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Autore: SagaFrirry    30/10/2015    1 recensioni
Asteria è un pianeta diviso in 10 territori identici, ciascuno dei quali è governato da un diverso elemento. Questa storia narra le avventure attorno ad un mondo fantastico popolato da creature legate a Luce, Fuoco, Metallo, Terra, Roccia, Oscurità, Acqua, Ghiaccio, Aria ed Elettricità. Per compiere una missione di fondamentale importanza per la sopravvivenza del pianeta, creature estremamente diverse e solitamente rivali dovranno allearsi. Fra difficoltà, risse, assurdità e personaggi strambi, i dieci regni li attendono. Scritto nell'ormai lontano 2011, vede comparire alcune creature della trilogia "città degli Dei" (capitemi..è la mia prima storia, ci sono affezionata!) e tutti (e dico TUTTI) i personaggi presenti in questa storia sono persone reali. Amici, parenti, ex fidanzati..ovviamente modificati a dovere. Li vorrei ringraziare tutti ma non ho molto spazio. Spero vi divertiate, come io mi sono divertita a scrivere.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX

“Dove sono?”.

“Nel regno dell’Aria”.

“Di già?”.

“Pare stiano entrando nella grande biblioteca della capitale”.

“A che scopo?”.

“Non me lo chiedere. Riesco a visualizzarli, non a leggere nelle loro menti!”.

Si guardarono, sospirando.

“Dobbiamo fermarli. Ne va della nostra stessa vita…”.

“Merda!” entrò, urlando, una piccola creatura incappucciata.

“Calmati, Anyram…”.

“Avete visto?! Io e Setiram eravamo così vicine alla vittoria…ma gli Dèi ci hanno messo le loro zampacce ed hanno rovinato tutto!”.

“Abbiamo visto…”.

“Bastava così poco…ancora qualche istante senza il loro intervento e quei dieci deficienti non avrebbero potuto più far nulla!”.

“Ci saranno altre occasioni…”.

“Mi stupisco della tua calma, Semar. Come mezza creatura di Fuoco, solitamente sei molto più irascibile. A cosa dobbiamo tutta questa calma?”.

“Calma?! Ma quale calma! Continua a tenerli d’occhio, Aseret. Voglio essere informato su ogni loro movimento. Dove sono quegli psicotici dei gemelli? E richiamate Ailil, Arual, Roary e tutti gli altri. Se quei dieci hanno imparato a giocare di squadra, allora è il momento di fare lo stesso!”.

Semar uscì dalla stanza sbattendo la porta. Il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi. Ignorò la cosa e decise che quella vecchia casa abbandonata avrebbe retto ancora a lungo la presenza di quel nutrito gruppo di mezzosangue. Lui era una creatura mista fra Fuoco e Roccia. Connubio interessante che lo portava a non pochi problemi di personalità fra la calma della Roccia e la rabbia del Fuoco. Ma sapeva che certi guai mentali erano molto comuni fra quelli come lui.

Incrociò Araik, l’insieme di aria ed acqua, Ocram che univa Terra ed Oscurità, Salokin ed Eneri, i fratelli di Luce e Ghiaccio…li salutò e diede loro ordine di ritrovarsi nel salone sotterraneo il più presto possibile.

“Neziar, amico mio, sai dove sono i gemelli?” domandò a quello che era considerato il più anziano dei sanguemisto.

Incrociato fra Metallo ed Elettricità, aveva capelli lunghissimi e bianchi. Fissò Semar e gli sorrise, con il tipico ghigno leggermente inquietante delle creature del Metallo.

“Kire è in giardino con Anyram…” parlò, con voce profonda “…immagino che anche l’altro psicofolle sia da quelle parti”.

“Grazie. Ci vediamo nel salone fra massimo venti minuti”.

Kire ed il suo gemello erano considerati i capi di quella specie di organizzazione clandestina. Un po’ perché erano stati loro a crearla, ed un po’ perché la loro follia era piuttosto produttiva. Riuscivano sempre ad escogitare nuove idee, riunendo in sé i lati migliori di Fuoco e Metallo.

“Semar…mi cercavi?” domandò Kire, non appena questi mise piede in giardino.

“Sì. Abbiamo dei problemi con quei dieci scocciatori che tentano di salvare il Mondo”.

“Che genere di problemi?”.

“A quanto pare, gli Dèi stessi li stanno aiutando”.

“Come sarebbe? Non fanno mai un cazzo e si mettono a lavorare quando non serve?! Ma se credono di spaventarci…convoca una riunione generale! Vi voglio tutti nel salone fra…”.

“Già fatto”.

“Perfetto. È stato avvisato mio fratello?”.

“Non ancora. Non sono riuscito a trovarlo”.

“So io dov’è. Ci penso io. Ci vediamo nel salone fra dieci minuti”.

Semar andò verso il salone e Kire si incamminò lungo il giardino, dove si ergeva un enorme albero, una volta rigoglioso e verde, ora malaticcio e quasi del tutto secco. Con occhi rosso fuoco ed il cappuccio scuro ben calcato in testa, Kire si stupì di non trovarci accanto il gemello. Stava per controllare l’unico lato di quella pianta che non riusciva a vedere, quando udì un ringhio sommesso alle sue spalle. Rizzò le orecchie a punta e mutò le sue braccia, facendole divenire due spade. Si apprestò a voltarsi e colpire quando l’enorme bestia lo atterrò, immobilizzandolo con solo l’uso di una delle sue grosse zampe. Ringhiando, con occhi color del sangue e zanne affilate, fissava Kire con un’aria decisamente poco rassicurante. Allungò il muso e l’atterrato chiuse gli occhi, rimproverandosi e ripetendosi che stava per morire in un modo davvero stupido. Sentiva il fiato caldo di quell’animale sul viso e già si aspettava di percepire il dolore di un morso, ma non avvenne nulla di tutto questo. La bestia, dal lungo pelo nero, lo leccò. Kire spalancò gli occhi dallo stupore e dalla rabbia, perché aveva udito chiaramente l’inconfondibile risata psicotica del fratello.

“Deficiente!” gli urlò contro.

“Coglione!” gli rispose l’altro.

Era a cavalcioni su quella creatura enorme e muscolosa, col cappuccio rosso che ne mostrava solo il largo sorriso sadico e decisamente soddisfatto.

“Dove lo hai trovato questo…coso?” domandò Kire.

“Non è un coso! È Orebrec, non te lo ricordi?”.

“Quel cucciolotto spelacchiato è diventato questo mostro omicida?!”.

“Sì. Non è bellissimo? Dai…alzati! Perché mi cercavi?”.

“Cosa gli hai dato da mangiare?”.

“Quanto sei noioso! Non sono stato io a farlo diventare così, ma è stato il pianeta stesso a volerlo. Asteria…questa grossa biglia appuntata nell’immenso universo che si sta sgretolando dall’interno, pezzo dopo pezzo. Riesco a percepirlo. Guarda questo albero…è come il nostro Mondo. Cerca di mandare un messaggio, ma non viene colto. È il cuore pulsante del Mondo a lanciare i suoi segnali a chi lo popola, ma quasi nessuno è disposto ad ascoltarlo. Io lo sento e batte sempre più piano. Fino a quando…BUM! Un mega infarto ed Asteria morirà! E noi tutti con lei!”.

“E la cosa ti mette di buon umore, Elehcim?”.

“E sai qual è la cosa buffa? Che la colpa è soltanto nostra”.

“Vuoi fare un brindisi alla fine del pianeta?”.

“BUM!”.

I due gemelli, identici salvo per il fatto che Kire aveva lasciato crescere i capelli, si sorrisero.

“Vieni ad illustrare le tue visioni catastrofiche davanti a tutti nel salone” disse Kire.

Elehcim scese da Orebrec, lasciandolo libero di correre per il prato, e seguì il fratello senza parlare.

 

Sotterraneo per rimanere celato ad occhi indiscreti, il salone era collegato ad altri punti di aggregazione tramite cunicoli e tunnel segreti. Così facendo, i sanguemisto di tutto il pianeta avevano modo di incontrarsi. Quella sala era stata costruita di recente con la collaborazione dell’intero gruppo. Aveva volte in pietra, complicati sistemi di aereazione, numerose vie di fuga, armi nascoste di vario genere e libri di ogni tipo, provenienti da tutti i regni.

Disposti in modo da formare un cerchio, i sanguemisto tolsero i cappucci, sicuri che in quel luogo fossero al sicuro e ben lontani da sguardi non voluti. Iniziarono a salutarsi con entusiasmo.

“Hei, Elehcim! Come va?” gridò Setiram, una buffa creatura dai capelli scuri e la risata facile.

“Non mi toccare” si limitò a ringhiare lui.

“Sei di cattivo umore oggi?”.

“No!”.

“Ah…sei così normalmente?”.

“E lo hai capito adesso?”.

Elehcim prese posto di fronte al gemello e non disse altro, incrociando le braccia.

“Benvenuti, fratelli…” iniziò a parlare Semar, che con la sua parlantina era spesso colui che esponeva le questioni ed i problemi.

“…immagino che la maggior parte di voi sia al corrente dell’attuale svolgimento di una certa missione attorno ad Asteria da parte di un piccolo gruppetto di "normali". Scopo di questa missione è portare a termine un’evocazione. Evocando la Creatrice, loro mirano a distruggerci, dando la colpa dei guai del Mondo esclusivamente a noi. Di certo non possiamo permetterlo e, fin ora, abbiamo tentato vari espedienti per far fallire tutti i loro intenti. Tuttavia questa cosa si è dimostrata più difficile del previsto e di recente abbiamo appreso che perfino le divinità stanno dalla loro parte. Urge un lavoro di squadra, un’idea che impedisca a quei dieci esseri di arrivare alla fine del loro viaggio salvifico”.

“Ma che possiamo fare noi, se gli Dèi stessi sono dalla loro parte?” domandò Aseret, una ragazza per metà creatura della Luce e per metà della Terra.

“In effetti…ci aspettavamo che almeno Kaos fosse dalla nostra parte…” commentò Kire.

“Dunque…cosa proponi?” parlò Semar, guardando Kire.

“Scaricabarile” gli sibilò contro lui, con un mezzo sorriso.

Dopodiché si alzò in piedi, accrescendo la sua voce quel che bastava per sormontare tutte le altre.

“Fratelli…” iniziò “…noi siamo sempre stati una grande famiglia. A differenza di quei dieci là fuori, noi, qua sotto, siamo uniti ed agiamo come un’unica, grande, forza. Io dico che poco importa se gli Dèi stessi non ci vogliono, se il pianeta ci rifiuta e se solo in questo gruppo ci sentiamo accettati e liberi. Molte delle creature come noi muoiono appena nate perché vengono uccise…avete mai pensato a quanti di più potremmo essere se ciò non avvenisse? Noi siamo fortunati ad essere qui. Siamo fortunati perché ci hanno lasciato restare in vita…”.

“Fortunati?!” interruppe Elehcim “Io non la definirei fortuna. La definirei debolezza da parte di chi ci ha messi al mondo, che vedendoci non ha avuto la forza di porre fine alla nostra esistenza. Non guardate con tenerezza questo gesto, però, perché vi ricordo che nessuno di noi è stato accolto da coloro che possiedono metà del nostro corredo genetico. Essi ci hanno generato, senza pensare, e poi ci hanno gettato via, ripudiandoci. La fortuna, semmai, è stata quella di trovare qualcuno che si è preso cura di noi quando eravamo piccoli. Nel nostro caso, fratello, è stato Neziar a prenderci con sé e siamo in vita grazie a lui. La fortuna, se fortuna la si può definire, è che esistono altre creature come noi disposte ad impedire che altre ne muoiano”.

Kire non riuscì a ribattere.

“Cosa pensi di fare, dunque?” domandò, dopo un po’.

“Hai detto tu stesso che il gruppo è la nostra forza. Sono certo che fra quel tale Kassihell ed il suo amichetto Aherektess ci sono ancora molte questioni irrisolte…”.

“Proponi di seminar zizzania, se mi concedi il termine?” sorrise Neziar.

“Direi che quello sarà il primo passo…”.

“Come?” domandò Kire “E poi? Che facciamo?”.

“Usa la fantasia!”.

“E non potremmo attaccarli direttamente?” propose Anyram.

“No. Non ancora, perlomeno” rispose Neziar “Loro hanno un potente attacco combinato e finché vanno d’amore e d’accordo non possiamo batterli. Inoltre non siamo ancora sufficientemente organizzati e voi siete a conoscenza del pericolo che corriamo nell’esporci fra gli abitanti di Asteria. Io propongo di attuare ancora qualche azione diversiva e, nel frattempo, prepararci all’attacco. Ma ritengo debba essere l’ultima spiaggia, per così dire. Meglio non correre rischi inutili, specie se loro hanno la benevolenza degli Dèi a proteggerli”.

“Dannati Dèi…” sibilò qualcuno.

“Se solo uno di loro fosse dalla parte nostra…” gemette qualcun altro.

“Ma di che vi stupite?!” sbottò Kire “Mai nessuno è stato dalla parte nostra, mortale o Dio che sia! Ci arrangeremo, come sempre, e vinceremo…”.

“Quanto ottimismo…” ghignò il gemello.

“Almeno uno dei due ne deve avere un po’, no?”.

“Non necessariamente…”.

“Che hai in mente, Elehcim?”.

“Ho bisogno dell’aiuto di Roary…” iniziò a spiegare.

“Cosa?!” protestò lei “Non se ne parla. Io non ci voglio stare vicino a te, piuttosto Semar!”.

“Abbiamo appena finito di dire che la nostra forza è il gruppo…” ridacchiò Arual.

Elehcim sospirò.

“Senti…Roary…” mormorò, fingendo calma “…io non piaccio a te e tu non piaci a me, ma…”.

“Non è vero che tu non mi piaci. È che non ti sopporto, tutto qua”.

“Guarda che solo a me è concesso tormentarla, sai?” specificò Semar, sorridendo.

“Allora arrangiatevi da soli, e che cazzo!” sbottò il gemello dai capelli corti e girò la sedia.

“Finitela di fare i bambini!” li rimproverò Aseret.

“Giusto! Roary, mi spiace ma ti tocca collaborare” confermò Kire.

“Che palle…” protestò la ragazza “Però non mi siedo vicino a te!”.

“Ma chi te lo ha chiesto?! Siediti dove ti pare…chissenefrega!” sbottò Elehcim, girando di nuovo sulla sedia con le ruote.

“La pianti di fare la trottola?” lo rimproverò Kire.

“E voi la piantate di rompermi tutti quanti le palle?! Mi lasciate spiegare quel che ho in mente o no? Altrimenti ditemelo e me ne vado, mica mi faccio problemi! Tanto Asteria sta morendo, siamo condannati comunque…evocazione o non evocazione!” ribatté il gemello, con le iridi ormai del tutto rosso sangue.

“Parla…” sospirò Roary, rassegnata.

“Tu sei una creatura per metà della Luce e per metà dell’Oscurità. Conosci bene il regno di quel piccoletto, Efrehem, e so che non avresti problemi ad intrufolarti nella biblioteca”.

“No, non avrei problemi…”.

“Perciò, se io ti dessi un libro da far trovare all’allegra compagnia, non dovresti incontrare difficoltà di alcun tipo, unendo il tuo aspetto di creatura della Luce con le doti d’incantatrice dell’Oscurità…”.

Roary mosse leggermente in avanti le antenne, cercando di capire quanto sarcastici fossero quei complimenti, ma le parvero abbastanza sinceri da accettarli.

“Quindi?” incalzò, dopo un po’.

“Quindi ciò che ho in mente è fare in modo che la guerra fra Fuoco ed Aria ritorni nella mente di quell’allegra combriccola. Il libro a cui sto pensando è stato scritto nel regno dell’Aria ed è spudoratamente di parte. Sono certo che Kassihell non resisterà nel sentire simili versioni della realtà che lui conosce in modo ben diverso”.

“Facendoli litigare, il gruppo avrà seri problemi, come all’inizio del viaggio. Rallenteranno la marcia e, se gli scontri si faranno più aspri…chissà fino a dove si spingeranno! Se li separiamo, saranno più deboli” sorrise Kire.

“Non è una soluzione definitiva. Ma credo che, ora come ora, dividere la forza della compagnia sia fondamentale. Abbiamo visto come sono stati in grado di fare gioco di squadra con la farfalla nel regno del Ghiaccio, con le creature dell’Elettricità, la tempesta in mare…tutti piani che abbiamo escogitato noi, ma che non hanno ottenuto il risultato sperato” precisò Elehcim.

“Ok. La storia del libro mi piace. Teniamoci pronte idee alternative” concluse Kire.

“Conta pure su di me, fratello, per quanto riguarda un’eventuale battaglia. E concedimi terreno libero nel regno del Fuoco e del Metallo. Lì sai che posso dare il meglio di me, ed ho già alcune cosette in mente per la separazione definitiva”.

“Hai carta bianca. Nel frattempo noi tutti ci prepareremo ad escogitare dell’altro. I dieci sono già nella biblioteca, sbrigatevi ad attuare il vostro piano”.

Roary ed Elehcim uscirono, lei sbuffando e lui ghignando soddisfatto, mentre gli altri rimasero seduti, in cerchio, ed iniziarono ad architettare altre interferenze alla missione.

 

†††

 

“Mi spiace, signori, ma con le armi non posso farvi entrare in biblioteca”.

“Stiamo scherzando?! Io la mia Katana non te la lascio!” protestò Kassihell, guardando in modo decisamente minaccioso quella creatura della Luce che gli impediva l’accesso.

“In questo caso, devo chiedervi di restare fuori. Tutti coloro che rifiutano di consegnare le loro armi non possono entrare”.

“È una follia! Cosa crede che ci facciamo con le armi in una biblioteca? Tagliamo libri?” si unì alla protesta Aherektess.

“Appunto, signori. Che ve ne fate delle armi nella biblioteca? Potete lasciarle qui”.

“E Thuwey allora? È un’arma vivente!” insistette il Fuoco.

“Oh, non c’è problema! Io me ne sto fuori più che volentieri!” esclamò il Metallo.

“Su, ragazzi…è solo per qualche ora. Consegnate i vostri giocattoli ed andiamo!” parlò Idisi, dando l’esempio e separandosi dal suo remo pieno di punte.

Sbuffando, tutti i membri della compagnia si arresero e fecero altrettanto, tranne Mattehedike al quale fu concesso di tenere con sé l’oggetto proibito.

Thuwey sorrise e non entrò, trovando piuttosto noioso un intero giorno passato in biblioteca.

“Ripetimi perché siamo qui…” sibilò il Fuoco ad Efrehem, mostrando tutto il suo disappunto nell’essere stato separato dalla sua adorata spada.

“Ho bisogno di alcune delucidazioni sul libro che ci ha affidato il Signore dell’Ovest. Non ci vorrà molto, so bene a chi fare certe domande”.

“Me lo auguro perché, se tutto questo è una perdita di tempo, io…”.

“Per favore, Kassihell! Non fare il bambino!” lo zittì Hanjuly.

La compagnia attraversò il corridoio, delimitato da grosse colonne bianche, con ammirazione. I soffitti e le pareti erano riccamente decorati e si udiva una musica meravigliosa, un canto in stile gregoriano così profondo che fece rabbrividire più di qualcuno.

“Come mai sono tutti incappucciati?” domandò Enki, notando che tutte le creature della Luce che incrociavano erano avvolti in una lunga veste, con il volto coperto da un pesante cappuccio.

“Sono monaci. Sono votati alla conoscenza ed allo studio” spiegò Efrehem.

“Che noia…” non riuscì a fare a meno di commentare Reishefy.

“E come mai sono di colori diversi?” continuò Enki.

“Sono di gradi diversi. Dai novizi agli anziani ci sono differenti colori. I novizi, quelli che sono ancora al di fuori dell’ordine e si avvicinano a questa nuova realtà, sono neri o blu oltremare, dipende dalla loro età. Gli allievi, una volta effettuato il rito in cui entrano ufficialmente a far parte dei monaci, hanno per colore il verde scuro e per ogni anno d’apprendistato la tunica si schiarisce fino a divenire verde chiaro. Il giallo è per chi ha terminato l’apprendistato. Rosso è per i maestri. Bianco per gli anziani ed infine l’oro è il vestito del capo dell’ordine”.

“Ma sono tutti uomini?” domandò Aherektess, guardandosi attorno.

“No. Sono ammesse anche le donne e ce ne sono più di quante tu creda. Il capo, attualmente, è una donna. Ero stato molto attratto da questo ordine, anni fa, ma poi tutti mi hanno fatto notare la faccenda del principe ereditario e quindi ne son rimasto fuori. Se avrò dei figli, mi piacerebbe che almeno uno di loro seguisse questa strada…”.

Kassihell lo fissò in modo strano e non volle nemmeno immaginare come potesse essere una vita intera passata solo a leggere e cantare canzoni agli Dèi. Rabbrividì e socchiuse gli occhi. In quella biblioteca c’era un’immensa luce ed un silenzio inquietante.

“Aspettatemi qui. Io torno il prima possibile” sussurrò Efrehem, mentre i suoi compagni si sedevano attorno ad un tavolino di cristallo.

“Potete leggere…” aggiunse “…non vi tagliano le mani se prendete su un libro!”.

Idisi trovò l’idea interessante ed iniziò a vagare per gli scaffali per vedere cosa c’era. Anche Kassihell ed Aherektess fecero lo stesso, più che altro per non restare fermi inutilmente. Reishefy e Mattehedike sbuffarono. Enki ed Hanjuly trovarono un bel volume che parlava dei loro regni e lo sfogliarono assieme. Lehelin, stordita ed indebolita da tutta quella luce, rimase in silenzio, raggomitolata su se stessa sulla sedia, con le pupille sottilissime e le dimensioni sempre più ridotte.

 

“Buongiorno, maestro” salutò l’incappucciato all’ingresso, lasciandolo entrare nella biblioteca.

“Sì, sì…” si limitò a rispondere quello con la tunica rossa.

“Potevi essere un pochino più gentile…” sbottò la ragazza con la veste blu scuro che gli camminava accanto, stringendo un libro fra le mani.

“Zitta adepta e lasciami lavorare!” ghignò lui.

“E dovevi proprio mettere gli occhiali scuri? Le creature della Luce non usano cose del genere!”.

“Beh io sì. E poi non vorrai mica che notino i miei occhi rossi? Cammina, sono già arrivati. Dobbiamo agire in fretta”.

“Lascia fare a me”.

“Ovvio! Io ho avuto l’idea e tocca a te attuarla! Non dovrò mica fare tutto io…”.

“Ma perché sei venuto anche tu? Potevo cavarmela benissimo da sola!”.

“Perché non mi fido di te. Preferisco tenerti sott’occhio”.

“Tu non ti fidi di nessuno!”.

“Questo è ovvio”.

“Un uomo, un sorriso” ironizzò lei, girando gli occhi verso il cielo.

Entrarono nel salone principale, rimanendo un po’ storditi da tutta quella luce.

“Muoviti, Elehcim! Non far notare a tutti che sei mezzo accecato!”.

“Vedi perché mi son messo gli occhiali scuri? Tocca a te adesso. Io ti aspetto qui”.

“Ricordati che senza le mie doti d’incantatrice non puoi ingannare alcunché, perciò vedi di non farti beccare! Qui hanno tutti le antenne…ti noterebbero subito!”.

L’incappucciato in rosso sedette e guardò Roary scomparire fra gli scaffali. Incrociò le braccia ed attese, chiedendosi se quel volume avrebbe avuto gli effetti sperati.

 

“Incredibile quanti libri ci siano in questa biblioteca. E moltissimi sono in doppia copia, in lingua originale e nel linguaggio di Asteria” commentò Idisi, sfogliandone un paio con curiosità.

“Dici che quel pazzo di Efrehem se li sia letti tutti?” ipotizzò Aherektess.

“Sicuramente. Di certo non aveva altro di meglio da fare, come principe ereditario” rispose Kassihell, notando gli sguardi incuriositi degli abitanti del luogo.

Che strane creature dovevano sembrare ai loro occhi…

“Piuttosto che perda tempo a progettare guerre, è meglio che legga, non trovi?” mormorò la Terra.

“Cosa intendi insinuare con questo?” sibilò il Fuoco.

“Niente…”.

“Scusate…” parlò una voce femminile alle spalle dei tre.

Si girarono e davanti a loro videro una donna incappucciata di blu scuro che fissava Aherektess.

“Voi siete i principi dell’Aria e del Fuoco?” domandò.

“In persona. E tu chi sei?” rispose Aherektess.

“Una giovane allieva. Ho appena finito di leggere questo libro interessantissimo sulla guerra che ha colpito le vostre nazioni vent’anni fa e ne sono rimasta colpita, affascinata…e turbata! Vedervi così vicini, a parlare assieme, quasi andando d’accordo…è così strano. Scusate, forse non sono affari miei…”.

“Infatti. Fammi vedere quel libro” ordinò Kassihell.

Roary glielo porse ed il Fuoco lo sfogliò distrattamente. Spalancò gli occhi davanti a certe affermazioni e storse il naso.

“Chi ha scritto questa porcheria? Qui sembra che noi del Fuoco siamo dei mostri sanguinari mentre invece quelli dell’Aria sono dei santi!” protestò.

“Dai qua!” esclamò Aherektess, strappandoglielo dalle mani ed iniziando a leggere.

“Ciò che vedo, rispecchia quel che io ho vissuto” commentò, dopo un po’.

“Lì non sono riportati tutti gli attacchi che voi avete fatto a noi, tutti i morti innocenti fra la nostra gente che avete colpito ingiustamente e…”.

“Erano creature del Fuoco. Che fossero innocenti è fuori discussione. Senza parlare delle migliaia di vittime che avete provocato voi con i vostri attacchi insensati!”.

“Mai un nostro attacco fu insensato! Sono le tue risposte ad essere insensate!”.

“Ragazzi…abbassate la voce! Siamo in una biblioteca!” tentò di calmarli Idisi.

“Zitta tu, non ti intromettere! È ora di chiarire la faccenda…” ringhiò Kassihell.

“Che cazzo succede?” sibilò Hanjuly, sentendo le grida dei suoi compagni di viaggio.

“Era da un po’ che non litigavano…” sospirò Enki.

“Una rissa! Di nuovo! Bello!” ridacchiò Reishefy e si alzò per raggiungere i litiganti.

“Lo sai perché io porto il nome di Kassihell, cioè Angelo della Morte?” ringhiava il Fuoco.

“E tu sai perché ho gli occhi di colore rosso?” rispose, accigliato, Aherektess.

“Mi sa che questa volta fanno sul serio…” si preoccupò il Ghiaccio, quando notò l’aspetto dei suoi colleghi d’avventura.

Il principe dell’Aria si era avvolto in una specie di bolla di vento che lo teneva sospeso da terra ed i lunghi capelli blu gli si arricciavano come un tornado. Kassihell, con gli occhi infuocati, ringhiava con sempre più fiamme lungo il corpo ed i capelli sparati in guizzi incontrollati.

“Adesso basta! Calmatevi!” alzò la voce Idisi, incrociando le braccia e mettendosi fra i due litiganti.

“Stai zitta!” urlarono, in coro, Aria e Fuoco con rabbia.

Seguì un interminabile silenzio, in cui la Terra si sforzò di rimanere calma. Chiuse gli occhi ed iniziò a respirare lentamente ma non servì. Serrò i pugni e si morse il labbro, prima di mostrare quanto potesse essere temibile una del suo elemento con le palle girate.

“Come vi permettete di parlarmi in questo modo, brutti deficienti?” urlò “Guardate che me ne frego se siete principini o futuri re! Sono stanca di voi! Piantatela di litigare! State zitti!”.

“Non credi che sia il caso di andarsene?” suggerì Roary ad Elehcim.

“No, perché? Uno spettacolo del genere non me lo voglio perdere…” rispose lui, con i piedi sul tavolo e masticando una gomma.

“Ma potrebbe notarci qualcuno…”.

“Chi vuoi che ci noti in mezzo ad una rissa del genere?!”.

In effetti, l’attenzione di tutto il popolo della Luce presente era concentrata su Kassihell ed Aherektess.

“Sai perché io mi chiamo Kassihell, Angelo della Morte? Certe storie non vengono riportare sui libri pieni di pillole indorate della tua gente. Mi è stato dato quel nome perché, di tutti i bambini nati a palazzo quel giorno o poco prima, sono rimasto in vita solo io! Il giorno tredici del quarto incontro degli sposi del cielo, di trentasei anni fa, voi dell’Aria avete attaccato il mio regno provocando un violento tornado. Non so per quale assurdo caso, l’edificio in cui stavo, assieme a tutti gli altri bimbi nati quel giorno, è crollato lasciando quasi del tutto illeso solamente me. La mia sorella maggiore è morta quella sera, nel crollo. All’interno del palazzo imperiale c’era una casa in cui tutti i figli della famiglia reale, dei servi e dei consiglieri di mio padre potevano stare. E l’Aria sapeva che lì c’erano solo bambini! Ha attaccato volutamente quello stabile, probabilmente alla notizia della mia nascita. Ora, al posto di quella casa, è stato piantato un albero che fa fiori rossi come il sangue. Sangue di innocenti! Questo i tuoi libri non te lo raccontano”.

“Sono tutte balle!” sibilò Aherektess.

“Non è vero. Sono tutte cose che ho trovato su quest’altro volume!” interruppe Reishefy “Scusate ma…mi incuriosiva troppo un libro di guerra!”.

“E quello da dove è saltato fuori? È sempre del nostro archivio personale, mi sembra” domandò Elehcim, osservando il volume fra le mani dell’Elettricità.

“Semar avrà voluto rincarare la dose” sorrise Roary.

“Un genio…” ghignò l’incappucciato di rosso, ignorando alcuni ragazzini che lo credevano un maestro della loro etnia e che chiedevano dei consigli.

“Anche voi avete attaccato dei bambini! Avevo dieci anni quando avete distrutto ogni cosa! Ricordo che stavo giocando con i miei fratelli e le mie sorelle. Mio padre aveva numerose compagne e numerosi figli ed a quel tempo eravamo davvero in tanti. Si è sentita una sirena d’allarme. Ci attaccano! Abbiamo sentito gridare dai piani inferiori. Non avete esitato ed avete attaccato quella torre in cui noi, figli dei regnanti, stavamo sempre. È scoppiato un incendio. Eravamo in trappola. Ricordo che è crollato il sostegno che reggeva le tende, completamente in fiamme, e mi ha immobilizzato. Sentivo i miei fratelli piangere poi più nulla. Mi sono svegliato vent’anni dopo! Ed i miei occhi non erano più verde scuro, come quelli di mia madre, ma rossi come il sangue. Solo io e Zameknenit ci siamo salvati quel giorno, non so ancora per quale strano scherzo del destino. Quando ho riaperto gli occhi, guardando mio fratello, ho compreso quanto tutto fosse cambiato. Lui era re ed io…non avrei mai più potuto rivedere i miei genitori! Mia madre non è riuscita mai a riprendersi da quel giorno ed è morta lentamente, incapace di rialzare la testa, e mio padre è stato ucciso dai tuoi soldati in battaglia in una guerra che voi, impero del Fuoco, avete voluto!”.

“Fate schifo entrambi, in poche parole…” storse il naso Enki, pensando a tutte quelle vite buttate via senza motivo.

“Ma…come facevano i rispettivi popoli a sapere dove fossero i luoghi in cui stavano i bambini? E perché attaccare proprio i piccoli?” domandò Hanjuly.

“Thuwey la definirebbe "strategia militare". Indebolire il nemico dall’interno…” parlò la Roccia.

“Sapevamo dov’erano perché, fortunatamente, avevamo un alleato” spiegò il Fuoco “Altrimenti saremmo stati annientati da questi pazzi!”.

“Non dire stronzate! I pazzi siete voi!” urlò Aherektess “Fortunatamente anche noi avevamo un popolo amico che ci aiutava, imbrogliandovi”.

La compagnia si guardò negli occhi, tentando di capire a quali alleati si riferissero.

“Imbrogliandoci?!” ringhiò Kassihell “Come osi dire che noi siamo stati imbrogliati?”.

“Perché è così!”.

“E se ti dicessi che gli imbrogliati siete stati voi?”.

“Ti riderei in faccia!”.

Stanco di tutti quei discorsi, Kassihell riunì la magia fra le mani e la incendiò, creando due grosse palle di fuoco. Le creature della Luce urlarono davanti a quello spettacolo e si misero a correre verso le uscite, in preda al panico. Solamente i sanguemisto rimasero al loro posto. Le fiamme furono lanciate contro all’Aria che si avvolse in un vortice del suo elemento, respingendole. Enki si apprestò a spegnerle, con l’aiuto di Hanjuly, prima che queste toccassero i libri. Poi Aherektess passò al contrattacco e, con una sorta di applauso, creò un tale spostamento d’aria da far volare via alcune sedie ed il tavolo che si contrapponeva fra i due sfidanti. Questo, essendo fatto di cristallo, si infranse in milioni di pezzi quando incontrò le braccia incrociate sul viso di Kassihell. Il Fuoco non ci mise molto per reagire, a differenza di quanto si aspettasse l’Aria, e colpi in pieno ventre il suo avversario con un potente calcio. Aherektess incassò ed indietreggiò di parecchio, sempre rimanendo fluttuante e padrone del suo elemento. Con la schiena ribaltò altri tavoli e sedie. Ringhiando, tornò volando verso il Fuoco avvolgendolo in un tornado nel tentativo di immobilizzarlo. Kassihell urlò, sentendo il suo fuoco spegnersi, ma poi si concentrò ed usò quel vento a suo vantaggio. Alimentò la sua magia e, con un ghigno soddisfatto, derise il suo avversario chiedendogli se non avesse studiato, per caso, che il fuoco si alimenta con l’aria.

“Ti ucciderò, Kassihell! Fosse l’ultima cosa che faccio!” sbraitò Aherektess.

“Strano…è  la stessa cosa che voglio fare io! Dovevo farti fuori prima, altro che seguire i consigli di Kaos che mi diceva di aspettare la fine del viaggio! Tornerò a casa da eroe comunque, con la tua testa fra le mani!”.

“Solo il Dio di un popolo come l’Oscurità poteva suggerire una cosa simile!” commentò qualcuno.

 

“Kaos ha suggerito cosa?!” gridò, stupito, la divinità del Fuoco, voltandosi verso l’interessato che alzò le spalle.

“Che ti aspettavi?” ridacchiò il Dio dell’Oscurità “Sono Kaos, mica un amorino!”.

“Come fermiamo questi due adesso?” domandò Heronìka, guardando giù.

Le divinità erano come sempre nella loro bolla, che impediva ai mortali di vederli, ed osservavano la scena, non sapendo bene cosa fare.

“Interveniamo! Dividiamoli!” parlò la divinità della Luce “Rischiano di demolire tutto!”.

“Questo ti preoccupa? Non il fatto che si possano ammazzare?” sbottò la Dea dell’Acqua.

“Se è quello che vogliono…”.

“Ma sei deficiente!”.

Così dicendo, in pochi minuti anche gli Dèi litigavano.

“Noi dovremmo dare l’esempio…” mormorò Xoduzz.

“Ma taci, finto santo!” rimbeccò Loreatehenzi, ed anche loro presero ad insultarsi animatamente.

 

Elehcim rideva come un pazzo ed inutili erano i tentativi di Roary di farlo stare buono. Non smise di ridere neppure quando un colpo dell’Aria mandò una sedia a pochi centimetri dalla sua posizione.

“Cazzo, lo sapevo che eri psicotico ma non fino a questo punto! Non verrò più in nessun posto con te!” commentò Roary, schivando la sedia volante per un soffio.

“Il tuo alleato era un deficiente ad aiutare la gente come te!” gridò Aherektess.

“Il tuo ancora di più, sapendo contro chi si doveva scontrare! Comunque, se ora avessi il mio alleato di allora davanti, non lo prenderesti in giro!”.

“Nemmeno tu! Tremeresti!”.

“Questo è fuori discussione!”.

“Ma dai…vedo come reagisci alla parola "Ozymandias"!”.

“Ozymandias?! Mi prendi per il culo?! È stato NOSTRO alleato, altro che vostro!”.

“Scherzi?! Fino alla morte di mio padre, le nazioni di Oscurità ed Aria sono state confederate!”.

“Ma se sono stati loro a dirci dove si ergeva la torre con i bambini! E da dove sareste giunti con il vostro esercito il giorno dell’attacco in cui è morto tuo padre!”.

“Smettila di inventarti storie! L’Oscurità era dalla nostra parte!”.

“NO! Dalla nostra! E nell’ultima guerra combattevamo assieme contro di voi!”.

“Ma se ci ha anticipato ogni vostra mossa?!”.

“E allora com’è morto tuo padre?”.

“In effetti…”.

“Stava dalla parte nostra!”.

“NOSTRA!”.

“Da nessuna delle due parti!” sbottò Lehelin, stanca di tutto quel casino.

“Spiegati” esclamarono, in coro, i due litiganti, lasciandosi reciprocamente il collo.

“Mio padre ed il mio popolo non sta dalla parte di nessuno di voi due” iniziò a spiegare l’Oscurità “Prima ancora di tutto ciò che avete raccontato, quando mio padre era giovane, il nostro regno attraversò una grave crisi. Molti di noi morivano, colpiti da una rara malattia che a fatica abbiamo sconfitto. Il re di quel tempo, mio nonno, aveva chiesto aiuto a tutti i popoli di Asteria ma nessuno volle aiutarci. Eravamo un popolo pacifico, anche se isolato perché ce la caviamo da soli, normalmente. Probabilmente con la conoscenza della Luce, la medicina della Terra, le materie prime di altri elementi, avremmo potuto uscire prima da tutto quel disastro, evitando moltissime morti. Sapete come hanno reagito i regni? Attaccando l’Oscurità, sapendo quanto fosse ricco come territorio e pieno di preziose risorse. Sapete perché c’è un’enorme statua di mio padre in ogni paese del mio mondo e perché il suo nome è tanto temuto? Perché è stato lui, appena divenuto re ed aver visto morire suo padre, a respingervi tutti ed a risvegliare il coraggio e la forza del nostro elemento. Ha atteso a lungo, ma l’opportunità di vendicarsi è arrivata. Mettendovi uno contro l’altro, voi Fuoco ed Aria, poteva annientarvi contemporaneamente. In memoria dei nostri fratelli e delle nostre sorelle uccise…mio padre non può essere alleato di nessuno”.

“E nemmeno tu…” mormorò Aherektess.

“No…nemmeno io” sospirò, dopo un attimo di silenzio, Lehelin.

“Quindi la colpa è sempre stata di Ozymandias?” squittì Reishefy, seguendo come sempre i discorsi a tratti ed interpretandoli a caso.

“E come ha potuto il tuo popolo reagire contro un attacco quasi mondiale?” domandò Hanjuly.

“Kaos è stato al nostro fianco. Non ci ha mai fatto mancare l’energia e, quando ne abbiamo avuto bisogno, siamo stati i più forti di Asteria. Mio padre è riuscito ad unire un regno di creature solitarie e renderlo un’unica grande ombra che vi ha respinti. Molti lo giudicano come il migliore sovrano che l’Oscurità abbia mai avuto”.

“Lui è il migliore dei pazzi e degli assassini. E questo non lo si può negare” ghignò il Fuoco.

“Non credo possa fare concorrenza a Vehuya” rimbeccò Lehelin.

“Quindi stai dalla parte mia? Mio fratello di certo non può…” iniziò Aherektess ma l’Oscurità lo interruppe con un cenno della mano.

“Io non posso essere dalla parte di nessuno” disse “Vorrei, ma farlo significherebbe rinnegare la mia gente e la mia natura”.

“Ma…io pensavo che…fra me e te…” balbettò l’Aria.

“Questo non ha niente a che fare col fatto che noi…”.

“La posizione di Ozymandias in questa guerra eterna non ha così tanta importanza. Quell’uomo non merita tutto il rispetto che gli dai!”.

“E tu sei sicuro di ricevere il rispetto che meriti? O forse sei un pelino sopravalutato? È di mio padre che parli…”.

“Che è una creatura dell’Oscurità!”.

“Come lo sono io!”.

“No…tu sei diversa. Non sei come lui”.

“Ti sbagli. Io sono esattamente come lui. E vedo che questo non riesci ad accettarlo…”.

Stanca di discutere ed indebolita dalla troppa luce, Lehelin diede le spalle al gruppetto di viaggiatori. Elehcim la seguì, borbottando “anello debole” a Roary che non rispose, rassegnata alle sue idee bislacche. L’Oscurità attraversò il corridoio affrescato, udendo dietro di sé che Kassihell ed Aherektess ricominciavano a litigare. Andò verso l’esterno. Lungo il protiro sperava di poter trovare l’ombra delle grosse colonne, lisce ed altissime. Non ne trovò, dato che la facciata esterna dell’edificio era illuminata a sua volta, ma era meglio dell’accecante bianco della biblioteca. A guardia dell’ingresso non c’era più nessuno, impegnati com’erano a correre via o chiamare aiuto. Si ritrovò da sola e sospirò. Salì sulla balaustra e guardò giù. Era una bella altezza, sorgendo tutto quel complesso bianco latte in cima ad una ripida scalinata. Un salto da dove stava sarebbe stato un bel botto. Sentì il vento lungo il corpo nebbioso e chiuse gli occhi.

Alle sue spalle, il mezzosangue che l’aveva seguita si apprestava ad attaccarla. Uccidendo uno del gruppo, la missione falliva! Modificò la forma delle dita per amplificarne la forza magica. Il sangue metallico formò lunghi artigli su cui iniziarono a danzare fiamme sempre più grandi. Avvolta dal fuoco, un’ombra svanisce senza lasciare nessuna traccia. Nessuna prova, nessun testimone. Perfetto.

 

“Ma che cosa state facendo?” urlò Efrehem.

Con il libro del Signore dell’Ovest fra le mani, guardava i suoi compagni con stupore. Si stavano tutti insultando, schierati dalla parte di Kassihell o di Aherektess, oppure per il puro gusto di farlo.

“Che state facendo? E quei libri da dove vengono?” domandò.

“Da dove vuoi che vengano? Dalla tua stupida biblioteca!” rispose Mattehedike.

“Questa biblioteca non è stupida e non è vero. Quei due volumi non appartengono a questo posto. Dove li avete trovati?”.

“Ha importanza? Questo pennuto ha detto qualche parolina di troppo ed è ora che chiuda il becco per sempre!” sibilò il Fuoco.

“Ti spegnerò come una candelina di compleanno, brutto coglione!” rimbeccò l’Aria.

“Idisi...non sei riuscita nemmeno tu a farli ragionare?” si stupì la Luce.

“Mi hanno rotto. Che si uccidano” fu la secca risposta.

Mentre riprendevano a tirarsi sedie, palle di fuoco ed ogni altra cosa possibile, Efrehem riuscì ad afferrare uno dei due volumi. Avendolo fra le mani ebbe l’assoluta certezza che non provenisse dalla biblioteca della Luce. Aveva letto tutti i libri conservati in quel luogo.

“Dove lo avete trovato?” domandò di nuovo, sperando di ricevere risposta.

“Quello di colore chiaro era su quel tavolo…” sospirò la Terra, non capendo il motivo di tutte quelle domande “…l’ho trovato io ma Reishefy me lo ha strappato dalle mani e lo ha letto. Parla della guerra fra Aria e Fuoco, descritta dal punto di vista dell’Impero del Fuoco”.

“E l’altro libro?”.

“Lo ha dato una ragazza ad Aherektess. Parla della stessa guerra ma dal punto di vista dell’Aria”.

“Tutto qui? Stanno per uccidersi perché hanno visto la stessa guerra da due punti diversi?”.

“A quanto pare…”.

“E che ragazza aveva quel libro? È ancora qui? Libri così di parte non sono ammessi in questo luogo. Chiunque lo abbia portato è meglio che abbia delle più che valide spiegazioni da darmi”.

Idisi, ripreso l’autocontrollo, si guardò attorno.

“Difficile dirlo…” mormorò “…era incappucciata ma…forse…” piegò la testa, guardando in un punto preciso e cercando di capire se la creatura che aveva di fronte fosse colei che stava cercando.

“Credo che sia lei” disse, infine, indicando una ragazza seduta piuttosto distante dai litiganti.

“OPS” si limitò a commentare Roary, vedendosi indicare.

Girò la testa rapidamente, a destra e a sinistra, controllando se effettivamente si stava riferendo a lei. Una volta accertato che era così, decise che era meglio non aspettare di scoprire cosa avessero in mente esattamente e si alzò.

“Lo sapevo che dovevo andare via quando potevo!” sbottò, e si mise a correre.

“Fermatela!” urlò Efrehem “Lei è la causa di tutto questo casino!”.

Agli ordini del principe del regno, molte creature della Luce, rimaste contro il muro in attesa di poter uscire in modo sicuro, obbedirono e si misero ad inseguire quell’incappucciata dal passo svelto e l’aria scocciata.

 

Due ombre. La creatura che aveva alle sue spalle aveva due ombre. Le vedeva chiaramente, una alla sua destra ed una alla sua sinistra, proiettate lungo le colonne. Una era l’ombra di una creatura del Metallo, ricoperta di punte acuminate, e l’altra era di Fuoco, se ne percepivano i guizzi di fiamma.

Come era possibile? Lehelin tentò di capirlo. Si voltò, per osservare meglio chi le stava proiettando.

Il mezzosangue non si aspettava una cosa del genere. I due si guardarono per qualche istante. Lui ghignava soddisfatto, pronto a colpirla, con gli occhi rossi che si vedevano chiaramente da sotto il  ed attraverso le lenti degli occhiali scuri. Lei, con due sottilissime linee d’argento verticale sul viso come sguardo, non si mosse, pur vedendo il fuoco fra le mani di lui e capendo cosa aveva in mente.Elehcim prese un profondo respiro, deciso a sferrare la fiammata d’attacco, quando una mano lo afferrò saldamente per un braccio e lo trascinò.

“Scappa, ci hanno beccato!” gli disse Roary, continuando a correre.

Trascinandolo, gli fece ricadere all’indietro il cappuccio. L’Oscurità, che aveva continuato ad osservarlo, sussultò. Sanguemisto. E con un’aria così familiare…

I due incappucciati saltarono giù dalla balaustra, qualche colonna più in là rispetto a dove si trovava Lehelin. Atterrarono su Orebrec e corsero via, seguiti da altri sanguemisto che avevano a loro volta partecipato a quella missione.

“Credi che abbia funzionato?” domandò Elehcim.

“Dubito possano fare la pace tanto facilmente” gli rispose Roary.

“Bene. Così il nostro attacco sarà di certo più semplice”.

“Questo è sicuro ma…perché non hai colpito subito quell’Ombra?”.

“Si è voltata…ed è una creatura davvero inquietante. Lo avrei fatto, se non fossi arrivata tu!”.

“Stavano per linciarci! Ho dovuto trascinarti via! Ti ho salvato la vita! E per quanto riguarda la creatura d’Oscurità…cosa ti aspettavi?! È la figlia di Ozymandias!”.

“Tu sai di chi sono figlio io, vero?”.

“Sì, caro…”.

“Ed allora non usare certi termini di paragone!”.

Svanirono velocemente, così come erano arrivati, senza più dire una parola.

 

“Lehelin! Che succede?” urlò Thuwey, correndo lungo gli scalini d’ingresso.

“Niente. Solita rissa”.

Le creature inseguitrici erano tutte lungo il protiro e si sparpagliarono alla ricerca dei fuggitivi.

“Stai bene? Sei così…ristretta!” si preoccupò il Metallo.

“Colpa di tutta questa luce! Ho bisogno di un po’ di buio…i miei occhi non ce la fanno più!”.

“Dove sono tutti gli altri? E perché non sei con loro?”.

L’Oscurità si accoccolò con la schiena contro una colonna, tenendosi le ginocchia. Thuwey tentò di farle ombra, in qualche modo, trovando fastidiosa pure lui tutta quella luce.

“Kassihell ed Aherektess stanno litigando, come sempre, ed io sono andata via”.

“Quei due deficienti…senza offesa per il tuo uomo, scusa!”.

“Non è il mio uomo. Puoi offenderlo quanto ti pare”.

“Ma…”.

“Metallo…posso farti una domanda?”.

“Chiedi pure, ma chiamami Thuwey!”.

“Volevo chiederti…tu sei un viaggiatore, hai accompagnato la tua regina in molti incontri diplomatici. In base a ciò che hai visto e vissuto…essere una creatura come me, una nativa dell’Oscurità, è una cosa tanto negativa nell’opinione comune degli abitanti di Asteria?”.

“Che domanda strana…”.

“Perché a me sembra di essere stata brava. Mi sono impegnata in questo viaggio, ho cercato di aiutare e di rendermi utile, ma non ho fatto nulla di diverso rispetto a ciò che faccio nel mio regno, con i miei simili. Eppure non faccio altro che sentirmi dire che quelli come me sono cattivi, senza cuore, egoisti, assassini…sbagliati”.

“I pregiudizi sono forti, lo ammetto. E sono duri da togliere dalla mente. Io per primo, lo devo confessare, ho avuto paura quando sapevo di dover incontrare Ozymandias e, per quante volte lo abbia visto ed abbia capito che non è un mostro come lo descrivono, quel brivido d’inquietudine resta comunque. Ma credo che questo sia anche un desiderio del re, di tuo padre. Come te al palazzo dell’Ovest e come la tua scarsa voglia di chiamarci per nome, agisce per mantenere le distanze”.

“Si sente tradito dagli altri regni. Eravamo sempre stati disposti a condividere le nostre risorse con il resto del Mondo ma quando abbiamo avuto bisogno d’aiuto ci avete tutti voltato le spalle ed ora noi dell’Oscurità, perfettamente in grado di badare a noi stessi, di certo non andiamo a fare amicizia”.

“Non conosco bene le faccende di cui narri ma penso che Ozymandias sia un buon re, per il suo popolo. Se poi ha dentro di sé un desiderio di vendetta con la V maiuscola sono affari suoi”.

“Fin ora non mi pare di averlo mai sentito parlar male del regno del Metallo…”.

“Tuo padre è un mito, dal punto di vista militare. Durante l’addestramento, il mio maestro non faceva altro che citarmi le sue grandi imprese guerriere e descrivere il suo ottimo esercito. Ne ho paura…ma lo stimo un sacco!”.

“Questo gli farà molto piacere saperlo…”.

“E quindi ora…”.

La conversazione fu interrotta da una sedia volante che uscì dall’ingresso a velocità sostenuta, andando a schiantarsi contro una delle colonne e frantumandosi in pezzetti minuscoli.

“Adesso quei due le sentono!!” sbottò Thuwey, facendosi scricchiolare le nocche ed entrando nella biblioteca a grandi passi decisi.

Fuoco ed Aria si stavano ancora scontrando. Gli altri membri della compagnia si erano fatti da parte, andando accanto al muro come gli abitanti della Luce. Il Metallo lanciò un grido, di minaccia e d’avvertimento, che non sortì l’effetto sperato. Dopo un respiro, allungò entrambe le braccia e comandò le catene che portava su tutto il vestito. Queste si srotolarono ed andarono ad avvolgere i due litiganti, separandoli.

“L’avete finita?” tuonò Thuwey, stringendo ancora un po’ la presa.

Kassihell non rispose ma iniziò a scaldarsi, tentando di sciogliere ciò che lo bloccava. Il Metallo tramutò entrambe le mani in spade e le puntò contro i due immobilizzati.

“Se fossi in voi non ci proverei. Non avete possibilità di vittoria, insalamati come siete! E rimarrete così fino a quando sarete di nuovo in grado di viaggiare assieme da persone civili, non da animali rabbiosi! Intesi?”.

“Me la pagherai cara…” sibilò Aherektess.

“Non appena ci libererai, io…” minacciò Kassihell ma Thuwey strinse ancora la presa e zittì entrambi con soddisfazione.

“Zitti! E tu, Mattehedike…perché non li hai separati?!”.

“Io ci tengo alla mia incolumità, amico!”.

“Capisco…e adesso, signori, in marcia!” affermò il Metallo e, tenendo le braccia affilate puntate alla schiena dei due, uscì dalla biblioteca seguito dal resto del gruppo.

Ripresero le armi, dividendosi fra loro quelle di Fuoco ed Aria.

“Non è giusto!” protestò Kassihell “Non ho iniziato io! Ridammi la mia Katana! È tutta colpa di questo idiota svolazzante!”.

“Colpa mia?! Adesso sarebbe colpa mia?! Ma senti questo…ti ricordo che sei stato tu ad aprire la questione e sei sempre stato tu ad attaccare per primo!”.

“Bugia! Io ti…”.

Metallo e Terra si fissarono, sospirando e, dopo averli imbavagliati, ripresero il cammino dietro ad Efrehem che continuava a chiedere perdono a tutto il suo popolo per il disagio.

 

†††

 

Il gruppo, dopo quell’episodio, si era fatto silenzioso. Perfino Reishefy non sapeva cosa dire. Erano nati un sacco di nuovi dubbi, sospetti e paure. Quali altre storie si nascondevano? Il bel clima che tanto a fatica avevano creato era ormai svanito in pochi attimi. Ed ironicamente il tutto era dovuto alla lettura di due libri, un’attività da cui nessuno si aspettava di veder scoppiare una guerra.

L’inconfondibile suono delle campane accompagnava il loro cammino. Ogni città aveva tantissime torri e su ognuna un’enorme campana suonava, in momenti diversi della giornata.

“Cosa hai scoperto riguardo al volume del Signore dell’Ovest?” domandò Thuwey.

“Vi spiegherò tutto quando e se verrà il momento” rispose Efrehem.

Il Metallo fece un cenno con il capo, senza parlare più. Non staccò per un solo istante gli occhi da Aria e Fuoco, continuando a minacciarli per farli stare buoni.

“Che clima di merda!” sbottò l’Elettricità, dopo un paio d’ore.

“Ti do ragione. Non possiamo andare avanti così! Ormai abbiamo superato la metà del viaggio, dobbiamo lasciare da parte le divergenze personali ed arrivare in fondo” affermò Hanjuly.

“Basta solo sapersi controllare…” continuò Reishefy.

“Parli proprio tu di sapersi controllare! Comunque dubito che l’evocazione funzioni se ci odiamo in questo modo!” borbottò Idisi.

“Nessuno ha mai parlato di amore fra popoli!” si lamentò Mattehedike “Perciò, anche se i dieci viaggiatori si odiano, l’importante è che siano tutti vivi e con l’oggetto proibito”.

“Il problema è che, slegando uno di questi due, di certo non arriviamo tutti e dieci!” sbottò Enki.

“Questo dipende da come gli viene posta la questione…” mormorò Efrehem.

“Credi di poterli convincere?” ridacchiò la Roccia.

“Con l’aiuto della Signora della Terra…” azzardò la Luce, girandosi verso Idisi, che gli sorrise.

“Allora vediamo…sono stanco di usare i miei poteri per loro!” esclamò il Metallo.

Tenendoli arrotolati ed imbavagliati, li mise con le spalle contro uno dei muri bianchi ed oro che circondavano la città.

“Sono tutti vostri…”.

Terra e Luce si schiarirono la voce e poi, con un sorrisetto, Efrehem fece segno ad Idisi che poteva avere lei l’onore d’iniziare. Non se lo fece ripetere due volte.

“Adesso statemi bene a sentire, voi due!” esordì, con fare minaccioso che mai nessuno dei presenti aveva avuto modo d’osservare “Me ne sbatto altamente se per voi le vostre discussioni sono giuste, lecite, obbligate o chissà che altro. Le mie figlie, quando litigano fra di loro, sembrano molto più mature di voi! Posso tranquillamente affermare che tutti noi siamo stufi di dovervi sopportare e farvi da babysitter…”.

“Senza contare il fatto che, dato il vostro comportamento, è evidente che non considerate l’importanza della missione!” interruppe Efrehem “Qui non si tratta di voi, di noi, di un singolo impero o di una singola guerra! Parliamo del futuro di Asteria e lo state letteralmente buttando nel cesso per rancori del tutto personali, o comunque riguardanti solo una porzione del pianeta! Posso capire il risentimento che c’è fra di voi, ma lo scopo finale che dobbiamo portare a termine è più importante. Vi abbiamo dato il tempo di sfogarvi e di restare in silenzio, spero a riflettere. Il luogo proibito del mio regno è vicino, e poi ci attendono altri quattro mondi. È un viaggio lungo, stancante e complicato. Per tutti noi però, non solo per voi due! Non vorrei dovervi tenere imbavagliati ed insalsicciati per tutto il tempo…se io ora vi slego, promettete di fare tregua? Se poi, una volta portato a termine il viaggio, vorrete uccidervi…sono affari vostri! Io vi chiedo di portare a termine quest’avventura…non pretendo che andiate d’amore e d’accordo, ma gradirei perlomeno il silenzio. Ignoratevi! Ecco la parola esatta: ignoratevi! Credete di poterlo fare?”.

La Luce guardò negli occhi entrambi i prigionieri, che risposero a quello sguardo. Si vedeva che erano entrambi furiosi ma anche stanchi di rimanere bloccati.

“Allora?” incalzò Idisi “Che cosa dite? Vi sleghiamo e state buoni oppure rimanete così fino a nuovo ordine?”.

Kassihell ed Aherektess si fissarono con odio per qualche istante ma poi chinarono il capo.

“Vi sleghiamo? Promettete di fare i bravi?” parlò la Luce.

I due litiganti annuirono, anche se a fatica. Subito il Metallo allentò le catene ed iniziò a riavvolgerle. Fu loro tolto il bavaglio e subito il Fuoco si rimise in piedi, bestemmiando a bassa voce e massaggiandosi gli arti indolenziti.

“Ridammi la mia Katana” fu la prima ed unica cosa che disse, rivolto alla Roccia che l’aveva in custodia e che gliela porse, con un mezzo sorriso.

Aherektess, dopo aver ripreso il controllo delle braccia piumate, rifoderò le spade che Hanjuly gli porse senza dire nulla.

Il gruppo ripartì in silenzio, con i due litiganti ben divisi e l’Oscurità in centro, alla disperata ricerca di un piccolo spiazzo senza luce. Quel regno stava scombinando ogni loro ritmo. Non calando mai, Sirona illuminava perennemente il cammino senza dare spazio alla notte. Dormire fu particolarmente difficile per la maggior parte della compagnia e, quando giunsero in vista del luogo proibito, erano tutti quanti stanchi e silenziosi.

“Ombra…” mormorò Efrehem “Quello dev’essere il luogo proibito”.

In effetti davanti a loro si ergeva un intricato insieme di alberi che bloccavano ogni raggio di luce. Lehelin sorrise a quello spettacolo e si avvicinò senza timore. Non toccò quella pianta, ma rimase ai suoi piedi, ad occhi chiusi, assaporando il ristoro del suo elemento.

“Che pianta meravigliosa!” commentò Idisi.

In un complicato intreccio di radici, rendeva impossibile il passaggio.

“Immagino che l’oggetto proibito sia lì dentro…” disse Enki.

Quel luogo era talmente vicino al confine da far vedere a tutti quale fosse il regno successivo. Lava e fuoco li attendevano e la cosa non poteva che creare una certa inquietudine.

“Questa pianta mi sta chiamando” affermò Idisi “Tocca a me. Vado io”.

Appena sfiorò con le dita quel complesso sistema intrecciato, grosse liane e foglie la avvolsero, fino a farla sparire del tutto alla vista della compagnia e portarla oltre quel sottile confine fra il regno mortale e quello divino.

 

†††

 

“Buonasera” si sentì educatamente salutare.

“Buonasera” rispose, pur non sapendo se fosse effettivamente sera oppure no.

Trattenne il fiato quando si fu abituata al riverbero di quel luogo e riuscì a mettere a fuoco chi aveva davanti e dove si trovava. In quell’intreccio verticale di rami e linfa, erano custoditi, come frutti preziosi, migliaia di libri. Tutto brillava di scintille dorate, provocate dalle farfalle con le ali di quel colore, che svolazzavano fra un volume ad un altro.

“Tu sei Idisi, giusto? Rappresentante del regno della Terra” parlò la divinità.

“Sì…e Voi siete…?”.

“Io vengo chiamato Vereheveil, e sono il Dio delle Letterature e delle Lingue”.

Aveva splendide ali piumate color oro, come oro erano le sue iridi. Portava una sorta di tunica bianca, lunga fino ai piedi, allacciata solo da un lato. Questo faceva sì che si notassero i tatuaggi che portava sul corpo. Erano lettere, numeri, ideogrammi, note, segni e simboli di ogni sistema di scrittura di Asteria e di chissà quanti altri pianeti. Ai piedi indossava dei sandali piuttosto semplici. I capelli, verde acqua, ricadevano in ciuffi corti sul viso, mentre dietro erano lasciati crescere. Sorrise alla mortale che lo stava osservando. Lei si sentì subito rassicurata, notando quei due grandi occhi così tondi ed amichevoli.

“Ho saputo che avete avuto dei problemi all’interno del gruppo…” riprese a parlare la divinità, usando perfettamente il linguaggio nativo di Idisi.

“Già. È così…” confermò lei, non nascondendo un certo sconforto.

“Normale, mia cara. Se perfino fra noi Dèi non facciamo altro che discutere, come possiamo pretendere che voi mortali vi comportiate in modo diverso?”.

“Sono riusciti a farmi arrabbiare. È una cosa piuttosto difficile!”.

“Lo so. Succede lo stesso anche a me ma, credimi, c’è una divinità che mi fa davvero uscire di testa. L’esistenza è una questione di opposti. Se non ci fosse l’odio, o la rabbia, o la guerra, non potrebbe esistere l’amore, o la pace o qualsiasi altro sentimento positivo. Non trovi? Noi Dèi sapevamo bene che sarebbe stato un vero e proprio casino questo viaggio. Ci siamo messi nei vostri panni e ci siamo detti che noi, personalmente, non saremmo in grado di affrontare tutto senza azzuffarci nemmeno una volta. E questo, ovviamente, crea una certa inquietudine nelle divinità graciline come me, di certo non molto brave a combattere”.

“Quindi mi state dicendo che è normale lasciarli litigare?”.

“Non potete lasciarli litigare…vogliono uccidersi! Ma non potete di certo trattenerli sempre. E non è la fine del mondo se vengono alle mani. L’importante è che il gruppo sia pronto ad intervenire nel caso andassero troppo oltre”.

“Siete molto diplomatico…”.

“Dicono che sia saggio. O codardo, dipende dai punti di vista. In realtà io non riesco a comprendere fino in fondo il desiderio di usare la violenza. Amo i libri, la cultura, il sapere…la guerra non rientra nei miei interessi ma ho imparato a guardare il tutto da un punto di vista diverso. Ti faccio un esempio pratico. Tu sei un’abitante del regno della Terra, vivi a stretto contatto con essa e non riusciresti nemmeno ad immaginare di poter esistere in modo diverso. Eppure, soprattutto in questo viaggio, hai avuto modo di vedere che questo è possibile. Popoli e regni vivono anche se si comportano in modo completamente diverso dal tuo. Capisci?”.

“Mi state dicendo che non posso giudicarli, ma che dovrei vivere la cosa in prima persona per capire? Perché se è così lo intuivo già da prima, ma…”.

“Ma tu riesci ad avere più autocontrollo? Anche questo fa parte della tua natura, del tuo essere. Ognuno di voi dieci vede tutta questa storia in modo differente e reagisce in modo diverso. Possono esservi reazioni molto simili, come la tua e quella del principe della Luce, o diametralmente opposte come la decisione o meno d’intervenire di Metallo e Roccia. Questo viaggio necessita di ogni qualità e difetto di ognuno di voi. Cerca di sfruttare la voce delle tue qualità. La tua dote è la pazienza: usala. Abbi pazienza, perseveranza, forza di volontà, e vedrai che tutto andrà per il meglio. Nessuno è "sbagliato" all’interno del vostro gruppo di viaggiatori. Vedrai che i due litiganti, Fuoco ed Aria, capiranno di avere molte più cose in comune di quanto pensino. Le loro divinità ci hanno messo un sacco ad arrivarci, ma ci sono riuscite. E perfino io, col tempo, sono riuscito a sopportare la mia controparte impulsiva ed isterica”.

“E se non riuscissero a capirlo? Voglio dire…e se continuassero a litigare? E se si verificasse un episodio per il quale uno dei due finisce male e ci ritrovassimo in nove?”.

“Sono entrambe creature intelligenti. Dal carattere forte ed iracondo, ma con un buon cervello. Si faranno del male, anche in modo serio, probabilmente, ma non arriveranno al punto di uccidersi”.

“Ne siete sicuro?”.

“Non sono pronto a giuratelo ma…sono sufficientemente sicuro da dirti che non manderanno in malora l’intero futuro di Asteria per un problema interno ai loro regni. Più probabile che facciano scoppiare una guerra in seguito, se non riescono a chiarirsi”.

“Io…non so se è il caso ma…vorrei chiederVi: cosa ne pensate di tutta questa faccenda? Dell’evocazione, intendo, del viaggio, dei mezzosangue… Voi siete il Dio che più rappresenta la cultura, Vi sarete fatto un parere in merito…”.

“Me lo sono fatto e, sinceramente, non so ancora bene dove indirizzare il mio consenso. Ti spiego: ritengo che per secoli, se non millenni, Asteria sia stata popolata dai mezzosangue. Perciò ritengo che la colpa di questi sbalzi di magia non sia loro. L’evocazione, per chiamare la Creatrice, credo sia l’unico modo per raggiungere una soluzione. Lei ha creato tutto questo e di certo saprà come curarlo. Non c’è altro modo”.

“E la Creatrice non risponde direttamente a voi Dèi, invece di farci fare tutta questa fatica?”.

“La Creatrice è molto potente e distante. Ha sotto la sua tutela migliaia di mondi. Da tempo non ho modo d’incontrarla”.

“Quindi ha creato Asteria e poi se ne è disinteressata?”.

“In un certo senso. L’ha affidata a noi, Dèi di un livello leggermente inferiore al suo, insegnando la tecnica dell’evocazione ai due Signori di Est ed Ovest per le emergenze”.

“E non poteva escogitare un sistema più semplice?”.

“Per permettere a voi mortali di tormentarla per qualsiasi cosa? No, ha trovato un metodo tale per cui solo le VERE emergenze portino al suo richiamo. Solamente in caso di reale bisogno si riesce ad attuare un’evocazione così complessa. Questo è un caso di reale bisogno…e hai notato quant’è difficile?”.

“Spero che almeno funzioni…”.

“Non dubitarne. Lei risponde sempre”.

“Me lo auguro. Ora, tornando a noi…l’oggetto proibito di questo posto qual è?”.

“Io non custodisco nessun oggetto proibito, ma dentro di me risiede una formula. Ti donerò le parole dell’evocazione, l’insieme di suoni che ti permetteranno di attivare gli oggetti proibiti in vostro possesso e richiamare la Creatrice. Queste parole rimarranno latenti dentro di te fino a quando non verrà il momento di usarle. In quel momento, e solo in quel momento, esse compariranno nitide davanti a te e tu le pronunzierai. Una volta terminato, esse ritorneranno qui da me”.

“Quindi sarò io ad effettuare l’evocazione?”.

“Non ti spaventare! Sarete tutti voi ad effettuarla, tutti assieme, ma sarai tu a chiamare la Grande Madre per nome per farvela apparire dinnanzi”.

Idisi fu leggermente turbata da quella frase. E se le parole non fossero apparse? Se nel momento cruciale non avesse saputo cosa dire?

“Non posso avere un libro o un foglio su cui è riportata la formula?” domandò, speranzosa.

“Certe cose non possono essere scritte, da nessuno. Perfino io, custode di ogni lingua e scrittura conosciuta, non mi azzardo a pronunciarle o riportarle senza ritegno”.

“Che devo fare?”.

“Rilassati, Idisi. Rilassati e le parole faranno parte di te”.

La Terra chiuse gli occhi ed il Dio, sfiorandole la fronte con le dita, le trasmise il suo sapere. Le lettere, come disegni danzanti sulle dita della divinità, si mossero e si trasferirono. Rimasero sospese in aria, attorno alla testa della mortale, per poi svanire senza lasciare traccia.

“Dentro di te, ora, hai la forza delle parole, Idisi. Non avere paura di loro. Quando sarà giunto il momento, ascoltale. Esse sapranno guidarti”.

“Potrò contare sul Vostro aiuto?”.

“Mio, come di qualsiasi altra divinità, immagino. Ci rivedremo”.

“Ci rivedremo? Davvero?”.

“Abbi un po’ di fede, che diamine!”.

“Scusate…”.

“Puoi andare adesso, giovane maga del regno dei fiori”.

“Grazie…”.

“C’è un regalo che voglio farti. Prendi una delle mie piume”.

Idisi si guardò attorno, cercandone qualcuna caduta, ma non ne vide.

“Non cercarne in terra, vieni qui. Prendine una!” la incitò il Dio, spalancando le ali dorate.

“Posso? Posso davvero?”.

“Coraggio”.

La Terra allungò la mano, timidamente, verso quelle ali meravigliose ed abbaglianti. Sfiorando quelle penne, ridacchiò. Erano morbide e le fecero il solletico. Le accarezzò, quasi a voler chiedere perdono, poi ne afferrò una con convinzione e la staccò. Vereheveil sorrise, come a rassicurarla di non avergli dato fastidio, e le richiuse.

“Nel caso vi dovesse ricapitare una situazione simile a quella fra le creature dell’Elettricità, in cui non riuscivate a capirvi, quella vi potrà essere utile perché ti farà comprendere ogni linguaggio straniero. Quella resterà a te, un mio dono”.

“Grazie. Ma…voi divinità state seguendo tutto il nostro viaggio dall’alto?”.

“Ovvio. Vi abbiamo anche aiutato, in qualche occasione. Non possiamo interferire più di tanto per questioni di equilibrio ma, in questo caso, qualche regoluccia l’abbiamo infranta”.

“Grazie infinite”.

“Ora va. I tuoi compagni ti attendono”.

Idisi uscì e si materializzò al di fuori dell’intreccio di rami e liane. Fra le mani stringeva quella magnifica piuma dorata, molto grande, che si apprestò ad infilarsi fra i capelli verde scuro.

“Tutto a posto? Possiamo andare?” domandò Thuwey.

“Tutto ok. Andiamo” confermò lei, raggiante.

“Quella piuma…” mormorò Efrehem, ad occhi spalancati “…viene dalle ali della divinità del mio mondo? È una delle piume di Vereheveil?”.

“Sì. Un suo regalo”.

“Posso toccarla?”.

“Certo”.

La Luce la sfiorò, con riverenza ed ammirazione.

“Possiamo andare?” sbottò il Fuoco.

“Prego, passo il testimone” rispose Efrehem.

Kassihell strinse fra le mani il medaglione di Kaos e la chiave del suo impero, rossa a motivi fiammeggianti, pronto a guidare la compagnia per le pericolose vie del regno del Fuoco.

   
 
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