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Autore: Sam27    24/10/2015    3 recensioni
Dal testo:
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
–Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
-
-Mi piaci- sussurra -Da sempre-
-Sei ubriaco, stai delirando-
-Non te l'hanno mai detto che gli ubriachi non mentono mai?-
-Anche tu mi piaci-
-Perchè me lo dici?-
-Forse perchè sono ubriaca anche io-
-
-Sto leggendo-
-Guardami quando ti parlo!- esclama Rebecca alzando la voce.
Io alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene.
-Perchè ti comporti così?- mi chiede -E' perchè sono lesbica? Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Monica ci amiamo e...-
-E' perchè hai tradito papà!- urlo -Ed io ti odio, Rebecca-
Lo schiaffo arriva e lo accolgo quasi con sollievo.
Alla luce degli ultimi avvenimenti Nora può considerarsi una fangirl piuttosto sfigata.
-
In un'epoca in cui la friendzone va quasi di moda ho provato a parlare della vera amicizia.
In un'epoca in cui leggere è passato di moda ho provato a spiegare com'è la vita per chi vive per i libri.
Sequel della storia: "Potremmo volare". Può essere letta singolarmente.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
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6. In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna
“-Dove sei? Chi c’è con te?-
-Nessuno. Siamo io, me stesso e me-“
Il giovane Holden, J.D. Salingher


 
Entro in prigione direttamente e senza passare dal via.
Non so come vi vengano in mente certe cose, forse ho sprecato troppo tempo a giocare a Monopoli negli anni passati, comunque sia non ritiro quello che ho detto sulla prigione. Faccio un rapido saluto a tutti e corro a chiudermi in camera per evitare Filippo.
Mi appoggio alla porta, tirando un gran sospiro di sollievo e tenendo gli occhi chiusi. Quando sento il cuore riprendere a battere un ritmo accettabile apro gli occhi e lascio cadere a terra il borsone per lo stupore. Mi sento un po’ come se fossi appena capitata su Via della Accademia sulla quale Michela ha costruito tutti e quattro gli alberghi, giusto per rimanere in tema. Prima la mia camera non era il massimo ma ora è decisamente il posto più brutto che qualcuno potrebbe progettare: le pareti sono fucsia e rosa chiaro, a separare i due colori c’è una striscia bianca di carta da parati con l’orlo d’oro, la tastiera del letto, l’armadio ed il comodino sono castano scuro e il letto e dello stesso fucsia odioso e brillante della parte inferiore della parete, giusto per completare l’opera ci sono diversi quadri di gatti appesi alle pareti.
Per un attimo penso di essere appena capitata nello studio della Umbridge poi mi riscuoto e mi dirigo al piano di sotto a grandi passi.
-Che cos’è successo alla mia stanza?
Michela e Rebecca si girano verso di me, interrompendo i loro discorsi sul gossip.
-Non ti piace?- mi domanda Michela sorridente.
-Preferirei avere un gatto aggrappato ad una tetta con gli artigli, piuttosto che dormire là dentro- rispondo massaggiandomi preventivamente il seno.
Filippo, che non avevo ancora notato, cerca di tramutare la risata in un colpo di tosse, continuando a preparare da mangiare.
-Nora…- cerca di ammonirmi Rebecca –Ti proibisco…-
-Non ho mai sopportato il rosa!- esclamo infine, senza nessuna traccia di ironia –Mi odi così tanto?-
Lei rimane spiazzata ed io mi accorgo della gravità di quello che ho detto solo quando vedo gli occhi di Michela riempirsi di lacrime, non posso negare di sentire il senso di colpa mischiarsi alla rabbia e lascio la stanza, prima di aggravare ulteriormente la situazione.
Mi siedo sul letto, non prima di aver preso dallo scaffale il primo libro che mi capita a tiro. Cerco di non guardarmi intorno e di concentrarmi solo sulle parole che mi scorrono davanti agli occhi per non scoppiare a piangere o rischiare di vomitare. Passa un tempo che mi sembra indefinito, durante il quale non riesco proprio ad afferrare il senso del romanzo che mi hanno assegnato per le vacanze. All’improvviso la porta della stanza viene aperta con violenza e sono quasi felice di dover distogliere gli occhi da “Cent’anni di solitudine”.
-Dobbiamo parlare- dice Rebecca piazzandosi davanti a me con lo sguardo duro e le mani sui fianchi.
Torno a rivolgermi al libro, senza dar segno d’averla sentita.
-Nora!-
E’ così arrabbiata che mi sembra di vedere il fumo uscirle dalle orecchie.
-Sto leggendo-.
-Hai idea di quanto si sia impegnata Michela per far sì che questa stanza ti piacesse? E tu le rispondi in modo così maleducato! Possibile che tu non capisca che cerca solo di esserti amica?
-Sto leggendo- rispondo cauta.
Non le urlo addosso, non lascio che i sentimenti prendano possesso delle mie parole, sotterro tutto ciò che vorrei dirle e tento di tenere gli occhi incollati al libro.
-Non te ne importa nulla?
Tento di rimanere impassibile nonostante io senta la sua voce tremare.
-Sto leggendo- ripeto per l'ennesima volta.
-Guardami quando ti parlo- dice Rebecca alzando la voce.
Credo che questa volta perderà davvero il controllo. Alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene. Ho il terribile presentimento che se non lo farà le cose prenderanno una brutta piega.
-Perché ti comporti così?- mi chiede con gli occhi lucidi.
Io per poco non scoppio a ridere o a piangere o entrambe le cose contemporaneamente.
-E' perché sono lesbica?- insiste abbassando appena la voce -Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Michela ci amiamo e...-
-E' perché hai tradito papà!- urlo, senza ascoltare le falsità che so che avrebbe detto -Ed io ti odio per questo, Rebecca-
Lo schiaffo arriva subito e lo accolgo quasi con sollievo. Non fa male, è più che altro il rumore a sorprendermi, avverto il bruciore sia sulla guancia che all’altezza dello stomaco.
-Ti ho vista baciare un’altra! E non è il fatto che fosse una donna o che fosse Michela, il punto sta nel fatto che tu eri lì con qualcun altro! Ed ora osi venire qui a farmi la predica come se fossi io quella che dovrebbe vergognarsi. Hai rovinato la vita di papà e, di conseguenza, anche la mia! Dici che mi vuoi bene eppure non fai nulla per dimostrarlo!
Mi brucia la gola perché sto urlando e mi bruciano persino gli occhi mentre le lacrime calde mi solcano le guance. Sento bruciore ovunque, è come se andassi a fuoco e non è per niente piacevole. Tutto ciò che non le avevo mai detto esce dalle mie labbra senza che io possa fermarlo.
-Tu fai qualcosa per migliorare la tua vita? Assolutamente no! Non ti va mai bene nulla, non fai che incolparmi, rispondere male ed essere maleducata- dice urlando a sua volta.
-Mi hai cresciuta tu, avresti dovuto educarmi, forse non ti è riuscito molto bene.
Normalmente non le parlerei mai in questo modo e non alzerei la voce così con lei, ma non c’è niente di normale in tutto questo.
-Già, probabilmente hai ragione. Magari se ti avessi educata non mi mentiresti e non andresti così male a scuola.
Un altro colpo al cuore, l’ennesimo quest’oggi, il mio respiro si fa ancora più irregolare mentre balbetto parole confuse.
-Filippo te l’ha detto?- esclamo con voce amara, abbassando lo sguardo.
-Filippo?!- mi fa eco confusa –Mi ha telefonato la scuola, dicendomi che stavi recuperando ma che avresti dovuto fare di più se non volevi avere insufficienze in pagella! Mi hanno anche detto che avevano già chiamato-
-Ho avuto altro da fare piuttosto che studiare, ultimamente. Dovevo badare ad un padre ubriaco perché la moglie l’ha lasciato e ad una madre sclerotica!-
Non riesco quasi a parlare, ho la voce rotta dal pianto ed i pensieri in subbuglio.
-Ti proibisco di parlarmi in questo modo!
-E allora vattene- sibilo mentre sento che le lacrime hanno iniziato a bagnarmi anche la maglietta –Non chiedo di meglio-
-Sei in punizione, Nora- mi dice mentre mi accorgo che è sul punto di piangere anche lei –Da qui fino alla fine delle vacanze non potrai più uscire né usare il telefono, non festeggerai il tuo compleanno e prenderai ripetizioni da Filippo-
-Non capisci che così è peggio? Il nostro rapporto non fa che peggiorare!
-Non so cos’altro fare. Ho provato ad essere gentile, a non rimproverarti, a lasciarti i tuoi spazi ma hai esagerato: evidentemente ci vuole un tono più autoritario.
-Tra qualche giorno compio diciassette anni, ancora un anno e poi non dovrai più preoccupartene- lo dico con un filo di voce ma non abbastanza piano affinché non lo senta.
Mi porge la mano e le do il cellulare, poi mi volta le spalle, sbattendo la porta.
Lascio che le lacrime continuino a scendere e vado a sedermi sulla specchiera: l’impronta delle dita di Rebecca è rosa brillante sulla mia pelle e fa pendant con la parete alle mie spalle. Il mio sguardo cade poi sui miei lunghissimi capelli, socchiudo gli occhi mentre ricordo un periodo lontanissimo in cui avevo il capriccio di volere i capelli corti e mia madre mi ripeteva che così erano bellissimi, pettinandomeli con le mani e baciandomeli. Adoravo quando mi passava la spazzola tra i capelli o quando me li accarezzava se piangevo aggrappandomi alle sue ginocchia. Mi accorgo come in un sogno di avere le forbici in mano mentre sento che le lacrime hanno smesso di scendere. Mi lego i capelli in una coda lunghissima e vaporosa, poi li taglio cercando di fare una linea il più dritto possibile, infine mi lascio cadere sul letto e mi addormento in un sogno tormentato e popolato da forbici rosa.
 
Quando mi sveglio mi accorgo con malagrazia che è la vigilia di Natale, non mi preoccupo di cambiarmi ed osservo appena con una smorfia le occhiaie causate dal pianto ed il mio nuovo ed orribile taglio di capelli appiattito su un lato. Se almeno sapessi sfoltirli avrebbero un’aria decente ma, sinceramente, non mi interessa. Scendo a fare colazione senza guardare in faccia nessuno.
-Buongiorno Nora- dice Michela allegra, porgendomi il caffè.
Non rispondo ed inizio a sorseggiare la mia tazza.
-Come si dice?- domanda mia madre a denti stretti.
-Ciao- borbotto stizzita, afferrando un biscotto.
-Buona Vigilia!- esclama Filippo entrando in cucina ed afferrando una brioches.
-Anche a te, caro!- esclama Michela regalandogli un bacio.
-Nora?!- esclama mia madre con gli occhi fuori dalle orbite, incitandomi a rispondere.
-Vaffanculo- dico io, lasciando tintinnare la tazza sul piattino ed andandomene.
So che non avrei dovuto dirlo ma tanto ormai non ho più nulla da perdere.
-Prima l’era glaciale adesso l’Inferno- dice Filippo, abbastanza forte affinché io lo senta.
-In confronto a questa posto l’inferno è solo una sauna- borbotto io, abbastanza piano affinché possano far finta di non aver udito.
Non so se ce l’ho più con mio padre per avermi abbandonata quaggiù, con mia madre per essere quella che è, con Michela per essere così odiosamente gentile, con Filippo perché è così maledettamente affascinante o con me stessa perché riesco a ferire le persone in questo modo. Vorrei telefonare ad Alessandro ma non posso e so che, probabilmente, si starà chiedendo che fine io abbia fatto. Non posso sperare nemmeno che passi a salutarmi visto che ieri ci siamo scambiati regali e auguri, non posso contare su Ivan poiché lui e Ludovica saranno gli unici assenti questa sera. Rimango solo io e, visto come si sono messe le cose, faccio abbastanza schifo come unico punto d’appoggio.
Giaccio in una situazione di apatia confusa fino all’ora di pranzo poi scendo sotto per mangiare nonostante il mio stomaco voglia restare placidamente a digiuno e prendo posto con aria abbattuta.
-Gradirei che vi vestiate in modo decente per questa sera- dice Rebecca indugiando sulla mia felpa macchiata in vari punti e sui pantaloni della tuta a vita bassa di Filippo.
–E che vi comportaste bene- aggiunge a mezza voce.
Io e Filippo ci scambiamo uno sguardo d’intensa, ci accorgiamo quasi subito di ciò che stiamo facendo e rivolgiamo l’attenzione alle patate al forno. Le mangerei con voracità se non provassi quest’incessante voglia di vomitare.
-Hai tagliato i capelli?- mi domanda cautamente Michela, interrompendo il quieto rumore di forchette e bicchieri.
-Oh no- rispondo calma e con un falso sorriso –Mi sono caduti durante la notte-
-E come mai?- domanda Filippo, pensando di fare il simpatico e restando al gioco.
Stai attento, belloccio, perché ho una riserva di munizioni non indifferenti.
-Erano disperati- dico addentando un wurstel così forte da farmi male alla mascella.
-Non ti sopportavano più?- mi chiede ammiccando.
Rebecca trattiene il respiro, probabilmente intuendo la mia successiva risposta ed il fatto che Filippo abbia osato troppo in una manciata di minuti appena.
Qui Nora, siamo pronti a sganciare, ripeto: siamo pronti a sganciare, passo; non posso fare a meno di pensare con un mezzo sorriso.
-Forse, o più probabilmente: non sono riusciti ad apprezzare pienamente il tuo bacio della buonanotte, l’altra sera.
Bomba sganciata, baby.
Filippo deve pensare la stessa cosa perché impallidisce ed arrossisce al tempo stesso mentre Michela assume la vacua espressione di chi è sul punto di svenire.
-Che cosa intendi?- mi domanda Rebecca posando il bicchiere d’acqua che stava per portarsi alle labbra.
-Chiedetelo a lui- rispondo scrollando le spalle.
Filippo balbetta qualcosa di indefinito ed io mi alzo da tavola, senza finire di mangiare e senza sparecchiare. Ho chiuso tutte le emozioni nel sacco di spazzatura nel quale ho buttato i capelli e mi sento vuota, persa e terribilmente sola. Non credo di riuscire a sopravvivere tutto il pomeriggio e temo, sinceramente, di non superare il Natale.
Torno in camera strascicando i piedi e, una volta lì, riapro il libro che ho lasciato sul pavimento ieri sera. Continuo a rileggere la stessa pagina senza riuscire a capirla e non so nemmeno se sono io in uno stato confusionale o lo era lo scrittore del libro.
-Possiamo parlare?- mi domanda Filippo affacciandosi alla soglia della mia orripilante camera da letto, rosso in volto e reduce da una strigliata.
Prima che io possa rispondergli a tono il campanello suona salvandomi in calcio d’angolo, mi precipito di sotto, apro la porta superando con uno scatto felino Michela mi ritrovo davanti Elisa, al quale braccio è aggrappato Gabriel Lumaca, con la faccia di chi vorrebbe essere ovunque tranne che qui.
-Hai dimenticato gli appunti di fisica- dice sventolandomi sotto il naso alcuni fogli all’apparenza bianchi e non miei.
-Gli appunti di fisica- ripeto confusa.
Lei annuisce convinta: -Posso entrare, vero?
Non mi lascia il tempo di risponderle o di fare gli onori di casa, mi supera e corre ad abbracciare e baciare Michela e Rebecca con tanta gentilezza ed entusiasmo da far sì che le due piccioncine rimangano estasiate da lei e non ribattano niente. Infine ci troviamo in camera mia, senza che io ricordi con esattezza ciò che è successo negli ultimi minuti.
-Ovviamente sono qui per vedere come stai- dice con tono critico, scrutandomi da capo a piedi –E da quel che vedo ho fatto bene a passare-
-La Lumaca cosa c’entra?- domando curiosa, sedendomi a bordo del letto.
-Non sapevo il tuo indirizzo, perciò ho avuto bisogno di qualche indicazione- dice mentre inizia a girovagare per la stanza.
-Potevi cercare nelle pagine gialle- dico grattandomi la testa.
-Non ci ho pensato- risponde sinceramente sorpresa.
-Potevi lasciarlo fuori dalla porta- dico buttandomi sul letto.
-Non ho pensato nemmeno a questo- dice sedendosi al mio fianco.
-Io sono qui- ci fa presente Gabriel, sventolando le braccia come se fosse il povero superstite su un’isola deserta. Ruolo che non può avere visto che è già stato occupato dalla sottoscritta.
-E’ un miracolo che vi abbiano fatto entrare- mormoro mordendomi il labbro per non scoppiare a piangere di nuovo –Sono ai lavori forzati-
Gabriel si siede alla mia destra ed io lo lascio fare, non ho nemmeno la forza di fare qualche battuta sarcastica sul suo conto. Elisa, senza dire nulla, mi abbraccia e mi accarezza la schiena con fare materno. Prendo un grande respiro e racconto loro tutto quello che è successo, senza tralasciare nulla, non mi importa che siano una mia compagna di classe stravagante ed uno degli esseri umani che sopporto di meno. Le parole mi escono di bocca come un fiume in piena e mi lasciano appena più serena, è come se il ghiaccio nel mio petto si fosse sciolto ed ora fosse mare gelato, altrettanto fastidioso ma meno pesante da digerire.
-Ed io che pensavo di avere una famiglia complicata perché mio fratello è “una persona speciale”- dice mimando le virgolette con le mani e strappandomi un mezzo sorriso.
-Tu e tua madre avete dei seri problemi di dialogo- commenta invece Gabriel.
Io alzo gli occhi al cielo senza commentare nulla e restiamo per un attimo in silenzio, ognuno di noi alle prese con il proprio filo dei pensieri.  Ci pensa Elisa a riscuoterci: si alza con un veloce movimento degli addominali, batte le mani e mi guarda con un sorriso a trentadue denti. Penso che il suo sia uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto, riesce a coinvolgerti con due semplici fossette ai lati della bocca.
-Diamo una sistemata a questi…- si ferma un attimo e mi osserva con una smorfia divertita – ‘cosi’. Almeno i tuoi parenti avranno qualcosa su cui discutere-
Prima che possa ribattere alcunché mi ritrovo seduta di fronte alla specchiera orribilmente rosa mentre Elisa afferra un paio di forbici mostruosamente rosa e osserva il nostro riflesso nello specchio.
-E come va con il tuo principe azzurro?- mi domanda Gabriel ancora seduto sul letto.
-E tu come fai a sapere di Filippo?- gli domandò arrossendo furiosamente.
-Filippo?- domanda confuso –Io alludevo ad Alessandro-
-Oh- mormoro arrossendo ancora.
-Sei sicura di quello che stai facendo?- chiedo poi preoccupata ad Elisa.
Lei annuisce mentre continua a tagliare ciuffi qua e là, pettinare e bagnare i miei capelli con uno spruzzino incantevolmente rosa. –Mia madre è parrucchiera la osservo praticamente da sempre, l’ho fatto moltissime volte. I tuoi capelli hanno solo bisogno di essere sfoltiti. Non sarà poi tanto diverso che con le bambole.
-Bambole?
-Bambole, persone… i capelli sono uguali!
Tento di rilassarmi e la osservo ridurre i miei capelli ad un caschetto quasi perfetto, appena più lungo sul davanti ed ordinatamente riccio. Non appena posa la piastra con la quale ha ritoccato qualche riccio rendendolo un bel boccolo perfetto, le suona il cellulare.
-E’ mia madre- geme –In teoria dovrei essere al supermercato a comprare le ultime cose per il cenone, ho fatto un salto qui perché ero di strada… più o meno… ma ora devo proprio andare!-
E detto ciò mi abbraccia, mi scocca un rapido bacio sulla guancia e si dilegua.
-Stai molto meglio- disse Gabriel infilando le mani in tasca e dondolando sui talloni.
-Grazie- dico brevemente, osservandomi indecisa nello specchio.
Rimaniamo in silenzio per lunghi attimi imbarazzanti in cui entrambi cerchiamo di guardare ovunque piuttosto che l’altro e tossiamo, per far sparire il silenzio che, però, torna ancora più forte di prima, avvolgendosi nelle sue spire ingannatrici.
-Forse dovrei andare anche io- dice infine avvicinandosi alla soglia.
Annuisco e lui resta per un attimo indeciso, aprendo e chiudendo la bocca come se dovesse trovare il coraggio per dirmi qualcosa infine scrolla le spalle e se ne va. Quando apro l’armadio noto subito che Michela ha arricchito il mio guardaroba e, almeno in questo, non ha sbagliato. Prendo un vestito blu a maniche lunghe e lo butto sul letto poi controllo l’ora e tiro un gran sospiro: mancano poco più di tre ore al cenone e non sono preparata né mentalmente né fisicamente. Mi siedo indecisa sul letto e, ben presto, un profumo di roast-beef, crema pasticcera e patate al forno si fa strada su per le scale, arrivando alle mie narici e facendo brontolare il mio stomaco.
Decido infine di ingannare il tempo rilassandomi, mi dirigo quindi in bagno, riempio la vasca e verso all’interno di essa ogni bagnoschiuma che riesco a trovare. Quando c’è abbastanza acqua calda mi spoglio e mi ci immergo, mi scuso mentalmente con Elisa mentre lascio che anche i capelli si bagnino, poi prendo un bel respiro e lascio che tutti i pensieri si disperdano. Socchiudo gli occhi e mi abbandono al piacere del caldo, dell’acqua che accarezza la mia pelle, riemergo lentamente ed inizio a giocare con la schiuma come facevo quand’ero bambina.
Sospiro.
Vorrei che Alessandro fosse qui con me.
Subito dopo averlo pensato arrossisco nonostante nessuno possa vedermi. Non intendevo certo dire che vorrei fare il bagno con lui, solo che avrei bisogno della sua presenza confortante al mio fianco. Annuisco convinta, poi scrollo le spalle e socchiudo di nuovo gli occhi. Improvvisamente la porta del bagno si spalanca e Filippo entra in bagno intento a smanettare con il cellulare in modo frenetico. Io lancio un urlo isterico e lui alza gli occhi dal marchingegno che, per la sorpresa, gli cade con un tonfo sordo sul tappeto.
-Oddio, scusa, io…- balbetta raccogliendolo.
Il mio primo istinto sarebbe quello di alzarmi e scappare ma, pensandoci meglio, farmi vedere nuda da lui non sarebbe il massimo per sciogliere l’imbarazzo.
-C’è la luce accesa, possibile che tu non abbia pensato che ci potesse essere qualcuno?
-Non ci ho fatto caso- dice azzardando una risata nervosa.
-Bussare è fuori moda?
-Scusa, davvero, stavo messaggiando con Isabella e… mi dispiace.
-Okay, okay- mormoro sempre più nervosa, sperando che la schiuma copra tutto –Ora potresti uscire?-
-Certo, certo-.
Si volta, mette la mano sulla maniglia, fa per uscire, si blocca e torna sui propri passi. Io, che avevo quasi ricominciato a rilassarmi, mi irrigidisco nuovamente e alzo gli occhi al cielo: perché ogni volta che mi piace un ragazzo devo finire in una situazione imbarazzante con lui in bagno? E perché questo deve anche essere sempre fidanzato? Potrei inventare il complesso di Nora.
-Sei arrabbiata con me?- dice poi guardandomi negli occhi.
Io abbasso lo sguardo, sempre più imbarazzata.
Annuisco sempre senza riuscire a guardarlo. Lui sembra finalmente accorgersi del mio nervosismo perché ride.
-E’ come se fossimo fratelli, non dovresti vergognarti- mi stuzzica.
Avvampo ancora di più e sento che il caldo è improvvisamente diventato soffocante.
-Io potrei spogliarmi e questo non dovrebbe crearti alcun fastidio- dice guardandomi ammiccante.
Oh, miseriaccia, E’ l’unica cosa che riesco a pensare quando si toglie la maglietta e resta solamente con i pantaloni della tuta che lasciano intravedere i boxer blu scuro. Mangio il suo petto con gli occhi mentre penso che potrei svenire.
-Filippo…- mormoro e non so nemmeno io cosa sto per dire.
Nel silenzio carico d’attesa che si è creato sentiamo chiaramente i tacchi, che Michela dev’essersi infilata per la cena, ticchettare nel corridoio verso di noi.
-Nasconditi nella doccia!- esclamò facendogli dei grandi cenni con la mano ed indicando il box.
Lui vi si precipita, portandosi appresso la maglietta, Michela bussa con delicatezza ed io rispondo con voce roca, cercando di riprendere un certo contegno. Entra timorosa e dubbiosa, quasi in punta di piedi ed io tento di assumere un cipiglio corrucciato e di non lanciare continue occhiate al box doccia.
-Questa sera potrai parlare con mio fratello, dirai a lui come desideri la stanza e provvederà a ridipingerla. Mi dispiace che non ti sia piaciuto, era il mio regalo di Natale.
Mi guarda negli occhi e noto che, sotto al trucco, ci sono due profonde occhiaie e gli occhi gonfi di chi ha passato molto tempo a piangere. Lo stomaco mi si stringe nell’ennesima morsa pungente: da una parte vorrei urlarle addosso e fare una scenata, dall’altra scoppiare a piangere e scusarmi. Nell’indecisione borbotto qualcosa di indefinito ed annuisco appena. Quando lascia il bagno riesco finalmente a riprendere a respirare, Filippo esce dal box doccia, fa per dire qualcosa ma poi ci rinuncia e, con un piccolo saluto militare, si congeda.
Mi immergo sott’acqua, lasciando che i capelli galleggino insieme alla schiuma. Vorrei poter tirare lo scarico e sparire nelle fogne. Chissà che laggiù, da sola, tra melma, fango e altri oggetti non meglio identificabili, io non riesca a combinarne una giusta.

 
  
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