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Autore: ReaVi    28/10/2015    2 recensioni
Aline Dupont ha diciassette anni e vive in una Parigi controllata. I suoi richiami alla Centrale sono tutti positivi, non c'è nessuna traccia di ribellione in lei; suo fratello Tristan è gentile, sua madre e suo padre si prendono cura della famiglia, ed è l’incontro con due fuggiaschi a stravolgere tutto. Il suo mondo inizia a vacillare e la libertà si interpone quasi prepotentemente nella sua vita.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO TRENTA
Mi dico che avrei dovuto capirlo subito. Che avrei dovuto insistere e farlo venire con noi. Che sarei dovuta rimanere con lui. Che l’avrei dovuto trascinare. Che ho sbagliato tutto.
Tremo ancora come una foglia, perfino quando arriviamo a Calais. Mi sembra di essere finita nel mondo degli orrori.
Calais è così affollata da stordirmi ulteriormente, e Harry mi tiene stretta a sé, come se avesse paura che potessi sparire da un momento all’altro. Dal canto mio, mi sembra di essere in grado di fare una cosa soltanto: crollare.
Vorrei poter fermare il tempo per concedermi il lusso di stare male e singhiozzare per le perdite subite.
Invece ci affrettiamo per salire sulla nave che sta partendo, supplicando di farci imbarcare. Con un po’ di fortuna, mi trovo nei corridoi dell’imbarcazione, insieme ad altra gente. Harry è alla mia destra.
Non guardo Calais allontanarsi, la Francia farsi sempre più piccola. Non sento il macigno pesante distruggersi sul fondo del mio stomaco. Sento solo una tristezza lancinante ed una nausea mai provata prima.
Rimango seduta sulla moquette di uno dei corridoi con la gente che mi passa davanti, ignara di tutto ciò che ho dovuto passare. Perlopiù sono mercanti e commercianti che parlano di trattative e di commercio. Sento già qualcuno parlare in inglese.
Mi accoccolo contro il corpo di Harry, pronto a stringermi a sé e ad offrirmi un piccolo rifugio temporaneo.
 
« Siamo a Dover. » dice Harry. Svegliamo Adrien e ci alziamo in piedi, dirigendoci verso un’uscita, insieme ad altri passeggeri. Sono agitata.
Quando la porta si apre e scendiamo, c’è il Sole alto in cielo, ed un posto che non ho mai visto prima. L’odore è lo stesso di Calais, ma i rumori sono diversi, più forti.
Harry mi guida con sé, seguito da Adrien.
Mi guardo attorno completamente spaesata e destabilizzata, e mi accorgo tardi che ho iniziato a tremare.
Qualcuno ci ferma non appena scendiamo, e ci fa spostare, parlando in un inglese fluente. Harry ci dialoga senza problemi, lasciando me e Adrien in disparte. Mi sento agitata.
Guardo il mio compagno di viaggio francese, e adesso capisco il suo stato d’animo anche senza bisogno che me lo esponga verbalmente. Ha gli occhi lucidi. È finalmente libero.
Spostando lo sguardo un po’ ovunque, mi accorgo di esser stata catapultata in un mondo nuovo e diverso, dal quale devo imparare un sacco di cose.
« Signorina? » qualcuno si rivolge a me in francese, offrendomi una coperta e posandomela sulle spalle. È una donna. Una sua collega si occupa di Adrien, mentre Harry si avvicina scortato da un uomo in divisa blu, che deduco sia un poliziotto.
« State bene? » ci chiede Harry. Adrien annuisce subito, con gli occhi lucidi per la commozione. Harry poi mi guarda. Gli sorrido appena.
« Adesso ci porteranno a Londra. È tutto finito. » dice.
La mia bocca si incurva senza che io riesca a controllarla. Harry mi lascia libera di singhiozzare contro il suo petto.
È davvero tutto finito.
 
***
 
Quindici anni dopo.
Christophe Mercier è stato condannato all’ergastolo e ha tentato il suicidio due volte, prima di arrendersi alla triste idea di dover marcire in prigione. Io, Harry ed Adrien siamo stati chiamati a testimoniare le brutalità in cui eravamo costretti a vivere, e l’Europa, aiutata dall’America, ha rovesciato il regime dittatoriale, mettendo fine al controllo ossessivo del governo francese sulla sua popolazione. La nostra fuga è stata raccontata per filo e per segno da giornali, notiziari e documentari. I nostri visi sono diventati gli stemmi di una rivoluzione che non abbiamo mai condotto dall’interno. I veri ribelli non siamo noi, e non lo siamo mai stati.
Louise ha gli stessi occhi verdi di Harry, ma i miei capelli fini e castani. Le piace la danza classica e adesso ha sei anni. Non ha mai conosciuto la Francia, ma sa di avere lo stesso nome di suo zio.
Harry è un professore di storia all’Università, suo padre è stato così felice di rivederlo che non è riuscito a parlare. Ci ha offerto un tetto sotto cui stare e del cibo con cui nutrirci.
Io e Harry ci siamo sposati un anno prima che rimanessi incinta di Louise, e adesso aspettiamo un altro figlio. Sono diventata insegnate di Francese alle scuole superiori.
Adrien fa il fotografo. Riesce a parlare attraverso la sua macchina fotografica, e si è comprato un nuovo furgoncino, ma stavolta bianco.
Josée e Louane sono vive e abitano ancora a Parigi, che dopo la Rivoluzione è stata distrutta e ricostruita dalle truppe inglesi e americane. Adesso la minaccia di una dittatura non si affaccia nemmeno nelle barzellette.
La mia amica è diventata una psicologa; sua madre continua a fare l’infermiera ed ha ricevuto un premio per l’aiuto che ha dato durante la ricostruzione della nazione.
La Corte dei Miracoli non esiste più, ma le sue vie sono diventate patrimonio nazionale della Francia, e i turisti che visitano Parigi continuano a percorrerla nella speranza di poterne captare ancora gli odori e l’atmosfera. Niente di tutto quello tornerà indietro.
Ho impiegato degli anni prima di abituarmi alla mia nuova vita, alla lingua così diversa dalla mia, alle abitudini, alla libertà di potermi esprimere senza aver paura di essere condannata. Ho dovuto indossare delle vesti che credevo mi sarebbero state scomode, ma che in realtà mi permettono di vivere come ho sempre, inconsciamente, desiderato.
Adesso, quando sollevo lo sguardo sul cielo di Londra, non mi sento un’estranea catapultata in qualcosa che non l’appartiene. Mi sento incredibilmente a casa.
 
Il campanello suona una volta soltanto.
« Louise, vai ad aprire! » dico a mia figlia. La sento sgambettare verso l’ingresso e aprire l’uscio. Sta in silenzio qualche istante, poi torna in cucina da me.
« È per te, mamma. » mi dice.
« Chi è? »
Scrolla le spalle. « È come lo zio Adrien. »
Intende dire che è muto. Adrien stesso ha insegnato ad entrambe il linguaggio dei segni.
Mi asciugo le mani con uno strofinaccio, e poi seguo la bambina fino al soggiorno. Mi fermo non appena varco la soglia, riconoscendo l’uomo in piedi al centro della stanza, che si guarda attorno con fare incuriosito ed ammaliato, le mani unite dietro la schiena. Dopo quindici anni il suo viso è più vecchio e sciupato, ed i suoi capelli sono grigi e bianchi. Il mio cuore straripa di gioia.
« Papà? » lo chiamo piano, in francese. Louise al mio fianco solleva lo sguardo su di me, perché ha capito. Mio padre si volta subito, ed i suoi occhi non impiegano tanto per ricoprirsi di lacrime.
Gli corro incontro e lo raggiungo, abbracciandolo più forte che mi riesce, con la mia pancia carica di un futuro nuovo tra di noi. Louise è rimasta in disparte, forse si sente estranea.
« Sei vivo. » dico guardandolo in viso. Mi sento di nuovo la Aline diciassettenne di quando me l’hanno strappato di dosso. La stessa che non voleva che tutto questo accadesse.
Lui annuisce, ma poi inizia a gesticolare. Mi dice che non può parlare, che gli hanno tagliato la lingua proprio come ad Adrien.
« Non fa niente, ti capiamo. » gli rispondo con un sorriso. « Credevo che non ti avrei mai più rivisto. »
Mi dice che mi ha cercata per tanto tempo e che aveva paura di lasciare la Francia, perché non capisce niente dell’inglese. Mi dice anche che è orgoglioso di me, ed io singhiozzo più forte.
« Avrei dovuto cercarti, ma tornare a Parigi… »
Mi interrompe e scuote la testa. Mi dice che va bene così, perché adesso ci siamo ritrovati.
Voltandomi vedo che Louise è ancora qui, timida e impacciata come ero io alla sua età. Le porgo una mano.
« Louise, vieni qui. » lei mi raggiunge e afferra la mia mano, stringendola appena. Mio padre non le fa affatto paura. « Voglio presentarti tuo nonno. »
Mio padre si inginocchia davanti a lei e, a modo suo, la saluta con “Ciao principessa”. Louise capisce sia il francese che il linguaggio dei segni. Gli risponde subito: “Ciao nonno”.





Concludere questa storia è un po’ come svegliarsi il giorno dopo il proprio compleanno: non sai bene come ti senti, vorresti essere ancora la festeggiata ma sai che non puoi protrarre la cosa troppo a lungo, perché tutto ha una fine.
Quando ho iniziato Controlled non avevo in mente di pubblicarla, non pensavo che potesse interessare qualcuno, piacere e prendere nella lettura fin da subito. Poi, così tanto per, l’ho passata ad una mia amica per leggerla, perché tra di noi funziona così: lei mi passa le cose che scrive, ed io le passo le mie. Il suo parere è stato entusiasmante, mi ha spronata non solo a continuare a scriverla ma addirittura a postarla. Perciò, se Controlled vi è piaciuta e avete avuto occasione di leggerla, il merito in realtà è tutto suo, perché altrimenti sarebbe rimasta nascosta nel mio pc insieme a tante altre. Perciò questo spazio è dedicato a Roberta, che mi accompagna sempre, nonostante la distanza e le difficoltà, qualsiasi sia il mio cammino. Sei un po’ la mia Corte dei Miracoli personale :)
 
Ovviamente non mi dimentico di ringraziare voi, cari lettori, che con coraggio vi siete imbattuti in me e nella mia storia. Spero che il finale vi sia piaciuto, che i personaggi vi abbiano fatto compagnia e, sì, lo ammetto, che sentiate almeno un pochino la mancanza di questa storia. Se vi va di lasciare un commento, sarò ben felice di leggere ciò che avete da dirmi!

 
   
 
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