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Autore: Akemichan    25/10/2015    1 recensioni
«C'è un'ultima cosa che dovete sapere.» Il ghigno scomparve com'era venuto e Dragon tornò a parlare di lavoro. «Mentre Serse è un regno sotto il Governo Mondiale, Baharat non lo è. Fa parte dell'Impero di uno dei quattro Imperatori Pirata.» Una piccola pausa, per fissare i suoi occhi neri penetranti su Sabo. «Si tratta di Barbabianca.»
[...]
Incredibilmente, Sabo aveva avuto la reazione più composta, a parte gli occhi che si erano spalancati in un attimo: poi aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il sorriso che gli si stava formando sul volto. Ace era entrato nella Rotta Maggiore già da due anni, ma era la prima volta che poteva avere concretamente una possibilità di incontrarlo. Improvvisamente Serse e la sua crudeltà erano diventati obiettivi di poco conto.
[Partecipante al Contest "Mahjong Contest" indetto da My Pride]
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koala, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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La partenza
 

Ace era andato da Sabo dopo cena con la scusa di dovergli portare da mangiare. Marco non sapeva che aveva passato il resto del pomeriggio in sua compagnia, o si sarebbe insospettito dalla familiarità e sarebbe tornato a pensare che fosse stato in qualche modo manipolato.
Ma Ace era stato molto attento e aveva dato l'idea di essere davvero interessato solo a ricordare a Sabo che sarebbe stato meglio per lui non tirare brutti scherzi. Non aveva dovuto nemmeno rischiare di recuperare le chiavi della cella e delle manette, rigorosamente custodite da Marco, perché Sabo gli aveva assicurato che poteva liberarsi da solo, gli sarebbe bastato solo del fil di ferro.
«Sei bravo» gli disse ammirato Ace, quando lui glielo dimostrò in prima persona aprendo la porta della cella.
Sabo sorrise soddisfatto, nonostante avesse le manette ancora appese per un polso. Ma lui non soffriva per l'agalmatolite, quindi non voleva perdere tempo ad aprire entrambe le serrature. L'avrebbe fatto con calma una volta partiti. «Se vuoi te lo insegno.» Recuperò mantello, cappello e lumacofonino, che per fortuna erano stati lasciati in un angolo, mentre Ace si rimetteva il suo zaino in spalla. Erano pronti.
Ace doveva ammettere che vederlo vestito così lo rendeva decisamente più simile al Sabo che ricordava da bambino e che era cresciuto, ma quello che gli diede più familiarità di tutti fu quando percorsero i corridoi della Moby Dick per recarsi alla darsena. Camminavano fianco a fianco e non avevano nemmeno bisogno di parlare per decidere assieme qual era il miglior modo di comportarsi se sentivano arrivare qualcuno. Era bello vedere che anni di lontananza non avevano intaccato affatto ciò che c'era stato fra di loro.
Nella darsena, Ace non accese le luci per non attirare l'attenzione, ma solo una leggera fiammella sulla sua mano in modo che vedessero dove mettevano i piedi. «È quella» disse, indicando una delle tre piccole navi che replicavano in dimensioni minori la forma della Moby Dick. Saltarono a bordo, quindi Ace aumento l'intensità del suo fuoco per illuminare meglio la zona, almeno finché non avessero acceso le luci della nave. «Va' sotto a controllare che sia stato caricato tutto, io intanto mollo gli ormeggi e apro il cancello.»
«Va bene.» Sabo annuì e in un attimo scomparve sotto coperta come se non fosse stato per la prima volta su quella nave ma  la conoscesse da sempre.
Ace aveva appena liberato tutte le corde che la ancoravano al ponteggio e si stava allungando per afferrare la manopola che controllava il meccanismo di apertura della darsena, quando le luci si accesero improvvisamente, accecandolo.
Si strofinò un attimo gli occhi per riprendersi e poi guardò in direzione degli interruttori. Marco e Satch erano fermi all'ingresso e lo stavano fissando increduli. «Che ci fate qua?» disse, in tono polemico.
«Potremo chiederti la stessa cosa» rispose Marco, gentilmente. Era però un tono gelido, che indicava che non era felice di averlo beccato.
«Sono solo venuto a controllare che fosse tutto a posto, dato che non riuscivo a dormire» disse Ace con tono noncurante.
«E serviva staccare tutte le corde?» Marco fece un sorriso conciliante.
«Oh, be'... Per essere pronti per domani.»
«Ti ha manipolato, vero?» Stavolta non c'era ombra di sorriso sul volto di Marco. «Avrei dovuto capirlo! Era troppo sospetto.»
«Oh, avanti, Ace» rincarò la dose Satch. «Perché vuoi a tutti i costi che ci tocchi dire che Marco aveva ragione?»
«Non è così!» protestò Ace. «Va bene, stavamo partendo, ma è stata una decisione mia!» Avrebbe sicuramente voluto aggiungere qualcosa e continuare la discussione, ma Sabo era tornato dal sottocoperta attirato dalla discussione e, appena compreso quello che stava succedendo, gli era praticamente saltato addosso, approfittando del fatto che gli dava la schiena, e gli aveva chiuso le braccia dietro la schiena con le manette di agalmatolite di cui si era finalmente liberato. «Ma che fai?» gli domandò Ace, il cui senso di nausea e soffocamento gli impedì di chiederlo in modo più convincente.
Sabo si tolse il foulard dal collo e glielo infilò in bocca con forza. «Fidati di me» gli sussurrò, mentre allungava la mano a sfoderare il coltello che portava alla cintura.
Nel frattempo Marco e Satch avevano raggiunto il ponte della nave, preoccupati dalla scena che avevano visto, per cui Sabo tirò su Ace afferrandolo in malo modo per un braccio, quindi lo usò come scudo tenendolo fermo col braccio attorno al collo ed il coltello puntato contro il suo addome. I due Comandanti erano ancora preoccupati, ma la rabbia era decisamente il sentimento più visibile.
«Tu sei veramente della peggiore razza di bastardi» mormorò Satch, fra i denti. Era rarissimo vederlo così arrabbiato. La stessa cosa poteva dirsi per Marco, anche se almeno lui conservava una parvenza di calma.
«Vi avevo detto che non volevo fargli del male, ma non mi avete creduto» ribatté Sabo. «La colpa di questa situazione è vostra. Adesso fate la cosa giusta per una volta e lasciatemi partire.»
«Sei un uomo morto» mormorò Satch lentamente. «Aspetta che il Babbo lo venga a sapere. Io ti avevo detto che non era una buona cosa farlo arrabbiare.»
«Ma voi non glielo direte.»
Ace guardò con gli occhi spalancati la lama del coltello che veniva alzata pericolosamente vicino al suo collo e il suo cuore accelerò i battiti senza che potesse farci nulla. Era suo fratello. Si fidava. Non gli avrebbe mai fatto del male. Ma erano passati dieci anni, Sabo poteva essere cambiato al punto da poterlo sacrificare nel nome del bene superiore dell'armata rivoluzionaria. Oppure semplicemente non era davvero Sabo e Marco aveva ragione e l'aveva manipolato fin dall'inizio.
E poi Sabo fece penetrare la lama nella pelle, ma non un quella di Ace. Aveva inserito il coltello e posizionato il braccio in modo che da lontano potesse sembrarlo, invece aveva strappato la stoffa e inciso il suo stesso braccio. Ace era così sorpreso che era sicuro di non aver assunto l'espressione corretta per una persona che veniva pugnalata, ma dopo la sorpresa era arrivato il sollievo nel rendersi conto che aveva dubitato per nulla.
«È solo un graffio, adesso. Guarirà senza problemi.» Mentre il sangue cominciava a scorrere oltre la stoffa e scivolava sul petto di Ace, Sabo allungò il coltello in avanti per mostrare che era sporco. «La prossima volta, magari, posso tagliare qualcosa di più permanente. Oppure, chessò, potete lasciarmi partire.» E tornò a puntare il coltello verso l'addome.
«Bastardo...!» Satch aveva stretto i pugni e sembrava sul punto di aggiungere altro di getto, ma Marco lo fermò allungando una mano nella sua direzione. Poi fissò Sabo negli occhi e sorrise. «Fallo pure. Sarà un bello spettacolo.»
«Stai bluffando.» Sabo era preoccupato, ma non lo fece vedere. Poteva non averli mai incontrati, ma ne sapeva abbastanza su di loro per essere sicuro che non avrebbero mai messo in pericolo un loro compagno.
«Ma davvero?» Marco fece un passo avanti. «Guarda che noi siamo pirati.»
«I pirati di Barbabianca» precisò Sabo. «Tutta un'altra storia.»
«Touche» concesse Marco. «Ma anche noi abbiamo i nostri codici, e uno di questi è che si devono rispettare gli ordini.» Fece un altro passo in avanti. «Ace ha fatto di testa sua e adesso si deve arrangiare con le conseguenze.»
Sabo guardò la distanza fra di loro che si stava sempre di più accorciando: forse pensava di distrarlo e poi di riuscire ad attaccare abbastanza in fretta per toglierli il coltello di mano. Era l'unica spiegazione accettabile. Fece un passo laterale, il più ampio possibile, non solo per spostarsi dalla traiettoria di Marco ma anche per avvicinarsi pericolosamente al parapetto della nave.
«Allora ti va bene se lo butto di sotto? L'affogamento è una brutta morte.»
«Accomodati.» Marco allargò le braccia e fece un altro passo in avanti.
Ace lo stava fissando sconvolto. Certo, era verissimo che aveva deciso di fare di testa sua senza informali, come faceva di solito, ma non riusciva a credere che fossero disposti a lasciarlo morire solo per quel motivo. O per recuperare uno stupido diamante. Protestò un attimo contro il fazzoletto che aveva in bocca e poi guardò giù: l'oceano della darsena era completamente nero.
Marco fece un passo in avanti. Se Sabo fosse stato serio, quello sarebbe stato il momento di gettare davvero Ace di sotto. O di accoltellarlo, se pensava che Satch avrebbe potuto fare in tempo ad andarlo a recuperare. Ma non avrebbe fatto nessuna delle due cose.
Lasciò la presa dal collo di Ace e si allontanò da lui andando ad appoggiarsi di schiena contro la parete di legno del sottocoperta. Aveva ancora il coltello in mano e lo tenne comunque stretto, ma con il braccio mollemente adagiato contro il fianco.
«Guarda chi stava bluffando» commentò Marco gentilmente.
Satch si era avvicinato con tutt'altre intenzioni, ma persino lui aveva capito che c'era qualcosa che non andava. «Cosa? Cosa?» Aveva visto chiaramente che l'unica cosa sul collo di Ace era una macchia di sangue e l'unica cosa che sanguinava era il taglio sul braccio di Sabo.
«Altre volte aveva funzionato» commentò Sabo. Era abbastanza deluso di essere stato beccato, ma era stato un piano elaborato all'ultimo, il che costituiva una giustificazione.
«Posso immaginare, ma penso che siano stati altri tipi di ostaggi.» Marco indicò Ace con un sorriso. «Se ne stava così buono che non poteva che essere d'accordo.»
Ace gli scoccò un'occhiata di fuoco. No, non lo stava lusingando che lo conoscesse così bene da capire cosa gli passasse in testa se quello l'aveva portato a fargli venire un infarto. Aveva veramente pensato, per un attimo, che davvero lo volesse abbandonare. Protestò appena, giusto per ricordare che mentre stavano lì a parlare nessuno si stava preoccupando di liberarlo.
«Quindi non pensi più che lo stia manipolando?» Sì, Sabo aveva sentito benissimo le discussioni anche se era sottocoperta.
«Inizialmente» ammise Marco. «Ma poi sei andato troppo oltre.» Ed indicò con un cenno del capo il suo braccio sanguinante.
«Io ci ero cascato, se può valere qualcosa» disse Satch. Adesso che Ace era di nuovo al sicuro e aveva in qualche modo capito che si trattava di una finta era tornato ad essere se stesso.
«Grazie» sorrise Sabo.
«Quello che non  ho ancora capito è perché.» Marco riportò la conversazione sul binario corretto, quello che gli premeva maggiormente.
«È mio fratello!» Ace era stanco di essere ignorato e aveva finalmente sputato dalla bocca il foulard, permettendosi di attirare l'attenzione degli altri. E questo ci riuscì decisamente, perché sia Marco sia Satch lo guardarono con sguardo stupito.
«Intendi Rufy?» domandò Satch. «Perché in questo caso faresti davvero schifo a descrivere le persone.»
«No, non Rufy.» Ace sospirò: in effetti non gliel'aveva mai raccontato, non era qualcosa a cui pensava facilmente. Non prima di aver saputo che non era davvero morto. «L'altro mio fratello. Eravamo in tre, una volta.»
Sabo si era spostato e si era diretto verso di lui, iniziando a lavorare alla serratura delle manette. Non c'era stato bisogno di dire nulla, Ace si era inclinato leggermente verso di lui per lasciarlo lavorare meglio.
«Pensavo che fosse morto, per questo non ve ne ho mai parlato» continuò la spiegazione Ace. «Fino ad oggi.»
Poi, non appena fu libero dall'agalmatolite, rilasciò una fiammata per riprendersi dalla nausea che gli aveva dato. Poi si voltò verso Sabo e gli afferrò il braccio in malo modo. «Non so che cosa ti sia preso» commentò seccato. «Meno male che poi dicevi di me.» Controllò accuratamente la ferita e si rilassò solamente quando si fu assicurato che non appariva come nulla di grave.  «Ci devono essere delle bende nella dispensa.»
«È solo un graffio» cercò di protestare Sabo.
«Zitto.»
«Questo spiega molte cose» commentò Marco alla fine, mentre lui e Satch seguivano i due fratelli sottocoperta.  «Non mi è chiaro perché tu non me l'abbia detto prima.»
Ace aveva costretto Sabo a stare seduto al tavolino mentre rovistava nell'armadietto per trovare quello che cercava. «Oh, sai, avresti detto che si trattava di una manipolazione» sbuffò. «Un fratello che risorge dalla tomba. L'avresti trovato fin troppo sospetto.» Si voltò a fissarlo. «Ma io sapevo che non era così.»
«E avresti avuto ragione» ammise Marco. La prova del taglio era più che sufficiente, per quanto lo riguardava, perché nessuno sarebbe andato così lontano, a meno che proteggere Ace non fosse stata la priorità nonostante la situazione di pericolo. Ma quando li aveva visti parlare la cosa era diventata ancora più evidente. «Qual era il vostro piano?»
«Sabo ha bisogno del diamante per... qualcosa.» Non gli veniva una parola migliore, anche se in effetti sapeva davvero poco della missione in questione. «L'avrei riportato dopo.»
«Che cosa?» domandò Satch.
«Questo non posso dirlo.» Fu Sabo a rispondere, stavolta. «Mi dispiace per l'intera confusione, ma a volte devo fare cose di cui non vado fiero. Avevo intenzione di restituire la “Stella Blu” in ogni caso, ma adesso mi serve.»
Marco voltò lo sguardo verso Ace, che annuì. «Davvero.»
«E va bene.» Marco fece un lungo sospiro rassegnato: con Ace andava sempre a finire che capitolava, anche quando aveva ragione. «Andate, ma vedete di non cacciarvi troppo nei guai.»
«Che cosa dirai al Babbo?»
«Il solito, che hai fatto casini. Poi te la vedrai tu con lui.»
«Okay!» esclamò Ace ringalluzzito: Barbabianca non si lamentava mai dei suoi mezzi, se la missione veniva completata. Doveva solo riportare il diamante.
«Grazie.» Sabo si alzò e fece un inchino in avanti, togliendosi il cappello a cilindro e tenendolo sul petto.
«Sì, be', tanto è sempre così» ridacchiò Satch. I casini di Ace lo divertivano sempre.
«No. Grazie per esservi presi cura di Ace» precisò Sabo.
«Immagino tu sappia che non è stato facile.» Per la prima volta da quando era iniziata tutta quella storia, Marco e Sabo si sorrisero, ed era un sorriso genuino.
«Io sarei qua, comunque» protestò appena Ace, ma era davvero orgoglioso dei suoi compagni. «Quando tornerai, però, voglio sapere tutto.» Marco calcò il tono su quell'ultima parola, per indicare che non poteva venirsene fuori con un terzo fratello misterioso e poi sperare che non chiedessero altre spiegazioni.
«Certo!» Adesso che Sabo era vivo, per Ace non sarebbe stato affatto un problema.
Marco e Satch lasciarono la nave e aprirono la porta della darsena, per permettere alla Little Moby di salpare in tranquillità. Una volta che Sabo ebbe impostato la rotta, fu di nuovo costretto a sedersi al tavolino, con Ace che aveva finalmente trovato bende e disinfettante per curare la sua ferita. Sabo lo lasciò fare perché gli ricordava quand'erano bambini e si curavano a vicenda perché non avevano nessun altro.
«Hai una bella ciurma» commentò.
«Sì, sono fantastici.» Ace aveva un sorriso aperto che Sabo gli aveva visto raramente e che gli scaldò il cuore. «Credevo fossi stupito dal fatto che non sono più capitano.»
«Be', io non posso parlare» rispose Sabo. «E poi sei Comandante di Divisione, è una cosa simile. Inoltre, abbiamo rispettato quello che volevamo: io la libertà, tu la fama.»
«E Rufy vuole essere il Re dei Pirati» aggiunse Ace. «Mi sa che è l'unica cosa per cui ci vorrà un bel po'.»
«Già!» Il pensiero di Rufy lo rallegrò e intristì allo stesso modo, perché gli fece tornare in mente che lui ancora credeva che fosse morto. «Una volta finita questa missione, dovrò trovare il modo di informarlo» disse ad alta voce.
La discussione gli fece venire in mente che anche lui aveva dei compagni e che aspettavano le sue notizie, quindi recuperò il lumacofonino e finalmente li chiamò.
«Finalmente!» fu il modo con cui rispose Koala, ma si sentiva dal tono di voce che era sollevata.
«Stai bene?» aggiunse Hack.
«Tutto a posto, come avevo detto. Sto arrivando, dove siete?»
Poté vedere benissimo Koala alzare gli occhi alla sua espressione che suonava come “anche se faccio casini alla fine la scampo sempre”, ma evidentemente decise di fargliela passare. «Siamo sulla rotta per Persia.»
«Benissimo. Incontriamoci in una delle colonne di coralli poco distanti, per prepararci prima dello sbarco.»
«D'accordo.»
«Compagni tuoi?» domandò Ace, una volta che la telefonata fu terminata.
Sabo sorrise. Erano due persone con cui era cresciuto e che lo avevano aiutato a superare la tristezza per non essere più a Goa insieme ai suoi fratelli. Erano due persone fondamentali nella sua vita. «Non vedo l'ora di farteli conoscere!»
 
Hack e Koala non parvero altrettanto eccitati dalla cosa, quando scoprirono che Sabo si era scordato di specificare loro il piccolissimo particolare che Ace si sarebbe unito alla missione. Non che non fossero curiosi di conoscere uno dei famosi fratelli di Sabo, la cui fama tra l'altro lo precedeva, ma erano entrambi più ligi al dovere durante le missioni e quella decisione fuori programma non sembrava del tutto dettata dalla logica.
«Non sarei mai riuscito a convincere i pirati di Barbabianca altrimenti» si giustificò Sabo. «E comunque Ace ci sarà utilissimo, vedrete.»
«È davvero l'unica ragione?» domandò Koala. Lo stava guardando con un viso malizioso: era una domanda retorica, perché lei aveva già deciso che alla base di quella scelta c'erano più motivazioni personali che altro.
«Be', se posso anche avere dei vantaggi personali, perché no?» In pratica non aveva negato, ma nemmeno le aveva dato la soddisfazione di ammettere che aveva ragione.
Ace li stava osservando incuriositi. Dentro di lui c'era anche un po' di invidia, perché quelle persone erano cresciute e avevano passato molti anni con Sabo, anni che sentiva rubati a lui. Allo stesso tempo per era felice che Sabo avesse potuto incontrare delle persone che gli volevano bene e di cui si fidava, tanto quanto lui aveva trovato i pirati di Barbabianca.
«Siete tipo la sua Divisione? La sua ciurma?» domandò. Voleva saperne di più. Ovviamente lui e Sabo avevano parlato molto nel viaggio che li aveva portati fino ai coralli, scambiandosi le rispettive esperienze in quegli anni di lontananza, tuttavia Ace, oltre ad avere l'impressione di aver parlato per un tempo maggiore, soprattutto di Rufy, sapeva anche che una cosa era sentire il diretto interessato, un'altra avere le opinioni degli amici. Era quasi sollevato che Sabo non avesse avuto molte occasioni di parlare con Marco e Satch.
«Non ci sono ciurme nei rivoluzionari» precisò Koala, poi però le labbra si piegarono in un sorriso. «Siamo più i suoi baby-sitter.»
«Ehi!» protestò Sabo, che stava settando la rotta.
Ace rise. «Posso capire.»
Hack aveva annuito gravemente alle parole di Koala. Poi però si sentì in dovere di risollevare la reputazione di Sabo.  «In un certo senso, si può dire che facciamo parte del suo staff. Lo staff  del Capo di Stato Maggiore» precisò.
«È un ruolo importante?» domandò Ace, che sinceramente non aveva idea di nulla riguardo all'armata rivoluzionaria, non se ne era mai interessato. Ora le cose sarebbero cambiate di sicuro, dato che il fratello ne faceva parte.
«La posizione del secondo ufficiale più importante, subito dopo Dragon.»
Ace fischiò ammirato, poi ricambiò il sorriso soddisfatto di Sabo. Non era così sorprendente, considerando di chi stavano parlando. «Quindi immagino che andiamo a fare qualcosa di figo, se hanno mandato voi, giusto?» Improvvisamente l'idea di una missione con i rivoluzionari era diventata eccitante di per sé e non solo per il fatto di poterla svolgere assieme a Sabo.
«Di solito sono missioni difficili» confermò Koala. «Non le definirei una figata...» Ma era chiaro che Ace non aveva idea di quello che facessero i rivoluzionari ed era eccitato semplicemente all'idea di dover fare qualcosa che per le persone normali erano troppo complicate.
«Cosa si deve fare?» domandò tutto allegro. «Qual è il piano?»
Sabo era sceso in sottocoperta e ne era emerso con due vestiti, uno per lui e uno per Ace, dello stesso tipo che anche Koala e Hack indossavano, lo stile tipico dell'isola Persia, giusto per passare inosservati.
«Devo proprio?» domandò Ace, quando vide che gliene passava uno. Era una specie di palandrana di colore chiaro, completamente diversa rispetto al suo solito stile. Come inizio non era incoraggiante.
Sabo rise della sua espressione delusa. «Sì, mi spiace» gli disse. Poi proseguì con la spiegazione sul piano, rivolgendosi anche agli altri due. «Arrivati al porto, chiederemo un colloquio a Serse utilizzando come scusa di potergli vendere la “Stella Blu”» disse. «Io e Koala andremo al colloquio, cercando poi di avere il permesso di visitare la miniera per capire come liberare gli schiavi. Hack e Ace, voi due rimarrete in città per scoprire dove si trova il deposito delle armi e per mettervi in contatto con Etul per scatenare la rivolta. Tutto chiaro?»
Mentre Hack e Koala, che erano già a conoscenza del piano e del metodo di lavoro dei rivoluzionari, si limitarono ad annuire, Ace parve deluso. «Non posso venire con te?» domandò. «E quando si fanno delle scazzottate?»
Sabo prese un respiro, poi gli sorrise. «Le nostre missioni sono un po' diverse da quelle dei pirati» ammise. «Ma mi fido di te, so che sarai in grado di portarla a termine. Hack ti aiuterà se qualcosa non ti è chiaro.»
«Mi stai lusingando perché dovrò fare una cosa noiosissima, vero?»
Hack alzò leggermente gli occhi. «Non vorrei dover fare da baby-sitter anche a te» gli disse.
«Non succederà» intervenne Sabo. «Mi fido di lui, quindi dovrai farlo anche tu. O almeno dovrai fidarti di me.»
«Sì.» Hack annuì: in tutti quegli anni aveva sentito Sabo piangere più volte la mancanza dei suoi fratelli e adesso non aveva il coraggio di rifiutare la presenza di Ace nel gruppo.
«Allo stesso modo» proseguì Sabo, «Koala e Hack sono miei compagni da anni e affiderei loro la mia vita, quindi voglio che tu segua quello che Hack ti dice anche se ti sembra strano. Lui sa quello che fa.»
«E va bene» concesse Ace. Non voleva rinunciare alla possibilità di passare del tempo con Sabo solo perché le cose apparivano inizialmente un po' noiose.
«Sinceramente è meglio se siete separati» disse Koala, divertita. «Penso di poter tenere sotto controllo solo uno di voi alla volta.»
 

 
   
 
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