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Autore: Adebaran_Relie    27/10/2015    3 recensioni
Arthur Pendragon ama il successo, la musica e l’adrenalina. Leader dei "The Once and Future Band” spera di raggiungere il suo sogno di gloria grazie alla voce di Morgana, alle note scatenate di Gwaine e Percival e quelle più tranquille di Leon ed Elyan.
Niente di tutto ciò, però, sembra realizzarsi: la band non funziona. Le manca sempre qualcosa.
Costretto da suo padre, nonché capo discografico, Arthur è obbligato a cambiare radicalmente direzione alla band. Primo passo importante: scritturare un nuovo compositore.
Il destino, ancora una volta, gioca un ruolo fondamentale.
La storia si muoverà tra note scribacchiate, canzoni nascoste nel cassetto, un amore dietro le quinte, segreti sepolti, misteriosi attacchi di panico e due occhi di cioccolato fuso.
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Dal Capitolo 1:
«Ehmm, sì. Chiamo per l’annuncio dell’appartamento. Il mio nome è Merl-..»
«Ah, l’appartamento! Beh, risparmiati la storia della tua vita. Ci vediamo lì tra due ore e vedi di non fare tardi»
[...]
«Chi ti ha stirato i pantaloni?»
«Oh, a me interessa l’appartamento, non un lavoro. Non sono una cameriera.»
«Credi che io sia stupido? So che non sei una cameriera! Era solo… curiosità»
[...]
«Quinta regola...»
«Ma non erano quattro?!»
«Comando io.»
Genere: Angst, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galvano, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda:
Buon salve! Come promesso siamo ritornate ad aggiornare questa long con il primo capitolo. Possiamo dire con certezza che da qui inizia la storia vera e propria.

Abbiamo aggiornato a esattamente 7 giorni dal prologo (O_O), ma già vi avvisiamo che probabilmente dovrete aspettare un po’ di più per vedere il capitolo 2.
Ringraziamo le persone pie che si sono scomodate - amorevolmente *-* - a lasciarci per iscritto il loro parere sul prologo. Per noi conta molto.
Grazie a tutti gli utenti che hanno dato fiducia alla fanfiction al suo esordio aggiungendola nelle categorie preferite/seguite/ricordate. Grazie a chi ha solo letto in silenzio.
Aspettiamo con ansia i vostri pareri, lasciandovi alla lettura di questo primo passo in “The Magic of Music”.
Buona lettura! E… se recensite, vi rispondiamo anche gratis. Davvero eh! :)




Capitolo I

 

Qualcuno una volta ha detto che non sono le stelle a decidere del nostro destino,
ma noi stessi.

Ma io credo che tutto ciò che succede, succede per una ragione.

-        Nicholas Sparks

 

Prima di un concerto, c’è sempre l’adrenalina che esplode nelle vene.
Si sentono le urla delle persone che acclamano il nome del proprio idolo, del proprio
salvatore.

L’aria che si percepisce sul palco non è la stessa che si respira tutti i giorni, bensì risuona carica di elettricità, passione ed emozione.
La voce trema e il cuore oscilla sotto le luci della nuova esibizione. Le note si rincorrono, giocando ad una maratona le cui mete sono gli occhi e le anime delle tante persone in ascolto. Spettatori che gridano, incitano e mimano la musica che scorre intorno a loro.
Tutto, prima e durante un concerto, è magia frizzante e magnetica.
Questo, però, non era ciò che stava accadendo ai “The Once and Future Band”.
Le gradinate erano in preda a un chiacchiericcio disinteressato, infantile. Una sola sola luce scenografica illuminava un palchetto silenzioso e ancora vuoto.
 

«Ma quando cominciano?» sbuffò una bambina dalla treccia castana, che continuava a strattonare con insistenza il braccio della nonna.
Il sopracciglio biondo del Pendragon saltellò dal nervosismo, mentre la voce puerile arrivava fin dietro le quinte. In fondo, la scenografia sembrava più quella delle recite scolastiche, piuttosto che quella adatta a una band importante come la loro - o almeno, questo era ciò di cui Arthur era convinto.

«Un po’ di pazienza, Sefa. Per certe cose ci vuole del tempo», le aveva risposto l’anziana.
Arthur serrò la mascella, stringendo con più forza la sua chitarra elettrica. Sentiva la rabbia salirgli al cervello e le mani prudergli.

«Le nostre fan ci acclamano!», aveva scherzato amaramente Elyan, sbirciando dalle quinte. «Come sempre...»

«Spero che la ragazzina con la treccia sia già lì fuori»,  commentò Gwaine con un sorrisetto strano, mentre si affiancava al mulatto. «Sua nonna cucina una torta di mele straordinaria».

«Sei incredibile» sospirò Percival, l’enorme batterista. «Pensi solo al cibo».

«E alle donne.» aggiunse un più rilassato Leon.

Arthur invece digrignava ancora i denti, ignorando volutamente gli amici. Il sangue gli ribolliva in tutto il corpo, mentre la stizza toccava un picco altissimo della sua - già molto bassa - sopportazione.
Il Pendragon sapeva solo che quello era l’ennesimo concerto a cui assistevano solo ragazzine con il lucidalabbra fruttato e nonne a stampo Disney. Era troppo!

«Frenate l’entusiasmo o vi verrà un malore» sibilò Morgana, con i capelli costretti in una alta coda, facendosi spazio tra gli uomini della band. Guardò con la coda dell’occhio il biondino, cogliendo facilmente la sua collera silenziosa.

«Hai sentito, Arthur? Le nostre fans ci reclamano.» lo incitò con ironia, mentre le labbra si piegavano in un mezzo sorrisetto di sfida. «Non vorrai deluderle, vero?»

«Smettila Morgana.» ringhiò di rimando il biondo con tono infastidito «Cerca, piuttosto, di azzeccare almeno una nota.»
 

Dopo aver zittito la cantante, Arthur decise che non poteva più rimandare l’inevitabile. Prese un bel respiro e fece il primo passo verso l’uscita delle quinte, rendendosi visibile al suo “pubblico”.
Si portò verso la parte avanzata del palco, fermandosi sul punto prestabilito, seguito a ruota dagli altri membri della band. Elyan si diresse dritto alla pianola, Leon al basso e Percival alla batteria. Gwaine si posizionò allo stesso livello di Arthur, reggendo con nonchalance la chitarra elettrica. Di contro, Morgana prese posto davanti a tutti, sia per ruolo che per voglia, afferrando il microfono con la mano destra.

Erano tutti pronti, tranne il leader stesso.
 

Dagli spalti del piccolo teatro, una bambina sventolò la mano in segno di saluto, urlando un qualcosa di inadatto per l’età che dimostrava. Gwaine, tra tutti, fu l’unico a degnarla di risposta dedicandole un’occhiolino.
Non era esattamente ciò che il giovane Pendragon aveva in mente. Loro erano i The Once and Future Band della Camelot Music Entertainment, non un anonimo gruppo amatoriale!
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo, prima di riaprirli avvertendo le luci accendersi sopra la propria testa. Li rialzò al cielo, venendo accecato da tutto quel bianco improvviso…

TUTUM

Arthur riabbassò il viso di scatto, lo sguardo sbarrato di fronte a sé. Si ritrovò  improvvisamente col fiato corto, mentre nel petto gli risuonava un tonfo cupo. Non riusciva a respirare.

TUTUM - TUTUM

Morgana e Gwaine girarono repentini la testa in direzione del primo chitarrista, osservandolo boccheggiare alla ricerca d’aria. Il riverbero nel torace continuava ad aumentare in una folle corsa: sembrava quasi che il cuore stesse per scoppiargli.

TUTUM - TUTUM - TUTUM
 

«Arthur…» provò a richiamarlo il moro e finalmente il ragazzo tornò alla realtà, inspirando violentemente. Percival aveva iniziato a suonare la batteria, senza però essere seguito dal chitarrista, fallendo così l’attacco della canzone. 
Un altro urlo acuto e impaziente si levò tra codini bassi e trecce affrettate. Fu il punto di rottura: un rumore sordo risuonò per tutto il teatro.

Vinto dalla collera, il Pendragon gettò al suolo la sua chitarra rosso fuoco, abbandonando il palcoscenico senza dare spiegazioni.

 

«Si può sapere cosa ti è saltato in mente?!»
Il tavolino in plastica sobbalzò infelicemente sotto la forte manata di Uther, il quale fissava il figlio con un’espressione di pura indignazione. «Hai avuto un comportamento inammissibile!»

Arthur ingoiava il gusto amaro del rimprovero, con le braccia incrociate al petto e la schiena appoggiata alla parete del suo camerino. Non avrebbe mai voluto far arrabbiare suo padre ma, soprattutto adesso, non era in grado d’affrontarne l’ira. Sapeva di meritarsi la ramanzina che stava ricevendo, solo… desiderava rimanere un po’ in pace, almeno per un momento. Sembrava che qualcuno gli stesse comprimendo il cervello con una pressa idraulica e la voce alta di Uther non faceva altro che acuire il fastidio.
Rimase in silenzio per una buona manciata di minuti, mentre il padre gli snocciolava con precisione chirurgica tutti i futuri effetti collaterali del suo gesto impulsivo.

«Padre, ritieni veramente che il mio gesto abbia fatto qualche differenza!?» esplose infine il giovane Pendragon. Perché non potevano concedergli almeno cinque minuti di tregua?

«Che cosa stai blaterando, Arthur? Certo che ha fatto differenza!» Gli occhi glaciali del padre gli si puntarono addosso, come se lo volessero sbranare. Era visibilmente tanto arrabbiato quanto nervoso. «Come pensi di poter guidare la band se non riesci a controllare neanche i tuoi istinti?» lo incalzò seccamente, costringendo Arthur a spostare il peso da una gamba all’altra. 
La domanda lo aveva messo a disagio perché suo padre sapeva esattamente come metterlo spalle al muro, disarmandolo.
«In secondo luogo, ma non meno importante: tu sei mio figlio. E io non ho intenzione di passare sopra un comportamento così inadeguato.»

«Mi dispiace, d’accordo? Ma questo concerto era solo una presa in giro!» Replicò il biondo con voce leggermente più calma e controllata, avanzando di un passo verso l’uomo. Fronteggiandolo, ma senza reale ostilità. Il vero problema non era suo padre.

«I nostri unici spettatori sono nonnine fornite di dolciumi e bimbette neanche alla soglia della pubertà. Questo...», mugugnò, indicando la porta in mogano del camerino con l’indice della mano destra, «non è ciò a cui ambisco… Non è ciò a cui abbiamo puntato.»

«No, hai ragione Arthur.» ammise Uther abbassando la voce di un tono, ma guardando con fermezza il figlio. «Abbiamo puntato alla grandezza e conquistare il premio Albion, ma il tuo comportamento infantile sta trascinando questa band e Camelot alla rovina.»

Vide il figlio restare a bocca aperta, con le parole che gli erano fuggite via senza ritorno. Si rese conto di averlo colpito in un punto morbido, lasciandogli un pezzo della lama nella carne - esattamente come tutte le altre volte.
Lo guardò fisso negli occhi, così simili ai suoi, sostenendone lo sguardo con decisione. Uther sapeva bene che Arthur aveva molto a cuore la sua opinione; questo non poteva che fargli piacere perché, in fondo, lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Sapeva perfettamente quanto il ragazzo paventasse l’idea di deluderlo; quanto avrebbe voluto essere il suo degno figlio. E ciò non poteva che renderlo, segretamente, orgoglioso.

Ma doveva ancora crescere del tutto e imparare a controllarsi, nei modi come nelle emozioni. 

 

«In realtà, una soluzione ci sarebbe.»
Padre e figlio spostarono repentinamente gli occhi chiari verso la porta spalancata del camerino, ritrovandovi la figura furba e composta di Morgana. «Sappiamo tutti che Arthur è un bamboccio egocentrico ma, ad onor del vero, non è neanche tutta colpa sua.» La cantante parlava sicura, contenta di aver catturato l’attenzione dei due Pendragon.

«Morgana....» biascicò Arthur a denti stretti, corrugando la fronte in un’espressione infastidita. «Non dovresti essere qui!»

«Oh, suvvia calmati!» lo punzecchiò lei, avvicinandosi un poco al chitarrista con il suo solito ghignetto arrogante. «Credo tu non sia nella situazione di rinfacciare qualcosa, no?»
Il biondino le dedicò un’occhiataccia torva, mentre la ragazza lo sfidava con un’aria trionfante - e maledettamente insopportabile, avrebbe aggiunto Arthur.

«Hai parlato di una soluzione, Morgana.» La voce di Uther s’intromise tra i loro sguardi infuocati, evitando di attizzare il conflitto senza fine che ardeva fin da quando si erano conosciuti. Quei due non erano mai stati bravi a parlarsi senza provare l’irrefrenabile desiderio di sopraffarsi l’un l’altro.

«Padre!», si lagnò Arthur, squadrandolo incredulo col viso crucciato. «Non vorrai davvero asc-»

«Silenzio!» obbiettò fermamente l’uomo. «Quando ti verranno idee più sensate dell’abbandonare il palco durante un’esibizione, allora  potrai esprimere la tua opinione.»

Il leader dei “The Once and Future band” incassò il colpo, seppur controvoglia, incrociando le braccia al petto come segno d’ingiustizia, lasciando che la cara Morgana esprimesse il suo lampo di genio.
 

La corvina si portò le mani lungo i fianchi, sfiorando appena i suoi pantaloni di pelle aderenti. Dopo un cenno d’assenso da parte del manager, cominciò a parlare: «Il motivo del nostro insuccesso è palese. Le canzoni fanno schifo.» decretò, infine, con semplicità.
Arthur roteò gli occhi verso l’alto, provando il forte impulso di reagire, ma gli sguardi congiunti di Uther e Morgana lo inchiodarono al muro senza possibilità d’appello. L’uomo tornò subito ad osservare con attenzione la ragazza, facendole cenno con la mano di continuare. «Spiegati meglio».

«Nessuno le canta. Neppure le bimbette con i codini e i lecca-lecca in mano!» replicò lesta la ragazza. «Il problema sono le canzoni. A nessuno interessa ciò che abbiamo da dire...» Sollevò significativamente le sopracciglia. «O meglio, ciò che George ha da dire.»

«George...» Ripeté l’uomo, quasi gustando quel nome ‘acerbo’ nel palato.

Morgana, invece, scrollò le spalle. «Non ha neppure una vita sociale, quasi sicuramente non sa neanche lui cosa scrivere.»
E a quella puntualizzazione anche Arthur rialzò la testa, tornando a fissare la cantante. Non poteva aver ragione, ovviamente. Forse, però, non aveva neanche del tutto torto. Forse.

«Molto probabilmente, da mesi e mesi, stiamo cantando solo inutili lagne. Chissà, magari partorite in una nottata insonne ad osservare il vuoto contando le pecore!»

 

Uther sembrò rifletterci per qualche secondo in silenzio, con la mano destra arpionata sul mento, mentre Arthur e Morgana attendevano inermi la risposta, continuando a scrutarsi come due cani famelici.

«La tua idea, Morgana, è tutt’altro che da scartare.» Decretò infine il Re delle case discografiche. «D’accordo, mi hai convinto. Per fortuna qualcuno riesce ancora ad usare il senno, in questa band», sospirò con voce grave, puntando gli occhi chiari verso il figlio.

«Ma… padre! Non abbiamo affatto bisogn-»

«Niente ma!», lo interruppe Uther, «Qui comando io e così ho deciso!»

Arthur digrignò i denti e, per un istante, gli parve di vedere il padre bacchettarlo proprio come faceva Suor Cailleach quando era piccolo mentre quell’arpia di Morgana se la rideva sotto i baffi. Il biondo si ripromise che, prima o poi, le avrebbe fatto capire come stavano le cose.

«Licenzialo», si sentì ordinare dal padre che nel frattempo aveva iniziato ad incamminarsi verso la porta, quasi la conversazione potesse chiudersi in quell’esatto momento. «E trova qualcuno che non conti le pecore, se ne sei in grado».

«Tutto questo è assurdo! Questa decisione andrebbe ponderata e...» provò ad obbiettare Arthur, nonostante sapesse quanto il padre odiasse esser contraddetto così apertamente.

 

Uther inchiodò i suoi mocassini al suolo, voltandosi verso il figlio con uno sguardo che non ammetteva repliche. «Maledizione Arthur, non voglio discutere! Tu licenzierai quell’incapace e ti dirò di più: non lo voglio vedere un altro giorno nel mio appartamento» disse, calcando pesantemente sul termine di possesso.
Il biondino, ferito nell’orgoglio, serrò le mani in due pugni fino a colorarsi le nocche di bianco.
«George vive con me, non posso abbandonarlo per strada!»  Esclamò con veemenza, in fondo era anche una questione di sopravvivenza. Della sua sopravvivenza.

«Non m’importa dove andrà a vivere e non m’importa cosa deciderà di fare.» ribatté Uther con tono freddo e un’espressione infastidita dalla discussione. E per un momento, un momento solo, perfino Morgana si sentì in colpa per aver creato quella situazione.

«George paga metà dell’affitto che ti devo, l’ha sempre fatto. Non posso sostenere l’intera spesa!» Arthur terminò la frase con la bocca ancora semiaperta, sperando che il padre avesse compreso la situazione.

«Allora ti conviene sbrigarti a trovare qualcun altro» rispose con semplicità Uther. Allungò il piede destro per riprendere il passo verso la porta, ma poi si girò ancora un’ultima volta verso il figlio. «Ti do quattro giorni di tempo per trovare un nuovo compositore, altrimenti sarai costretto a lasciare l’appartamento e tornare a vivere da me.» sancì l’uomo, apatico, prima di uscire definitivamente dal camerino.
Arthur rimase immobile al suo posto, boccheggiando di sorpresa. Non voleva,
non poteva, tornare a vivere con Uther. Sarebbe stata la sua fine.

«Proprio non riuscivi a stare zitta, vero Morgana?» ringhiò, infine, verso la moretta, ma prima che lei potesse anche solo aprire la bocca per spiegare le sue buone intenzioni, Arthur uscì dal camerino sbattendo pesantemente la porta.


*
 

C’era una sola cosa di cui era sicuro: Internet non era mai stato tanto lento.
Stava lì, con gli occhi pesanti, a fissare le pagine web da un eternità, con il mento sorretto dalla mano fredda e affusolata.

Si sentiva svuotato, terribilmente stanco e senza forze. Era incredibile come l’affitto di un appartamento a Londra costasse più dell’intero guardaroba di famiglia - con aggiunta dell’eredità del classico vecchio zio americano che non aveva!
Ad ogni modo, si era fatto coraggio consolandosi con una tazza fumante di English Black Tea - aromatizzato a qualcosa che non ricordava neanche -, continuando a cercare il prezzo più economico possibile.
Il profumo della bevanda gli pizzicò il naso, mentre la nuvoletta calda di fumo gli riscaldò il viso pallido e scarno. Per un istante gli sembrò di avvertire i suoi occhi diventare più fastidiosi, quasi fossero irritati da lacrime nuove. Dentro di sé si era sentito un po’ egoista e intristito allo stesso tempo, ma  in realtà, sapeva di fare la cosa giusta. Ne era intimamente convinto.

Sorpassò con il cursore l’ennesimo appartamento al di sopra delle proprie possibilità, inspirando rumorosamente dal naso.
Si portò distrattamente la tazza alle labbra con aria afflitta, dimenticandosi di soffiare sul liquido bollente. Causa la sua sbadataggine, per poco non si ustionò la bocca, rischiando anche di far cadere il liquido sulla vecchia tastiera. Avrebbe sicuramente offerto parole poco dolci al cielo, ma la fortuna volle che il suo sguardo limpido ricadesse proprio sullo schermo del vetusto computer.

Qualcuno aveva appena pubblicato un nuovo annuncio: un appartamento, neanche tanto distante dal centro e dal posto di lavoro, perfetto per le sue esigenze... e a un prezzo ragionevole!

In parole povere: Dio esiste!

Sorrise soddisfatto come se avesse trovato l’America, rischiando di gettarsi addosso tutto il tea per via del movimento brusco e avventato del braccio. Senza neanche pensarci due volte, afferrò il vecchio, immortale e per nulla costoso Nokia che riposava sulla scrivania come una solenne mummia. Un secondo dopo aveva già composto il numero e posizionato il telefono accanto al suo - grande - orecchio.
Pregò silenziosamente:
fa’ che non sia un idiota, fa’ che non sia un idiota.

 

«Pronto?»

«Ehm, sì. Chiamo per l’annuncio dell’appartamento. Il mio nome è Merl-..»

«Ah, l’appartamento! Beh, risparmiati la storia della tua vita. Ci vediamo lì tra due ore e vedi di non fare tardi». Rispose una voce maschile, giovane e spiccia.

«Ehm… Non vuole sapere altro? Tra due ore?»

«Sei interessato o no?!»

«Uhm, sì certo!»

«Allora sii puntuale».

«Ma io non so neanche il suo no-» Merlin rimase basito nel sentire nelle orecchie il rumore ripetitivo della chiamata terminata, la frase ancora sulla punta della lingua.
Oddio, è veramente un idiota… e anche un prepotente!

Tuttavia, quell’appartamento gli serviva. Era l’Eden, il rifugio di Beatrice o altri simili cliché che Merlin proprio non poteva lasciarsi sfuggire!

Così, armato di buon senso, pazienza, e grande forza di volontà, ripose il suo secolare cellulare nella tasca anteriore dei  jeans con un sospiro.
Ricontrollò con più calma l’indirizzo dell’abitazione, ripetendoselo come una nenia nella mente - un po’ come con le tabelline delle elementari.
Convinto di esserselo fissato bene nel cervello, spense velocemente il vecchio e fidato computer e si alzò dalla seggiola. Raggiunse l’armadio, tirando fuori il suo zaino da viaggio e un paio di cambi. Qualunque fosse stato il risultato, non sarebbe tornato indietro per la notte. Aveva deciso di dare un taglio netto alla faccenda e così avrebbe fatto.
Forse avrebbe dovuto rendersi un po’ più presentabile ma… pensandoci bene, quel tizio non l’avrebbe neanche notato.
Calcolò che tra l’arrivo alla fermata dell’autobus, il tragitto e qualche via percorsa a piedi, gli sarebbe servita circa un’oretta e venti per arrivare al famigerato appartamento. Decise quindi di avviarsi in anticipo, in modo da scongiurare qualsiasi ritardo e vedersi sfumare quell’immenso colpo di fortuna.

Dopo aver recuperato anche la sua giacca a vento e la sciarpa rossa, si diresse in cucina, dove lasciò sul tavolo un foglio di carta ripiegato con cura. Si assicurò che fosse proprio in bella vista, prima di arrivare alla porta d’ingresso.
Si voltò indietro per l’ultima volta, lasciando vagare malinconicamente gli occhi sul piccolo salottino. Si chiese nuovamente se fosse pronto a varcare quella soglia e andarsene, lasciando solo una lettera improvvisata, ma altrettanto accorata.
Probabilmente non era ancora pronto a ricominciare da solo, dopo tutto quello che aveva passato. Forse aveva ancora bisogno del suo aiuto.
In ogni caso, pronto o meno, doveva andarsene per il bene di entrambi.

Nel giro di qualche secondo, passò al torturarsi interiormente per non essersi reso conto prima di quanto spazio stesse togliendo alla vita del suo migliore amico. Merlin voleva molto bene a Lancelot e proprio per questo doveva liberarlo dalla sua presenza; era giunto il momento di rimboccarsi le maniche e cercare da sé la propria strada.
Lancelot non sarebbe rincasato prima di cena e Merlin doveva andarsene adesso, prima d’incrociarlo. Sapeva che l’uomo avrebbe cercato di fermarlo, di convincerlo che non era affatto un peso -lo pensava davvero, Merlin ne era sicuro- ma lui aveva già preso la sua decisione. Per il bene di tutti.

Con un ultimo sguardo silenzioso e pieno di un misto tra gratitudine e nostalgia, diede l’ultimo saluto a quella casa e a tutto quello che significava per lui. Un sospiro mesto e la porta si chiuse dietro le sue spalle magre.
 

*
 

Si era nascosto parte del mento con la stoffa calda della sua sciarpa rossa, aspettando pazientemente accanto al portone. Teneva le mani nelle tasche della sua giacca a vento cercando di riscaldarle, mentre il cielo cominciava a tingersi dei colori della sera.
Merlin era rimasto in piedi, con le spalle ritte e lo zaino sulle spalle per un tempo che gli sembrò interminabile.
Che quel tizio scontroso gli avesse giocato una burla?

Sospirò, ansioso, cominciando a provare l’impulso di torturarsi le dita e camminare su e giù per il ciglio della strada... ma forse non sarebbe stata la scelta più saggia e assennata.
Fu riscosso dai suoi pensieri dal classico cigolio di una porta che si apre.

«Sei tu il tipo di prima?»

Merlin alzò repentino lo sguardo dinanzi a sé, ritrovandosi faccia a faccia con un biondino slanciato, rivestito come un divo di Hollywood appena uscito dal grande schermo. Probabilmente l’unica differenza era che nessun divo di Hollywood sarebbe mai uscito da un portone di legno senza occhiali da sole.

«Ehi, sei sordo?» chiese impaziente, schioccandogli le dita davanti al viso.
Merlin provò l’impulso di gettargli lo zaino in faccia e aggredirlo verbalmente ma… quell’appartamento gli serviva, a qualsiasi costo. Dunque decise di seguire la via dell’ironia e della “buon viso a cattivo gioco”, sorridendo cortese.
«Mi spiace, ero sovrappensiero. D’altronde, ero qui fuori da ore. »

Una smorfia strana contorse le labbra carnose del ragazzo, che intanto aveva incrociato le braccia al petto. «Non sembri molto sveglio, ma almeno non sei un ritardatario», scrollò le spalle con noncuranza e un sorrisino sfrontato. «Vieni dentro.»
Merlin aggrottò la fronte, non si sicuro di aver sentito bene: quel tizio lo aveva davvero insultato?
 

Il biondo si era già incamminato oltre la soglia del portone, accorgendosi solo dopo qualche passo di non essere seguito dal tipetto dalle orecchie a sventola. Si girò scocciato, alzando le sopracciglia. «Vuoi vedere l’appartamento o no? Se sì, vedi di muoverti!»
Il corvino era basito. Conosceva quel tizio da solo cinque minuti -contando anche il tempo della telefonata- e già gli dava sui nervi! Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle ed entrò nel salotto, ignorando la scortesia del ragazzo. «Prima, al telefono, volevo presentarmi ma...»
Il giovane lo squadrò con la coda dell’occhio, l’aria quasi scocciata. «Ti droghi?»

«No!» sbottò scandalizzato Merlin, spalancando la bocca. Per chi diamine lo aveva preso?!

L’altro rilassò gli angoli della bocca in un leggero sorriso. «Allora smettila di blaterare cose inutili. Ho capito che ti chiami Merlin.».
Stavolta, Merlin aprì bocca col chiaro intento di rispondere a tono a quell’Asino patentato, ma si ritrovò spiazzato dalla confusione che regnava nella stanza.

Arthur cacciò aria dalla bocca, quasi avesse affrontato le stesse fatiche di Ercole, spostandosi leggermente di lato per consentire al corvino una visione più ampia della casa. «Allora, Merlin? Cosa ne pensi?»
Merlin fece piccoli passi in avanti, sondando cauto l’ambiente circostante come un cane diffidente. Non era male. Certo, forse c’era un po’ di confusione ma tutto sommato l’appartamento era confortante, ben arredato - ed economico!
 

«Penso che con un po’ di collaborazione», cercò le parole giuste temendo di offendere il padrone di casa, «sarebbe perfetto».

«Collaborazione!» Il biondino parve illuminarsi come un faro nella notte, sorridendo in modo sinistro. «Era questa la parolina magica che volevo ascoltare da te».

Merlin cominciò a mordersi la lingua, scongiurando chiunque lo stesse osservando dall’alto di non aver firmato la sua condanna a morte. «P-Parolina magica?»
L’Asino portò le mani dietro la schiena, congiungendole tra loro. Non si era ancora seduto e, quindi, anche Merlin era rimasto in piedi. Arthur assunse un’aria vagamente curiosa, quasi stesse scrutando una scena del crimine. «Chi ti ha stirato i pantaloni?»

«Oh, a me interessa l’appartamento, non un lavoro. Non sono una cameriera» replicò Merlin con chiara indignazione.
L’Asino lo guardò come se fosse un completo idiota.
«Credi che io sia stupido? So che non sei una cameriera! Era solo… curiosità»

Il corvino, disorientato, abbassò lentamente lo sguardo d’Atlantico sui suoi jeans. «I-Io… Faccio da me».

«Interessante», constatò a voce bassa il biondino con aria sorpresa, facendo spalancare innaturalmente gli occhi di Merlin. «Bene. Assunto».

«Assunto?» domandò perplesso il giovane, ancora più sicuro di essere capitato nell’appartamento di uno psicopatico. «Ti ho detto che non sono una cameriera!»
Adesso, l’Asino cominciava ad avvicinarsi alla sua preda come una volpe astuta. «Certamente, lo so.», disse senza ascoltarlo. «Sai cucinare?»

Merlin cominciava a non capirci più niente. Tuttavia, data la sua ingenuità, si ritrovò a ripensare realmente alle sue abilità culinarie, ricordando la pasta al sugo preparata lo scorso giovedì. Lancelot aveva chiesto il bis per due volte, leccandosi i baffi come un gatto sazio. In memoria di quella spaghettata, annuì: «Beh, me la cavo».

Il proprietario dell’appartamento mosse il capo in un messaggio in codice tutto suo, annotandosi mentalmente qualche punto da approfondire in seguito.Con un’espressione incuriosita, si fermò a qualche centimentro di distanza dal corvino.
Era chiaro che il moro non portasse vestiti firmati e che non si era preso neanche la briga di darsi una sistemata. Ma sapeva cucinare e stirarsi il pantaloni, forse avrebbe potuto sopportare la sua presenza.
«Sai come si tiene pulita una casa?»

«Posso provarci», rispose Merlin con franchezza.

Un sorriso sornione e soddisfatto si allargò sul volto del biondo, mentre allargava le braccia come se volesse abbracciare tutto il perimetro della stanza. «E allora benvenuto nella tua nuova casa!»
Le labbra screpolate di Merlin si incurvarono istintivamente verso l’alto, ma dopo una frazione di secondo la confusione tornò a fare da padrona nella testa del ragazzo. «Fantastico ma… non so neanche il tuo nome e… tu stai ghignando!»

«Oh, perdonami, sono Arthur. Arthur Pendragon», liquidò la faccenda con un movimento distratto della mano. «Spero ti piacerà soggiornare qui. Vedrai che in poco tempo saprai fare i lavori perfettamente.»

«Ti ho già detto che non sono una cameriera! In più non lavorerei mai per un asino tale.»

«No, hai ragione. Sarai il mio servo personale» rispose Arthur con un ghignetto soddisfatto, prima di registrare l’insulto che gli aveva rifilato il moro. «Ehi, non puoi darmi dell’asino. Io sono il tuo padrone di casa!»

«Beh, lo sei. E comunque io non ho ancora accettato, in effetti… » borbottò Merlin, mentre aggrottava la fronte con aria pensierosa. «Perché mai dovrei farlo, viste le premesse?»

A quella domanda, la bocca di Arthur si contorse in un ghigno divertito e soddisfatto, di chi era sicuro di aver appena catturato la propria preda. «Perché nessun altro ti offrirà un appartamento del genere a un prezzo così basso.»

E Merlin spalancò gli occhi azzurri, nella piena consapevolezza della verità. Arthur si limitò a godersi l’espressione rassegnata del suo nuovo coinquilino, prima di alzare il pollice della mano destra.
 

«Prima regola del mio appartamento...»

«Nostro» lo corresse subito il moro, provocando un evidente moto di fastidio al Pendragon.

«Non mettere mai in dubbio la parola del padrone di casa. Seconda regola...»

«Ma noi lo condividiamo.»

«Non esiste la parola 'condividere ' esiste la parola 'sopportazione'»

«Finché ti pago l'affitto e ti aiuto un po’» disse Merlin, calcando il finale della frase «non puoi trattarmi come un servo a tempo pieno.»

«No.» rispose lesto Arthur, scuotendo la testa con aria drammaticamente rassegnata. «Ricordi la prima regola o te la sei già scordata? "Non mettere mai in dubbio la parola del padrone di casa"»

«Sarà dura sopportare un tale Asino.»

«Terza regola...» riprese stoicamente Arthur, ignorando il commento «Il coinquilino non deve provare a fare dello spirito, si rende solo ridicolo. Ora, quarta ed ultima regola.»

«Non credo si possa essere più ridicoli di così» ribatté subito a tono Merlin, mentre le labbra si aprivano in un ghigno scocciato.

«Il coinquilino deve tacere quando diventa petulante»

«Ottimo! Dunque, ora la smetti?»

«Quinta regola, la più importante.»

«Ma non erano quattro?!»

«Comando io.»

«Non vedo che diritto hai!»

Fu subito chiaro ad entrambi che sarebbe stata una difficile convivenza. Poco ma sicuro.

   
 
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