Guarda che ti verranno le rughe.”
La vampira sorrise.
All'improvviso quel corpo alto e slanciato le sembrava la sua montagna personale, grande, in grado di mutare lentamente e di proteggerla. Proteggerla emotivamente.
Dalle sue debolezze, dalle sue paure ed incertezze.
Talasia non se ne accorgeva ma era proprio in quei piccoli difetti, se si potevano chiamare tali, che era così umana. Quell'umana che da tempo cercava, anche solo nel riflesso di uno specchio, ma non riusciva a trovare.
E anche Kain sembrava un uomo.
Bellissimo, forte, anche lui con i suoi difetti.
Loro due e un ragazzino morto troppo presto. Tutti così fragili protetti dall'effimero scudo dell'immortalità.

*°*°*°*

Il rimbombo dei loro passi sul marmo bianco del pavimento, che scivolava pacato attraverso le colonne, si udiva quasi vibrante.
Nessuno di loro tre aveva problemi a vedere nell'oscurità e non fu difficile nemmeno avvistare la figura di un ragazzo che avanzava lentamente verso di loro.

“Mikal.” mormorò Talasia, con le mani abbandonate lungo i fianchi sentendosi come rassegnata e sconfitta. Vederlo la faceva stare male.
Era come se quel ragazzo dai lineamenti delicati, quasi femminili, ogni volta tentasse di soffocarla.
Anche se stava immobile a fissarla, con un accenno di sorriso sulle labbra morbide.
Lui non sbatté le ciglia folte e il suo perfetto viso ovale rimase immobile.
Kain strinse i pugni: avrebbe voluto pestare da tempo quell'odioso vampiro che si divertiva a fingersi un adolescente innocente.
Quando tutti sapevano benissimo di cosa fosse capace.

Mikal. Alle strette dipendenze di Icaro. I suoi occhi e le sue orecchie all'interno del Consiglio.
Qualunque cosa Icaro gli ordinasse di fare lui la svolgeva, impassibile e senza alcuna ombra di pentimento... una seducente macchina da guerra.
Il vampiro commentò reclinando leggermente il capo, con un ciuffo dei capelli color mogano che gli ricadde davanti agli occhi:
“Non ci aspettavamo che avreste fatto così in fretta. Immagino sarete stanchi.”

Kain lo prese per il collo della maglia arrivando con il viso a pochi centimetri dal suo:
“Vedi di non pigliarci tanto per il culo, stronzetto arrogante. Sai benissimo che siamo qui per Ray.”
“Scusa, ti dispiace?”
Senza perdere la calma Mikal si tolse dalla presa del licantropo dandosi una passata sul vestito come se dovesse togliere della polvere.
Infine commentò: “Certo, l'umano – improvvisamente si rivolse verso Talasia, ignorando completamente gli altri, dicendo – Icaro vuole parlare da solo con te.”
“Scordatelo.” grugnì Kain, questa volta davvero disposto a cambiare i connotati a quell'arrogante vampiro dalla faccia troppo gentile e falsa.

Talasia però appoggiò una mano sul braccio del licantropo, affiancandoglisi, per poi dire scandendo quasi le parole:
“Piantala Kain. Se questo servirà alla nostra causa... io... lo farò.”
Kain scosse la testa irritato ma non disse nulla.
Così Mikal si concesse il lusso di un accenno di risata compiaciuta per poi scrutare un istante Itamar che era rimasto a fluttuare poco lontano da loro.
Lo chiamò dicendogli quasi dispiaciuto:
“Tu devi essere il ragazzino fantasma.”
“Itamar.” lo corresse lui acidamente.
Senza aspettare oltre si portò di fronte al vampiro con le braccia incrociate levandosi da terra coi piedi privi di scarpe e fissandolo.
“Itamar – ripeté Mikal – già, per noi rappresenti un problema non indifferente. Devo dire che i tuoi poteri psichici sono impressionanti. Ahriman ha davvero fatto un buon lavoro nel sceglierti...”
“Zitto! Tu non sai nulla...” sibilò le ultime parole con una ferocia calcata, come se dovessero arrivare a graffiare attraverso l'aria fredda.
Anziché ribattere Mikal non dette assolutamente prova di essersi irritato per limitarsi ad una risatina leziosa, avanzando  sulle scale preferendo così dare le spalle a Itamar, il quale era rimasto furente a vedere il vampiro allontanarsi.
Un vampiro dall'aria giovane come lui ma che non era diventato un fantasma. Non era morto come si sentiva morto Itamar... era diventato semplicemente immortale, giovane, con i tratti del suo volto ben visibili e soprattutto gli occhi...  ah... quanto lo detestava per quella caratteristica... gli occhi avevano una pupilla, un colore... lui invece sembrava cieco, lo sguardo che non riusciva ad essere pienamente colto.

Talasia non disse nulla. Non voleva mostrare compassione per Itamar perché non sarebbe stato giusto. E poi le risultava difficile.
Kain la guardò seguire Mikal.
Poi dette un'occhiata a Itamar che era rimasto fermo ai piedi delle scale, il volto contorto in un tentativo malcelato di non scoppiare probabilmente a piangere.
Così alzò le spalle e disse:
“Non fare il bambino.”
Itamar alzò lo sguardo fissando un istante il licantropo con l'aria di chi era prossimo a commettere un omicidio, però si limitò a sbuffare tornando a posare il suo sguardo verso Talasia la quale, senza voltarsi indietro, si era allontanata sparendo tra i corridoi del grande palazzo.

Il giovane vampiro si era limitato, prima di affiancarsi a Talasia, a sibilare rivolgendosi a Kain:
“Voi aspetterete nel cortile d'entrata. Senza muovervi da lì. O saremo costretti ad ucciderla.”
Si limitò a sorridere per poi girare le spalle al licantropo che ringhiò infastidito.
Non poteva trasformarsi. Non poteva essere utile. Come già gli era successo... a prezzo della vita della donna che amava.
Quando salì le scale entrò in un grande cortile circondato da un porticato: al di sopra si intravedevano altre stanze sorrette da colonne, altri infiniti spazi aperti attraverso i quali filtrava l'aria notturna.
Gli umani. Così sciocchi da non accorgersi che un semplice incantesimo mascherava quella meraviglia architettonica che da millenni resisteva ai colpi del tempo.
Anche lui, secoli fa, era un umano.
Guardando il cielo stellato, le nuvole miracolosamente scacciate, riconobbe che essere diventato un licantropo era quanto di meglio potesse sperare.
Per aprire gli occhi su un mondo che difficilmente prima avrebbe potuto capire.

*°*°*°*

Talasia camminò al fianco di Mikal. Sentì che non aveva nessun odore in particolare, eccetto la scia di sangue. D'altronde tutti i vampiri, indipendentemente da chi fossero, puzzavano di sangue.
Non parlarono.
Anche perché Talasia iniziava ad avvertire una tensione che non provava da anni: l'impulso irrefrenabile di voltarsi e scappare via, prima che fosse troppo tardi.
Non per paura vera e propria quanto per angoscia, quella morsa stretta e soffocante che rendeva le proprie gambe simili a macigni.
Ma non sarebbe scappata, nonostante sapesse che ben presto, oltre quelle volte rettangolari, avrebbe incontrato Icaro. Non sarebbe scappata semplicemente perché c'era anche Ray.
Il quale non l'aveva giudicata nonostante tutto quello che aveva scoperto su di lei. E, probabilmente, era stato l'unico ad averla amata come donna.

“Nervosa?” chiese all'improvviso Mikal con un sorriso, dietro al quale si intravvedeva però un'ombra di gelida indifferenza.
“Fatti gli affari tuoi.” replicò lei continuando ad avanzare senza arrestarsi.
“Un giorno ti ammazzerò, Talasia.” rispose lui senza cambiare tono della voce.
“Hai solo da provarci. Ma sta pur certo che non mi fermerò quando le mie mani ti spezzeranno l'osso del collo.”
Mikal accennò ad un sorriso, incrinando appena le labbra morbide, infine si arrestò davanti ad una porta dalle ante in legno all'apparenza molto leggera.
Una delle modifiche apportate nel corso degli anni.
Guardò Talasia, spostandosi di qualche passo, per poi dire:
“Icaro ti sta aspettando. Entra pure, io resterò fuori.”

Si sentì vulnerabile.
Perché doveva mancarle il respiro? Perché era costretta dopo anni a rivedere Icaro da sola?
Lei si limitò a chiedere: “E il Consiglio? Noi – ed evidenziò il noi con forza particolare – siamo venuti apposta per incontrarlo.”
“Dipenderà tutto da Icaro. Ti saluto.”
Dicendo questo Mikal fece un inchino per poi dileguarsi tra le ombre dei corridoi, come se un soffio di vento lo avesse spazzato via riportandolo nella sua tana oscura.
La vampira si umettò con la lingua le labbra inaridite per poi tirare un profondo sospiro e aprire la porta anonima, priva di decorazioni, ma dotata di una semplice eleganza rispecchiando in pieno il modo d'essere di Icaro.
Da quando lo conosceva così bene?

Entrò a passi delicati, come per paura di far rumore, quasi fosse una bambina con gli incubi in cerca di conforto e riparo nel letto dei genitori.
Quando guardò davanti a sé vide la sua ombra.
Seduta con la schiena piegata verso una fontana bassa il cui rumore dell'acqua produceva uno scrosciare piacevole.
Le stelle baciavano il suo volto girato, parzialmente avvolto nella penombra delle colonne e di un albero che sembrava volersi articolare per sfuggire al buio.
I riflessi dell'acqua giocavano con la pelle chiarissima delle mani immerse nello specchio dipinto dalla luce stellare.
Superlativo.

Sembrava frutto della sua immaginazione, persino i capelli di un castano chiaro, dai leggeri riflessi dorati, erano quasi dei fili che giocavano con il suo volto affilato e scarno.
Talasia accennò ad un sorriso: Icaro era sempre stato magro, vittima di una bellezza stanca, sofferta ed incredibilmente affascinante.
I suoi occhi con i millenni erano divenuti quasi di un blu elettrico, magnetici, una calamita irresistibile dalla quale non era possibile staccarsi.
E le leggere ombre sotto le palpebre non facevano che accentuare quel colore così insolito, bello e spaventoso. Spaventoso perché si aveva la paura di perdersi, di affogare nell'immensità dei pensieri di una creatura che aveva visto tutto del mondo.

“Ciao, Talasia.”
Rimase immobile. Sentire, dopo tanti anni, la sua voce le faceva uno strano effetto.
Le parole sempre scandite, il tono leggermente roco eppure leggero.
Era come tornare indietro nel tempo. Quando ancora il Consiglio non era così potente, quando Icaro non era uno dei suoi maggiori rappresentanti ed era libero. Di stare con lei... e di non dover cercare vendetta ad ogni costo.
Sì.
Perché Icaro era orgoglioso, vendicativo e crudele. Solo a lei aveva dato amore. Perché lo aveva accompagnato nei secoli scoprendolo mutare, diventare impenetrabile e duro per poter difendere la propria razza dagli umani.
A qualsiasi prezzo.
Ma non era solo questo. Icaro era anche arte, poesia e amore.
Un amore puro. Che aveva resistito ai secoli e alle intemperie che lui aveva passato sulla propria pelle.

Non doveva. Non doveva subire di nuovo quel fascino.
Sarebbe dovuta fuggire e non ritornare mai più a incrociare i suoi occhi.
Occhi che l'avrebbero scrutata e capita molto più di quanto non avesse fatto lei in quel periodo.
Nonostante tutto avanzò nel giardino lastricato, notando che la fontana non era altro che un bellissimo ninfeo dai colori tenui, resi così vivi dalle stelle.
Lentamente si volse verso di Icaro.
Avrebbe rivisto il suo volto.
Lo scorse con lo sguardo abbassato, le mani ancora nell'acqua e gli occhi che seguivano un pesce scattare sotto le ampie foglie verdi che ondeggiavano placidamente.
“Ciao, Icaro.” disse infine. La sua voce, che a stento riusciva a riconoscere, riecheggiò tra le colonne.

Icaro alzò lo sguardo e accennò un debole sorriso.
“Siediti.” non aveva l'aria di un ordine: era detto con una gentilezza devastante.
Talasia, dopo un attimo di incertezza, si sedette al suo fianco, al bordo della fontana.
Guardò i luccichii dell'acqua, inspirando l'odore di Icaro. Un odore stranamente dolce, fresco, un odore che avrebbe riconosciuto ogni volta che si fosse avvicinato a lui.
Un odore che copriva parzialmente quello del sangue.
“Sei qui per l'umano, Ray Nethew, vero?” chiese guardandola in faccia.

Lo fissò a sua volta. Non era stupita. Icaro in un modo o nell'altro sapeva tutto.
Tra i suoi silenzi meditati rifletteva, sempre, e non perdeva mai il controllo delle proprie azioni.
Lo conosceva bene... era diventato il suo dio personale, nonostante da un po' di tempo avesse abbandonato la sua fede.
“Sì. Solo per lui.” ribadì.
Doveva mantenere le distanze. Anche se le faceva male il fatto che Icaro non le avesse chiesto di lei, come se fossero troppo distanti per capirsi.

Sono una stupida.

“Stai diventando egoista, Talasia.” riprese a guardare l'acqua dopo averle lanciato un'occhiata gelida.
“Non osare dirlo.” replicò lei mostrandosi impassibile.
Per qualche istante non rispose, finché non tornò a voltarsi verso la vampira: gli occhi avevano perso quella durezza impassibile che l'aveva accolta fino a poco fa.
Icaro era mutevole.
Lei non meritava di sentirsi dare dell'egoista, per lui aveva sacrificato davvero tanto. E lui a sua volta aveva sacrificato molto più di sé stesso.
“Perché lo ami? Perché hai scelto lui e non me?”

Talasia rimase qualche istante con la bocca dischiusa di qualche millimetro. Lo sentiva. Amore incondizionato nelle sue parole che pure risultavano taglienti, adorne di fredda razionalità.
Non c'era traccia di tristezza o disperazione, solo semplice constatazione dei fatti.
“Non puoi uscire con una domanda simile proprio adesso.”
“L'ho appena fatto.” replicò lui con immediata freddezza.

Guardò un istante quegli occhi blu che la scrutavano, i fini capelli castani che rimanevano immobili, tenuti legati da una coda leggera che lasciava libere alcune ciocche a incorniciare quel viso magro, di una bellezza atipica.
“Non è questione di scelta. Non ho preso io la decisione di innamorarmi di lui, è semplicemente successo. E ne sono stata felice.”
“Ti ucciderà.” concluse semplicemente il vampiro.
Talasia rimase muta.
“No – rispose alla fine – non sarà lui a farlo.”

Icaro prese una ninfa di un rosa pastello, scrutandone i petali con le dita sottili.
Mormorò mantenendo la sua espressione impassibile:
“Lo vorrei uccidere io stesso. Sai perché?” un tono di velata sfida.
“Perché minaccia l'esistenza del mondo perfetto che stai creando, un mondo che hai pagato con le vite di creature sacrificate senza battere ciglio.” non smise di guardarlo.
Talasia scorse per un'istante un'ombra di sorpresa sul volto magro.
Perché gli sembrava all'improvviso così fragile?
“Non per questo. Solo per proteggere te... anche se detesti dipendere da qualcuno.”
Dicendo quelle parole chiuse il fiore delicato tra le sue dita, serrando la mano così che i suoi petali spiegazzati si scomposero. Quando aprì il palmo disperse i resti del fiore nell'acqua dove rimasero a galleggiare prima di scomparire nell'acqua.

“Io ho dipeso da te per tanti secoli, Icaro. Troppi.” ammise Talasia provando ancora l'impulso di fuggire.
Il vampiro accennò ad una risata che vibrò tra le colonne.
Si guardarono.
Respirando.
Venendo sfiorati dai riflessi dell'acqua nei loro volti pallidi.
“Già – concluse Icaro – anch'io. Me ne rendo conto solo adesso.”
Talasia fece fatica a prendere altra aria, anche se non ne aveva realmente bisogno.
Dopo qualche istante rispose: “Sei sempre stato bravo a mantenerti indipendente Icaro.”
“Tu credi?” chiese lui con aria impassibile.

Non ci fu risposta. Perché nemmeno Talasia era convinta. Sentiva le sue certezze crollare, sfaldarsi poco a poco come se nel corso della sua esistenza non avesse fatto altro che accumulare carta quando invece credeva di erigere una fortezza.
Icaro si alzò in piedi, le labbra sottili tese, e disse rivolgendosi a lei guardandola quasi come se gli costasse dolore parlarci assieme:
“Ray Nethew non è qui. Anche noi abbiamo perso le sue tracce.”
Voleva vedere la reazione di Talasia. Voleva capire cosa provasse davvero la donna che lo aveva lasciato in nome di qualcosa che ancora non aveva capito.

“Cosa stai dicendo?! Astaroth...”
“Probabilmente vi ha tradito ma non con noi. A quanto pare l'umano che tu ami è una preda ambita.” rispose secco.
Talasia cercò di mantenere il controllo, di racchiudere in un cassetto lontano della sua mente la furia che avrebbe preso il sopravvento, cercando però allo stesso tempo di non abbandonarsi alla confusione totale.
Tutto per non sentirsi vulnerabile davanti a Icaro.
“Dobbiamo parlare con il Consiglio. Devi lasciar stare Ray, lui...”
Doveva dire che non aveva ancora le abilità che lo rendevano così temuto? No... o sarebbe stato molto più semplice ucciderlo.
Si sentiva in trappola. Se quello che diceva Icaro era vero sarebbe stato difficile poter capire come proseguire...

Dove sei?

Avrebbe voluto chiederlo a quell'umano impulsivo ed imbranato.
Sì, avrebbe proprio voluto.

“Inconterete il Consiglio.” si era limitato a rispondere Icaro allontanandosi, sorvolando senza problemi sulla questione di lasciar perdere l'umano.
Talasia si alzò in piedi seguendolo mentre prendeva le distanze dalla luce del cielo notturno, avvicinandosi a lui nella penombra.
Erano a pochi passi dalla porta d'uscita.
Vincendo il suo orgoglio e tutti i sentimenti che in quel momento provava disse in un soffio, posando gli occhi su quelli marini di Icaro.
“Grazie.”

“Non farlo.” rispose lui aprendole la porta.
Infine le prese un petalo che aveva lasciato cadere nell'acqua, rimasto appigliato ai suoi lunghi capelli castani e, con un gesto privo di esitazioni, glielo tolse.
Lo lasciò cadere e per qualche istante il petalo si cullò nell'aria atterrando infine sul terreno morbido.
Talasia non disse nulla.
Perché in realtà le faceva male vedere Icaro così freddo, nonostante lui a sua volta cercasse un contatto, remoto e ovattato, come intorpidito dal sonno.
“Mikal accompagnerà te e gli altri presso la Sala. Vi raggiungerò.”

Guardò silenzioso Talasia allontanarsi, ben presto raggiunta da Mikal comparso dall'oscurità, e si sentì pesante.
Senza far uscire la voce scandì con le labbra, nel silenzio del ninfeo:
“Perdonami.”
Per non essere riuscito ad essere l'amore che Talasia avrebbe voluto.
Per non essere riuscito ad abbandonare la vendetta e il rancore, al prezzo di perdere l'unica persona che, dietro il carattere insensibile e l'aria stanca, avesse mai amato.

Poco dopo si girò con calma, vedendo quella figura dai lunghi capelli biondi raccolti stare in piedi.
“Sevoftarta.” sussurrò, richiudendo la porta.
Questi digrignò i denti. In quel momento non poteva mettersi contro Icaro, almeno fintanto che Ray non fosse stato dalla sua parte.
Non sapeva fino a che punto il vampiro potesse sapere, l'unica cosa certa era che non aveva potuto inseguire l'umano o ben presto i sospetti sarebbero ricaduti su di lui.
I due esseri si fissarono intensamente, consapevoli che non si sarebbero mai fidati l'uno dell'altro.
Un passo falso e sarebbero morti.
“Come hai fatto a perdere di vista l'umano?” chiese Icaro impassibile, il tono di voce freddo.
“Distrazione.” si limitò a rispondere con un sorrisetto sulle labbra sottili.

Se Icaro avesse potuto lo avrebbe ucciso senza troppi riguardi. Ma doveva far fronte al resto del Consiglio e questo Sevoftarta, a sua volta membro, lo sapeva.
“Uccidimi e sei morto.”
Una sacrosanta verità che valeva per entrambi.

*°*°*°*

La sala del trono, ampia e rettangolare, era piacevolmente decorata da affreschi a fasce su tutti i lati della muratura. Ma da secoli ormai nessuno sfruttava la sedia più alta e nemmeno i sedili in pietra che erano diventati un semplice bordo aggiuntivo della grande stanza.
I pochi membri del Consiglio erano infatti seduti presso una grande tavola ovale con le sedie le une ben distanziate dalle altre.
Troppe volte, secoli prima, le riunioni si erano risolte in spargimenti di sangue con l'unico effetto di ridurre la popolazione sovrannaturale di parecchie unità.
Cosa che, effettivamente, si era rivelata parecchio controproducente.
In silenzio i membri entrarono, camminando e andando a sedersi nella penombra, illuminata solo da qualche candela poggiata sul tavolo.

Mikal aveva fatto stare in piedi Talasia e Kain mentre Itamar non era stato fatto entrare per motivi che tutti conoscevano ma che nessuno menzionava.
Il licantropo stesso era stato molto tentato di stare fuori, giusto per resistere all'occasione di azzannare un suo simile che gli aveva dato fin troppi grattacapi in passato.
Anu... il capoclan di un numeroso branco che vagava nelle steppe: aveva preso il posto del vecchio membro del Consiglio dimostrando tutto il suo attaccamento alle tradizioni.
Come conseguenza logica non aveva mai preso bene la relazione che era intercorsa tra Kain e l'umana facendo di tutto per contrastarla. Sì, Kain se lo ricordava anche troppo bene.
L'esilio... beh, quello era stato quasi uno sfizio personale per Anu.

Kain lo vide entrare e trattenne a fatica un ringhio istintivo, rimpiangendo di non avere la sua forma animale per poter compiere un salto e sbranarlo con tutta la forza che aveva.
Non solo Anu... ma anche quella stronzetta arrogante della sua compagna, Antum.
Entrambi erano in forma umana, con la faccia dipinta di quel trionfante senso di superiorità malamente mascherato dal desiderio di apparire solenni e inappuntabili.

Tutti e due si accorsero della sua presenza ma, mentre Anu distolse lo sguardo indignato, Antum si concesse il lusso di un sorriso apertamente provocatorio.
Kain contrasse i pugni, sentendo i muscoli tendersi e il suo istinto di licantropo tentare di prendere il sopravvento, ma Talasia gli bisbigliò seccata:
“Calmati.”
Anche se, come lui, sapeva benissimo che non era facile rimanere impassibili davanti alle persone che avevano tentato di rovinarti la vita.

Infine entrarono gli ultimi due rappresentanti del Consiglio, i demoni.
Erano probabilmente gli elementi più pericolosi perché questi, con una forza maggiore rispetto a quella dei vampiri, erano i primi ad augurarsi l'estinzione di tutti gli umani e, perché no, già che c'era l'occasione anche di tutti gli altri esseri sovrannaturali.
Talasia fissò sospettosa  i due esseri che entrarono con passo silenzioso, come creature d'ombra quali erano.

Ahriman e Fenrir, conosciuti e temuti da chiunque avesse un minimo di cognizione celebrale.
Ahriman avanzò per primo, i capelli di un rosso scuro lunghi fino alle spalle tenuti tirati indietro e gli occhi di due colori diversi: una pupilla di un verde surreale, quasi elettrico, mentre l'altra era dorata, un colore simile a quello dell'ambra e di un discordante candore puro.
Aveva il volto magro, affilato, il naso sottile e la bocca piccola ma carnosa... sembrava digiunasse da tanto tempo e questo lo rendeva di una bellezza particolare.
Fenrir, come notò Talasia, aveva lo sguardo molto più cupo del compagno, due denti aguzzi spuntavano da oltre le labbra tirate e possedeva orecchie da lupo, tese a captare eventuali rumori.
Il tutto nascosto da una folta chioma di capelli di un grigio argentato che lo faceva sembrare ancora più selvaggio.
Entrambi, come lo stesso Astaroth, avevano lunghe unghie alle mani che quella notte solitaria sembravano zanne pronte ad artigliare la propria preda.

Rimase silenziosa a fissare tutti gli astanti, anche quando comparvero le ultime tre persone mancanti.
Sevoftarta, che aveva un posto piuttosto isolato del tavolo, come ad evidenziare che non tutelava gli interessi di nessuno in particolare, ed infine i due rappresentanti dei vampiri.
Icaro, il passo rapido scandito dal volteggiare del mantello nero, ed infine Daran, un altro nome che tutti i vampiri presto o tardi erano destinati a conoscere.
Di lui però non si sapeva praticamente nulla.
Probabilmente da umano doveva essere stato un abitante delle zone più nordiche, a giudicare dai capelli di un biondo pallido, molto meno accesi rispetto a quelli quasi dorati di Sevoftarta. Gli occhi erano di un azzurro simile al ghiaccio, intensi al punto da far rabbrividire.
Lo sguardo era reso ancora più tagliente per via delle pupille contratte al punto da essere dilatate poco meno della capocchia di uno spillo.
Aveva la labbra viola e la pelle di un bianco cadaverico, come se fosse appena estratto dal ghiaccio. Raramente Talasia ricordava di averlo visto anche solo parlare ma Icaro, come ben sapeva, si fidava ciecamente di lui.
Il perché non lo sapeva e nemmeno era a conoscenza di quando fosse stato in grado di dare prova di fedeltà.
La vampira incrociò gli occhi con quelli di Sevoftarta, cogliendo il suo sguardo beffardo che tanto detestava.

E così gli esseri più potenti della terra erano tutti riuniti, al buio e quasi clandestini, per decidere delle sorti di un uomo.
Uomo che, una volta riaquisiti i suoi poteri, li avrebbe sterminati.
Che speranze c'erano concretamente per Ray?
Talasia, determinata e ottimista per natura, sperava che Icaro potesse usare la sua fredda razionalità per scopi ben più nobili rispetto che decretare la morte di un umano...

Fu Icaro, rimasto in piedi, ad annunciare tenendo le mani mollemente abbandonate lungo i fianchi:
“Abbiamo al nostro cospetto un vampiro e un licantropo che sono venuti a presentare una richiesta al Consiglio.”
Tutti quegli occhi notturni si voltarono verso Talasia e Kain, rimasti in piedi poco distanti dal tavolo.
Ci fu il silenzio. Aspettavano che i due richiedenti parlassero.
E fu Talasia ad avanzare, temendo che Kain potesse essere ancora più impulsivo di lei.
Li guardò con una certa aria di sfida, non sentendosi per nulla inferiore o intimorita davanti a loro, infine disse:
“Chiediamo che venga risparmiata la vita di Ray Nethew.”

Gli occhi non distolsero la loro attenzione da lei. Non ci fu alcun mormorio sorpreso o indignato, nessuna protesta ma neanche assensi.
L'immobilità totale.
Finché il licantropo Anu non esclamò:
“Vorresti anche invitarlo qui al Consiglio, vampira?!”
Nessuno parlò, mentre la creatura dette un pugno forte sul tavolo. Antum si era limitata a mostrare i denti affilati persino da umana.
Kain scattò in avanti replicando quasi in un ringhio:
“Io ti ammazz...”
Ma Talasia lo bloccò con un braccio rispondendo per lui:
“Ray non è nato e cresciuto a Gleshinnav. Non ha mai avuto cattive intenzioni nei nostri confronti e non ha mai nemmeno ricevuto un minimo di addestramento per affrontarci. E' inerme come tutti gli altri umani.”
In quella sala il silenzio era rotto dal ringhio sommesso dei tre licantropi che, avessero potuto, si sarebbero trasformarsi per poi azzannarsi a vicenda.
Orgogliosi ed istintivi. Una brutta razza davvero.
Icaro si era seduto ed assisteva all'evolversi della situazione in modo imparziale.
Una mano davanti alla bocca, il gomito appoggiato sul grande tavolo ovale e un ciuffo di capelli castani che ricadeva parzialmente su un occhio, mantenendo lo sguardo attentamente puntato su Talasia.

Fu Fenrir ad alzarsi in piedi commentando, piegando leggermente le orecchie da lupo:
“Nobili intenzioni le tue, Talasia, davvero. Peccato tu non abbia considerato una cosa: quell'umano di cui tanto amabilmente parli è stato creato per ucciderci, che lo voglia o meno.”
Mentre il demone era impegnato a parlare, il vicino Ahriman scambiò un'occhiata con Sevoftarta.
Diretta esclusivamente a lui.
Un'occhiata che non sfuggì a Talasia, impegnata ad osservare le rezioni dei vari membri, ma della quale non riuscì ad afferrare il significato.
Era come se loro due sapessero qualcosa. O meglio, custodissero qualcosa.

“Non sa uccidere e non ne ha intenzione.” sibilò Talasia soffiando come se fosse stato un serpente pronto a mordere.
“Almeno finché qualcuno non glielo insegna.” replicò improvvisamente Icaro, guardando fisso la vampira senza battere ciglio.
Kain grugnì fissandolo: “Cosa stai dicendo?...”
C'erano tanti interrogativi che aleggiavano su quella stanza, primo fra tutti il ruolo di Astaroth in quella faccenda. Ruolo che, al di là di quanto pensasse il licantropo, era sconosciuto a tutti.
Icaro spostò lo sguardo verso Sevoftarta:
“Dì a tutti quello che hai percepito.”
Sevoftarta con aria noncurante si portò avanti col busto, allargando i gomiti, così che i capelli biondi ricaddero oltre le spalle incurvate:
“Sono stato stregato. E in più è stato lanciato un incantesimo che ha bloccato i poteri spirituali non solo miei ma anche di Itamar. L'unica traccia rimasta è stato un forte odore di incenso: tutti voi sapete cosa questo significhi.”
Si concesse un sorrisetto malizioso.

Questa volta nessuno dei presenti riuscì a mantenere un'aria distaccata.
In particolar modo i due licantropi si guardarono tra di loro digrignando i denti irritati e borbottando qualcosa.
Fenrir, tenendo le mani strette ai braccioli della sedia, le unghie che scalfivano il pregiato legno, osservò trattenendo la rabbia:
“Questo vuol dire una sola cosa: è stato un umano a lanciare l'incantesimo e gli unici in grado di farlo sono gli abitanti di...”
“Gleshinnav...” lo anticipò Talasia concludendo quel ragionamento impeccabile.
“Precisamente.” confermò Icaro con il tono profondo e sensuale di voce, un tono talmente armonioso da risultare contrastante con quella sala buia.

Talasia inconsapevolmente si strinse le mani, sentendo le unghie conficcarsi nella carne chiara senza che nemmeno un filo di sangue scorresse.
Per cosa aveva lottato fino ad allora? Per sentirsi dire che Astaroth aveva consegnato Ray nelle mani di Gleshinnav come se fosse un pacchetto postale?
Cosa ci ricavava lui da tutto questo?
Improvvisamente, senza nemmeno rifletterci, disse:
“Vi chiedo di salvare un umano che amo. Sarò io con la mia stessa vita a garantire per lui una volta che lo avrò portato via da Gleshinnav: se oserà anche solo sfiorare uno di voi sarò io stessa a pagare.”
Kain le sussurrò guardandola con una sorta di rancore malcelato:
“Tu sei completamente pazza. Non sai quello che dici.”

Mai stata più sicura.

Fu Sevoftarta, fra tutti, a mostrare un sorriso compiaciuto.
Finché Ahriman, appoggiando un gomito sullo schienale della sedia con l'aria di aperta superiorità, non commentò:
“Perché no?”
“Sta' zitto demone – ringhiò Anu – Per colpa delle tue pretese dobbiamo già affrontare il problema di quel ragazzino fantasma!”
Ahriman si voltò verso il licantropo, fissandolo gelido con gli occhi dalla pupilla ridotta ad una fessura sottile, replicando:
“E' una creazione meravigliosa, come tutto ciò che mi appartiene.”

Talasia, in quel breve frangente di discussione, ripensò a Itamar.
Solo nel buio ad attenderli. Perché lui, per via dei suoi poteri mentali, non poteva apparire davanti al Consiglio. Anche se nemmeno il ragazzino ci teneva visto e considerato che lo presidieva Ahriman, l'essere che avrebbe voluto con tutte le sue forze vedere morto.
Il demone lo sapeva. Lo sapeva eccome.
E questo, lungi dal spaventarlo, lo eccitava ancora di più... mettere a rischio la propria vita era, per un immortale psicolabile come lui, qualcosa che rasentava l'euforia.

Fu Icaro, alzandosi in piedi con calma, a porre fine alla discussione. Tutti si voltarono a guardarlo, aspettando un suo giudizio a riguardo.
Infine la creatura, appoggiando i polpastrelli sul tavolo e sbilanciandosi leggermente in avanti, disse con voce ferma:
“Sia come dici Talasia. Se l'umano sgarra pagherai con la tua stessa vita, lui stesso sarà morto.”
Si guardarono.
Solo loro due in quella stanza, diventata all'improvviso per Talasia troppo soffocante. Era davvero così facile per lui decretare la sua morte?
La vampira non disse nulla.
Fu invece Anu a scattare in piedi furioso:
“Questo è favoritismo! Per amore di quella dannata vampira sei disposto a mettere a repentaglio la vita di noi, creature sovrannaturali!”
Icaro lo fissò con gelido disprezzo e, prima che qualcuno potesse muoversi per calmare il licantropo, disse questa volta posando gli occhi direttamente su Talasia:
“Sarò io stesso ad ucciderla, con queste mie mani – poi ribadì, quasi scandendo le parole – io ed io soltanto.”

Perché avrei già voluto ucciderti da tempo Talasia. Per essere stata con un essere umano.

I due licantropi digrignarono i denti ma, visto che solo loro due sembravano gli unici ad obiettare, non poterono opporsi più di così. Ne erano sicuri, qualsiasi cosa fosse successa l'umano e Talasia erano destinati a morire: due scocciature in meno. E Icaro, di fronte a quella promessa, non poteva tirarsi indietro a discapito del proprio onore e della posizione.

Il vampiro era tornato a sedersi, con il mantello che strusciava a terra e lo sguardo impassibile, come se parlare della morte di Talasia non lo avesse toccato minimamente.
Kain non disse nulla. Talasia aveva preso la sua decisione, nel bene o nel male, e non sarebbe stato lui con il suo fare impulsivo a farle cambiare idea... anche perché una simile decisione meritava quel momentaneo silenzio di rispetto che non avrebbe rovinato con il suo sbraitare.
Anche se avrebbe volentieri voluto prendere quella pallida faccia a pugni.
Si mise le mani in tasca, rabbuiandosi, i capelli ramati che andarono a coprirgli gli occhi chiari.
Ahriman improvvisamente osservò, tenendo languidamente un dito appoggiato sotto il mento fino:
“Dovremmo mandare il Controllore assieme a Talasia e agli altri per recuperare Ray così che si  allontani da Gleshinnav. Credo che sia negli interessi di tutti.”
Kain fece uno sbuffo che smosse un ciuffo di capelli: certo, Sevoftarta sarebbe stato il loro guardiano personale. Con lui attorno era impossibile venire meno al compromesso tra Talasia e il Consiglio.

Sevoftarta, forse perché sapeva del suo compito o forse per altri oscuri motivi, sorrise. Compiaciuto, beato del proprio potere e di un'occasione che, all'insaputa degli astanti, si sarebbe rivelata irrinunciabile.
“Io sono sempre al servizio del Consiglio.”
Icaro lo fissò.
A lungo.
Sperando di poterlo scavare fin dentro. Ma ogni volta attraverso quegli occhi crudeli offuscati da un velo di ironica leziosità non vedeva altro che il vuoto. Un vuoto silenzioso.
Non poteva fare altrimenti: Sevoftarta esisteva per quello e il tradimento era un rischio da correre.
“Mi trovo concorde con Ahriman. Sevoftarta accompagnerà il gruppo presso Gleshinnav per riprendersi l'umano, umano che d'ora in poi sarà sotto responsabilità di Talasia a prezzo della sua vita.”

“Questo scatenerà un conflitto con gli umani di Gleshinnav!” esclamò Anu fuori di sé.
Icaro rispose con voce incolore: “Non accadrà. Il Controllore starà in disparte: negheremo qualsiasi rapporto tra il Consiglio e ciò che avverrà a Gleshinnav – fissò senza esprimere alcun sentimento Kain e Talasia –  se finirete uccisi Sevoftarta rientrerà a Creta e sarà come se non foste mai esistiti.”
Talasia dilatò le narici.
Kain iniziò rabbioso: “Brutto figlio di...”
La vampira però mosse rapidi passi avanti, appoggiando entrambe le mani sul tavolo sporgendosi in avanti e guardando Icaro, immobile, direttamente negli occhi per poi dire in un sussurro malevolo:
“Sei un grandissimo stronzo.”
E paradossalmente calma fu la reazione di Icaro il quale rispose, appoggiato allo schienale della sedia e tenendo le dita incrociate in grembo:
“Lo so.”
“Perfetto – rispose la vampira spostando le mani e alzando le spalle – vorrà dire che faremo volta verso Gleshinnav. A quest'ora gli effetti dell'incantesimo dovrebbero essere spariti e Itamar sarà in grado di seguire la scia di Astaroth e Ray. Addio.”
Queste furono le ultime parole che si limitò a dire, uscendo a grandi falcate dalla sala del Consiglio, con Kain che riservò qualche parola di ringraziamento non proprio gentile diretta agli astanti.

La loro assenza portò un pesante silenzio nella Sala.
I licantropi furono i primi ad alzarsi ed andarsene, non risparmiandosi com'era nella loro natura irascibile di borbottare riguardo le decisioni prese sulle quali, più per orgoglio che per altro, non riuscivano a trovarsi pienamente d'accordo.
I demoni e Sevoftarta uscirono quasi in contemporanea e il controllore lanciò un'occhiata d'intesa ad Ahriman. Perché ben presto avrebbero dovuto agire entrambi.

Icaro si trovò così, immobile e senza parole, con il volto nascosto dai capelli ricaduti sulla fronte.
Daran si alzò in piedi, il corpo non molto alto e sottile, all'apparenza sul punto di spezzarsi come se fosse stato di fine ghiaccio, affiancandosi ad una delle colonne che si aprivano su un vasto cortile.
Teneva le mani dietro la schiena a sfiorare i lunghi capelli legati da un'ampia treccia.
Improvvisamente la sua voce, dal tono non molto alto, riecheggiò per l'ampia stanza:
“Dovresti mettere da parte il tuo orgoglio, Icaro.”
“Non so di cosa tu stia parlando.” rispose il vampiro continuando a restare in quella posizione.
“Amore e morte sono spaventosamente legati, non è vero?”
Icaro alzò lo sguardo, puntandolo verso il cielo scuro che a malapena si intravvedeva dalla sua posizione.
Infine si limitò a dire, alzandosi in piedi quasi con stanchezza:
“Se ucciderò Talasia vorrei che tu facessi lo stesso con me.”
“Chiedilo a Mikal.” rispose il vampiro dagli occhi azzurrissimi che dardeggiarono in direzione del compagno.
Icaro abbozzò un sorriso amaro: “Non sarebbe mai in grado di farlo.”
Allontanandosi dall'apertura e camminando verso l'uscita Daran rispose:
“Se vuoi acconsentirò... sempre che tu a tua volta riesca ad uccidere Talasia.”
Scomparve oltre l'oscurità.
Icaro rimase accompagnato dalla sua solitudine, sentendosi male, sopraffatto dalle sue stesse stupide pretese.
Forse, si ritrovò scioccamente a pensare, Ray Nethew, l'uomo divenuto una minaccia per tutti, avrebbe potuto far tornare umani lui e Talasia.
Allora le avrebbe chiesto di sposarla.
Sì... e avrebbero viaggiato per il mondo, magari creandosi una famiglia... sarebbero invecchiati insieme, tenendosi stretti mano nella mano seduti sotto un portico avvolti dalla loro coperta in pile.

Si alzò bruscamente in piedi.
Le cose non sarebbero andate così: sognare e amare nel suo caso non potevano proprio legarsi. In nessun modo.

*°*°*°*

Era un'aria fredda quella che gli veniva schiaffata in pieno viso, facendogli colare il naso e provocando un gonfiore agli occhi che non ne volevano sapere di restare aperti.
Insomma, questa era sommariamente la situazione di Ray Nethew, onorato e normalissimo agente dell'FBI risvegliatosi dopo parecchie ore di sonno obbligato.
Sentì una stretta allo stomaco che lo portò, sebbene con la vista leggermente offuscata dalle lacrime e dal bruciore, a cercare di guardarsi attorno... il vento nei capelli, i piedi che non toccavano terra...
No... doveva esserci qualcosa che non andava. Decisamente.

Comprese, nel giro di qualche secondo, di essere tenuto per un braccio da Astaroth, sollevato a metri e metri di altezza da terra.
Stava volando. In braccio ad un demone.
Perfetto, nemmeno in un trip con LSD avrebbe potuto arrivare a tanto.
Alzò lo sguardo verso Astaroth, sentendosi indignato e infuriato per essere tenuto sotto braccio da un altro uomo... insomma, un essere di sesso presumibilmente maschile.
E il demone, per tutta risposta di fronte a quella faccia contrariata eppure buffa, si limitò ad un accenno di sorriso.
Per poi, come se nulla fosse, continuare dritto per la sua strada, i lunghi capelli neri trasportati dall'alta velocità e il volto ancora più pallido di quanto Ray non ricordasse.

Ray inoltre impiegò qualche secondo per riordinare le idee, stringendo una mano al braccio freddo del demone, e infine sbraitare infuriato:
“Che accidenti stai facendo?!”
Sarebbe stato istintivo aggiungere anche la volontà di essere lasciato andare, non fosse per la prospettiva che, una volta mancata la presa di Astaroth, si sarebbe sfracellato al suolo come se fosse stato un budino.
Astaroth non lo guardò limitandosi a osservare le immense foreste che scivolavano sotto di loro:
“Ti ho portato via dagli altri a loro insaputa. Non devi agitarti Ray, sto cercando di concentrarmi.”
Nonostante tutto aveva un tono di voce tranquillo, persino seducente, forse per via di quelle labbra sottili lasciate parzialmente dischiuse o degli occhi intensi che erano fissi davanti a sé.
“Portato via dagli altri? Vuoi vedermi morto?!”
Ovviamente questi non aveva alcuna intenzione di assecondare i pacati suggerimenti del demone.
Astaroth a quelle ultime parole dette un'occhiata stupita a Ray, tralasciando un accenno di sorriso quasi paterno, e rispose:
“No. Ho semplicemente stretto un accordo che in presenza degli altri non avrebbe potuto essere portato a termine.”
Ray si portò la mano non impegnata ad affondare le unghie nella pelle del demone tra i capelli ondulati, sconvolti dall'aria, e borbottare senza parole:
“Pazzesco...”
“Direi di sì.” confermò Astaroth quasi non fosse il diretto responsabile di quel rapimento.
L'umano, il nemico presunto delle creature sovrannaturali, si sentiva vittima di una sorta di estremo nichilismo. Era meglio non agire, lasciarsi trascinare dagli eventi: tanto ogni suo tentativo di avere un minimo di controllo sulla sua vita era inevitabilmente destinato a fallire.

Guardò quindi il paesaggio sotto di sé, quasi in uno stato di rassegnata ipnosi, vedendo le montagne, le pianure e le colline trasformarsi in un alternarsi di scenari e di meraviglie naturali che avrebbe per sempre rimpianto.
Comprese perché l'uomo, nel suo piccolo, avesse sempre desiderato volare... non solo per manie di protagonismo o di potere: semplicemente per poter guardare dei capolavori che nemmeno il più illuminato artista sarebbe riuscito a comporre.
Un mondo intero che scorreva veloce al loro passaggio, con la propria vita e i segreti custoditi tra le foglie degli alberi, tra le caverne oscure o più semplicemente sotto i manti di terra umida.
In fondo ne valeva la pena.
Concedersi il lusso di non pensare a nulla e lasciarsi guidare da quel demone dal fisico asciutto, che aveva un odore fresco, simile a quello dei boschi che si lasciavano alle spalle.
Non pensare a nulla e cullarsi nell'aria. Illudendosi di volare, volare per davvero.

Dopo qualche minuto di silenzio, pausato dai respiri regolari di entrambi, fu con tranquillità, quasi con indifferenza, che Ray chiese tenendo gli occhi socchiusi:
“Dove mi stai portando?”
Astaroth non rispose subito.
Quell'umano era strano.
Lui stesso era strano: aveva colto l'occasione per vendicarsi del Consiglio pur sapendo che per far questo avrebbe risvegliato i poteri in una persona nata per uccidere tutti i suoi simili.
Che lo facesse pure. Non aveva nulla da perdere.
Eppure Ray Nethew gli piaceva... perché a volte era isterico e perché aveva quegli sbalzi d'umore incomprensibili persino per lui, demone con millenni d'età alle spalle.
E anche adesso che gli poneva quella domanda vitale sembrava totalmente diverso rispetto allo schizzato di poco prima.
In un sospiro rispose, attenendo una sua reazione:
“A Gleshinnav.”
“Capisco.” fu la sua risposta.

Il silenzio.
Guardando di fronte a sé Ray rimase senza parole.
Davanti a loro il sole stava sorgendo.
Illuminando di una luce dorata un'immensa pianura che si estendeva a perdita d'occhio, con l'erba  di un giallo tenue che, accarezzata dai raggi del primo sole, sembrava quasi un manto dorato.
Nessuna nuvola.
Uno stormo di uccelli si alzò in volo sfiorando per un attimo il sole riempiendolo di chiazze nere e i ciuffi d'oro ondeggiarono come se fosse stato un mare agitato dal passaggio di una barca.
Era tutto così bello.
Persino il freddo, i muscoli intirizziti dalla mancanza di movimento o il bruciore agli occhi sembrarono passare inosservati rispetto a quello spettacolo.
Un risveglio immerso nella luce.
Ray sospirò.
Sentiva di dover vomitare alla prospettiva di ciò che gli sarebbe aspettato.




Ebbene sì, dopo un po' di tempo ho finalmente aggiornato!
In questo capitolo sono entrati in scena anche gli ultimi personaggi che saranno fondamentali per il proseguire della storia... cosa dire, a me piacciono le trame articolate e la presenza di tanti caratteri diversi!
Tra tutti sicuramente fondamentale, come dice il titolo stesso del capitolo, è Icaro. Un personaggio strano, a dire il vero, che ama Talasia ma è comunque troppo orgoglioso.
Chissà...
Con il prossimo capitolo si vedrà il villaggio di Gleshinnav e in che razza di situazione è stato sballottato Ray...
Spero come al solito che questa parte della narrazione sia risultata piacevole e che continuerete a seguirmi.
Un bacione.

Galatea: Carissima, come al solito i tuoi commenti sono pieni di dettagli piacevoli che mi fanno contenta! Sono felice che ti sia piaciuta la scena di rubamazzetto, ridevo da sola pensando a Kain e Astaroth, belli e dannati, intenti a giocare a carte! Sì, nel capitolo passato si scopre qualcosa in più anche su Itamar, un personaggio a mio avviso ricco di spunti, per quanto riguarda il suo rapporto con Sophia... eh eh... (risata perfida). per il resto il fatto che ti sia piaciuta la caratterizzazione di Sophia e Laerth - da te perfettamente compresa - è stata una bella soddifazione!
Grazie davvero per fermarti ogni volta a commentare! Un grande bacio!

Miss Gwen: Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti sul mio modo di scrivere, sapere che piace è per me un bel sollievo! Ah-ah... abbiamo trovato un'ammiratrice di Astaroth! Già, concordo con te, è un bel demone e per quanto mi riguarda può permettersi davvero di tutto. Sì, sono un po' maniaca... Un bacione, ringraziandoti per aver commentato!

Grazie anche a voi lettori e a chi ha messo la storia tra i preferiti!

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