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Autore: Clara_Oswin    29/10/2015    1 recensioni
AVVISO : La storia è il seguito di Another Ending
Dopo il matrimonio Arren e Ariel sono partiti alla volta dell'oceano Indiano per incontrare la famiglia dello sposo, l’avventura li perseguita e un perfido nemico ha in mente un piano che distruggerà la loro tranquillità, nasceranno improbabili alleanze, inimicizie e infine sboccerà nuovamente l'amore. La storia è collegata alle vicende del primo racconto.
SPOILER dal CAP 4
"Da quando quelle tre parole erano entrate nella sua vita quella mattina si era sentita morire. Non si sentiva pronta a diventare madre, c’erano ancora molte cose che voleva fare, un figlio non rientrava nelle sue priorità, era ancora troppo presto… si era cacciata in una situazione più grande di lei e questa volta non c’era via di scampo.
-“aspettiamo un bambino”- proferì infine aspettando una sua reazione. "
STORIA NUOVAMENTE ATTIVA
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ariel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11: Black Hole

 

Tutto attorno a me è nulla.

Sono seduta e nonostante provi a muovere le mani non riesco a percepire niente. Il tempo passa, forse lento, forse veloce mentre io aspetto che accada qualcosa. Smetto di dimenarmi, non riesco nemmeno ad alzarmi, è inutile sprecare così le energie; abbandono le braccia che ritornano diligenti al loro posto, inerme aspetto che la mia fine sia vicina.

I miei occhi si chiudono, è inutile tentare di vedere qualcosa quando non vi è nulla da vedere.

*
*
*
*

La mia lucidità è perduta definitivamente, inizio a delirare. Il buio unico spettatore era testimone della mia apatia. Non provavo più alcun tipo di emozione, ma cosa ancora peggiore erano i miei ricordi perduti.

Non ricordavo nulla, né come fossi arrivata a quel punto né cosa ci fosse stato prima, era come se non avessi più una coscienza. Fluttuavo nel mare nero, non avevo emozioni, sentimenti.

Sono morta?

Si, sono morta e questo è il cimitero delle anime perdute, un’esistenza condannata al buio eterno, sola per sempre.
Ma la mia mente continuava a rimandarmi insistente un pensiero che puntualmente tentavo di scacciare.

Chi ero io?

Voci confuse sembravano sfiorare quel mondo d’oscurità in cui a quanto pare abitavo ormai da tempo. Alle volte sentivo un nome essere pronunciato più spesso nel fiume di parole che mi attorniavano, quasi veniva urlato mentre altre volte sembrava un sussurro, una richiesta d’aiuto, le voci così come le parole mi arrivavano ovattate come attraverso un muro, un eco di un mondo lontano.

Ariel

Chi era Ariel?

Una nuova consapevolezza si fece largo dentro di me, Ariel era il mio nome, Ariel ero io.

Come ero arrivata in quel posto? Ricordavo di essere partita, un viaggio… ma nulla di più. Forse ero morta, probabilmente era così, altrimenti perché non ricordavo più nulla? Dovevo aver avuto qualche incidente, ma dove?

Tentai di ricordare con tutta me stessa, strinsi gli occhi più forte come se quel gesto potesse aiutarmi.

C’era una luce, era calda e avvolgente, c’era qualcuno con me, qualcuno a cui volevo bene. Era una persona importante per me, forse era una delle mie sorelle, no. No.

Era un’altra persona, sentivo che era qualcuno di più importante, Papà? Chiamai nel mio animo ma non era quella la risposta giusta, mi sentivo frustata, era come essere vicini a qualcosa e lasciarsela sfuggire tra le dita.

Cercai di concentrarmi di più, non stavo dando il mio meglio. Provai a ricostruire gli ultimi istanti di quella che doveva essere stata la mia vita.

Dolore, provai improvvisamente un forte dolore, poi scomparve così come era venuto lasciandomi inerme a riflettere.

C’era qualcosa di importante in quegli ultimi istanti che mi sfuggivano, qualcosa che mi avrebbe aiutato a capire meglio in quale situazione mi trovassi. Anche prima avevo quei dolori, ricordai che poco prima di essere avvolta dalla luce ero piegata in due da forti contrazioni alla pancia.

“Resisti, Ariel” la voce che ricordavo era gentile ma anche molto preoccupata, era una voce così familiare… ma dove l’avevo mai sentita?

Un nome iniziò a farsi largo nella mia mente annebbiata, dapprima in un sussurro poi sempre più forte, sempre più chiaro. Mi ritrovai a gridarlo a mia volta.

Arren.

E come da un sogno aprii gli occhi ritrovandomi al punto di partenza.

Era lui che non riuscivo a ricordare, mi sentii in colpa solo per il fatto di averlo dimenticato. Come avevo potuto scordarmi di una persona così importante per me? Come?! Ero arrabbiata con me stessa, era mio marito, l’amore della mia vita, ed io ero un essere spregevole.

Improvvisamente un nuovo pensiero si fece largo nella mia mente, volevo vederlo, eravamo insieme mentre quella luce calda ci avvolgeva, se io ero morta lo doveva essere anche lui, doveva essere lì da qualche parte.

Arren! Lo chiamai a voce sempre più alta.

Un altro dolore alla pancia mi sorprese, l’ignorai.

Dove sei? Perché non sei qui con me?

Tu sei troppo buono, tu non meriti di stare in un posto del genere, sarai asceso al tempio della pace, al ristoro dell’animo dove vanno tutte le creature che in vita sono state buone.

Perché il destino ci separa ancora?! Mi danno con me stessa ma so comunque di non poter far nulla, sono egoista e ti vorrei qui con me, ma la verità è che sono felice che tu sia in un posto migliore.

Calde lacrime mi bagnano le guance. Sono sola. Sono morta. Sono condannata all’eternità.

Addio mondo… addio Arren… Addio Aris.

L’ultimo nome mi viene quasi spontaneo, prima ancora di poter capire a chi appartenga realizzo che Aris è mio figlio, è il nome del bambino che porto in grembo.

Improvvisamente i dolori alla pancia iniziano ad avere senso, è lui che tenta di svegliarmi, mi sta implorando di rimanere in vita, io glielo devo, se io muoio e mi lascio andare allo sconforto anche lui perirà con me e questo non è giusto. Solo perché sono una madre vigliacca ciò non vuol dire che devo privare mio figlio della sua vita.

Mi asciugo le lacrime, troverò la forza per uscire di qui, la troverò per te bimbo mio.

I dolori diventano più forti, forse mi sto svegliando da quest’incubo, forse sono vicina ad una via di fuga. Aris, Arren. Penso a loro due e mi convinco che deve essere così.

Stringo i denti trovando la forza di alzarmi, ogni mia parte del corpo mi sembra pesare una tonnellata ma nonostante questo mi muovo nuotando dritta davanti a me.

Sono stanca e i dolori diventano sempre più frequenti, devo farcela. Non posso arrendermi, non adesso.

Ad un tratto proprio nel momento più disperato in cui penso di poter davvero mollare tutto, di non essere abbastanza forte, intravedo un punto luminoso che brilla in lontananza.
Mi aggrappo alla speranza, è tutto quello che ho.
Non so come sia possibile ma penso che se raggiungerò quella luce ce l’avrò fatta. È una lotta con me stessa, il mio corpo si rifiuta di obbedirmi, si ferma proprio mentre sono più vicina.

Tendo una mano con fatica. Grido.

Grido i loro nomi, “Arren! Aris!”

Le palpebre si fanno sempre più pesanti, gridò più forte, non voglio!

Piango, urlo. “non voglio morire!”

Gli occhi mi si chiudono contro la mia volontà, attraverso le palpebre percepisco il freddo del vuoto che ritorna a circondarmi.

Il mio corpo sta cadendo all’indietro, trascinato da chissà quale forza misteriosa.

La mia mano rimane sospesa a mezz’aria. Poi sento un bacio sulla fronte.

“Non mollare mamma, ce l’hai quasi fatta”

Apro gli occhi giusto in tempo per vedere il volto di un giovane tritone scomparire nella luce.

Mi do un ultima spinta con la coda strappando il mio corpo all’oscurità del nulla, poi finalmente, entro nella luce.

****
La ragazza aprì gli occhi con estrema fatica. Provò a muovere le labbra ma sembrava che la sua bocca non pronunciasse una parola da anni.

Arren, suo marito le teneva la mano ma aveva il volto rivolto verso qualcun altro. Stavano parlando, il biondo sembrava molto agitato, ma lei non riusciva ancora a distinguere le loro parole, le doleva la testa, ogni parte del suo corpo le faceva male, come se non l’avesse usato da tempo, quando spostò lo sguardo quasi rimase paralizzata dalla paura quando si rese conto di non riuscire a vedere la coda, un pancione enorme le bloccava la vista. Eppure era sicura di essere giusto di qualche mese, com’era possibile?

Mosse debolmente la mano intrecciata con quella di lui. Si rese conto di essere nel letto dell’ospedale. Il suo braccio era pieno di tubi di cui non ricordava nemmeno l’esistenza.

Il ragazzo si voltò sentendo la mano inerme da mesi di sua moglie muoversi. I loro occhi si incontrarono, “Ariel! Ariel sei sveglia!”

Lasciò perdere la persona con cui stava parlando sino a poco prima.

“è sveglia! Si è svegliata!” continuava ad urlare a tutti, solo in quel momento Ariel si accorse che vi erano altri nella stanza assieme a loro.

Le accarezzò la fronte scostandole i capelli dal viso. I suoi occhi verdi si fecero lucidi.

“Temevo che…” le accarezzò la guancia con la mano tremante.

“Quanto ho dormito?” disse a fatica schiarendosi la voce che uscì rauca e debole.

Lui chiuse un momento gli occhi asciugandosi una lacrima in maniera discreta.

“Sono sette mesi ormai” le rispose con voce rotta al solo pensiero di aver passato tutti quei giorni al suo capezzale sperando in un miracolo.

Un fortissimo dolore alla pancia le fece stringere i pugni e chiudere gli occhi in un gesto improvviso.

“Cos…aaaAAAAHHHHHH!” le sfuggì un urlo con una potenza che credeva di aver perso.

Arren si mise accanto a lei mentre l’aiutava a mettersi in una posizione più comoda sorreggendole la schiena.

“Ci siamo” le disse lui agitato.

Ariel si forte. Il bambino sta arrivando”

 

 

 

  
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