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Autore: MaddaLena ME    24/10/2015    1 recensioni
Un repayment un po’ per tutti:
* Hermione
* Neville
* Piton
* i secondogeniti
* i secondi nomi
* i Serpeverde
* l’Occlumanzia e le Arti Oscure
* i sognatori, gli appassionati e i caparbi
* gli studenti
* i professori

Il cambiamento è goccia che scava la roccia: di fronte ad una mente brillante, un'altra non può evitare di esserne influenzata.. il rapporto è biunivoco!
Capitoli totali: 12
Dal cap. 2:
Squadrò la divisa, avvicinandosi, con un moto serpeggiante e sinuoso, fino a vorticare attorno al ragazzo. Con stupore evidente:«Dunque, sei un Serpeverde, per via del tuo secondo nome… per me?» domandò, ripensando a quanto gli aveva detto il giorno precedente.
Piton era incredulo. Lui ha fatto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per Lily. Ma nessuno, che lui ricordasse, aveva fatto mai qualcosa per lui, solo per lui. Appositamente per lui. Tutto ciò gli parve insolito, per non dire sospetto.
Infatti, con una smorfia dipinta sul volto sgraziato, gli si avvicinò, per indurlo a parlare.
«Già, esattamente » disse appena, in un soffio, il giovane Albus Severus.
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuova generazione di streghe e maghi, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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SERPEVERDE?

Il sole brillava alto nel cielo di un pomeriggio di primavera. Le lezioni, ad Hogwarts, dovevano essere appena terminate. Si sentiva un vociare indistinto di fanciulli e ragazzi, dagli undici ai diciott’anni, che si aggiravano per il verde prato che circondava il castello,  rincorrendosi, chiamandosi, in piccoli e grandi gruppi, come inesausti piccoli formicai che si spostavano compatti e leggiadri.
Il fantasma non poté fare a meno di ripensare alla sua infanzia, a quei pochi momenti felici vissuti a giocare al parco, con Lily, durante le giornate già tiepide della tarda primavera, come quel giorno. Quando i fiori sbocciavano prepotenti, punteggiando il verde del prato di cremisi, di lillà, di ocra, d’azzurro e di bianco; bianco, come i gigli che costeggiavano il sentiero di Spinner’s End.
L’unico ricordo felice della sua vita, prima di studiare la magia. Prima di arrivare in questo posto che, prima di vedere la sua morte, aveva visto anche la sua umiliazione, ma anche la sua redenzione, le sue lacrime, la sua gioia, il suo turbamento, la sua adolescenza, il suo stupore: ogni centimetro quadrato die quel luogo era intriso di suoi ricordi!
In quel momento, invece, erba che si afflosciava, inerme, impotente, al passaggio di un’orda di adolescenti in preda agli ormoni che correvano come cavalli di Attila; grida che poco hanno di umano, incomprensibile mancanza di eleganza e di educazione; fruscii, concitazione, smarrimento. Che diavolo stava succedendo ad Hogwarts, quel giorno?
Il ragazzo arrivò di corsa, scostando con sapienza gli arbusti, di modo da far sembrare che, oltre quelli, non ci fosse altro e, con mala grazia, si tuffò, letteralmente, nella caverna, con una foga tale che, nella sua capriola finale, goffa e probabilmente non voluta, per un soffio, evitò di battere la testa contro il calderone in peltro, che si trovava al centro dell’atrio cavernoso.
«Buon pomeriggio, Albus Potter! Ti muovi sempre in questo… modo?» lo accolse il fantasma, un po’ sconcertato dal suo ingresso
«Oh, nossignore!» ansimò, spolverandosi i calzoni e tirandosi in piedi con un balzo.
«Di solito no, signore. È solo che mi stavano inseguendo! »
«In quale guaio ti eri cacciato?»
«Oh, nulla… ogni tanto, mi capita. Quelli più grandi, più grossi, più forti… trovano divertente sfidarmi ad incantesimi in 4 contro 1. La mia bacchetta può fare un solo incantesimo alla volta. Se scappo, mi chiamano “codardo”, eppure, a me pare semplice… logica, no: non posso attaccarne quattro in un colpo!» e sorrise, tra il beffardo, il divertito e il trasognante; un sorriso enigmatico, ma pur sempre un sorriso, che il professore valutava, in qualche modo, inadeguato alla corrente situazione. Per cui, lo guardava perplesso.
Come diavolo faceva a sorridere, quel ragazzino? Lo avevano inseguito, avrebbero potuto fargli del male.. e lui sorrideva?
«… loro saranno più grandi. E grossi. E tanti. Ma io sono più veloce, molto più veloce. Sia di gambe che di cervello. Ognuno usa le proprie armi, no?» soggiunse, allegro il ragazzo.
«Tu non sei codardo. Erano dei Grifondoro, immagino. Proseguono la tradizione, senza dubbio di sorta…» bofonchiò lo spettro, con rabbia malrepressa, in un sospiro di rassegnazione.
Il ragazzo annuì, guardandosi intorno, quasi come fosse la prima volta che vedeva quella grotta. Con un fazzoletto, prese a strofinare le gocce, ormai secche, della pozione del giorno prima, dalla parete.
Il fantasma ebbe modo di guardarlo con più attenzione, mentre lo studente gli dava le spalle, constatando che non aveva tutti i torti. Il fisico era minuto, dall’apparenza gracile, e non dava certo impressione di grande forza fisica; ma le gambe sembravano fatte apposta per correre, anche sui sentieri più impervi o sui dirupi, come quelle di un cervo.
Al contrario del giorno prima, però, il ragazzo questa volta aveva indosso la divisa: un mantello un po’ troppo abbondante per la sua corporatura, con lo stemma di un serpente, con la concessione di un foulard verde brillante, indossato sopra la divisa scolastica d’ordinanza, verde - argento, al posto della cravatta. Com’era possibile?
Squadrò la divisa, avvicinandosi, con un moto serpeggiante e sinuoso, fino a vorticare attorno al ragazzo. Con stupore evidente:«Dunque, sei un Serpeverde, per via del tuo secondo nome… per me?» domandò, ripensando a quanto gli aveva detto il giorno precedente.
Piton era incredulo. Lui ha fatto e avrebbe fatto qualsiasi cosa  per Lily. Ma nessuno, che lui ricordasse, aveva fatto mai qualcosa per lui, solo per lui. Appositamente per lui. Tutto ciò gli parve insolito, per non dire sospetto.
Infatti, con una smorfia dipinta sul volto sgraziato, gli si avvicinò, per indurlo a parlare.
«Già, esattamente » disse appena, in un soffio, il giovane Albus Severus.
In un attimo, la sua mente scivolò nel passato, a quei momenti che gli sembravano infiniti. Il primo viaggio verso Hogwarts. Socchiuse gli occhi, per riviverli meglio.

Il binario 9 e 3/4, era stato attraversato da pochi istanti, sia da lui che dalla sua famiglia, facendo attenzione a non farsi vedere dai Babbani.
Suo fratello maggiore che non perdeva occasione per prenderlo in giro e, più grande di lui, ormai conosceva già altri giovani maghi della scuola, oltre ai professori: sicuro e spavaldo, non perdeva occasione per fare lo spaccone.
Sua sorella minore, ancora troppo piccola, si guardava intorno, avida di dettagli, curiosa di sapere come sarebbe stato il suo, di viaggio verso Hogwarts.
Il treno ormai stava per partire, quando un dubbio colse il secondogenito. Tutta la sua famiglia era stata a Grifondoro, e se ne era sempre gloriata, come di un vanto senza pari. Suo padre era Harry Potter,  l’idolo dei suoi coetanei, colui che aveva sconfitto Lord Voldemort. Sua madre era Ginny Weasley, con un fratello morto per la causa e l’intera e numerosa famiglia nell’Ordine della Fenice. Grifondoro è il luogo dei coraggiosi, dicevano. Ma, a dire il vero, ogni tanto, sia suo padre, che suo nonno e i suoi amici, più che coraggiosi gli erano sembrati soltanto degli sconsiderati, baciati dalla Buona Sorte; insomma, solo uno stupido poteva non accorgersi che, se non fosse stato per quella Corvonero mancata di zia Hermione, probabilmente non sarebbe neanche nato, perché sia suo zio che suo padre sarebbero senz’altro morti anzi tempo, già al primo anno di Hogwarts!
Ancora adesso, gli risuonava nelle orecchie la risposta che gli diede suo padre. Solenne e rassicurante: «Albus Severus Potter, tu porti due nomi di due Presidi di Hogwarts,uno di loro era serpeverde è lui era l'uomo più coraggioso del mondo».


Ne era stato davvero rassicurato. In quel momento aveva ricordato quelle parole difficili che ogni tanto diceva zia Hermione: “unità delle Case”, o, addirittura “cooperazione tra maghi”. Quello che i Babbani avrebbero detto in modo più semplice “L’unione fa la forza”. Perché non era vero, come diceva zio Ron, che tutti i maghi peggiori erano Serpeverde: aveva letto diversi libri di Storia della Magia e poteva affermare, con una certa sicurezza, che anche nelle altre Case c’erano stati maghi attratti dal Potere e dal Successo. Tra i Serpeverde figurò anche un certo Merlino, che, oltre ad essere un mago leggendario, collaborò a lungo con i babbani e fu indulgente nei loro confronti, tanto da vietare di usare la magia contro di loro.  Sì, è vero, i Serpeverde erano sempre stati attratti dal mondo oscuro, dall’occlumanzia e quindi, diciamo, più predisposti a scendere lungo il crinale della magia nera. Ma, a pensarci bene, anche a lui non dispiacevano queste cose. Poter leggere nel pensiero non era solo negativo: ad esempio, consentiva di non sbagliare un regalo di compleanno; e cosa c’era di male in ciò? Conoscere le maledizioni senza perdono era il primo passo per contrastarle: come combattere il male senza conoscerlo? E poi, dovette ammettere con se stesso, dover camminare su quella sottile striscia, al confine tra il bene e il male, gli comunicava un eccitante brivido. La scelta finale è sempre del singolo mago, pensò, quindi si convinse del tutto: la Casa non era così importante, avrebbe accettato la decisione del Cappello, qualunque fosse stata. Gli sembrava sensato. Ma fu a quel punto che, come uno spillo, lo punse il ricordo delle parole ascoltate poco prima. "L'uomo più coraggioso": quelle tre parole gli gonfiarono il cuore. Del primo preside, aveva già onorato la memoria James, che era già un Grifondoro. C'era il secondo, la cui importanza si era capita solo dopo la sua morte. Aveva deciso: se la sua preferenza poteva contare, lui avrebbe chiesto Serpeverde, come il suo secondo nome, quel nome che tutti dimenticano, a cui nessuno dà importanza, come l'uomo al quale era appartenuto, che, in vita, non aveva avuto riconoscimenti né ringraziamenti per tutto quello che aveva fatto. Ma la grandezza di un uomo non si misura dai "grazie" che riceve!
Quello fu il suo ultimo pensiero sul treno. Arrivò al castello, tramite le barche, e, con un brivido, si apprestò anche lui, insieme con gli altri bambini alla Cerimonia dello Smistamento in Sala Grande. Tanti Babbani non la vivono allo stesso modo. Albus pensò che, per loro, quel primo giorno, era molto più semplice. Certo: tutto nuovo, tutto magico, tutto fantastico, tutto emozionante. Ma non avevano sulle spalle la responsabilità del nome della propria famiglia, i precedenti dei propri avi, compresi quelli andati in malora, come i Black, ad esempio. L’Oscuro Signore aveva diviso tante famiglie magiche, messo padri contro figli e fratelli contro fratelli. Tutto ciò non poteva non aver lasciato un segno indelebile anche nella Storia di Hogwarts.
Sentendo chiamare il proprio nome, in Sala Grande, si avvicinò, un po’ titubante al Cappello Parlante.
«Albus Severus… Potter: intelligenza e sagacia fanno pensare a Corvonero, eppure tutta la tua famiglia è Grifondoro: come la prenderanno? Sei complicato, Potter…»
«Serpeverde, come Severus… Serpeverde come Severus» si ritrovò, quasi senza accorgersi, a mormorare il ragazzino, sotto al vecchio cappello.
«Sei sicuro, Potter? Tuo padre, al tuo posto…»
«Io non sono mio padre, sono solo Albus!» rispose senza pensarci il bambino
«D’accordo, allora, se questo è quello che preferisci: SERPEVERDE sia!» proclamò infine il Cappello Parlante.
Ricordava ancora come, mentre andava a sedersi nella tavola Serpeverde, avesse  incrociato lo sguardo attonito ed esterrefatto del fratello. “Anche solo per essere riuscito a stupirlo, valeva la pena!” aveva pensato in quel momento.
Jamie era sempre il fratello grande, quello coraggioso, spericolato, senza freni: quello che doveva sempre attirare l’attenzione su di sé. Non potevano essere nella stessa Casa. Gli avrebbe reso la vita impossibile. Altrove, avrebbe avuto modo di dimostrare la sua bravura e di sviluppare quelle doti che sicuramente aveva anche lui, solo che magari erano solo… un po’ più occulte, rispetto a quelle del fratello esibizionista.

 

 

Riaprì gli occhi, in uno scintillio verde.
Piton sorrideva, compiaciuto, per quello che aveva visto. Nonostante, subito dopo lo smistamento, fu chiaro che non fosse lui l’unico motivo, ma la ricerca del proprio sé al di là del proprio ingombrante cognome, quel ricordo vivido gli dava molte informazioni sul ragazzo. Astuto, furbo, intelligente, stava crescendo e formandosi nella casa di Salazhar Serpeverde. E con gli occhi di Lily, per di più. Forse non gli era ancora simpatico, ma sicuramente aveva molti punti a suo favore, quel ragazzino!
Albus si accorse subito che lo spirito non aveva perso la sua dote per l’occlumanzia. La cosa non gli dispiacque: tuttavia, fu fonte di una domanda, che però si trovava un po’ impacciato ad esporre come si deve: sapeva bene di trovarsi di fronte, non solo al suo omonimo, non solo ad un grande maestro di Pozioni, non solo ad un preside di Hogwarts, ma anche ad un eroe della guerra magica, uno tra i migliori di quelli che i Babbani avrebbero chiamato “agenti segreti”. Era normale un minimo di soggezione, no?
Fu proprio Piton a toglierlo d’impaccio: accortosi della situazione, sbuffò: «Coraggio, non cincischiare! Chiedi!»
«Io… mi domandavo. Tu hai usato l’occlumanzia, per vedere il mio ricordo, giusto? Allora, gli spiriti dei morti non sanno tutto sui vivi, in modo, diciamo automatico? Pur non avendo il corpo, voi non riuscite comunque, ad avere una comprensione, diciamo così… totale?»
Piton era sempre più sbalordito. Il giovane Albus aveva sete di conoscenza, senza quella fastidiosa saccenza da Babbani che aveva rilevato dal primo giorno alla signorina Granger, né l’arroganza di James. Questa domanda ne era la dimostrazione.
«Oh, mi scusi, signore, devo averle fatto troppe domande, tutte assieme. Devo esserle risultato davvero maleducato!» disse il ragazzo, sinceramente dispiaciuto, con voce incerta, alternativamente grave ed acuta, come capita talvolta ai preadolescenti.
Poco mancò che a Piton, sebbene spirito, venisse un colpo: aveva la delicatezza di Lily, non solo gli occhi!
«Domanda legittima» rispose, quindi, con grande lentezza, una volta ripresosi dallo stupore «Stupore legittimo. La morte e ciò che ne segue è il mistero più grande, nel quale sono accomunati Maghi e Babbani, tanto nella paura, quanto nell’ignoranza»
«Cioè?» si lasciò sfuggire a fior di labbra. Fu timoroso d’averlo deluso, ma forse lo spirito lo sopravvalutava: per quanto sveglio e astuto, aveva pur sempre dodici anni e non era così bravo a capire le allusioni!
Ma lo spirito non parve alterato: lentamente, scandendo ogni parola come fosse un incantesimo, chiarì: «Maghi e Babbani sanno ben poco della morte e, forse proprio per questo, è ciò che fa loro più paura. La morte non apre completamente le porte alla conoscenza. Non subito. Un fantasma rimane tale fino a che non assolve il proprio compito. Ci potranno volere mesi, anni, o anche...»
«Secoli? »
«Sì, anche secoli, giovane Potter, anche se gradirei e-nor-me-mente che tu ti ricordassi l’educazione e non interrompessi un tuo superiore che ti parla!» rispose, con voce grave, alterata da una nota di rabbia, sapientemente controllata.
L’espressione del ragazzo fu di terrore puro. Il tono della voce del fantasma sapeva essere oltremodo spaventoso. Richiuse la bocca all’istante, lasciando spalancati solo due occhi terrorizzati.
Il fantasma non parve accorgersene, perché proseguì: «Non ero spirito, né mortale. Se hai notato, non ero neppure nel quadro, ad Hogwarts! Almeno… da un anno!»
«Naturale che l'ho notato, signore, e ne ero inviperito, perché pensavo si trattasse di un intenzionale oltraggio alla Vostra memoria!»
«E-ehm.. domanda retorica! Questa era una domanda - retorica! Non esigeva affatto una risposta, da parte tua!» precisò, con una gravità nella voce tale, da suonare come un rimprovero.
Piton si soffermò ad osservare il ragazzo. Se aveva qualcosa di suo padre, questo era l’entusiasmo. Un infantile, insopportabile entusiasmo; il più delle volte, assolutamente immotivato, per altro, che lo portava ad alzare il tono della voce, con arroganza indispettita. Eppure questo entusiasmo gli piaceva, in un certo senso. Perché era un entusiasmo che questi mitigava sempre con eleganza. Come un accesso di risa, che divampava veloce, potente, irrefrenabile, ma che durava poco più di un attimo: giusto il tempo necessario perché il ragazzo se ne accorgesse e lo tenesse a freno; come un drago con il raffreddore che, accorgendosi della possibilità di farsi del male e non potendo evitare di starnutire, si trattenesse dopo averlo fatto.
Infatti, in quel momento, Albus era di nuovo in silenzio, con aria colpevole e mite, quasi frastornato, e guardava nella sua direzione, con impazienza assetata di sapere, che spinse lo spettro a non indugiare in ulteriori rimproveri, ma a svelare la verità.
«In ogni caso, giovane Potter, la spiegazione è diversa. I presidi entrano nelle cornici loro destinate, se muoiono come devono, ma, nottetempo, qualcuno ha stregato il quadro ed io sono rimasto a metà strada tra vita e morte. Lo stadio del fantasma è solo temporaneo, ma sarà necessario finché non finisco quello che devo compiere. Nonostante tutto, credo di esserti debitore, perché tu sei riuscito, in qualche strano modo che, con ogni probabilità, ignori nel modo più totale, data la tua età ed inesperienza, a “disincastrarmi”» sembrava aver fatto una fatica immensa ad esprimere quel briciolo di gratitudine nei confronti del ragazzo, perché fu con un sonoro sospiro di sollievo che, in seguito, aggiunse una concisa precisazione, al riguardo: «Io posso dirti che ho accesso alle menti altrui in quanto occlumante; non ho limitazioni corporee, in quanto fantasma; ma non sono onnisciente. Almeno, non ancora...». Concluse con un ghigno che lasciava intendere che non aveva affatto rinunciato all'ambizione di migliorare costantemente le proprie doti., neppure dopo il trapasso.
«Provamelo!» disse, all’improvviso il ragazzo, accendendosi con aria di sfida.
Piton provò a penetrare la sua mente. Non era come prima. Ora il ragazzo si stava opponendo, lo avvertiva chiaramente. Era molto più difficile. Ma aveva solo dodici anni e.. nessuno gli aveva insegnato l’Occlumanzia, per cui, nonostante la sua feroce resistenza per 6 minuti abbondanti, alla fine si dovette piegare al professore, lasciandogli leggere la propria mente.
Stava ricordando la fine della guerra, quando Neville, ora professore di Erbologia, tranciava di netto la testa di Nagini, l'ultimo horcrux che andava distrutto, prima di sconfiggere Voldemort. Albus sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta: era solo questione di tempo, ma non era verosimile pensare che l’abile occlumante non riuscisse a penetrare la mente di un ragazzino: così aveva pensato che dargli conferma che la guerra si era conclusa bene, che il suo sacrificio non era stato vano era qualcosa che gli sarebbe piaciuto vedere!
Dal suo canto, Piton era assolutamente ammirato per la sua determinazione e buona volontà. Opporsi alla lettura del pensiero richiedeva un’applicazione ed una concentrazione elevata che non ci si aspetterebbe mai di trovare in un mago così giovane. Gli spiaceva ammetterlo, ma, per una volta, il padre del ragazzo aveva visto giusto: Serpeverde aveva guadagnato un meraviglioso, giovane mago.
«Si vede proprio che sei il miglior occlumante mai esistito! Oh, dopo Voldemort, naturalmente!» disse, con l’entusiasmo che faceva brillare come smeraldo, per l’eccitazione, i suoi occhi verdi. Ma, dopo un attimo, si pentì. Si rabbuiò. Con una velocità impressionante.
E il fantasma, comprendendo perché, calcò la mano. «È molto gentile che tu mi apostrofi come il primo dei perdenti: senza dubbio, molto amichevole, da parte tua!» lo rimbeccò, ironico.
«Io… non volevo, davvero! Io, proprio, non posso volerlo. Sono un gran perdente, io!» Il ragazzino era davvero addolorato. Piton rimase interdetto. La reazione del ragazzo gli parve eccessiva. Rivedeva troppo di sé in quel bambino, perché potesse ignorare quelle parole.
«Non devi parlare così di te stesso!» e la voce suonò grave, come un rimprovero. Proprio non era capace di essere incoraggiante: neppure in forma di fantasma!
«Ne ho motivo, signore» gli confidò «Mio fratello è titolare della squadra di Quidditch e gioca dal primo anno, cercatore come mio padre; e mio nonno, del resto. Io odio il Quidditch. E fatico a stare sulla scopa. Preferisco le gobbiglie. O… leggere. Disegnare, scrivere piuttosto! Le ragazze non mi calcolano, al di fuori delle ore scolastiche; dev’essere perché io non sono muscoloso come gli altri. Forse ho qualcosa di sbagliato, nel sangue!»
«Albus Severus, essere diversi non è un crimine!» iniziò Piton, ma mentalmente si maledisse: come poteva parlare di crimine, lui che era stato un mangiamorte? Pessima scelta di termini, Severus!
Ma proseguì: «La gloria? La gloria non è per tutti. Non esiste un unico sentiero che porti alla vetta. Non vi sono solo stendardi che garriscono al sole iridescente della venerazione delle folle festanti. Oh, no, Potter! Non tutti ricevono gloria ed onori. Ma questo non significa che tu non abbia un tuo posto nella Storia. E un posto inderogabile, per altro. Un posto che risplende di uno scintillio ineguagliabile, luminoso non meno di altri scranni, riservati a re e regine.  Ti invito ardentemente  a pensare a Neville, giusto per esemplificare quello che intendo dire!»
Il ragazzo sgranò gli occhi: Neville? Dai racconti del padre, ricordava che tra l’attuale professore di Erbologia e quello che, ai loro tempi, era il professore di Pozioni, non c’era mai stata grande simpatia. Anzi, si stava proprio domandando se avesse fatto bene a mostrargli proprio un ricordo che, oltre alla fine della Seconda Guerra Magica, riguardava Neville Longbottom. Infine, però, chiese soltanto, con un filo di voce: «Neville?»


«Neville, sì: esatto.  Proprio lui! Al primo anno di scuola, non avresti scommesso un soldo bucato su di lui: lardosa palla di grasso, spaventata anche dalla sua ombra. Era una frana in Pozioni, un cataclisma in Incantesimi. Pareva avere una predisposizione giusto per quella materia da invertebrati che è Erbologia. E invece… senza di lui, Harry Potter non sarebbe riuscito nella sua impresa e avrebbe inoltre detto addio ai suoi migliori amici, nella patetica illusione Grifondoro di essere eroici perché morti insieme, mano nella mano. Neville ha ucciso Nagini, vendicando, quindi, indirettamente, anche me!» fece una pausa. E un ghigno sinistro apparve ad un angolo della bocca.
Eppure, Al lo ascoltava, rapito. Era bello ascoltare i suoi racconti, persino il suo sarcasmo e la sua assenza di ogni comune buonismo gli risultavano intriganti.  
«Dicevo, Neville. Nessun esempio sarebbe più azzeccato. Lui non è mai stato sotto le luci della ribalta. Oh, no! Non le avrebbe sopportate, senz’ombra di dubbio. Eppure proprio lui, dalle retrovie, in un certo senso, ha avuto più influenza di maghi più esperti, nel raggiungere l’obiettivo finale. È giunto ora alla tua comprensione il motivo per il quale ognuno deve, più di ogni altra cosa, occupare il proprio posto, anche quando questo significa, talvolta, obbedire ad ordini che non comprendi totalmente e masticare grandi bocconi amari, che vorresti far inghiottire al tuo superiore? È penetrato nella tua testolina vuota cosa significhi mettersi in gioco, totalmente, avendo tutto da perdere e quasi nulla da vincere?» mentre terminava la domanda, il suo tono era diventato irritato, furente, nonostante non avesse mai smesso di mantenerlo basso, come il sibilo di un serpente.
No, come poteva capire, povero ragazzo? Aveva dodici anni, era vissuto in tempo di pace, non aveva dovuto scegliere tra Mangiamorte e Ordine della Fenice, non aveva rinunciato alla sete di potere per l’Amore della sua vita, non aveva fatto la spia per diciotto lunghissimi anni, celando la parte più luminosa di sé al mondo intero, compreso se stesso. Come poteva… o, forse: sì?
Il dubbio lo sfiorò quando si volse a guardarlo, abbandonando, per un momento, l’enfasi del proprio stesso discorso, in cui si era impegnato fino a quel momento.
Vide il ragazzo socchiudere gli occhi, annuire lentamente, con eleganza e, con sincerità, rispondergli con calma «Ci sto provando, a capire… davvero! Non è sempre facile, la vita. A volte non lo è per nulla!»
Piton sorrise. Stava provando, in forma di spirito, una sensazione che non aveva mai provato prima. Quel ragazzo - figlio di Potter!-  lo capiva. Non aveva l’intelligenza dei Corvonero. Era un altro tipo di intelligenza. L’intelligenza del cuore, quella che rende capaci di leggere l'anima. I Babbani dovevano chiamarla empatia: è un dono che è molto più raro della magia e, in chi lo possiede, provoca sempre più danni che vantaggi.
«Non sei come tuo padre. Né come tuo nonno» disse, pronunciando adagio ogni singola sillaba, come se la stesse soppesando con grande cura sopra un bilancino di precisione.
«..... Sirius spesso chiamava mio padre James, lui lo amava perché gli ricordava James e, per un adolescente in cerca di sé, non è bello rendersi conto di questo. Lei, invece, perché era figlio di Lily, nonostante il suo aspetto Le ricordasse mio nonno, che non era proprio uno stinco di santo! Bisognerebbe guardare alle persone per quello che sono, non per i ricordi che scatenano. Gli adolescenti, poi, cercano riconoscimento, prima ancora che apprezzamenti e tutto questo non aiuta. Ma del resto, Lei non è mai stato prodigo, con gli apprezzamenti, o sbaglio?»
«Evidentemente!» rispose, secco, Piton, al ragazzo, che aveva colpito nel segno. Era estremamente seccante sentirsi rinfacciare i propri difetti. Specialmente, quando a farlo era uno sfrontato studentello del secondo anno, a cui non poteva nemmeno avere la soddisfazione di togliere punti, perché… non era più insegnante di Hogwarts! e, oltretutto, era perfino di Serpeverde, quell’impiastro d’un Potter junior!
«Lo dice spesso, vero?» domandò il ragazzo, senza guardarlo; poi,  immaginando la sua domanda, si affrettò a rendergli 'disponibile', nella propria mente, il ricordo del proprio padre che, innervosito, stringeva i pugni, al sentirglielo dire, borbottando tra sé e sé: "In famiglia nessuno risponde così, come ha potuto imparare... ?"
Lo spirito rise, divertito. Certo, aveva amato e protetto il figlio di Lily, pur facendo di tutto per celarlo. Ma nulla lo divertiva quanto far impazzire quell'ammasso di impulsività di Harry Potter, che non era mai stato capace di tenere a freno né la lingua, né, tanto meno, le proprie emozioni.
«Io credo di saperla, la risposta.. forse!» proseguì il ragazzo, con calma e discrezione, quasi in un sussurro «La realtà è che non esiste solo il DNA, i geni, il sangue, per trasmettere qualcosa di sé. Ci sono genitori che i figli li hanno solo generati, ma non li amano davvero.E  a parte i geni, non sono in grado di trasmettere altro. La grandezza di un uomo lascia impronta di sé, come un marchio, diciamo…» Piton guardò rassegnato, sulla superficie evanescente della sua sostanza d’ectoplasma, appena appena rilevato, ma ancora presente, il marchio dell’Oscuro Signore.
Il ragazzo se ne accorse e proseguì: «Sia il bene che il male lasciano un segno, naturalmente. Ma la parte migliore di sé riesce sempre ad essere tramandata, a superare il logorio del tempo e a proseguire il suo cammino per generazioni e generazioni, come un’eredità impalpabile, che va al di là dei legami di sangue» concluse, con un sorriso complice e distensivo, rispetto al precedente tono solenne che aveva accompagnato quel suo discorso. Era evidente che si trattava di un argomento sul quale aveva riflettuto a lungo, studiato, dibattendo continuamente tra le proprie esperienze personali, il proprio ragionamento e le opinioni lette sui libri, sulle riviste e.. su ogni sorta di diavoleria babbana attualmente in circolazione, perché Albus, senza eccedere nei pregiudizi, ma con il necessario discernimento, non disdegnava alcuna fonte d’informazioni che potesse entrare in suo possesso, in un modo o nell’altro.
«Sei davvero... Un ragazzo fuori dal comune!» esclamò Piton, con un entusiasmo, che non pensava di poter possedere.
Notò il ragazzo arrossire lievemente, in un sorriso timidamente compiaciuto per l'apprezzamento ricevuto.
Piton si stupì di se stesso. Era l'ennesimo complimento che gli uscisse di bocca. Ed era assolutamente sincero.
Nonostante fosse strano, per lui, esternare la propria ammirazione, specie nei confronti di qualche adolescente di Hogwarts: era un lusso che si concedeva di rado, e con riluttanza. Ma, con lui, era così facile! Era come se fosse in grado di tirare fuori... la parte migliore di lui!
   
 
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