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Autore: Word_shaker    30/10/2015    3 recensioni
Jane Foster, dopo aver guardato il telegiornale ed aver scoperto che Thor è stato a Midgard (ma non è neanche passato a salutarla), cerca di scoprire qualcosa di più su di lui da chi è rimasto accanto a lui durante quella folle battaglia tenutasi a New York. L'unico che si sforza di raggiungere è Tony Stark, ma Jane non sa che il destino, cercando di accontentarla, le offrirà diverse occasioni di parlare con gli Avengers per sapere di più su Thor. Cercando i Vendicatori, imparerà a difendere e coltivare il suo amore, nonostante tutto.
Genere: Comico, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Cincinnati, Ohio.

Erano le nove del mattino e Jane Foster rischiava di andare in iperventilazione. Il signor Wilde, ovvero colui che l’aveva invitata a prendere parte a quel congresso, non aveva neanche fatto il minimo accenno a tutte le persone che ci sarebbero state: migliaia, milioni di occhi brillavano all’unisono e la mangiavano, ma la cosa preoccupante non era questa.
Fra quei milioni di occhi, in prima fila, lei aveva scorto un uomo con una sedia a rotelle ed un sintetizzatore vocale e, ad alcuni posti di distanza da lui, uno scienziato occhialuto e sorridente che sembrava non vedere l’ora di ascoltarla. Fra quei milioni di occhi, aveva incrociato quelli di Stephen Hawking e Roger Penrose.
Reprimendo la bambina che era in lei - e, quindi, l’impulso di chiedergli un autografo e di scambiare quattro chiacchiere con loro in privato -, si concentrò sulla folla e, facendo un profondo respiro, cominciò a parlare dei Nove Regni.
Dopo circa due minuti - nei quali aveva precisato la loro posizione all’interno di Yggdrasil -, una voce robotica le porse una domanda:  «Può ripetere i loro nomi, per favore?».
Jane spalancò gli occhi. Il suo cuore batteva così forte che non si sarebbe sorpresa se, prima o poi, l’avesse ritrovato per terra, accanto ai suoi piedi. Stephen Hawking le aveva appena fatto una domanda! Era così felice che poteva sentire la sua anima saltellare da una parte all’altra del suo corpo come un’ossessa. 
«I loro nomi... Innanzitutto, il pianeta Terra è chiamato Midgard dagli asgardiani. Gli altri Regni sono Asgard, Hel, Nidavellir, Svartalfheim, Jotunheim, Vanaheim, Muspelheim ed Alfheim». La voce di Jane era pacata, ma le sue mani tremavano. Prima della fine di quella lezione sarebbe impazzita.
«Che nomi fantasiosi!» ironizzò lui, facendo scoppiare a ridere tutta la sala, Jane compresa.     
Cercando di rilassarsi - e magari di scorgere Bruce, il brillante chimico che aveva incontrato il giorno prima in libreria, in mezzo a tutta quella gente; non sapeva perché, ma quell’uomo, pur non avendo pace per sé, sapeva trasmetterne agli altri -, passò ad elencare le caratteristiche di ogni singolo Regno (a parte Midgard, ovviamente). Mentre faceva una pausa di un minuto per bere un bicchiere d’acqua, Roger Penrose sollevò una mano per interrogarla.
Prima Hawking, poi Penrose. L’astrofisica era così emozionata che non sputò l’acqua che aveva in bocca soltanto per miracolo. Dopo aver deglutito energicamente, lo esortò:  «Prego, mi dica, signor Penrose!».
Il fisico, come a volerla confortare, sorrise amichevolmente, per poi chiedere: «E quale sarebbe il movimento rotatorio di questi Regni?».
«Grazie per la domanda, signore. Stavo proprio per spiegare questa parte della mia teoria! Questi pianeti, in realtà, non hanno un movimento rotatorio ben preciso perché il loro arco temporale è influenzato dal Bifrost, il ponte arcobaleno regolato da Asgard, attraverso il quale si può accedere a tutti gli altri Regni. Il Bifrost è sorvegliato da Heimdall, fedele servitore di Odino. Questo ponte crea dei ponti di Einstein-Rosen, che, come molti di voi sapranno, sono delle scorciatoie per passare da un punto dell’universo all’altro. Questi collegamenti, che fra Asgard e Midgard non sono così frequenti, sono consueti, invece, fra Asgard e gli altri Regni; essendo effettuati nello spazio-tempo quasi alla velocità della luce e con grande precisione, influiscono negativamente sul movimento rotatorio di questi ultimi, che, in un arco di tempo relativamente breve, pare essere cambiato drasticamente. 
Per quanto riguarda la scarsa comunicazione fra Asgard e la Terra, non c’è molto da dire. Il fatto che Odino preferisca i nani e gli elfi agli umani è quasi leggenda; altrimenti perché avrebbe esiliato suo figlio mandandolo proprio in New Mexico, l’anno scorso?».
Mentre osservava gli spettatori, Jane scorse un uomo statuario e serioso seduto accanto a Penrose che aveva tutta l’aria di essere un poliziotto in borghese... Dopo avergli lanciato un paio di occhiate, lei si ricordò di aver visto il suo volto in televisione: Roger Penrose era stato accompagnato al congresso da Captain America.
Più parlava, più acquistava sicurezza. Le sue erano teorie scientifiche, e la scienza non mente mai. Di che cosa avrebbe dovuto preoccuparsi?      

Alla fine, quella fu una normale lezione di astronomia. Certo, a quella lezione aveva assistito gente del calibro di Stephen Hawking, ma si trattava comunque di una normale lezione di astronomia. Quando scese dal palco per sedersi ad ascoltare ciò che altri scienziati avevano da dire in merito ad altri argomenti, la sala fu invasa dagli applausi. Jane, che era già tanto se non risultava impacciata nel vestito lungo che indossava, andò a sedersi con un enorme sorriso, il laptop in braccio e gli occhi lucidi. Finalmente, qualcuno apprezzava il suo lavoro. Finalmente, il suo non veniva più definito «tempo sprecato».
Quando la giornata del congresso, qualche ora dopo, si concluse, con il cuore pieno di gioia, Jane corse verso Stephen Hawking quasi infischiandosene della gente che le pestava il vestito con l’intenzione di uscire dalla sala. 
Mentre gli prendeva la mano e gli sorrideva, sembrava quasi una bambina, e in quel momento le ritornarono in mente le sere in cui suo padre le mostrava i suoi trattati, glieli lasciava sfogliare e glieli spiegava dimodoché lei potesse capirli, e le parlava di lui come un esempio da seguire.
«Signor Hawking... I-io la ammiro... Moltissimo» balbettò Jane, in procinto di piangere.
«Questo è ciò che hanno detto anche le mie due mogli prima di lasciarmi» recitò il suo sintetizzatore vocale.
Jane rise, lasciando che due lacrime solcassero il suo viso.
«Lei è un esempio... Per me... Fin da quando ero piccola. Lei... Lei mi ha dato l’ispirazione. Grazie... Signore» continuò a balbettare con le mani tremanti. Abbassando lo sguardo, quasi poté sentire la presenza di suo padre accanto a sé, che sorrideva, esultava e scattava foto a non finire.    
«Non deve ringraziarmi. In quanto scienziato, ho solo fatto il mio dovere» disse lui, e forse fu solo un’impressione di Jane, ma un angolo della sua bocca si piegò in un sorriso accogliente. Dopo circa un minuto di pausa, Hawking aggiunse:  «Ci tenevo a dirle che lei è una donna fortissima, signorina Foster. Se si ricorderà di questo suo pregio, arriverà più lontano dei Regni di cui parla».
L’astrofisica tirò su col naso, lusingata da quelle parole tanto dolci. Non fece in tempo a ringraziarlo ancora che alle sue spalle, preceduto da una grassa risata, arrivò Roger Penrose. 
«Jane! Ragazza mia!» esclamò lui allargando le braccia. Jane, scossa ma sorridente, lo abbracciò.
«Questo giovanotto» spiegò Penrose, ancora ridendo ed indicando l’uomo impettito che la guardava come se stesse trattenendo una risata «mi ha appena raccontato di quello che lei ha fatto durante il mio finto attentato».
A quelle parole, lei sgranò gli occhi e lo guardò. Stephen Hawking le aveva detto che era una donna fortissima, Roger Penrose l’aveva abbracciata e per di più se la stava ridendo per una cosa accaduta mesi prima... Quella giornata sarebbe stata molto lunga!
«Mi scusi se sto ridendo;» aggiunse il fisico a sua discolpa «in realtà volevo dirle che apprezzo moltissimo la sua dedizione e spero di rivederla presto... Preferibilmente ad un congresso, piuttosto che in una missione suicida».
«Ci proverò» fece lei sorridendo, folgorata dalla tranquillità di quello scienziato. Erano mesi che viveva sotto scorta, eppure sembrava non avvertire il peso dello S.H.I.E.L.D., che volentieri succhiava la privacy e l’operato di chiunque gli capitasse a tiro. Non ci voleva un genio per ricordare il motto che molti giornalisti avevano coniato parlando di Steve Rogers: «Dove c’è Captain America, c’è lo S.H.I.E.L.D.», per cui le risultò facile dedurre che il caso Penrose non fosse affatto chiuso e che il fisico avesse un sacco di agenti alle calcagna.   
«A questo punto, vorrei presentarmi anch’io;» esordì Captain America tendendole la mano, «sono Steve Rogers, ed è un piacere conoscerla».           «Il piacere è mio» rispose Jane stringendogli la mano.
«Steve,» lo avvertì Penrose «io vado a scambiare quattro chiacchiere con Stephen».
«D’accordo!» esclamò Rogers.  
«Signor Penrose?» lo chiamò l’astrofisica, ancora in estasi.
«Sì, Jane?» 
«Domani mattina potremmo fare colazione insieme, io, lei e il signor Hawking?»
«Hai sentito, Stephen?». Roger sorrise.
«Sì, Roger. A quanto pare, abbiamo un appuntamento» affermò Stephen.
Jane e Steve risero. 
Penrose prese una penna ed un foglio di carta e scrisse due numeri telefonici, dopodiché spiegò: «Non abbiamo fretta di ripartire. Il numero di Stephen è quello a destra; farebbe meglio ad avvisarlo con almeno tre ore di anticipo, perché ci vuole parecchio per vestirlo».
«Lo terrò a mente» mormorò Jane mettendo il biglietto nel suo tanto amato quadernino nero. Sicuramente lì non l’avrebbe perso, poiché lo apriva e lo sfogliava anche nel sonno.
I tre si salutarono all’unisono con un «A domani!», sorridendosi.
«E’ stato Thor a raccontarle tutte quelle cose?» chiese Steve con le mani in tasca, lo sguardo fisso su Penrose.
«Non mi ha raccontato proprio tutto, ma molte cose le ho scoperte per merito suo» enunciò lei. 
«E’ da molto che fa questo lavoro?»
«Praticamente da tutta la vita...» ammise Jane con un’alzata di spalle, per poi buttare un occhio verso Penrose e domandare: «Perché Roger Penrose vive ancora sotto scorta? Non avevate preso i suoi presunti attentatori?».
«Nick Fury pensa che quei due siano soltanto degli esecutori e che ci sia dell’altro sotto, anche se non ha idea di chi possa essere il vero artefice. Ma questo come lo sa?». Steve Rogers aggrottò la fronte, sorpreso.
«Ho incontrato la Vedova Nera al momento sbagliato... Anzi, ho incontrato tutti gli Avengers, per la precisione. Ha visto Bruce Banner, per caso? Ieri mi ha detto che avrebbe partecipato al congresso come ospite»
«Mi dispiace, ma non l’ho visto... Io ero convinto che lei avesse incontrato soltanto Clint, anche se non c’è da stupirsi: Natasha non racconta mai niente a nessuno!» dedusse lui, rivolto più a se stesso che a Jane.
«Lei sa qualcosa di Thor? Ha idea di che cosa stia facendo adesso?» chiese Jane con un tono un po’ mesto. Sapeva che quella era una domanda inutile, ma tanto valeva ascoltare tutte le campane, visto che ne aveva avuto l’occasione.
«Probabilmente è impegnato a verificare che suo fratello paghi per i suoi errori. Loki sa essere una buona spina nel fianco, glielo assicuro» commentò Steve con un’aria leggermente austera. L’astrofisica annuì, rassegnata, ed indietreggiò di un passo.
«E’ meglio che vada, adesso...» annunciò lei con un piccolo sorriso «Grazie, signor Rogers».
«Grazie a lei, Jane».

 

La mattina dopo, Jane, elettrizzata, fece colazione da Starbucks con Stephen Hawking e Roger Penrose, e i tre parlarono di fisica per tre ore buone.  Alla fine di quell’insolito simposio, chiudendo lo sportello del taxi, ebbe la tentazione di darsi un pizzicotto per verificare che non si era sognata tutto, che aveva parlato davvero con quelli che considerava i suoi idoli da sempre. La sua angoscia adesso non trovava spazio nella sua mente, che era troppo felice per pensare al fatto che erano passati altri due giorni e Thor non si era ancora fatto vedere.    

New York, una settimana dopo.

Erano le cinque  del mattino, faceva freddo e Jane aveva gli occhi pieni di sonno, ma non voleva perdersi lo spettacolo del sole che sorgeva sopra New York. 
Ad un tratto, avvertì un paio di mani sulle spalle, un profumo familiare che non si sarebbe mai stancata di sentire ed un paio di labbra circondate da una barba solleticante sfiorare la sua guancia. 
Istintivamente, lei chiuse gli occhi, il cuore pieno di gioia, e dimenticò il freddo.
«Thor...» sussurrò sorridendo.
«Perché sei già in piedi?» domandò lui cingendole la vita con le braccia.
«Vuoi dire perché sono ancora in piedi!?» lo corresse ridacchiando.
«Lo dico sempre: dormi troppo poco!» ribatté Thor lasciandole un bacio sulla scapola, anche lui rapito dalla maestosa alba newyorkese.
«Sono un’astrofisica, è perfettamente normale!» esclamò lei in risposta mentre cercava di stiracchiarsi.
«Pensi che ci sia posto per me qui?». Chissà perché Thor aveva cambiato argomento tanto bruscamente? Probabilmente aveva qualcosa che gli frullava per la testa. 
«Certo che c’è! Ci sarà sempre posto per te qui!» ribatté Jane per poi voltarsi e guardarlo negli occhi; «Che cosa hai in mente?». Il suo era uno sguardo indagatore, pronto a percepire qualsiasi sfumatura negativa presente nei suoi gesti e nelle sue parole.
«Niente, poi vedrai» mormorò il Dio del Tuono prima di lasciarle un bacio sulla fronte. «Ti amo, Jane».
«Anch’io ti amo, Thor» affermò lei, abbracciandolo. Probabilmente non era mai stata così felice in vita sua. Il suo cuore scoppiava, in preda a quel sentimento che stravolge ogni cosa e la fa brillare.

 

Jane si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Sul letto accanto al suo, Darcy stava russando.
Pensando alla scena che aveva appena sognato, corse in bagno in punta di piedi e scoppiò a piangere. 
Qualche minuto dopo, il suo cellulare vibrò. Senza neanche guardare il mittente di quella chiamata, l’astrofisica rispose.
«P-pronto?»
«Jane, stai piangendo?» 
«Ma no, mamma! Mi sono svegliata adesso e...». Non riuscì a finire la frase perché un groppo alla gola la ammutolì.
«E’ ancora per quel ragazzo, vero?».
Lei annuì, come se sua madre, dall’altra parte del mondo, avesse potuto vederla annuire, e continuò a piangere silenziosamente.
«Jane, per favore, ascoltami una buona volta: vieni a stare da me, anche solo per qualche mese! Londra è carina, è stimolante e piena di belle persone. Vedrai che tornerai in America rinata!»
«Mamma, io...»
«Oh, andiamo, credi che non si possa fare gli scienziati anche in Europa?»
«Non è per questo...»
«E allora? Credi che se lui tornerà, verrà a cercarti in America? Non mi hai detto che può andare ovunque, con quel suo ponte colorato?».
Sua madre non aveva tutti i torti: se Thor avesse voluto cercarla, avrebbe potuto trovarla e raggiungerla ovunque fosse andata. 
Mentre singhiozzava - e controllava che Darcy ed Erik non si svegliassero -, capì che il sogno che aveva fatto quella notte non si sarebbe mai avverato; avvertì quasi una spina nel cuore, un chiodo che, probabilmente, sarebbe rimasto lì per sempre con il solo scopo di farle male.
Doveva continuare le sue ricerche senza Thor, doveva lasciarlo da parte una volta per tutte. Non poteva continuare ad avvelenarsi con la speranza e a svegliarsi piangendo, non poteva lasciare che il tempo scorresse sotto le proprie mani attendendo, invano, davanti al cielo senza stelle del loro futuro. Quelle di Thor, come quelle degli altri Vendicatori, erano solo parole, e si diede della stupida per non averlo capito prima. Non poteva rimanere eternamente legata a lui, se non aveva intenzione di dimostrarle il suo amore.
Un altro pensiero, forse il più doloroso di tutti, le si parò davanti, pericoloso e palpabile: c’era un motivo se Jane e Thor erano di due mondi diversi.
Con il cuore in gola, una funesta determinazione che riempiva ogni centimetro della sua pelle, rispose: «Va bene, mamma. Partiamo fra tre giorni».   

   
 
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