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Autore: SagaFrirry    01/11/2015    1 recensioni
Asteria è un pianeta diviso in 10 territori identici, ciascuno dei quali è governato da un diverso elemento. Questa storia narra le avventure attorno ad un mondo fantastico popolato da creature legate a Luce, Fuoco, Metallo, Terra, Roccia, Oscurità, Acqua, Ghiaccio, Aria ed Elettricità. Per compiere una missione di fondamentale importanza per la sopravvivenza del pianeta, creature estremamente diverse e solitamente rivali dovranno allearsi. Fra difficoltà, risse, assurdità e personaggi strambi, i dieci regni li attendono. Scritto nell'ormai lontano 2011, vede comparire alcune creature della trilogia "città degli Dei" (capitemi..è la mia prima storia, ci sono affezionata!) e tutti (e dico TUTTI) i personaggi presenti in questa storia sono persone reali. Amici, parenti, ex fidanzati..ovviamente modificati a dovere. Li vorrei ringraziare tutti ma non ho molto spazio. Spero vi divertiate, come io mi sono divertita a scrivere.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI

“Scendi da lì. È tardi” gridò Aherektess.

“No, lasciami dormire!” gli rispose Kassihell, pigramente sonnecchiando sopra il ramo di un albero.

Il gruppo era da un paio di giorni nel regno del Metallo, con i suoi paesaggi argentati. Perfino le piante avevano quel colore, con sfumature varie che andavano dal rame all’oro.

“Dobbiamo proseguire…” incalzò l’Aria.

“E chi lo dice?” borbottò il Fuoco, rigirandosi.

“Io, la creatura incrociata con un canarino!”.

“Ah, beh…se lo dici tu…” commentò, sarcastico, Kassihell “…uomo falena!”.

“Uomo cosa?!”.

“Falena. Hai presente? Una farfalla…” congiunse le mani per ricreare la forma dell’animale di cui stava parlando “…farfalla!” ripeté, come davanti ad un bambino piccolo.

“So cos’è una farfalla! Scendi di lì, per favore!”.

“NO!”.

“Perché?!”.

“Perché io sono una creatura incrociata con un animale molto pigro, che vuole dormire”.

Aherektess, di tutta risposta, comandò il suo elemento e scosse la pianta, facendo cadere il Fuoco in modo poco delicato. I due si fissarono, Kassihell ancora in terra e l’Aria a braccia incrociate.

“Dannato alleato!” borbottò, ridacchiando, il Fuoco.

“Maledetto pigrone!” rise a sua volta Aherektess.

Ripresero la marcia tutti assieme, felici di poter finalmente avanzare senza che nessuno di loro avesse problemi particolari. Idisi guardava incuriosita il terreno color argento e tutti gli animali che si adattavano a quelle tonalità.

“Il grande Mihael vive in un immenso castello, più maestoso di quello della regina di questo regno” spiegò Thuwey “Stiamo per raggiungerlo, non è lontano. Presto riusciremo a vederlo all’orizzonte”.

Mancavano solamente tre luoghi proibiti prima di poter portare a termine la missione. Ancora tre oggetti proibiti. E solamente tre di loro dovevano ancora affrontare la prova per ottenerli: Enki, Hanjuly e Lehelin. Si guardarono fra loro, chiedendosi a chi sarebbe toccata la sfida di quel regno. Ne stavano discutendo, quando individuarono una figura che avanzava verso di loro. Sullo sfondo, gli alti torrioni del castello di Mihael iniziavano a mostrarsi. Quell’ombra camminava controluce, accompagnata da un rumore di catene e ferro. In principio, Thuwey pensò fosse qualcuno della sua gente, ma capì subito che non era così: non aveva la struttura fisica di un abitante del Metallo. Avvolta da un alone di magia, la creatura si fermò non molto distante dal gruppetto. Era interamente protetta da una pesante armatura irta di spuntoni metallici ed aveva il viso coperto da un elmo con pennacchio che rifletteva la luce di Sirona.

“E questo chi è?” si infastidì Reishefy, desiderosa di andare oltre in quel viaggio pieno di guai.

“Io sono Mihael” fu la risposta.

“Sì, come no! Mi vien da ridere! Provacelo!” sbottò Kassihell, con un sorrisetto.

L’armatura sfoderò la spada. Era sottile, perfetta per poter stare in un fodero ma, nel momento stesso in cui il suo padrone la strinse fra le mani, si ingrandì, divenendo enorme, e si riempì di scritte magiche. Era nera, lucida, con l’elsa argento. Thuwey riconobbe quell’arma e si inchinò, mormorando con venerazione il nome della divinità.

“Io sono il possente Mihael!” riprese a parlare l’armatura, con voce tonante “Sono il Dio della Guerra e delle Armi, delle battaglie e delle strategie. Se volete proseguire, ed ottenere l’oggetto proibito che custodisco, uno di voi mortali dovrà affrontarmi!”.

Kassihell incrociò le braccia. Lui aveva già fatto ciò che doveva, non era compito suo!

“Ma…Voi non dovreste trovarVi nel luogo proibito?” domandò, timidamente, Enki.

“Sì, è vero. Ma mi annoiavo. Vi do il tempo necessario per scegliere chi accetterà la mia sfida, ma non metteteci troppo perché altrimenti scelgo io…e son cazzi vostri!”.

Le tre senza oggetto proibito si fissarono, dubbiose.

“Vado io!” esclamò Hanjuly, preparando la sua arma.

“No, fermati!” la bloccò Thuwey “Lui è il Dio delle Armi, delle battaglie… Come credi di batterlo?! Bisogna agire d’astuzia, mandargli qualcuno che le armi non possono ferire…”.

“E chi ti dice che quella spada, essendo divina, non può ferirmi?!” sbottò Lehelin, sentendosi chiamare in causa.

“L’arma di Hanjuly verrebbe distrutta in milioni di pezzi, Enki non saprebbe che fare…tu sei l’unica che può tentare!” parlò Efrehem.

“Vittima sacrificale, insomma…” borbottò l’Oscurità, per niente felice nel venir gettata così in pasto ai pericoli.

Perché proprio lei, poi…il Ghiaccio sembrava così ansiosa di voler combattere! Prese un profondo respiro e poi, per niente convinta, fece un passo avanti.

“Il "popolo" ha deciso in modo "democratico" che devo essere io colei che Vi affronterà”.

Mihael, sentendole pronunciare quelle parole, inclinò la testa come a capire se stesse dicendo sul serio, incredulo: “Qual è la tua arma?” domandò il Dio.

“Non ho un’arma. Non so combattere con quelle…”.

“E allora con cosa combatti?”.

“Con la magia”.

“Bene. Interessante. Vediamo un po’ che cosa ne salta fuori…fammi divertire, mi raccomando!”.

La divinità creò un cerchio magico, in modo che gli altri nove non potessero intervenire o interferire in alcun modo.

Dapprima i due sfidanti si studiarono. Lehelin cercava di avvicinarsi il più possibile all’ombra di Mihael, per poter comunicare con lei. Il Dio, nel frattempo, roteava la sua spada con estrema facilità, nonostante le sue notevoli dimensioni e l’indubbio peso. L’Oscurità si chiese se le sue abilità d’incantatrice potevano essere sfruttate anche con un Dio.

Mihael scattò in avanti, velocissimo nonostante l’armatura. Lehelin riuscì solo all’ultimo istante a schivare quel fendente, rotolando di lato. L’ombra della divinità la sfiorò ma si ritrasse subito, impedendole di contrattaccare. Era evidente che fosse in grado di muoversi autonomamente e che Mihael era a conoscenza delle tecniche di combattimento della mortale. L’Oscurità, non sapendo che fare, tentò di schivare ogni colpo, preoccupata da quella spada gigante. Sfiorandola, era stata in grado di ferirla, anche se solo lievemente. Lehelin ringhiò. Non voleva soffrire per la salvezza di Asteria! Per quale motivo avrebbe dovuto?! L’ombra di Mihael le parlava. Ridacchiava e la derideva, saltellando in modo indipendente rispetto ai movimenti del suo padrone. L’Oscurità si ritrovò alle strette, non sapendo cosa fare, avendo un pazzo con la spada davanti a sé ed un’ombra strafottente alle spalle. Si raggomitolò su se stessa, scivolando di lato. Il Dio sorrideva, roteando la spada in aria, lasciando il tempo all’avversaria si rialzarsi. Lei si insospettì davanti a quel gesto. Si girò e guardò la divinità con fare interrogativo.

“Kaos mi ha detto di non ucciderti” spiegò Mihael.

Lehelin non capì, chiedendosi perché il suo Dio non volesse la sua morte. Capì che non poteva sconfiggere chi aveva di fronte e sbuffò, trovando fastidiosamente familiare la situazione. Riuscì a sfiorare solamente l’armatura, che subito la fece allontanare con un fendente che le ferì il braccio. Poi Mihael si mosse nuovamente, assieme alla sua ombra, bloccando la sua avversaria.

“Ma…avevi detto che non dovevi uccidermi!” mormorò lei, spaventata nel vedere quella spada enorme a pochi centimetri da lei, mentre l’ombra del Dio la tratteneva.

“Di fatti non ti uccido. Mi sono divertito e questo mi basta. Era ovvio che non potessi battermi in un combattimento. Sono il Dio della Guerra, santo me stesso! Mica un pirla qualsiasi!” rise Mihael.

“Quindi sapevate già come sarebbe andata a finire?”.

“Sì. E sapevo anche che saresti stata tu la mia avversaria”.

“E come mai Kaos non vuole che io muoia?”.

“Questo non lo so. Lo saprai, prima o poi, immagino…”.

“E…quindi…?”.

“Quindi avevo già deciso che ti avrei dato l’oggetto proibito, ma volevo passare il tempo. Non avevo mai combattuto con una creatura come te prima d’ora”.

Detto questo, tirò la catenella che aveva al collo, estraendola da sotto la corazza. Appesa ad essa stava un anello nero e argentato, molto grosso e con incisioni magiche.

“Quello è l’oggetto proibito?”.

“Proprio questo, mia cara amichetta di Kaos”.

Sganciò la catenella e la porse alla mortale. Lei, dapprima titubante, allungò la mano e tenne sospesa fra la nebbia delle sue mani.

“Quello amplificherà le tue possibilità” spiegò il Dio “Ti renderà materiale, con un corpo fisico e solido, oppure il contrario. Sarai totalmente incorporea. La cosa ti alletta?”.

Lehelin sorrise ed annuì. Fissò l’anello e se lo rigirò fra le mani, incuriosita e soddisfatta. Il cerchio magico in cui si erano scontrati scomparve, permettendo agli altri nove viaggiatori di avvicinarsi. Thuwey era in adorazione, fissando il Dio del suo popolo con grandi occhi ramati.

“Non fissarmi come un pesce fesso!” lo rimproverò Mihael.

Il Metallo si scosse, non riuscendo a credere di avere la sua divinità così vicina.

“Spero di rivedervi presto, ragazzi. Ora, però, andate. Io vado a farmi quattro chiacchiere con il Dio dell’Aria, il caro Loreatehenzi” parlò Mihael, rinfoderando la spada.

Nessuno sapeva esattamente cosa dire. Si limitarono a fare un cenno con la testa, mentre la divinità si allontanava, con un gran rumore di ferro che sbatte.

 

Camminando lungo il sentiero, costellato da alberi argentati e piccoli villaggi, capirono dopo pochissimo che qualcosa non andava. C’era un insolito silenzio. Ed un’insolita calma. Thuwey incitò il gruppo ad aumentare il passo, per precauzione. Si udì un grido e Reishefy, che chiudeva la fila, era scomparsa.

“Reishefy! Dove sei?” la chiamò Hanjuly.

L’Elettricità era tenuta stretta da Innavoig, mezzosangue di Terra e Roccia, che le chiudeva la bocca con la mano, ignorando le scosse che lanciava la ragazza. I nove tornarono indietro di qualche passo e si ritrovarono nella stessa situazione. Danjell, Kire e Semar presero Hanjuly, Enki ed Idisi, sfruttando la loro parte di DNA di Fuoco, indebolendole all’istante con il calore trasmesso. Anyram bloccò ogni mossa a Kassihell, usando il gelo del Ghiaccio. Omokaig, in parte di Luce, lanciò un fortissimo lampo ed accecò Lehelin, facendole perdere i sensi. Roary, per metà d’Oscurità, avvolse Efrehem e ne catturò l’energia. Questi svenne, come la sua compagna di viaggio. Neziar, usando l’elettricità, tramortì il Metallo. Arual, sollevandolo in aria, immobilizzò Mattehedike ed infine Araik, per metà Terra, avvolse Aherektess fra le fronde vegetali che controllava. Questo attacco produsse in tutti lo stesso risultato: dopo pochi istanti, erano tutti privi di forze e lucidità.

 

La prima a risvegliarsi fu Hanjuly. Si sentì molto strana e non a torto: era appesa a testa in giù per le caviglie, con i polsi legati dietro la schiena. Le bastò poco per capire che anche tutti gli altri suoi colleghi erano nella stessa situazione, tranne Lehelin che era avvolta da luce pulsante da ogni angolo. Il Ghiaccio si dimenò un po’, furiosa perché non aveva tutte le sue cose con sé e non le vedeva nella stanza. Era una sala piuttosto spoglia, con poche finestre ed una porta grigia, che scompariva sulla parete dello stesso colore. Il pavimento ed il soffitto erano quasi neri, lucidi. Probabilmente, pensò Hanjuly, erano fatte di un qualche tipo di metallo e quindi non si erano allontanati dal regno nativo di Thuwey. Si disse che, in fondo, erano solo supposizioni e che l’importante era svegliare i suoi compagni. Su una sedia, l’unico arredamento della stanza, stava seduto Innavoig, un ragazzo col codino biondo vestito di verde con spuntoni di roccia lungo il corpo. Leggeva un libro e girò solo distrattamente gli occhi, quando Hanjuly lo chiamò.

“Chi sei tu?” lo apostrofò “Dove mi trovo?”.

Il mezzosangue non rispose. Il Ghiaccio si arrabbiò per questo ed iniziò ad urlare, sperando di risvegliare i suoi compagni.

“Cos’è tutto questo casino?!” sbottò Kire, entrando di corsa nella stanza.

“Si è svegliata la biondona” rispose Innavoig, senza togliere gli occhi dal libro.

Kire si avvicinò al Ghiaccio, con calma: “Non agitarti. Non costringermi a far venire qui il mio gemello cattivo” le disse.

“Vaffanculo, sanguemisto!” sibilò lei, sputandogli in faccia.

“Come vuoi” si limitò a dire “Innavoig, resta qui ancora per un po’. Ti mando Semar appena possibile. Elehcim non resterà lontano a lungo. Se fanno troppo casino, imbavagliali!”.

I due mezzosangue si fissarono per un istante e poi Kire uscì, senza aggiungere altro.

I viaggiatori iniziarono a riprendersi, uno dopo l’altro.

“Dove avete messo tutti i nostri oggetti proibiti?” gridò Kassihell, appena si accorse di non portare più il suo al collo.

“Lasciateci andare!” sbraitava Thuwey.

“Mi va il sangue alla testa!” piagnucolò Reishefy.

“Sarebbe la prima volta…” sbottò Mattehedike.

Ognuno di loro portava dei bracciali arancio. Non ci misero molto a capire che erano quelli a risucchiare la loro energia ed impedirgli di usare la loro magia per liberarsi. L’unica senza quelle precauzioni era Lehelin, perché totalmente immobilizzata dalla luce che l’avvolgeva. A causa di questo, si era rimpicciolita e restava immobile, raggomitolata. Era l’unica in silenzio. Gli altri nove, al contrario, urlavano e si agitavano, tentando di liberarsi.

Semar, appena entrò, imbavagliò Reishefy ed Hanjuly, quelle con la voce più fastidiosa, e poi iniziò a giocare a carte con Innavoig.

“Che intenzioni avete?” domandò Efrehem “Tenerci qui fino a quando? Che volete? E dove avete portato i nostri oggetti proibiti?”.

“Stai buono, nanerottolo! Altrimenti imbavaglio pure te!” rispose Semar.

Passò diverso tempo prima che la porta della stanza si riaprisse. Entrò Elehcim, con gli immancabili occhiali da sole ed il ghigno soddisfatto.

“Com’è la situazione qua?” domandò e Semar sorrise.

“Sono tutti tuoi” gli rispose.

Elehcim camminò, con le mani dietro alla schiena, fino all’Oscurità: “Ciao Lehelin. Chi non muore, si rivede!” disse, chinandosi e tirandole su la testa di peso, costringendola ad essere inondata di luce.

“Ciao” gemette lei, senza riuscire a dire altro.

“Chi è questo qui?” le domandò Aherektess “Che vuole?”.

“Chi sono e che cosa voglio puoi chiederlo direttamente a me, piumino per la polvere ambulante! Ci sento benissimo e sono in grado di parlare!” sibilò Elehcim, continuando a stringere fra le mani piene di magia un grosso ciuffo di capelli fumosi dell’Oscurità.

Il suo potere era amplificato in quella stanza di metallo e riuscì perfino a graffiarle il viso, modificando le dita in modo da renderle taglienti. Sorrise quando vide il liquido nero sgorgare.

“Che intenzioni hai?!” ringhiò Thuwey.

“Non di uccidervi, se è questo che vuoi sapere. Purtroppo agli Dèi state simpatici. Voglio, però, offrirvi una scelta” spiegò, portandosi gli occhiali scuri fra i capelli, mostrando ai presenti le sue iridi rosse come il fuoco.

Kassihell lo fissava negli occhi, trovandoli familiari e fastidiosi, con sfida.

“Noi siamo mezzosangue…” continuò a parlare Elehcim “…e, ovviamente, non vogliamo che continuiate questo viaggio. I motivi direi che sono più che ovvi: sopravvivenza! Vi sarete resi conto che avremmo potuto eliminarvi, ma non lo abbiamo fatto. Non vi vogliamo morti…semplicemente tornatevene a casa, da bravi, e ci renderete felici. Vi offro la libertà, in cambio della vostra rinuncia all’evocazione. In caso non accettiate, rimarrete attaccati lì fino a quando ne avrò voglia. Ovviamente, se mi annoierò, troverò il modo di passare il tempo con voi. Gli Dèi non vogliono vedervi morti…ed io non vi ucciderò! Nessuno di noi vi ucciderà ma…esistono cose peggiori!”.

I compagni rimasero in silenzio, senza sapere bene cosa dire.

“I vostri oggetti proibiti li abbiamo noi, al sicuro, e non li riavrete. A voi la scelta: o tornate a casa, e dimenticate questa storia, oppure fate i prosciutti viventi fino a quando la cosa vi stancherà. Vi lascio il tempo di pensarci. Dormiteci su…se ci riuscite! Buonanotte, Lehelin!”.

Le lanciò uno sguardo d’odio e soddisfazione nel vederla lì, immobile, ed uscì dalla stanza, ridendo. Fuori era buio ormai ma i viaggiatori, capovolti com’erano, di certo non avrebbero dormito.

 

Uscendo lungo il corridoio, Elehcim sbadigliò, stanco. Era molto tardi ed il suo cervello non gli dava tregua, con mille pensieri, dubbi, rabbia e follia. Non dormiva in modo decente da giorni. Camminò senza incrociare nessuno, erano quasi tutti a letto da tempo. Si trovavano in uno di quegli edifici in cui i mezzosangue trovavano rifugio, in buona parte sotterraneo e celato agli sguardi. Erano stati stabiliti dei turni di guardia, i viaggiatori erano sorvegliati e non avrebbero potuto mai fuggire. Nonostante questo, Elehcim non era tranquillo. Entrò nella sua stanza lentamente, attento a non svegliare Orebrec che dormiva placidamente sul pavimento. Aveva fatto portare gli oggetti proibiti proprio lì, fidandosi dell’infallibile fiuto del suo animale, che aprì un occhio per controllare chi fosse entrato.

“Dormi, Orebrec” lo tranquillizzò il padrone.

Nel buio, prese fra le mani la catenella con l’anello di Mihael. Se lo rigirò fra le dita, ancora sporche del sangue nero di Lehelin. L’oggetto si macchiò ed Elehcim lo ripose sul comodino scuro, ripromettendosi di pulirlo il giorno successivo. Ora era troppo stanco perfino per quello. Scaraventò il cuscino in terra, con rabbia, perché troppo morbido. Si addormentò profondamente non appena si distese. Così facendo, non si accorse che l’anello, percependo l’essenza della sua custode, si era attivato e fluttuava nell’aria. Senza emettere un suono, senza tintinnare, evitando di svegliare Orebrec, uscì da quella camera tramite una piccola fessura fra il pavimento e la porta. Non si fermò finché, avvolto dal buio e del tutto invisibile, riuscì a tornare al collo della sua portatrice Lehelin.

 

“Ma che…?!” borbottò Thuwey, sentendo un tintinnio strano ed intravedendo uno scintillio argentato al collo dell’Oscurità.

Lei era altrettanto stupita. Nel momento stesso in cui l’anello le toccò la pelle, il corpo di nebbia iniziò a mutare, divenendo solido e lucido, e la luce non la infastidì più. In un attimo, fuggì dal cerchio di luminosità pulsante e fu libera. Sorrise. Si guardò attorno e vide che Semar, il mezzosangue che avrebbe dovuto sorvegliarli, dormiva placidamente, con il colletto della maglia alzato fino a metà del viso.

“Ora vi libero” sussurrò Lehelin, rivolta ai suoi compagni “Fate piano”.

Uno dopo l’altro, tutti i dieci viaggiatori furono liberi ed in terra.

“E adesso?” mormorò Hanjuly, mentre il corpo dell’Oscurità tornava al solito aspetto.

“Usciamo…non vedo alternative” rispose il Metallo, invitando tutti a togliersi i bracciali di contenimento della magia che portavano ai polsi.

Kassihell aprì cautamente la porta e guardò fuori. Il corridoio era deserto e fece segno agli altri di seguirlo, con cautela.

“E gli oggetti proibiti?” domandò Efrehem.

“Dobbiamo trovarli…concentratevi! Forse vi lanceranno dei segnali…” sussurrò Aherektess.

“Come abbiano fatto a togliere i miei bracciali, resta un mistero…” borbottò Thuwey.

Camminavano lentamente, nel silenzio totale, quando un profondo latrato li fece sobbalzare. Orebrec li aveva percepiti e stava avvisando il suo padrone. Era lontano, forse proveniva dal fondo del corridoio, mentre l’uscita, la vedevano, era dalla parte opposta.

“Che facciamo?” piagnucolò Enki.

“Presto questi si sveglieranno. Usciamo…torneremo a riprenderci ciò che è nostro quando sarà più sicuro” ordinò il Metallo, non ammettendo repliche.

“Non possiamo combattere?” sbottò la Roccia.

“Non sappiamo nemmeno quanti sono!” gli rispose Kassihell “Presto, andiamocene!”.

Iniziarono a correre quando una raffica di spuntoni di metallo e fuoco sfiorò la compagnia. Nessuno venne colpito ma si immobilizzarono, girando la testa di scatto.

“Dove credete di andare?!” tuonò Elehcim, con ancora le mani appoggiate lungo le pareti metalliche da cui aveva ricavato gli spuntoni.

“Ancora questo qui?! Sta iniziando ad infastidirmi!” sibilò il Fuoco “Lasciatelo a me!”.

“La tua spada non può ferirlo, è per metà Metallo” disse Thuwey, notandone l’aspetto “Ed il tuo elemento tanto meno. Ti ucciderebbe”.

“Ci penso io” parlò l’Oscurità.

“Cosa hai in mente?” le sussurrò Aherektess.

“Stai a guardare…”.

“Ma sei ancora debole e di dimensioni ridotte a causa della luce!”.

“Sono abbastanza grande per fare ciò che ho in mente!”.

Il sanguemisto richiamò le fiamme, che ricoprirono le sue mani. Inferocito, iniziò a correre. Lehelin non disse nulla, ma fece altrettanto. Anche lei corse, fra lo stupore degli altri nove viaggiatori.

“La ucciderà!” esclamò Reishefy “Il contatto diretto con la luce delle fiamme la dissolverà!”.

Correndo, entrambi lanciarono un grido sempre più alto fino a quando non si incontrarono. L’Oscurità strinse fra le mani il suo oggetto proibito qualche secondo prima, e scomparve.

Elehcim si contorse, piegandosi prima in avanti e poi all’indietro. Tutto il suo corpo si mosse convulsamente, come senza controllo, e poi si fermò, leggermente chinato in avanti. Si rialzò, lentamente, guardandosi le mani. Sorrise, trionfante, muovendo la testa a destra ed a sinistra per sciogliere i muscoli del collo.

“Che cosa è successo?! Dov’è Lehelin?!” domandò Enki.

“Ciao ragazzi” salutò il sanguemisto, mostrando le tre ombre proiettate sul muro: quella centrale era quella dell’Oscurità.

“Che le hai fatto, mostro?!” urlò Aherektess.

“Abbassa la voce! Ragazzi, sono io! Lehelin! Ho preso il controllo del corpo dell’avversario, grazie all’oggetto proibito” parlò Elehcim.

“Provalo!” rispose Hanjuly, sospettosa “Provami che non è tutto un trucco!”.

“Come?”.

“Non lo so. Come vuoi…ma fallo!”.

“Non posso. Fidatevi. E seguitemi. Vi porto dove sono gli oggetti proibiti. Facciamo presto…quest’uomo ha un casino in testa, è difficile da controllare!”.

Elehcim posseduto partì spedito lungo il corridoio. Gli altri lo seguirono, non vedendo alternative. Camminarono senza incontrare nessuno.

Possibile che non si svegli nessuno?! Razza di sordi…” protestava il mezzosangue, nella sua testa.

Si vede che sono abituati a sentirti dare i numeri!” commentò Lehelin, sempre mentalmente.

Non ti porterò dagli oggetti proibiti!”.

Tranquillo, che non mi serve la tua collaborazione!”.

La volontà di Elehcim, per quanto si sforzasse, non riusciva a sovrastare il potere dell’oggetto proibito che lo possedeva.

Raggiunsero la camera. Con naturalezza, il sanguemisto estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e l’aprì. Appena entrati, Orebrec iniziò ad abbaiargli contro, percependo che quello non era totalmente il suo padrone.

“Chiudi la bocca!” sibilò Elehcim ed inaspettatamente l’animale obbedì “Voi prendete gli oggetti proibiti ed il resto. Io rimango sulla porta, nel caso arrivi qualcuno. Fate presto!”.

Ognuno trovò la propria roba, Thuwey prese anche la borsa di Lehelin.

“Ci siamo. Possiamo andare” informò Idisi e la compagnia uscì, stando attenti a non fare rumore.

La mente di Elehcim combatteva con tutte le sue forze per contrastare il controllo di Lehelin, che però aveva dalla sua parte il sostegno degli Dèi. Il gruppo uscì lungo il corridoio, deciso a guadagnare l’uscita. Lehelin si stava divertendo un sacco. Non era abituata ad un corpo fisico e la sensazione che dava il fatto di sentire ogni cosa in modo diverso le piaceva. Le piacque perfino quando, uscendo dalla camera, sbagliò il controllo delle gambe e picchiò contro la porta con il piede, violentemente. Elehcim bestemmiò mentalmente, avvertendo la scossa di dolore. L’Oscurità ignorò la sua voce e sorrise, sperimentando diversi movimenti con gli arti. Saltellò, provando ogni movimento del corpo, ignorando le proteste che le rimbombavano in testa e che le ricordavano a chi appartenesse quel corpo e che non gradiva romperlo.

“Come fate davvero non lo so…” mormorò Lehelin “…siete così goffi, voi fisici”.

Proseguendo, incrociarono due sanguemisto. Si tenevano per mano e si sorridevano, ridacchiando. Erano Danjell e Roary. Elehcim ed il gruppo passarono oltre. L’Oscurità percepì vagamente una scarica di fastidio nella testa ma ignorò la cosa.

“Ele? Tutto bene?” parlò Roary.

Lehelin non rispose.

Sei tu Ele, scema!” borbottò il mezzosangue posseduto, mentalmente.

“Sì, tutto bene. Perché?” parlò, allora, con il tono piatto e distaccato che gli aveva sentito usare.

“Non ci dici niente…”.

“Che cazzo dovrei dirvi?!”.

“Di solito commenti sempre quando ci vedi assieme…”.

“Ho altro per la testa. Fate quello che volete!”.

“Dove porti i prigionieri?” domandò Danjell, cambiando argomento.

“Fuori. Come vedi, manca uno di loro ed è perciò impossibile che portino a termine la loro missione”.

“Cos’hai combinato questa volta?!”.

“Mi son fatto prendere la mano” ghignò Elehcim.

Non disse altro e si avviò verso l’uscita, seguito dagli altri nove compagni.

“Andiamo a chiamare Kire…la cosa mi insospettisce” disse Roary, sottovoce.

“Pure a me la cosa puzza. Andiamo” concordò Danjell, senza lasciarle la mano ed avviandosi verso le camere, in cerca del loro capo.

Sei geloso! A momenti ci beccavano perché lo sei!” protestò Lehelin.

Son tutte paranoie e stronzate! Cosa vuoi che me ne freghi se quei due stanno assieme?!” fu la risposta, ma l’Oscurità capiva che stava mentendo.

Riusciva a leggerne ogni pensiero e ricordo, ed era certa che lui riuscisse a fare altrettanto.

“Elehcim!” chiamò qualcuno.

“Che altro c’è adesso?!” sbottò Kassihell.

“Kire…non dormi?” domandò il posseduto.

Il gemello era spettinato ed avvolto in un mantello stropicciato. Era evidente che fosse stato buttato giù dal letto di colpo.

“Dove li stai portando? Non erano questi gli accordi!”.

“Lo so, Kire, ma vedi…la mostricciattola dell’Oscurità non c’è più. Perciò…”.

“Che hai fatto?! Sei impazzito del tutto?!” interruppe il gemello.

“Ti avevo detto di lasciarla a me…”.

“Sì, è vero, ma non pensavo…”.

Kire non finì la frase. Si avvicinò al gemello, circospetto. Lehelin rimase calma, stando attenta ad ogni dettaglio. Incrociò le braccia del corpo di Elehcim ed alzò leggermente la testa.

“Tu chi sei?” domandò Kire.

“Sono tuo fratello, coglione!” sbottò il posseduto.

“Io conosco bene il mio gemello, e non sei tu. Lui, nonostante tutto l’odio e la rabbia che ha dentro di sé, come tutti noi sanguemisto del resto, era d’accordo sul fatto di non uccidervi!”.

“Mica tanto…” pensò Elehcim “…comunque…”.

“Tu non sei mio fratello. Chi cazzo sei, dunque?”.

Ci fu silenzio per qualche istante, in cui il posseduto ghignò.

“Suvvia, sono io! Sono Elehcim! Fammi pure tutte le domande che vuoi!”.

“Tu sei l’incantatrice, ne sono sicuro!”.

“Sono Elehcim…”.

“Chi sono i nostri genitori?”.

Lehelin sorrise e sfogliò, in fretta, le pagine della memoria di Elehcim, in cerca della risposta. Trovandola, non riuscì a trattenere un “Oddio!” di stupore.

“Chi sei?!” sbraitò Kire.

Hanjuly scattò in avanti e puntò la sua arma contro la gola del posseduto, ghiacciandola.

“Lasciaci andare!” sibilò “Se non vuoi che lo uccida!”.

Kire non sapeva cosa dire. Era immobile, spaventato e confuso.

“Io sono Lehelin, è vero…” parlò l’Oscurità, con la sua vera voce “…con un cenno, la mia compagna di viaggio affonderà quella lama ghiacciata nella gola del tuo gemellino. Io non subirei danni e tu…avresti un funerale da celebrare! Lasciaci andare ed io uscirò dal corpo di tuo fratello, o preferisci che lo uccida ordinando al suo cuore di esplodere?”.

“No, ti prego!” si affrettò a dire Kire “Mio fratello è tutto ciò che ho”.

“Stupido! Non lasciarli andare!!” gridava Elehcim, nella sua testa “Stupido! Non conta la mia sorte! Si sono ripresi gli oggetti proibiti, non lasciarli proseguire!”.

“Siete liberi di andare” parlò il sanguemisto “Prometto che nessuno di noi vi seguirà. Siete liberi. Andatevene. Però ridatemi mio fratello”.

“Abbiamo la tua parola?” mormorò Kassihell, poco convinto.

“Parola d’onore. Vi lascio andare. Avete vinto…”.

“Ricorda che, se non mantieni fede alla promessa che ci hai dato, la prossima volta che incrocerai il mio sguardo, qualunque sia la circostanza, darò ordine al tuo cuore di fermarsi” minacciò Lehelin.

“Ho capito. Non succederà”.

Il gruppo, spalancando la porta verso l’esterno, cominciò ad uscire. Kire diede ordine alle guardie che la sorvegliavano di farli passare. L’ultima della fila fu Lehelin nel corpo di Elehcim. Si girò e chiuse gli occhi. Il sanguemisto e l’Oscurità si staccarono. Lui fu fiondato all’indietro e cadde in terra, in malo modo.

“Cazzo!” mormorò, tossendo per riprendere il controllo del suo corpo.

Nel frattempo, i dieci prescelti del regno di Asteria sparivano all’orizzonte, a passo svelto.

“Come stai?” domandò, preoccupato, Kire.

“È stata l’esperienza più traumatica della mia vita ma, per il resto…sei un coglione!” protestò Elehcim, senza rialzarsi “Perché li hai lasciati andare?! Restano solo due oggetti proibiti e poi saranno in grado di effettuare l’evocazione e portare a termine la missione! Apparirà la Creatrice e saremo annientati, distrutti! Dovevi lasciare che mi uccidessero e tornare a catturarli!”.

“Non potrei mai fare una cosa del genere! Preferirei morire con te accanto, piuttosto che vivere a lungo senza il mio gemello. Siamo sempre stati legati. Non faresti lo stesso?”.

“Hai condannato tutta la nostra specie!”.

“Noi non abbiamo una specie! E poi…non è detto!”.

“È dettissimo, invece! Sei un pazzo! Un idiota!”.

“Dì quello che vuoi. Ormai è fatta. Ora và a letto e sfrutta le ultime ore prima dell’alba per riposare. Ti farà bene darti una calmata!”.

Elehcim guardò il gemello con odio, mentre questi si allontanava verso le camere. Dietro di lui, Danjell e Roary, desiderosi di verificare se la loro intuizione era esatta, fecero lo stesso. Molti altri sanguemisto si erano svegliati, a causa del rumore, ma non dissero nulla, intimoriti dagli occhi infuocati del gemello di Kire.

“Maledetti…” mormorò Elehcim, rimanendo seduto in terra ancora un po’.

 

†††

 

“Sei stata davvero ingegnosa” parlò il Fuoco, mentre correvano, rivolto all’Oscurità.

“Merito del mio oggetto proibito” rispose lei.

“E dell’idea geniale di Hanjuly!” concluse Efrehem.

“Grazie!” rise il Ghiaccio.

“Nella testa di quel mezzosangue…” iniziò Lehelin, rivolta al Metallo “…ho visto che hanno un potente esercito, pronto ad attaccare. Sono in molti e sono forti. Credo sarebbe meglio avvisare la tua gente…”.

“Il castello è di strada” rispose Thuwey “Mi basterà passarci ed avvisare i soldati sotto il mio comando. Così facendo, i militari del regno saranno allertati e pronti”.

“Non è che, magari, possiamo riposarci, nel frattempo?” ansimò Enki.

“Siamo sufficientemente lontani da loro, mi sembra…” si aggiunse Efrehem.

“A me sta bene. Montiamo dei turni di guardia, però!” rispose il Metallo.

“Ci penso io. Non sono affatto stanca!” esclamò Lehelin, sentendosi finalmente utile.

Protetti da una radura argentata, i viaggiatori si ristorarono, procurandosi del cibo fra gli alberi e lungo il fiume che scorreva lì vicino. Si lavarono, mangiarono e poi crollarono addormentati. L’Oscurità guardò gli sposi della notte tramontare, con un sorriso sulle labbra.

 

Al sorgere di Sirona, Lehelin era seduta all’ombra di un albero. Capì subito chi era quell’uomo che si stava avvicinando: “Vattene, due ombre. Torna indietro” gli disse, quando fu abbastanza vicino.

Aveva le mani sporche di sangue. Doveva aver sfogato parte della sua rabbia su qualche malcapitato che aveva tentato di fermarlo o farlo ragionare. O, semplicemente, che aveva inavvertitamente incrociato la sua strada.

“Nessuno può farmi ciò che mi avete fatto e sperare di passarla liscia!” le rispose, irato, Elehcim.

“Sei solo. Noi siamo in dieci. Se li sveglio, ti uccideranno. Torna in te e torna indietro, è meglio”.

“No”.

“Io non voglio dare l’allarme. Non voglio la tua morte. Torna a casa”.

“Non mi muovo da qui. E nemmeno voi. A costo di ridurre in pezzi ogni oggetto proibito a morsi!”.

Aherektess, il membro della compagnia con l’udito più fine, percepì il vociare dei due e si svegliò. Dalla cima dell’albero su cui era appollaiato, stropicciò gli occhi e guardò giù. Riconobbe subito colui che stava parlando con Lehelin e scese in picchiata, frapponendosi tra lui e lei, spade in pugno. Le puntò entrambe contro il sanguemisto, che lo fissò, senza espressione.

“Sono per metà Metallo. Non puoi farmi nulla con le tue armi” si limitò a dire.

L’Aria non rispose: “Stai bene, Lehelin?” domandò.

“Benissimo. Posa le spade. Sono certa che uno scontro diretto non è necessario”.

“Parla per te!” sibilò Elehcim, evidentemente fuori controllo ed alterato da rabbia e frustrazione.

Richiamò a sé il potere del fuoco e lo lanciò. Aherektess abbassò l’Oscurità appena in tempo. Kassihell, percependo l’uso del suo elemento, si svegliò e mise in allarme gli altri.

“Di nuovo tu?! Cazzo, che due coglioni!” sbottò, arrabbiato per essere stato svegliato.

“Vattene, ora che ancora puoi” suggerì, di nuovo, Lehelin.

Il mezzosangue non si mosse. Incrociò le braccia e fissò l’Oscurità senza parlare.

“Questa volta non torni a casa, bello!” lo minacciò Mattehedike.

“Non tutto intero, perlomeno!” precisò il Fuoco.

“Oh, no di certo! Con te ci divertiremo un po’!” sghignazzò Reishefy.

“Calmi, ragazzi!” si stupì Idisi “Così passiamo dalla parte del torto! È da solo…”.

“Non perdete tempo con inutile pietismo. Io sono pronto ad affrontarvi…uno dopo l’altro!” mormorò Elehcim, ghignando.

“Tu sei pazzo!” commentò Hanjuly e lui, di tutta risposta e velocissimo, lanciò una piccola fiammata contro di lei.

“Tu mi hai rotto!” sbottò Kassihell, sfoderando la Katana, e correndo contro al sanguemisto.

Questi mutò le sue braccia, facendole divenire due lunghe spade, ed iniziò a combattere. Non aveva una tecnica buona come quella del Fuoco ma, anche se veniva colpito, il suo corpo non veniva ferito e nemmeno scalfito. Efrehem tentava di far notare la cosa al suo compagno di viaggio, inutilmente.

“Vai a casa, mezzosangue, se non vuoi che il nostro attacco sia combinato!” lo minacciò il Ghiaccio, con la sua arma fra le mani.

“Non vedo l’ora!” rispose il sanguemisto.

“L’hai voluto tu…” sospirò Aherektess.

 

†††

 

“Elehcim! Fai star zitto il tuo dannato animale!” tuonò Roary, battendo violentemente sulla porta della camera del suo collega.

“Calmati…” tentò di tranquillizzarla Danjell, passandole una mano lungo il braccio più volte.

Orebrec continuava a latrare contro la finestra da cui il suo padrone era uscito.

“C’è qualcosa che non và. Di solito Elehcim non lo lascia abbaiare senza motivo!” disse Danjell.

Tentò di aprire la porta, girando il pomello d’ottone. Sapeva che il suo collega era paranoico e dormiva chiudendosi a chiave. Quando l’uscio si mosse, si accorse che qualcosa non andava. Entrò nella camera, buia e fredda per via della finestra spalancata, ed Orebrec si calmò.

“Qui non c’è nessuno!” esclamò il sanguemisto.

“Dev’essere andato dietro ai dieci rompimaroni…” commentò Roary.

Kire camminava lungo il corridoio, in preda all’insonnia e desideroso di mantenere un controllo sul gemello. Non aveva previsto che potesse scappare dalla finestra. Non lo credeva così folle. Capì al volo l’accaduto, non appena Danjell e Roary uscirono dalla camera.

“Quell’idiota è corso dietro ai prescelti…” mormorò, incredulo.

Senza dire altro, entrò rapido nella camera del gemello. Salì in groppa ad Orebrec e lo incitò affinché  uscisse all’aperto.

“Dove vai?” domandò Roary.

“A riprendermi colui che possiede il mio stesso DNA” sbottò e corse via, illuminato da Sirona.

 

†††

 

Elehcim pareva divertirsi. I dieci non volevano ucciderlo, ma lui non demordeva e si faceva sempre più violento. Idisi richiamò la magia della Terra e lo immobilizzò, avvolgendolo di rami, radici e foglie d’argento. Quelle piante erano irte di spine, ma graffiavano solamente la pelle del mezzosangue, che le bruciò con facilità, liberandosi. Mattehedike controllò la roccia e tentò di fermarlo. Il calore che riusciva a richiamare Elehcim, però, lo sciolse rapidamente da quella morsa. Enki sfruttò l’acqua ed Hanjuly il ghiaccio. Il sanguemisto sentì pungere la pelle e qualche piccolo graffio apparve qua e là lungo il suo corpo. Perse solo qualche goccia di sangue argento. Lehelin non faceva nulla. Per lei, per quanto potesse essere pieno di rabbia e determinato, non meritava di morire, pur essendo consapevole che, se non lo avessero ucciso loro, sarebbe stato lui ad uccidere qualcuno del gruppo con la sua follia omicida.

“Solo con un attacco combinato potete sperare di fargli del male…” disse Efrehem, rimanendo pure lui al di fuori di quello scontro.

Hanjuly guardò Aherektess ed i due si capirono al volo. Enki lanciò acqua contro l’avversario, mista all’elettricità di Reishefy. Elehcim gemette, sentendo sfrigolare la pelle e lo scorrere delle scosse lungo il suo sangue metallico. Aherektess individuò i punti in cui erano penetrati gli elementi delle sue compagne ed indirizzò lì, a forte velocità, le punte di ghiaccio create da Hanjuly. Queste si piantarono in profondità. Il mezzosangue si fermò, con tutte quelle stalagmiti sul corpo. Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Si scaldò e le punte si sciolsero, lentamente. Ferito, con un inconfondibile sapore metallico in bocca, non smise di attaccare. Gridando, riprese a lanciare palle di fuoco. I viaggiatori erano sconcertati da quel comportamento.

“Asteria è condannata. Moriremo tutti, in qualunque modo vada la vostra missione. Ormai è tardi…” sbiascicò, sputando sangue “…è tardi! Moriremo tutti. Moriranno i mezzosangue, moriranno i sanguepuro, morirò io, morirete voi…BUM!”.

Sanguinando copiosamente, riusciva comunque ad attaccare in modo pesante ed i viaggiatori dovevano stare molto attenti. Enki, Idisi, Reishefy ed Hanjuly furono le prime a farsi colpire, probabilmente perché si stavano stancando nella lotta. Thuwey si teneva a debita distanza, sapendo bene di non poter fare nulla contro quella creatura. Osservava la scena, assieme a Lehelin ed Efrehem. Idisi tentò di colpire il sanguemisto con la sua arma di legno ma, non appena vide che lui, sfiorandola, la bruciava, desistette e riprese con la magia.

“È un osso duro!” commentò Kassihell, respingendo i colpi di fuoco rivolti verso la compagnia.

Quando Elehcim iniziò ad usare il suo sangue come arma, trasformandolo in affilate punte di metallo, anche Thuwey rientrò nella battaglia, difendendo il gruppo.

“La sua magia è molto potente…” commentò, disperdendo quei colpi all’ultimo istante.

Guardandosi, i compagni capirono che, se non lo avessero ucciso, sarebbero stati loro a cadere per mano di quell’essere che pareva non provare nemmeno dolore o stanchezza. In realtà provava entrambe quelle spiacevoli sensazioni, eccome, ma non voleva di certo mostrarlo a quel branco di spacca balle!

Lo colpirono di nuovo, con scosse e punte di ghiaccio, ma lui restava in piedi, ghignando. Si fissarono, con rassegnazione, pronti ad un attacco combinato di gruppo. Aherektess sollevò in aria l’avversario. Elehcim si concentrò, richiamando il metallo che scorreva dentro di lui. Ricoprì la sua pelle. Si trovava a parecchi metri da terra, quando iniziò a precipitare. L’aria sopra di sé lo spingeva, facendolo accelerare ulteriormente. Chiuse gli occhi e si preparò all’impatto con il suolo ma non trovò il terreno ad attenderlo. L’acqua di Enki investì la sua schiena, che si insinuò fra le sue vesti stracciate. Bruciava come acido quell’elemento carico di magia. Gridò, non preparato ad una cosa del genere. Continuò a cadere e, senza aver modo di ricreare la barriera di metallo lungo la schiena, corrosa dalla magia della principessa dell’Acqua, si sentì trafitto da enormi stalagmiti fatte di ghiaccio, roccia, legno ed elettricità. Le sentì attraversare il suo corpo in più punti. Il torace, il ventre, le gambe, le braccia…solamente la testa rimase al di fuori di quel tappeto di morte. Il suo sangue argento iniziò a scorrere copiosamente. Tossì, cercando invano di prendere aria in quei polmoni dilaniati e pieni di liquido metallico. Perché il suo cuore si ostinava a battere? Si chiese, ad occhi spalancati. Anche i dieci alleati si chiedevano la stessa cosa. Era orribile vederlo in quello stato. Enki si nascose dietro ad Idisi, piangendo nel sentirlo gemere. Lehelin camminò verso di lui. Allungò la mano d’ombra sul petto del nemico. Chiuse gli occhi e poi li spalancò. Il mezzosangue non gridò, mentre il suo cuore si fermava. Mormorò un “grazie” e solo allora i suoi occhi color fiamma si spensero, divenendo vitrei. L’Oscurità gli chiuse le palpebre e non disse nulla.

“Anche la tua pelle fa così se la colpisco con l’acqua?” domando Enki, rivolta a Kassihell.

“Solamente se è piena di magia” rispose il Fuoco.

“Andiamo. Mi è passato il sonno. E pure la fame” commentò Thuwey.

In silenzio, presero le proprie cose e solo in quel momento si accorsero che Kire era corso fino lì, ma era arrivato tardi. Fu l’uggiolare sommesso di Orebrec che fece notare la cosa al gruppo. Kire era smontato dalla bestia ed era in piedi, accanto al corpo senza vita del gemello. Non piangeva ma il suo sguardo esprimeva tutto.

“Ve la farò pagare…” mormorò, fissando con odio i dieci.

“Ve la farò pagare!” ripeté, con più voce “Fosse l’ultima cosa che faccio! Ci rivedremo, maledetti bastardi, e sarà la vostra fine!” urlò.

Thuwey incitò i suoi compagni ad accelerare, diretti verso il castello. Kire, invece, si chinò sul gemello. Gli passò una mano sui capelli, come saluto.

“Che succede, Kire?” domandò Semar, per poi esclamare un “Cazzo!” accompagnato da un sussulto quando vide Elehcim.

Un piccolo gruppetto di sanguemisto, più o meno una ventina di creature, avevano seguito il loro capo non appena avevano saputo che si era allontanato.

“Date inizio all’attacco finale” sussurrò Kire.

“L’attacco finale? Ma non è ancora ben studiato…”.

“Ho detto: date inizio all’attacco finale. Lui avrebbe voluto così…” ribadì il capo, stringendo i pugni e non staccando gli occhi dal fratello.

“Sì. Va bene. Andiamo ad avvisare gli altri” obbedì Semar.

Alcuni volevano rimanere con il loro capo, ma lui gli fece cenno di andarsene, di lasciarlo da solo. Solamente Orebrec rimase e coprì, con i suoi profondi gemiti, le grida di disperazione di Kire.

 

†††

 

Il castello del regno, e la capitale racchiusa fra le alte mura argentate, erano chiari davanti a loro. Ancora qualche chilometro ed avrebbero raggiunto entrambi. A capo chino, senza parlare, i dieci avanzavano piano. Tutta la storia avvenuta da quando erano entrati in quelle terre aveva instaurato nelle loro menti il germe del dubbio. Era piccolo e quasi muto, ma presente e fastidioso. Era davvero giusta tutta questa faccenda dell’evocazione? Erano davvero loro i “predestinati” a salvare Asteria o, come aveva detto quel mezzosangue, il pianeta era già condannato ed era troppo tardi? Tutta quella fatica…

La luce di Sirona faceva risplendere la vegetazione ed il sentiero. Perfino l’erba sembrava composta da sottili filamenti d’acciaio.

Un grido, acuto e sibilante, simile ad un lungo stridio minaccioso, li sorprese. Aherektess trovò quel verso molto familiare. Alzò gli occhi e vide delle creature alate, a prima vista degli abitanti del regno dell’Aria. In realtà, osservando meglio, non ci voleva molto per capire che erano sanguemisto e quello era il loro grido di guerra. Il terreno ai loro piedi vibrò, comandato da Kire. In groppa ad Orebrec, corse verso la capitale. Ignorò, apparentemente, i dieci viaggiatori. I suoi occhi, rosso fuoco, fiammeggiavano e guizzavano.

“Vogliono distruggere la capitale e far cadere il regno!” si allarmò Thuwey.

“Per poi passare ai regni successivi…” aggiunse Efrehem.

“Spero che i soldati a guardia di Gwydyon siano preparati” mormorò Kassihell.

“Lo sono. La capitale non cadrà in mano loro…” rispose il Metallo, senza celare una certa inquietudine dentro di sé.

Quei militari, i suoi uomini che aveva addestrato lungo gli anni e coloro che lo avevano seguito fin da ragazzo, facendolo divenire ciò che era, stavano per affrontare un nemico a cui di certo non erano preparati. E la regina…

“Dobbiamo raggiungere il castello e fermarli!” esclamò Thuwey, mentre diverse onde di mezzosangue apparivano da ogni punto.

Avanzavano compatti. I viaggiatori, al contrario, si misero a correre veloci, precedendoli. Thuwey conosceva ogni scorciatoia e fece arrivare i suoi compagni alle porte di Gwydyon, la capitale, quando solamente i mezzosangue dell’Aria e Kire erano giunti fino a lì. Garihiele, un alto sanguemisto dagli occhi chiari e le piume azzurre, si muoveva con l’agilità di un ballerino e lanciava palle di fuoco sulla città. Schivava agilmente le frecce ed i colpi con cui rispondevano gli abitanti. Araik, una giovane piuttosto piccina, volava e comandava la Terra, affinché bloccasse i movimenti dei suoi avversari. Arual, librandosi con le sue piume blu, comandava l’Acqua e ne mandava ondate, sfruttando anche la presenza di un fiume attorno alle mura. Monihika, signora di Luce ed Aria, usava tutta la sua magia contro quelle creature impreparate. Handro, un piumato arancione, poteva usare anche l’elettricità, che colpì i soldati e gli innocenti senza preavviso. Antyhela, Aria e Metallo, con le ali viola, sollevava un forte vento per mettere in difficoltà i sanguepuro. Kire, accarezzando Orebrec sulla testa, rimanendo in groppa, osservava quel primo attacco. Percepì i prescelti grazie alla magia del Metallo e capì che erano riusciti ad entrare in città tramite un passaggio segreto. Sorrise, ghignò.

“Bel lavoro, ragazzi” gridò, rivolto ai suoi compagni “Continuate così, presto arriveranno gli altri. Io entro. Raggiungetemi appena possibile”.

“Sì” risposero, all’unisono, i sanguemisto dell’Aria, mentre Orebrec scavalcava le mura della capitale con Kire saldamente aggrappato alla sua schiena.

I dieci compagni, seguendo i percorsi che mostrava loro Thuwey, sbucarono alle porte del castello tramite un passaggio segreto.

“Io vado a dare qualche ordine ai miei uomini” disse il Metallo “Li metterò in guardia su ciò che gli aspetta. Tornerò in un istante”.

I suoi compagni non ebbero modo di obbiettare. Si guardarono attorno e cercarono di aiutare come potevano. Enki spegneva le fiamme con il suo elemento, Hanjuly le congelava, Aherektess muoveva il vento tentando di soccorrere gli abitanti, Kassihell provava a contrattaccare, Mattehedike muoveva le rocce per fortificare le mura e gli edifici, Reishefy assorbiva il più possibile le scosse che lanciava Handro, l’Oscurità inseguiva saltellando le ombre dei suoi avversari nel tentativo di immobilizzarli ed Efrehem bloccava la magia lanciata da Monihika. Idisi, con la piuma di Vereheveil fra le mani per poter interpretare le parole anche di coloro che non conoscevano la lingua comune fra i regni di Asteria, come i bambini o gli anziani, curava chi poteva con la sua borsa piena di erbe medicinali. I sacerdoti e le sacerdotesse della capitale, vestiti di nero ed argento, col volto dipinto, si chiedevano se Mihael era irato con loro e se era il caso di offrirgli i sacrifici umani che erano soliti effettuare.

Il Metallo tornò in fretta verso i compagni di viaggio: “Venite! Il castello ha un sotterraneo dove saremo al sicuro. Ogni casa della capitale ha una cosa del genere ed è là che si sta dirigendo il popolo che non è stato ferito dagli attacchi improvvisi. I soldati resteranno a combattere”.

“Non possiamo combattere anche noi?” parlò il Ghiaccio.

“Non è la cosa più saggia. Non possiamo rischiare di subire delle conseguenze. La nostra missione è troppo importante”.

Nessuno osò rispondere a quella frase di Thuwey, pur non concordando del tutto. Entrarono nel castello. La regina era lungo il corridoio e si stava apprestando a raggiungere le stanze sotterranee.

“Mia regina…” parlò il Metallo, notando che era ferita sul fianco.

“Thuwey! Sei tu! Che sollievo vederti!” rispose lei, tenendo sollevata la lunga e pomposa gonna nera per poter camminare più in fretta.

“Presto, Jovihann! Andiamo!” sbottò una voce maschile.

Kassihell spalancò gli occhi. Era suo padre l’uomo che era sbucato alle spalle della regina e, sfiorandola con le mani, la incitava ad avanzare.

“Papà!” esclamò il Fuoco.

“Ma guarda chi si vede…” gli rispose Vehuya, con tono neutro.

“Io e te abbiamo alcune cosette da chiarire…” sibilò il figlio.

“Quando vuoi!” ghignò il padre.

“Direi che ora non è il caso!” affermò Aherektess.

“Concordo! Raggiungiamo i sotterranei!” si aggiunse Thuwey.

L’imperatore e la regina, l’uno accanto all’altro, seguirono il Metallo che, da capo delle guardie, apriva ogni porta fino a raggiungere l’ultima, quella che solamente la sua sovrana poteva far spalancare. Per sbloccarla, Jovihann poggiò la mano su un quadrato lucido, che brillò. Reagiva al suo codice genetico e solo un membro della famiglia reale poteva farlo funzionare. Si richiuse alle spalle del gruppo di fuggitivi, ermeticamente.

I corridoi erano bui, impolverati e silenziosi. L’aria era pesante, umida. Nessuno parlava, sentendosi in colpa per tutte le persone che, ferite, non sarebbero state in grado di salvarsi come loro.

“Come mai tuo padre è qui?” sussurrò Reishefy a Kassihell, sentendo la sua voce poi rimbombare lungo le pareti.

“Che domanda idiota!” sbottò il Fuoco.

“Qui abbiamo cibo, acqua e tutto il necessario per sopravvivere diversi giorni” parlò il Metallo, mostrando le varie stanze “E nessuno può accedervi né uscirne, se non con la mano della regina”.

Kassihell accese le fiaccole lungo la via e le candele nelle salette quasi del tutto spoglie. Seduti in terra tutti assieme, per tenersi compagnia, i sovrani si tenevano per mano. Jovihann aveva la testa sulla spalla di Vehuya ed il figlio di lui fissava entrambi con fastidio.

“Perché mi guardi così, ragazzo mio?” ridacchiò il padre “Tua madre sa di tutto questo”.

“Non mi interessa e non mi riguarda. È che mi fa senso…” rispose Kassihell, incrociando le braccia e inclinando la testa.

“Thuwey…” parlò la regina, sorridendo con dolcezza “C’è una cosa di cui ti vorrei parlare…”.

“Non sforzatevi…” la interruppe lui, mentre la Terra curava la ferita di lei.

“Ho avuto davvero paura di non rivederti, quando sono stata ferita…”.

“Signora, vi prego! Non so dove vogliate andare a parare ma…” borbottò il Metallo.

“Chiudi la bocca, soldatino, e ascolta ciò che ha da dirti!” lo zittì Vehuya.

“Dicevo…” riprese la sovrana “…ho davvero avuto paura di morire e non poterti rivedere. E non poter sistemare tante cose che, se non ci fossi più, resterebbe altrimenti in sospeso. Volevo che tu sapessi, mio caro, che sarai tu il prossimo re di questo regno”.

“Che cosa?! Perché?!” farfugliò lui, per niente felice della notizia, mentre i suoi compagni di viaggio ridacchiavano e gli facevano le congratulazioni.

“Perché tu sei mio figlio, Thuwey”.

“Eh?!” si sentì, corale, fra i presenti.

“Ti sei mai chiesto come mai tu possieda una tale energia magica? Sei sangue del mio sangue…”.

“Ma…se è così…mio padre chi è? E perché sono cresciuto da solo?”.

“Tuo padre non saprei dirti esattamente chi sia…al tempo mi divertivo un sacco, lo devo ammettere. Non ero una regina, quando nascesti. Per i miei genitori era una cosa inammissibile che la principessa ereditaria avesse un bambino senza essere sposata, mostrando al regno il fatto che vivevo un’esistenza piuttosto sregolata e fuori da ciò che doveva essere l’ordinario. Sei nato, ed è già stato un grande traguardo. Ho dovuto combattere per farti vedere la luce, al contrario di quanto ordinavano i miei. Appena sono divenuta regina, ho iniziato a cercarti. Non è servito perché fosti tu a giungere da me, come soldato protettore della capitale. Ti ho riconosciuto subito, perché ogni creatura del Metallo ha le zone del proprio elemento in punti diversi e poi…la tua energia era inconfondibile!”.

“Perché non mi avete detto la verità fin dall’inizio?”.

“Non lo so. Forse perché, quando ti ho rivisto, eri già grande. Eri quasi maggiorenne e di certo non avevi bisogno di una mamma…”.

Thuwey la fissò, con gli occhi ramati che si muovevano senza controllo, con in testa un misto di amore ed odio che si mescolavano in modo confuso.

“Perdonami, Thuwey. Ho commesso tantissimi errori nella mia vita…sono stata una pessima sovrana ed una pessima persona…”.

“Non è vero…” mormorò il Metallo, non sapendo cos’altro dire mentre la sovrana scattava in avanti, spalancando le braccia in cerca di un abbraccio.

Lui la fissò, titubante, e poi ritrasse le punte, permettendo a Jovihann di avvolgerlo con affetto. Lehelin gli sorrise. Il suo compagno d’avventure aveva appena ottenuto ciò che andava cercando da una vita e da cui si era sempre protetto.

 

La porta si aprì, ne sentirono lo scattare secco. Com’era possibile?

“Solo altre due persone potrebbero aprire quella porta…” borbottò Vehuya.

“Due? E chi sarebbero?” si stupì la regina.

“I gemelli…”.

“Non ti avevo dato ordine esplicito di liberartene?” mormorò lei, avvicinandosi di più all’imperatore con aria minacciosa.

“Lo so” rispose lui, distogliendo lo sguardo “Ma…non l’ho fatto”.

“Di che state parlando?” alzò un sopracciglio Kassihell.

“Mi stai dicendo che hai provato ad ucciderli ma non ci sei riuscito?” continuava a parlare piano Jovihann, mentre Vehuya non la guardava.

“Se ci ha provato, qualcosa non è andato per il verso giusto” parlò Kire, fissando tutti quanti con aria triste e distante “L’erba cattiva non muore mai. Quasi mai…”.

“Che succede, Kire?” domandò l’imperatore.

“Kire?! Come sai il suo nome?! Perché non mi hai detto…” iniziò la regina ma Vehuya la zittì.

“Io ci tengo ai miei figli, a differenza di te!” sbottò e Kassihell lo fissò con aria scettica, non sentendosi particolarmente amato.

“Non è vero, imperatore” parlò, piano, Kire “Tu non ci tieni ai tuoi figli”.

“Non vi ho uccisi, come vostra madre mi aveva ordinato, e vi ho affidato ad un sanguemisto di mia fiducia, Neziar, colui che vi ha cresciuto”.

“Vaffanculo”.

“Mi sono perso qualche passaggio…il cosetto dal sangue incrociato qui presente è mio fratello?” tentò di capire il Fuoco.

“Figlio mio e di Jovihann, esatto” confermò l’imperatore.

“Quindi…anche mio fratello!” si aggiunse Thuwey.

“Non ho capito…” piagnucolò Reishefy.

“Non è difficile, cretina!” sbuffò Mattehedike.

“Ti spiego con calma…” sospirò Thuwey “Kassihell è il figlio di Vehuya e di sua moglie, imperatrice del Fuoco. Io sono figlio di Jovihann e di una creatura del Metallo non identificata. Kire, il mezzosangue qui presente, è figlio di Vehuya e Jovihann”.

“Quindi…se non ho capito male…Elehcim era vostro fratello?”.

“Era?!” si stupì la regina.

Ci fu silenzio. Si guardarono fra loro, con tantissima confusione nella testa e sulla coscienza.

“Era, esatto” parlò Kire “Era perché ora non lo è più. Questi bastardi…lo hanno ammazzato!”.

“Guarda che qui c’è solo un bastardo, ed è Thuwey di cui non si sa chi sia il padre! E poi, scusami tanto, ma il tuo gemellino ha tentato di ucciderci!” sbottò la Roccia.

“Elehcim è morto?” domandò Vehuya, visibilmente turbato.

“In modo atroce…”.

“Voleva ucciderci! È stata legittima difesa!” continuò Mattehedike.

“Smettetela di parlare, brutti schifosi!” ringhiò Kire.

Scattò in avanti e, con lui, molti altri mezzosangue che lo avevano seguito lungo il cunicolo segreto. Impedirono la fuga ai viaggiatori, bloccandoli nella stanza. C’era Danjell, di Terra e Fuoco. Roary, Luce e Oscurità, gli stava accanto. Omokaig, Luce ed Acqua, era sulla porta vicino a Monihika, Luce ed Aria. Semar, stringendo i pugni, guardava tutti quanti con odio per ciò che era stato fatto ad Elehcim. Anyram, Ailil ed Hella, tutte con metà sangue di Ghiaccio, erano vicine. Anyram sprizzava elettricità, Ailil sfoggiava i tipici fiori della Terra ed Hella gli spuntoni del Metallo. Innavoig, Terra e Roccia, fissava tutti con sfida. Arual, di Aria ed Acqua, pareva poco convinta su come si stessero mettendo le cose e sospirava. Cihalu, una donna di Roccia ed Elettricità, aveva lo sguardo perso e confuso di chi non ha bene idea di cosa stesse facendo. Frahin palleggiava con una sfera di Fuoco, avvolto dalla nebbia tipica degli abitanti dell’Oscurità. Aseret, triste perché non amava la violenza, era l’insieme di Terra e Luce e questo le permetteva di sapere moltissime cose mescolando il suo sapere intellettivo e le parole che i suoi elementi le dicevano. Ultimi, in fila per tre, venivano i mezzosangue d’Aria Handro, Antyhela e Garihiele con le loro caratteristiche d’Elettricità, Metallo e Fuoco. Tutti loro, impedivano ai viaggiatori ed alla coppia di reali di salvarsi. Erano furiosi, ancora sconvolti per il modo disumano in cui era stato ucciso il loro compagno Elehcim. Vendicativi, furiosi e molto potenti, iniziarono ad usare i loro poteri. Nel frattempo, fuori, Araik e Neziar comandavano gli altri sanguemisto per distruggere la capitale.

“ Noi siamo fratelli. Non dobbiamo ucciderci” parlò Kassihell, rivolto a Kire.

“Io avevo un solo fratello, e me lo avete portato via! Tu sei solamente il figlio di colui che non mi ha voluto e mi ha abbandonato, perché si vergognava di aver messo al mondo un incrocio!”.

I presenti ebbero modo di vedere che Vehuya e Jovihann avevano un potenziale magico straordinario, che sfruttavano. Purtroppo risultava inutile perché i loro avversari annullavano a vicenda ogni loro punto debole, impedendo l’attacco combinato. I dieci ed i reali capirono di non poter andare avanti a lungo. Erano stanchi ed abbattuti, senza più voglia di uccidere quelle creature criptiche. Kire dava ordini in modo preciso, come se il suo corpo avesse centinaia di occhi e fosse capace di seguire ogni movimento dei suoi compagni. Thuwey ammirò le sue doti di leader, trovando le proprie pessime se non sotto il punto di vista militare. Schizzava sangue e si aprivano ferite, volavano insulti e percosse, quando una voce profonda sovrastò tutte le altre.

“Adesso piantatela!” si sentì, mentre il terreno vibrava.

Era Kaos. A braccia incrociate, dietro di lui si potevano scorgere tutte le altre divinità del pianeta, aveva l’aria di chi rimproverava dei bambini troppo agitati.

“Gli Dèi…” sussurrarono alcuni dei mortali.

“Esatto. Gli Dèi” confermò Kaos.

“Perfetto. Pure voi vi mettete contro di noi…” mormorò Kire.

“Io non sono dalla parte di nessuno, se non dalla mia. Mi trovo bene qui, mortaluccio, e non me ne voglio andare. Non voglio aspettare che la Creatrice realizzi un altro mondo per poter avere un posticino dove farmi adorare e divertirmi. Asteria sta morendo ed io la voglio salvare”.

“NOI la vogliamo salvare!” specificò Vereheveil.

“Facendoci estinguere? Grazie tante!” commentò, sarcastico, Semar.

“Per quel che mi riguarda…” rispose Kaos “…potete anche estinguervi tutti. Mezzosangue, triplosangue, sanguepuro, poveri bastardelli o di stirpe reale…per me siete tutti uguali. Ed anche agli occhi della Creatrice siete così, credetemi. Perciò è inutile che vi scaldiate tanto. Salvate Asteria, ed Asteria salverà voi”.

“Ne siete sicuro?” domandò Efrehem.

Il Dio non rispose e fissò la Luce con i suoi occhi azzurri. Poi si spostò su Lehelin e le sorrise.

“Quindi…mi assicurate che noi non subiremo conseguenze dall’evocazione?” azzardò Roary.

“Non sappiamo cosa accadrà dopo l’evocazione” parlò Dharam, Dio del Fuoco “Ma di certo le conseguenze potrebbero ricadere su tutti. Sui sanguepuro, sui sanguemisto, su noi Dèi…non sappiamo quale sarà la scelta della Creatrice”.

“Perciò, alla fine di tutta questa faticaccia, potremmo ritrovarci all’altro mondo?” gemette Enki.

“Potrebbe essere…” confermò Heronìka.

“E voi non dite niente?” piagnucolò Reishefy.

Enrikiran alzò le spalle, con indifferenza, e Loreatehenzi ridacchiò.

“I prescelti devono continuare il loro viaggio, ottenendo gli ultimi due oggetti proibiti ed evocando la Creatrice. Ciò che sarà dopo, si vedrà” parlò Xoduzz, Dio dell’Elettricità, con voce solenne.

“E chiunque interferirà con tutto questo, verrà eliminato!” aggiunse Mihael.

Tutti poggiarono le proprie armi, dando segno di resa.

“Sappiate che se per salvare Asteria è necessaria la vostra morte, la Creatrice non esiterà. Fra voi mortali e la sopravvivenza del mondo, è ovvio che lei sceglierà la seconda opzione e non starà troppo a pensarci. Se per far proseguire la vita di Asteria vi dovrà far estinguere, allora lo farà” furono le parole di Vereheveil, Dio della Luce.

“Noi non vogliamo morire! Non esiste un modo per…” farfugliò l’Elettricità.

Enki si inginocchiò, a mani giunte, supplicando la Dea dell’Acqua, Heronìka, di darle la grazia.

“Io non posso far nulla” parlò la Dea “Se non proteggerti fino alla fine di questa missione. Poi sarete nelle mani della Creatrice, e non potrò fare niente”.

“Perché non siete intervenuti prima? Perché non avete salvato Elehcim?” volle sapere, con sguardo basso e braccia incrociate, Kire.

“Era un suo desiderio” gli rispose Kaos “Era il dono più bello che potessimo concedergli: una morte epica, memorabile, che chiedeva da tempo”.

Kire non disse altro e chiuse gli occhi, lucidi.

“Voi dieci!” sbottò Xoduzz, irritato dalle perdite di tempo “Muovetevi e partite. Concludete questa missione e facciamola finita, qualsiasi cosa accada con l’evocazione”.

I viaggiatori si fissarono.

“Dovete concorrere per lo stesso scopo” parlò, con calma, Vereheveil “Mezzosangue o sanguepuro, mortali o Dèi, dobbiamo pensare al bene di Asteria”.

“Al bene di Asteria? Pensare a quello e non pensare a noi stessi ad alle conseguenze?! Ma che si fotta pure Asteria e la Creatrice!” sbottò Semar.

“Sappiate che noi divinità siamo per la conclusione della missione e conseguente evocazione” informò Loreatehenzi.

“E con questo?” si domandò Kire.

“Con questo, brutto coglione, intendiamo dire che se qualcuno oserà interferire subirà tutte le conseguenze che merita” ringhiò Kaos.

“Bene. Perfetto. Ho capito” mormorò il capo dei sanguemisto, abbassando le orecchie a punta, consapevole che perfino le divinità li avevano abbandonati al loro destino.

“Non fare quella faccia…” gli disse Thuwey, andandogli vicino “…mi sa tanto che qui nessuno vince e nessuno perde. Ce la pigliamo nel culo tutti allo stesso modo”.

Kire alzò leggermente il lato destro della bocca, in un micro sorriso, e scosse la testa. I puri ed i misti si separarono. Ora i dieci erano ancora meno convinti di ciò che stavano facendo, ma non avevano scelta. Gli Dèi li tenevano d’occhio. Li scortavano. Mihael iniziò a seguirli per questo. Tolse l’elmo, mostrando i lunghi capelli mori, mossi, ed un enorme paio di corna nere. Comunicò loro che d’ora in poi li avrebbe controllati da vicino.

Volevano lasciarsi alle spalle l’odio, le morti, i dubbi ed il sangue, uscendo da quel regno. Purtroppo per loro non fu così e, entrando nel mondo della Terra, tutto ancora pesava sul loro animo.

   
 
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