XI
“Scendi
da lì. È tardi” gridò
Aherektess.
“No,
lasciami dormire!” gli
rispose Kassihell, pigramente sonnecchiando sopra il ramo di un albero.
Il
gruppo era da un paio di
giorni nel regno del Metallo, con i suoi paesaggi argentati. Perfino le
piante
avevano quel colore, con sfumature varie che andavano dal rame
all’oro.
“Dobbiamo
proseguire…” incalzò
l’Aria.
“E
chi lo dice?” borbottò il
Fuoco, rigirandosi.
“Io,
la creatura incrociata
con un canarino!”.
“Ah,
beh…se lo dici tu…”
commentò, sarcastico, Kassihell “…uomo
falena!”.
“Uomo
cosa?!”.
“Falena.
Hai presente? Una
farfalla…” congiunse le mani per ricreare la forma
dell’animale di cui stava
parlando “…farfalla!” ripeté,
come davanti ad un bambino piccolo.
“So
cos’è una farfalla! Scendi
di lì, per favore!”.
“NO!”.
“Perché?!”.
“Perché
io sono una creatura
incrociata con un animale molto pigro, che vuole dormire”.
Aherektess,
di tutta risposta,
comandò il suo elemento e scosse la pianta, facendo cadere
il Fuoco in modo
poco delicato. I due si fissarono, Kassihell ancora in terra e
l’Aria a braccia
incrociate.
“Dannato
alleato!” borbottò,
ridacchiando, il Fuoco.
“Maledetto
pigrone!” rise a
sua volta Aherektess.
Ripresero
la marcia tutti
assieme, felici di poter finalmente avanzare senza che nessuno di loro
avesse
problemi particolari. Idisi guardava incuriosita il terreno color
argento e
tutti gli animali che si adattavano a quelle tonalità.
“Il
grande Mihael vive in un
immenso castello, più maestoso di quello della regina di
questo regno” spiegò
Thuwey “Stiamo per raggiungerlo, non è lontano.
Presto riusciremo a vederlo
all’orizzonte”.
Mancavano
solamente tre luoghi
proibiti prima di poter portare a termine la missione. Ancora tre
oggetti
proibiti. E solamente tre di loro dovevano ancora affrontare la prova
per
ottenerli: Enki, Hanjuly e Lehelin. Si guardarono fra loro, chiedendosi
a chi
sarebbe toccata la sfida di quel regno. Ne stavano discutendo, quando
individuarono una figura che avanzava verso di loro. Sullo sfondo, gli
alti
torrioni del castello di Mihael iniziavano a mostrarsi.
Quell’ombra camminava
controluce, accompagnata da un rumore di catene e ferro. In principio,
Thuwey
pensò fosse qualcuno della sua gente, ma capì
subito che non era così: non
aveva la struttura fisica di un abitante del Metallo. Avvolta da un
alone di
magia, la creatura si fermò non molto distante dal
gruppetto. Era interamente
protetta da una pesante armatura irta di spuntoni metallici ed aveva il
viso
coperto da un elmo con pennacchio che rifletteva la luce di Sirona.
“E
questo chi è?” si infastidì
Reishefy, desiderosa di andare oltre in quel viaggio pieno di guai.
“Io
sono Mihael” fu la risposta.
“Sì,
come no! Mi vien da
ridere! Provacelo!” sbottò Kassihell, con un
sorrisetto.
L’armatura
sfoderò la spada.
Era sottile, perfetta per poter stare in un fodero ma, nel momento
stesso in
cui il suo padrone la strinse fra le mani, si ingrandì,
divenendo enorme, e si
riempì di scritte magiche. Era nera, lucida, con
l’elsa argento. Thuwey
riconobbe quell’arma e si inchinò, mormorando con
venerazione il nome della
divinità.
“Io
sono il possente Mihael!”
riprese a parlare l’armatura, con voce tonante
“Sono il Dio della Guerra e
delle Armi, delle battaglie e delle strategie. Se volete proseguire, ed
ottenere l’oggetto proibito che custodisco, uno di voi
mortali dovrà
affrontarmi!”.
Kassihell
incrociò le braccia.
Lui aveva già fatto ciò che doveva, non era
compito suo!
“Ma…Voi
non dovreste trovarVi
nel luogo proibito?” domandò, timidamente, Enki.
“Sì,
è vero. Ma mi annoiavo.
Vi do il tempo necessario per scegliere chi accetterà la mia
sfida, ma non
metteteci troppo perché altrimenti scelgo io…e
son cazzi vostri!”.
Le
tre senza oggetto proibito
si fissarono, dubbiose.
“Vado
io!” esclamò Hanjuly,
preparando la sua arma.
“No,
fermati!” la bloccò
Thuwey “Lui è il Dio delle Armi, delle
battaglie… Come credi di batterlo?!
Bisogna agire d’astuzia, mandargli qualcuno che le armi non
possono ferire…”.
“E
chi ti dice che quella
spada, essendo divina, non può ferirmi?!”
sbottò Lehelin, sentendosi chiamare
in causa.
“L’arma
di Hanjuly verrebbe
distrutta in milioni di pezzi, Enki non saprebbe che fare…tu
sei l’unica che
può tentare!” parlò Efrehem.
“Vittima
sacrificale,
insomma…” borbottò
l’Oscurità, per niente felice nel venir gettata
così in
pasto ai pericoli.
Perché
proprio lei, poi…il
Ghiaccio sembrava così ansiosa di voler combattere! Prese un
profondo respiro e
poi, per niente convinta, fece un passo avanti.
“Il
"popolo" ha
deciso in modo "democratico" che devo essere io colei che Vi
affronterà”.
Mihael,
sentendole pronunciare
quelle parole, inclinò la testa come a capire se stesse
dicendo sul serio,
incredulo: “Qual è la tua arma?”
domandò il Dio.
“Non
ho un’arma. Non so
combattere con quelle…”.
“E
allora con cosa combatti?”.
“Con
la magia”.
“Bene.
Interessante. Vediamo
un po’ che cosa ne salta fuori…fammi divertire, mi
raccomando!”.
La
divinità creò un cerchio
magico, in modo che gli altri nove non potessero intervenire o
interferire in
alcun modo.
Dapprima
i due sfidanti si
studiarono. Lehelin cercava di avvicinarsi il più possibile
all’ombra di
Mihael, per poter comunicare con lei. Il Dio, nel frattempo, roteava la
sua spada
con estrema facilità, nonostante le sue notevoli dimensioni
e l’indubbio peso. L’Oscurità
si chiese se le sue abilità d’incantatrice
potevano essere sfruttate anche con
un Dio.
Mihael
scattò in avanti,
velocissimo nonostante l’armatura. Lehelin riuscì
solo all’ultimo istante a
schivare quel fendente, rotolando di lato. L’ombra della
divinità la sfiorò ma
si ritrasse subito, impedendole di contrattaccare. Era evidente che
fosse in
grado di muoversi autonomamente e che Mihael era a conoscenza delle
tecniche di
combattimento della mortale. L’Oscurità, non
sapendo che fare, tentò di
schivare ogni colpo, preoccupata da quella spada gigante. Sfiorandola,
era
stata in grado di ferirla, anche se solo lievemente. Lehelin
ringhiò. Non
voleva soffrire per la salvezza di Asteria! Per quale motivo avrebbe
dovuto?!
L’ombra di Mihael le parlava. Ridacchiava e la derideva,
saltellando in modo
indipendente rispetto ai movimenti del suo padrone.
L’Oscurità si ritrovò alle
strette, non sapendo cosa fare, avendo un pazzo con la spada davanti a
sé ed
un’ombra strafottente alle spalle. Si raggomitolò
su se stessa, scivolando di
lato. Il Dio sorrideva, roteando la spada in aria, lasciando il tempo
all’avversaria si rialzarsi. Lei si insospettì
davanti a quel gesto. Si girò e guardò
la divinità con fare interrogativo.
“Kaos
mi ha detto di non
ucciderti” spiegò Mihael.
Lehelin
non capì, chiedendosi
perché il suo Dio non volesse la sua morte. Capì
che non poteva sconfiggere chi
aveva di fronte e sbuffò, trovando fastidiosamente familiare
la situazione.
Riuscì a sfiorare solamente l’armatura, che subito
la fece allontanare con un
fendente che le ferì il braccio. Poi Mihael si mosse
nuovamente, assieme alla
sua ombra, bloccando la sua avversaria.
“Ma…avevi
detto che non dovevi
uccidermi!” mormorò lei, spaventata nel vedere
quella spada enorme a pochi
centimetri da lei, mentre l’ombra del Dio la tratteneva.
“Di
fatti non ti uccido. Mi
sono divertito e questo mi basta. Era ovvio che non potessi battermi in
un
combattimento. Sono il Dio della Guerra, santo me stesso! Mica un pirla
qualsiasi!” rise Mihael.
“Quindi
sapevate già come
sarebbe andata a finire?”.
“Sì.
E sapevo anche che
saresti stata tu la mia avversaria”.
“E
come mai Kaos non vuole che
io muoia?”.
“Questo
non lo so. Lo saprai,
prima o poi, immagino…”.
“E…quindi…?”.
“Quindi
avevo già deciso che
ti avrei dato l’oggetto proibito, ma volevo passare il tempo.
Non avevo mai
combattuto con una creatura come te prima d’ora”.
Detto
questo, tirò la
catenella che aveva al collo, estraendola da sotto la corazza. Appesa
ad essa
stava un anello nero e argentato, molto grosso e con incisioni magiche.
“Quello
è l’oggetto
proibito?”.
“Proprio
questo, mia cara
amichetta di Kaos”.
Sganciò
la catenella e la
porse alla mortale. Lei, dapprima titubante, allungò la mano
e tenne sospesa
fra la nebbia delle sue mani.
“Quello
amplificherà le tue
possibilità” spiegò il Dio
“Ti renderà materiale, con un corpo fisico e
solido,
oppure il contrario. Sarai totalmente incorporea. La cosa ti
alletta?”.
Lehelin
sorrise ed annuì.
Fissò l’anello e se lo rigirò fra le
mani, incuriosita e soddisfatta. Il
cerchio magico in cui si erano scontrati scomparve, permettendo agli
altri nove
viaggiatori di avvicinarsi. Thuwey era in adorazione, fissando il Dio
del suo
popolo con grandi occhi ramati.
“Non
fissarmi come un pesce
fesso!” lo rimproverò Mihael.
Il
Metallo si scosse, non
riuscendo a credere di avere la sua divinità così
vicina.
“Spero
di rivedervi presto,
ragazzi. Ora, però, andate. Io vado a farmi quattro
chiacchiere con il Dio
dell’Aria, il caro Loreatehenzi” parlò
Mihael, rinfoderando la spada.
Nessuno
sapeva esattamente
cosa dire. Si limitarono a fare un cenno con la testa, mentre la
divinità si
allontanava, con un gran rumore di ferro che sbatte.
Camminando
lungo il sentiero,
costellato da alberi argentati e piccoli villaggi, capirono dopo
pochissimo che
qualcosa non andava. C’era un insolito silenzio. Ed
un’insolita calma. Thuwey
incitò il gruppo ad aumentare il passo, per precauzione. Si
udì un grido e
Reishefy, che chiudeva la fila, era scomparsa.
“Reishefy!
Dove sei?” la
chiamò Hanjuly.
L’Elettricità
era tenuta
stretta da Innavoig, mezzosangue di Terra e Roccia, che le chiudeva la
bocca
con la mano, ignorando le scosse che lanciava la ragazza. I nove
tornarono
indietro di qualche passo e si ritrovarono nella stessa situazione.
Danjell,
Kire e Semar presero Hanjuly, Enki ed Idisi, sfruttando la loro parte
di DNA di
Fuoco, indebolendole all’istante con il calore trasmesso.
Anyram bloccò ogni
mossa a Kassihell, usando il gelo del Ghiaccio. Omokaig, in parte di
Luce,
lanciò un fortissimo lampo ed accecò Lehelin,
facendole perdere i sensi. Roary,
per metà d’Oscurità, avvolse Efrehem e
ne catturò l’energia. Questi svenne,
come la sua compagna di viaggio. Neziar, usando
l’elettricità, tramortì il
Metallo. Arual, sollevandolo in aria, immobilizzò
Mattehedike ed infine Araik,
per metà Terra, avvolse Aherektess fra le fronde vegetali
che controllava.
Questo attacco produsse in tutti lo stesso risultato: dopo pochi
istanti, erano
tutti privi di forze e lucidità.
La
prima a risvegliarsi fu
Hanjuly. Si sentì molto strana e non a torto: era appesa a
testa in giù per le
caviglie, con i polsi legati dietro la schiena. Le bastò
poco per capire che
anche tutti gli altri suoi colleghi erano nella stessa situazione,
tranne
Lehelin che era avvolta da luce pulsante da ogni angolo. Il Ghiaccio si
dimenò
un po’, furiosa perché non aveva tutte le sue cose
con sé e non le vedeva nella
stanza. Era una sala piuttosto spoglia, con poche finestre ed una porta
grigia,
che scompariva sulla parete dello stesso colore. Il pavimento ed il
soffitto
erano quasi neri, lucidi. Probabilmente, pensò Hanjuly,
erano fatte di un
qualche tipo di metallo e quindi non si erano allontanati dal regno
nativo di Thuwey.
Si disse che, in fondo, erano solo supposizioni e che
l’importante era
svegliare i suoi compagni. Su una sedia, l’unico arredamento
della stanza,
stava seduto Innavoig, un ragazzo col codino biondo vestito di verde
con
spuntoni di roccia lungo il corpo. Leggeva un libro e girò
solo distrattamente
gli occhi, quando Hanjuly lo chiamò.
“Chi
sei tu?” lo apostrofò
“Dove mi trovo?”.
Il
mezzosangue non rispose. Il
Ghiaccio si arrabbiò per questo ed iniziò ad
urlare, sperando di risvegliare i
suoi compagni.
“Cos’è
tutto questo casino?!”
sbottò Kire, entrando di corsa nella stanza.
“Si
è svegliata la biondona”
rispose Innavoig, senza togliere gli occhi dal libro.
Kire
si avvicinò al Ghiaccio,
con calma: “Non agitarti. Non costringermi a far venire qui
il mio gemello
cattivo” le disse.
“Vaffanculo,
sanguemisto!”
sibilò lei, sputandogli in faccia.
“Come
vuoi” si limitò a dire
“Innavoig, resta qui ancora per un po’. Ti mando
Semar appena possibile.
Elehcim non resterà lontano a lungo. Se fanno troppo casino,
imbavagliali!”.
I
due mezzosangue si fissarono
per un istante e poi Kire uscì, senza aggiungere altro.
I
viaggiatori iniziarono a
riprendersi, uno dopo l’altro.
“Dove
avete messo tutti i
nostri oggetti proibiti?” gridò Kassihell, appena
si accorse di non portare più
il suo al collo.
“Lasciateci
andare!” sbraitava
Thuwey.
“Mi
va il sangue alla testa!”
piagnucolò Reishefy.
“Sarebbe
la prima volta…”
sbottò Mattehedike.
Ognuno
di loro portava dei
bracciali arancio. Non ci misero molto a capire che erano quelli a
risucchiare
la loro energia ed impedirgli di usare la loro magia per liberarsi.
L’unica
senza quelle precauzioni era Lehelin, perché totalmente
immobilizzata dalla
luce che l’avvolgeva. A causa di questo, si era rimpicciolita
e restava
immobile, raggomitolata. Era l’unica in silenzio. Gli altri
nove, al contrario,
urlavano e si agitavano, tentando di liberarsi.
Semar,
appena entrò,
imbavagliò Reishefy ed Hanjuly, quelle con la voce
più fastidiosa, e poi iniziò
a giocare a carte con Innavoig.
“Che
intenzioni avete?”
domandò Efrehem “Tenerci qui fino a quando? Che
volete? E dove avete portato i
nostri oggetti proibiti?”.
“Stai
buono, nanerottolo!
Altrimenti imbavaglio pure te!” rispose Semar.
Passò
diverso tempo prima che
la porta della stanza si riaprisse. Entrò Elehcim, con gli
immancabili occhiali
da sole ed il ghigno soddisfatto.
“Com’è
la situazione qua?”
domandò e Semar sorrise.
“Sono
tutti tuoi” gli rispose.
Elehcim
camminò, con le mani
dietro alla schiena, fino all’Oscurità:
“Ciao Lehelin. Chi non muore, si
rivede!” disse, chinandosi e tirandole su la testa di peso,
costringendola ad
essere inondata di luce.
“Ciao”
gemette lei, senza
riuscire a dire altro.
“Chi
è questo qui?” le domandò
Aherektess “Che vuole?”.
“Chi
sono e che cosa voglio
puoi chiederlo direttamente a me, piumino per la polvere ambulante! Ci
sento
benissimo e sono in grado di parlare!” sibilò
Elehcim, continuando a stringere
fra le mani piene di magia un grosso ciuffo di capelli fumosi
dell’Oscurità.
Il
suo potere era amplificato
in quella stanza di metallo e riuscì perfino a graffiarle il
viso, modificando
le dita in modo da renderle taglienti. Sorrise quando vide il liquido
nero
sgorgare.
“Che
intenzioni hai?!” ringhiò
Thuwey.
“Non
di uccidervi, se è questo
che vuoi sapere. Purtroppo agli Dèi state simpatici. Voglio,
però, offrirvi una
scelta” spiegò, portandosi gli occhiali scuri fra
i capelli, mostrando ai
presenti le sue iridi rosse come il fuoco.
Kassihell
lo fissava negli
occhi, trovandoli familiari e fastidiosi, con sfida.
“Noi
siamo mezzosangue…”
continuò a parlare Elehcim “…e,
ovviamente, non vogliamo che continuiate questo
viaggio. I motivi direi che sono più che ovvi:
sopravvivenza! Vi sarete resi
conto che avremmo potuto eliminarvi, ma non lo abbiamo fatto. Non vi
vogliamo
morti…semplicemente tornatevene a casa, da bravi, e ci
renderete felici. Vi
offro la libertà, in cambio della vostra rinuncia
all’evocazione. In caso non
accettiate, rimarrete attaccati lì fino a quando ne
avrò voglia. Ovviamente, se
mi annoierò, troverò il modo di passare il tempo
con voi. Gli Dèi non vogliono
vedervi morti…ed io non vi ucciderò! Nessuno di
noi vi ucciderà ma…esistono
cose peggiori!”.
I
compagni rimasero in
silenzio, senza sapere bene cosa dire.
“I
vostri oggetti proibiti li
abbiamo noi, al sicuro, e non li riavrete. A voi la scelta: o tornate a
casa, e
dimenticate questa storia, oppure fate i prosciutti viventi fino a
quando la
cosa vi stancherà. Vi lascio il tempo di pensarci. Dormiteci
su…se ci riuscite!
Buonanotte, Lehelin!”.
Le
lanciò uno sguardo d’odio e
soddisfazione nel vederla lì, immobile, ed uscì
dalla stanza, ridendo. Fuori
era buio ormai ma i viaggiatori, capovolti com’erano, di
certo non avrebbero
dormito.
Uscendo
lungo il corridoio,
Elehcim sbadigliò, stanco. Era molto tardi ed il suo
cervello non gli dava
tregua, con mille pensieri, dubbi, rabbia e follia. Non dormiva in modo
decente
da giorni. Camminò senza incrociare nessuno, erano quasi
tutti a letto da
tempo. Si trovavano in uno di quegli edifici in cui i mezzosangue
trovavano
rifugio, in buona parte sotterraneo e celato agli sguardi. Erano stati
stabiliti dei turni di guardia, i viaggiatori erano sorvegliati e non
avrebbero
potuto mai fuggire. Nonostante questo, Elehcim non era tranquillo.
Entrò nella
sua stanza lentamente, attento a non svegliare Orebrec che dormiva
placidamente
sul pavimento. Aveva fatto portare gli oggetti proibiti proprio
lì, fidandosi
dell’infallibile fiuto del suo animale, che aprì
un occhio per controllare chi
fosse entrato.
“Dormi,
Orebrec” lo tranquillizzò
il padrone.
Nel
buio, prese fra le mani la
catenella con l’anello di Mihael. Se lo rigirò fra
le dita, ancora sporche del
sangue nero di Lehelin. L’oggetto si macchiò ed
Elehcim lo ripose sul comodino
scuro, ripromettendosi di pulirlo il giorno successivo. Ora era troppo
stanco
perfino per quello. Scaraventò il cuscino in terra, con
rabbia, perché troppo
morbido. Si addormentò profondamente non appena si distese.
Così facendo, non
si accorse che l’anello, percependo l’essenza della
sua custode, si era
attivato e fluttuava nell’aria. Senza emettere un suono,
senza tintinnare,
evitando di svegliare Orebrec, uscì da quella camera tramite
una piccola
fessura fra il pavimento e la porta. Non si fermò
finché, avvolto dal buio e
del tutto invisibile, riuscì a tornare al collo della sua
portatrice Lehelin.
“Ma
che…?!” borbottò Thuwey,
sentendo un tintinnio strano ed intravedendo uno scintillio argentato
al collo
dell’Oscurità.
Lei
era altrettanto stupita.
Nel momento stesso in cui l’anello le toccò la
pelle, il corpo di nebbia iniziò
a mutare, divenendo solido e lucido, e la luce non la
infastidì più. In un
attimo, fuggì dal cerchio di luminosità pulsante
e fu libera. Sorrise. Si
guardò attorno e vide che Semar, il mezzosangue che avrebbe
dovuto sorvegliarli,
dormiva placidamente, con il colletto della maglia alzato fino a
metà del viso.
“Ora
vi libero” sussurrò
Lehelin, rivolta ai suoi compagni “Fate piano”.
Uno
dopo l’altro, tutti i
dieci viaggiatori furono liberi ed in terra.
“E
adesso?” mormorò Hanjuly,
mentre il corpo dell’Oscurità tornava al solito
aspetto.
“Usciamo…non
vedo alternative”
rispose il Metallo, invitando tutti a togliersi i bracciali di
contenimento
della magia che portavano ai polsi.
Kassihell
aprì cautamente la
porta e guardò fuori. Il corridoio era deserto e fece segno
agli altri di
seguirlo, con cautela.
“E
gli oggetti proibiti?”
domandò Efrehem.
“Dobbiamo
trovarli…concentratevi! Forse vi lanceranno dei
segnali…” sussurrò Aherektess.
“Come
abbiano fatto a togliere
i miei bracciali, resta un mistero…”
borbottò Thuwey.
Camminavano
lentamente, nel
silenzio totale, quando un profondo latrato li fece sobbalzare. Orebrec
li
aveva percepiti e stava avvisando il suo padrone. Era lontano, forse
proveniva
dal fondo del corridoio, mentre l’uscita, la vedevano, era
dalla parte opposta.
“Che
facciamo?” piagnucolò
Enki.
“Presto
questi si
sveglieranno. Usciamo…torneremo a riprenderci ciò
che è nostro quando sarà più
sicuro” ordinò il Metallo, non ammettendo
repliche.
“Non
possiamo combattere?”
sbottò la Roccia.
“Non
sappiamo nemmeno quanti
sono!” gli rispose Kassihell “Presto,
andiamocene!”.
Iniziarono
a correre quando
una raffica di spuntoni di metallo e fuoco sfiorò la
compagnia. Nessuno venne
colpito ma si immobilizzarono, girando la testa di scatto.
“Dove
credete di andare?!”
tuonò Elehcim, con ancora le mani appoggiate lungo le pareti
metalliche da cui
aveva ricavato gli spuntoni.
“Ancora
questo qui?! Sta
iniziando ad infastidirmi!” sibilò il Fuoco
“Lasciatelo a me!”.
“La
tua spada non può ferirlo,
è per metà Metallo” disse Thuwey,
notandone l’aspetto “Ed il tuo elemento tanto
meno. Ti ucciderebbe”.
“Ci
penso io” parlò
l’Oscurità.
“Cosa
hai in mente?” le
sussurrò Aherektess.
“Stai
a guardare…”.
“Ma
sei ancora debole e di
dimensioni ridotte a causa della luce!”.
“Sono
abbastanza grande per
fare ciò che ho in mente!”.
Il
sanguemisto richiamò le
fiamme, che ricoprirono le sue mani. Inferocito, iniziò a
correre. Lehelin non
disse nulla, ma fece altrettanto. Anche lei corse, fra lo stupore degli
altri
nove viaggiatori.
“La
ucciderà!” esclamò
Reishefy “Il contatto diretto con la luce delle fiamme la
dissolverà!”.
Correndo,
entrambi lanciarono
un grido sempre più alto fino a quando non si incontrarono.
L’Oscurità strinse
fra le mani il suo oggetto proibito qualche secondo prima, e scomparve.
Elehcim
si contorse,
piegandosi prima in avanti e poi all’indietro. Tutto il suo
corpo si mosse
convulsamente, come senza controllo, e poi si fermò,
leggermente chinato in
avanti. Si rialzò, lentamente, guardandosi le mani. Sorrise,
trionfante,
muovendo la testa a destra ed a sinistra per sciogliere i muscoli del
collo.
“Che
cosa è successo?! Dov’è
Lehelin?!” domandò Enki.
“Ciao
ragazzi” salutò il
sanguemisto, mostrando le tre ombre proiettate sul muro: quella
centrale era quella
dell’Oscurità.
“Che
le hai fatto, mostro?!”
urlò Aherektess.
“Abbassa
la voce! Ragazzi,
sono io! Lehelin! Ho preso il controllo del corpo
dell’avversario, grazie
all’oggetto proibito” parlò Elehcim.
“Provalo!”
rispose Hanjuly,
sospettosa “Provami che non è tutto un
trucco!”.
“Come?”.
“Non
lo so. Come vuoi…ma
fallo!”.
“Non
posso. Fidatevi. E
seguitemi. Vi porto dove sono gli oggetti proibiti. Facciamo
presto…quest’uomo
ha un casino in testa, è difficile da
controllare!”.
Elehcim
posseduto partì
spedito lungo il corridoio. Gli altri lo seguirono, non vedendo
alternative.
Camminarono senza incontrare nessuno.
“Possibile che non si svegli nessuno?! Razza di
sordi…” protestava
il mezzosangue, nella sua testa.
“Si vede che sono abituati a sentirti dare i numeri!”
commentò
Lehelin, sempre mentalmente.
“Non ti porterò dagli oggetti proibiti!”.
“Tranquillo, che non mi serve la tua collaborazione!”.
La
volontà di Elehcim, per
quanto si sforzasse, non riusciva a sovrastare il potere
dell’oggetto proibito
che lo possedeva.
Raggiunsero
la camera. Con
naturalezza, il sanguemisto estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e
l’aprì.
Appena entrati, Orebrec iniziò ad abbaiargli contro,
percependo che quello non
era totalmente il suo padrone.
“Chiudi
la bocca!” sibilò
Elehcim ed inaspettatamente l’animale obbedì
“Voi prendete gli oggetti proibiti
ed il resto. Io rimango sulla porta, nel caso arrivi qualcuno. Fate
presto!”.
Ognuno
trovò la propria roba,
Thuwey prese anche la borsa di Lehelin.
“Ci
siamo. Possiamo andare”
informò Idisi e la compagnia uscì, stando attenti
a non fare rumore.
La
mente di Elehcim combatteva
con tutte le sue forze per contrastare il controllo di Lehelin, che
però aveva
dalla sua parte il sostegno degli Dèi. Il gruppo
uscì lungo il corridoio,
deciso a guadagnare l’uscita. Lehelin si stava divertendo un
sacco. Non era
abituata ad un corpo fisico e la sensazione che dava il fatto di
sentire ogni
cosa in modo diverso le piaceva. Le piacque perfino quando, uscendo
dalla
camera, sbagliò il controllo delle gambe e
picchiò contro la porta con il
piede, violentemente. Elehcim bestemmiò mentalmente,
avvertendo la scossa di
dolore. L’Oscurità ignorò la sua voce e
sorrise, sperimentando diversi
movimenti con gli arti. Saltellò, provando ogni movimento
del corpo, ignorando
le proteste che le rimbombavano in testa e che le ricordavano a chi
appartenesse quel corpo e che non gradiva romperlo.
“Come
fate davvero non lo so…”
mormorò Lehelin “…siete così
goffi, voi fisici”.
Proseguendo,
incrociarono due
sanguemisto. Si tenevano per mano e si sorridevano, ridacchiando. Erano
Danjell
e Roary. Elehcim ed il gruppo passarono oltre.
L’Oscurità percepì vagamente una
scarica di fastidio nella testa ma ignorò la cosa.
“Ele?
Tutto bene?” parlò
Roary.
Lehelin
non rispose.
“Sei tu Ele, scema!”
borbottò il mezzosangue posseduto, mentalmente.
“Sì,
tutto bene. Perché?”
parlò, allora, con il tono piatto e distaccato che gli aveva
sentito usare.
“Non
ci dici niente…”.
“Che
cazzo dovrei dirvi?!”.
“Di
solito commenti sempre
quando ci vedi assieme…”.
“Ho
altro per la testa. Fate
quello che volete!”.
“Dove
porti i prigionieri?”
domandò Danjell, cambiando argomento.
“Fuori.
Come vedi, manca uno
di loro ed è perciò impossibile che portino a
termine la loro missione”.
“Cos’hai
combinato questa volta?!”.
“Mi
son fatto prendere la
mano” ghignò Elehcim.
Non
disse altro e si avviò
verso l’uscita, seguito dagli altri nove compagni.
“Andiamo
a chiamare Kire…la
cosa mi insospettisce” disse Roary, sottovoce.
“Pure
a me la cosa puzza.
Andiamo” concordò Danjell, senza lasciarle la mano
ed avviandosi verso le
camere, in cerca del loro capo.
“Sei geloso! A momenti ci beccavano
perché lo sei!” protestò
Lehelin.
“Son tutte
paranoie e
stronzate! Cosa vuoi che me ne freghi se quei due stanno assieme?!”
fu la
risposta, ma l’Oscurità capiva che stava mentendo.
Riusciva
a leggerne ogni
pensiero e ricordo, ed era certa che lui riuscisse a fare altrettanto.
“Elehcim!”
chiamò qualcuno.
“Che
altro c’è adesso?!”
sbottò Kassihell.
“Kire…non
dormi?” domandò il
posseduto.
Il
gemello era spettinato ed
avvolto in un mantello stropicciato. Era evidente che fosse stato
buttato giù
dal letto di colpo.
“Dove
li stai portando? Non
erano questi gli accordi!”.
“Lo
so, Kire, ma vedi…la
mostricciattola dell’Oscurità non
c’è più.
Perciò…”.
“Che
hai fatto?! Sei impazzito
del tutto?!” interruppe il gemello.
“Ti
avevo detto di lasciarla a
me…”.
“Sì,
è vero, ma non pensavo…”.
Kire
non finì la frase. Si
avvicinò al gemello, circospetto. Lehelin rimase calma,
stando attenta ad ogni
dettaglio. Incrociò le braccia del corpo di Elehcim ed
alzò leggermente la
testa.
“Tu
chi sei?” domandò Kire.
“Sono
tuo fratello, coglione!”
sbottò il posseduto.
“Io
conosco bene il mio
gemello, e non sei tu. Lui, nonostante tutto l’odio e la
rabbia che ha dentro
di sé, come tutti noi sanguemisto del resto, era
d’accordo sul fatto di non
uccidervi!”.
“Mica
tanto…”
pensò Elehcim “…comunque…”.
“Tu
non sei mio fratello. Chi
cazzo sei, dunque?”.
Ci
fu silenzio per qualche
istante, in cui il posseduto ghignò.
“Suvvia,
sono io! Sono
Elehcim! Fammi pure tutte le domande che vuoi!”.
“Tu
sei l’incantatrice, ne
sono sicuro!”.
“Sono
Elehcim…”.
“Chi
sono i nostri genitori?”.
Lehelin
sorrise e sfogliò, in
fretta, le pagine della memoria di Elehcim, in cerca della risposta.
Trovandola,
non riuscì a trattenere un “Oddio!” di
stupore.
“Chi
sei?!” sbraitò Kire.
Hanjuly
scattò in avanti e
puntò la sua arma contro la gola del posseduto,
ghiacciandola.
“Lasciaci
andare!” sibilò “Se
non vuoi che lo uccida!”.
Kire
non sapeva cosa dire. Era
immobile, spaventato e confuso.
“Io
sono Lehelin, è vero…”
parlò l’Oscurità, con la sua vera voce
“…con un cenno, la mia compagna di
viaggio affonderà quella lama ghiacciata nella gola del tuo
gemellino. Io non
subirei danni e tu…avresti un funerale da celebrare!
Lasciaci andare ed io
uscirò dal corpo di tuo fratello, o preferisci che lo uccida
ordinando al suo
cuore di esplodere?”.
“No,
ti prego!” si affrettò a
dire Kire “Mio fratello è tutto ciò che
ho”.
“Stupido! Non lasciarli
andare!!” gridava Elehcim, nella sua testa
“Stupido! Non conta la mia sorte! Si
sono ripresi gli oggetti proibiti,
non lasciarli proseguire!”.
“Siete
liberi di andare” parlò
il sanguemisto “Prometto che nessuno di noi vi
seguirà. Siete liberi.
Andatevene. Però ridatemi mio fratello”.
“Abbiamo
la tua parola?”
mormorò Kassihell, poco convinto.
“Parola
d’onore. Vi lascio
andare. Avete vinto…”.
“Ricorda
che, se non mantieni
fede alla promessa che ci hai dato, la prossima volta che incrocerai il
mio
sguardo, qualunque sia la circostanza, darò ordine al tuo
cuore di fermarsi”
minacciò Lehelin.
“Ho
capito. Non succederà”.
Il
gruppo, spalancando la
porta verso l’esterno, cominciò ad uscire. Kire
diede ordine alle guardie che
la sorvegliavano di farli passare. L’ultima della fila fu
Lehelin nel corpo di
Elehcim. Si girò e chiuse gli occhi. Il sanguemisto e
l’Oscurità si staccarono.
Lui fu fiondato all’indietro e cadde in terra, in malo modo.
“Cazzo!”
mormorò, tossendo per
riprendere il controllo del suo corpo.
Nel
frattempo, i dieci
prescelti del regno di Asteria sparivano all’orizzonte, a
passo svelto.
“Come
stai?” domandò,
preoccupato, Kire.
“È
stata l’esperienza più
traumatica della mia vita ma, per il resto…sei un
coglione!” protestò Elehcim,
senza rialzarsi “Perché li hai lasciati andare?!
Restano solo due oggetti
proibiti e poi saranno in grado di effettuare l’evocazione e
portare a termine
la missione! Apparirà la Creatrice e saremo annientati,
distrutti! Dovevi
lasciare che mi uccidessero e tornare a catturarli!”.
“Non
potrei mai fare una cosa
del genere! Preferirei morire con te accanto, piuttosto che vivere a
lungo
senza il mio gemello. Siamo sempre stati legati. Non faresti lo
stesso?”.
“Hai
condannato tutta la
nostra specie!”.
“Noi
non abbiamo una specie! E
poi…non è detto!”.
“È
dettissimo, invece! Sei un
pazzo! Un idiota!”.
“Dì
quello che vuoi. Ormai è
fatta. Ora và a letto e sfrutta le ultime ore prima
dell’alba per riposare. Ti
farà bene darti una calmata!”.
Elehcim
guardò il gemello con
odio, mentre questi si allontanava verso le camere. Dietro di lui,
Danjell e
Roary, desiderosi di verificare se la loro intuizione era esatta,
fecero lo
stesso. Molti altri sanguemisto si erano svegliati, a causa del rumore,
ma non
dissero nulla, intimoriti dagli occhi infuocati del gemello di Kire.
“Maledetti…”
mormorò Elehcim,
rimanendo seduto in terra ancora un po’.
†††
“Sei
stata davvero ingegnosa”
parlò il Fuoco, mentre correvano, rivolto
all’Oscurità.
“Merito
del mio oggetto
proibito” rispose lei.
“E
dell’idea geniale di
Hanjuly!” concluse Efrehem.
“Grazie!”
rise il Ghiaccio.
“Nella
testa di quel
mezzosangue…” iniziò Lehelin, rivolta
al Metallo “…ho visto che hanno un
potente esercito, pronto ad attaccare. Sono in molti e sono forti.
Credo
sarebbe meglio avvisare la tua gente…”.
“Il
castello è di strada”
rispose Thuwey “Mi basterà passarci ed avvisare i
soldati sotto il mio comando.
Così facendo, i militari del regno saranno allertati e
pronti”.
“Non
è che, magari, possiamo
riposarci, nel frattempo?” ansimò Enki.
“Siamo
sufficientemente
lontani da loro, mi sembra…” si aggiunse Efrehem.
“A
me sta bene. Montiamo dei
turni di guardia, però!” rispose il Metallo.
“Ci
penso io. Non sono affatto
stanca!” esclamò Lehelin, sentendosi finalmente
utile.
Protetti
da una radura
argentata, i viaggiatori si ristorarono, procurandosi del cibo fra gli
alberi e
lungo il fiume che scorreva lì vicino. Si lavarono,
mangiarono e poi crollarono
addormentati. L’Oscurità guardò gli
sposi della notte tramontare, con un
sorriso sulle labbra.
Al
sorgere di Sirona, Lehelin
era seduta all’ombra di un albero. Capì subito chi
era quell’uomo che si stava
avvicinando: “Vattene, due ombre. Torna indietro”
gli disse, quando fu
abbastanza vicino.
Aveva
le mani sporche di
sangue. Doveva aver sfogato parte della sua rabbia su qualche
malcapitato che
aveva tentato di fermarlo o farlo ragionare. O, semplicemente, che
aveva
inavvertitamente incrociato la sua strada.
“Nessuno
può farmi ciò che mi
avete fatto e sperare di passarla liscia!” le rispose, irato,
Elehcim.
“Sei
solo. Noi siamo in dieci.
Se li sveglio, ti uccideranno. Torna in te e torna indietro,
è meglio”.
“No”.
“Io
non voglio dare l’allarme.
Non voglio la tua morte. Torna a casa”.
“Non
mi muovo da qui. E
nemmeno voi. A costo di ridurre in pezzi ogni oggetto proibito a
morsi!”.
Aherektess,
il membro della
compagnia con l’udito più fine, percepì
il vociare dei due e si svegliò. Dalla
cima dell’albero su cui era appollaiato,
stropicciò gli occhi e guardò giù.
Riconobbe subito colui che stava parlando con Lehelin e scese in
picchiata, frapponendosi
tra lui e lei, spade in pugno. Le puntò entrambe contro il
sanguemisto, che lo
fissò, senza espressione.
“Sono
per metà Metallo. Non
puoi farmi nulla con le tue armi” si limitò a dire.
L’Aria
non rispose: “Stai
bene, Lehelin?” domandò.
“Benissimo.
Posa le spade.
Sono certa che uno scontro diretto non è
necessario”.
“Parla
per te!” sibilò
Elehcim, evidentemente fuori controllo ed alterato da rabbia e
frustrazione.
Richiamò
a sé il potere del
fuoco e lo lanciò. Aherektess abbassò
l’Oscurità appena in tempo. Kassihell,
percependo l’uso del suo elemento, si svegliò e
mise in allarme gli altri.
“Di
nuovo tu?! Cazzo, che due
coglioni!” sbottò, arrabbiato per essere stato
svegliato.
“Vattene,
ora che ancora puoi”
suggerì, di nuovo, Lehelin.
Il
mezzosangue non si mosse.
Incrociò le braccia e fissò
l’Oscurità senza parlare.
“Questa
volta non torni a
casa, bello!” lo minacciò Mattehedike.
“Non
tutto intero, perlomeno!”
precisò il Fuoco.
“Oh,
no di certo! Con te ci
divertiremo un po’!” sghignazzò Reishefy.
“Calmi,
ragazzi!” si stupì
Idisi “Così passiamo dalla parte del torto!
È da solo…”.
“Non
perdete tempo con inutile
pietismo. Io sono pronto ad affrontarvi…uno dopo
l’altro!” mormorò Elehcim,
ghignando.
“Tu
sei pazzo!” commentò
Hanjuly e lui, di tutta risposta e velocissimo, lanciò una
piccola fiammata
contro di lei.
“Tu
mi hai rotto!” sbottò
Kassihell, sfoderando la Katana, e correndo contro al sanguemisto.
Questi
mutò le sue braccia,
facendole divenire due lunghe spade, ed iniziò a combattere.
Non aveva una
tecnica buona come quella del Fuoco ma, anche se veniva colpito, il suo
corpo
non veniva ferito e nemmeno scalfito. Efrehem tentava di far notare la
cosa al
suo compagno di viaggio, inutilmente.
“Vai
a casa, mezzosangue, se
non vuoi che il nostro attacco sia combinato!” lo
minacciò il Ghiaccio, con la
sua arma fra le mani.
“Non
vedo l’ora!” rispose il
sanguemisto.
“L’hai
voluto tu…” sospirò
Aherektess.
†††
“Elehcim!
Fai star zitto il
tuo dannato animale!” tuonò Roary, battendo
violentemente sulla porta della
camera del suo collega.
“Calmati…”
tentò di
tranquillizzarla Danjell, passandole una mano lungo il braccio
più volte.
Orebrec
continuava a latrare
contro la finestra da cui il suo padrone era uscito.
“C’è
qualcosa che non và. Di
solito Elehcim non lo lascia abbaiare senza motivo!” disse
Danjell.
Tentò
di aprire la porta,
girando il pomello d’ottone. Sapeva che il suo collega era
paranoico e dormiva
chiudendosi a chiave. Quando l’uscio si mosse, si accorse che
qualcosa non
andava. Entrò nella camera, buia e fredda per via della
finestra spalancata, ed
Orebrec si calmò.
“Qui
non c’è nessuno!” esclamò
il sanguemisto.
“Dev’essere
andato dietro ai
dieci rompimaroni…” commentò Roary.
Kire
camminava lungo il
corridoio, in preda all’insonnia e desideroso di mantenere un
controllo sul
gemello. Non aveva previsto che potesse scappare dalla finestra. Non lo
credeva
così folle. Capì al volo l’accaduto,
non appena Danjell e Roary uscirono dalla
camera.
“Quell’idiota
è corso dietro
ai prescelti…” mormorò, incredulo.
Senza
dire altro, entrò rapido
nella camera del gemello. Salì in groppa ad Orebrec e lo
incitò affinché
uscisse all’aperto.
“Dove
vai?” domandò Roary.
“A
riprendermi colui che possiede il mio stesso DNA”
sbottò e corse via,
illuminato da Sirona.
†††
Elehcim
pareva divertirsi. I dieci non volevano ucciderlo, ma lui non demordeva
e si
faceva sempre più violento. Idisi richiamò la
magia della Terra e lo
immobilizzò, avvolgendolo di rami, radici e foglie
d’argento. Quelle piante
erano irte di spine, ma graffiavano solamente la pelle del mezzosangue,
che le
bruciò con facilità, liberandosi. Mattehedike
controllò la roccia e tentò di
fermarlo. Il calore che riusciva a richiamare Elehcim, però,
lo sciolse
rapidamente da quella morsa. Enki sfruttò l’acqua
ed Hanjuly il ghiaccio. Il
sanguemisto sentì pungere la pelle e qualche piccolo graffio
apparve qua e là
lungo il suo corpo. Perse solo qualche goccia di sangue argento.
Lehelin non
faceva nulla. Per lei, per quanto potesse essere pieno di rabbia e
determinato,
non meritava di morire, pur essendo consapevole che, se non lo avessero
ucciso
loro, sarebbe stato lui ad uccidere qualcuno del gruppo con la sua
follia
omicida.
“Solo
con un attacco combinato potete sperare di fargli del
male…” disse Efrehem,
rimanendo pure lui al di fuori di quello scontro.
Hanjuly
guardò Aherektess ed i due si capirono al volo. Enki
lanciò acqua contro
l’avversario, mista all’elettricità di
Reishefy. Elehcim gemette, sentendo
sfrigolare la pelle e lo scorrere delle scosse lungo il suo sangue
metallico.
Aherektess individuò i punti in cui erano penetrati gli
elementi delle sue
compagne ed indirizzò lì, a forte
velocità, le punte di ghiaccio create da
Hanjuly. Queste si piantarono in profondità. Il mezzosangue
si fermò, con tutte
quelle stalagmiti sul corpo. Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Si
scaldò e
le punte si sciolsero, lentamente. Ferito, con un inconfondibile sapore
metallico in bocca, non smise di attaccare. Gridando, riprese a
lanciare palle
di fuoco. I viaggiatori erano sconcertati da quel comportamento.
“Asteria
è condannata. Moriremo tutti, in qualunque modo vada la
vostra missione. Ormai
è tardi…” sbiascicò,
sputando sangue “…è tardi! Moriremo
tutti. Moriranno i
mezzosangue, moriranno i sanguepuro, morirò io, morirete
voi…BUM!”.
Sanguinando
copiosamente, riusciva comunque ad attaccare in modo pesante ed i
viaggiatori
dovevano stare molto attenti. Enki, Idisi, Reishefy ed Hanjuly furono
le prime
a farsi colpire, probabilmente perché si stavano stancando
nella lotta. Thuwey si
teneva a debita distanza, sapendo bene di non poter fare nulla contro
quella
creatura. Osservava la scena, assieme a Lehelin ed Efrehem. Idisi
tentò di
colpire il sanguemisto con la sua arma di legno ma, non appena vide che
lui,
sfiorandola, la bruciava, desistette e riprese con la magia.
“È
un osso duro!” commentò Kassihell, respingendo i
colpi di fuoco rivolti verso
la compagnia.
Quando
Elehcim iniziò ad usare il suo sangue come arma,
trasformandolo in affilate
punte di metallo, anche Thuwey rientrò nella battaglia,
difendendo il gruppo.
“La
sua magia è molto potente…”
commentò, disperdendo quei colpi all’ultimo
istante.
Guardandosi,
i compagni capirono che, se non lo avessero ucciso, sarebbero stati
loro a
cadere per mano di quell’essere che pareva non provare
nemmeno dolore o
stanchezza. In realtà provava entrambe quelle spiacevoli
sensazioni, eccome, ma
non voleva di certo mostrarlo a quel branco di spacca balle!
Lo
colpirono di nuovo, con scosse e punte di ghiaccio, ma lui restava in
piedi,
ghignando. Si fissarono, con rassegnazione, pronti ad un attacco
combinato di
gruppo. Aherektess sollevò in aria l’avversario.
Elehcim si concentrò,
richiamando il metallo che scorreva dentro di lui. Ricoprì
la sua pelle. Si
trovava a parecchi metri da terra, quando iniziò a
precipitare. L’aria sopra di
sé lo spingeva, facendolo accelerare ulteriormente. Chiuse
gli occhi e si
preparò all’impatto con il suolo ma non
trovò il terreno ad attenderlo. L’acqua
di Enki investì la sua schiena, che si insinuò
fra le sue vesti stracciate.
Bruciava come acido quell’elemento carico di magia.
Gridò, non preparato ad una
cosa del genere. Continuò a cadere e, senza aver modo di
ricreare la barriera
di metallo lungo la schiena, corrosa dalla magia della principessa
dell’Acqua,
si sentì trafitto da enormi stalagmiti fatte di ghiaccio,
roccia, legno ed
elettricità. Le sentì attraversare il suo corpo
in più punti. Il torace, il
ventre, le gambe, le braccia…solamente la testa rimase al di
fuori di quel
tappeto di morte. Il suo sangue argento iniziò a scorrere
copiosamente. Tossì,
cercando invano di prendere aria in quei polmoni dilaniati e pieni di
liquido
metallico. Perché il suo cuore si ostinava a battere? Si
chiese, ad occhi
spalancati. Anche i dieci alleati si chiedevano la stessa cosa. Era
orribile
vederlo in quello stato. Enki si nascose dietro ad Idisi, piangendo nel
sentirlo gemere. Lehelin camminò verso di lui.
Allungò la mano d’ombra sul
petto del nemico. Chiuse gli occhi e poi li spalancò. Il
mezzosangue non gridò,
mentre il suo cuore si fermava. Mormorò un
“grazie” e solo allora i suoi occhi
color fiamma si spensero, divenendo vitrei.
L’Oscurità gli chiuse le palpebre e
non disse nulla.
“Anche
la tua pelle fa così se la colpisco con
l’acqua?” domando Enki, rivolta a
Kassihell.
“Solamente
se è piena di magia” rispose il Fuoco.
“Andiamo.
Mi è passato il sonno. E pure la fame”
commentò Thuwey.
In
silenzio, presero le proprie cose e solo in quel momento si accorsero
che Kire
era corso fino lì, ma era arrivato tardi. Fu
l’uggiolare sommesso di Orebrec
che fece notare la cosa al gruppo. Kire era smontato dalla bestia ed
era in
piedi, accanto al corpo senza vita del gemello. Non piangeva ma il suo
sguardo
esprimeva tutto.
“Ve
la farò pagare…” mormorò,
fissando con odio i dieci.
“Ve
la farò pagare!” ripeté, con
più voce “Fosse l’ultima cosa che
faccio! Ci
rivedremo, maledetti bastardi, e sarà la vostra
fine!” urlò.
Thuwey
incitò i suoi compagni ad accelerare, diretti verso il
castello. Kire, invece,
si chinò sul gemello. Gli passò una mano sui
capelli, come saluto.
“Che
succede, Kire?” domandò Semar, per poi esclamare
un “Cazzo!” accompagnato da un
sussulto quando vide Elehcim.
Un
piccolo gruppetto di sanguemisto, più o meno una ventina di
creature, avevano
seguito il loro capo non appena avevano saputo che si era allontanato.
“Date
inizio all’attacco finale” sussurrò Kire.
“L’attacco
finale? Ma non è ancora ben studiato…”.
“Ho
detto: date inizio all’attacco finale. Lui avrebbe voluto
così…” ribadì il
capo, stringendo i pugni e non staccando gli occhi dal fratello.
“Sì.
Va bene. Andiamo ad avvisare gli altri” obbedì
Semar.
Alcuni
volevano rimanere con il loro capo, ma lui gli fece cenno di andarsene,
di
lasciarlo da solo. Solamente Orebrec rimase e coprì, con i
suoi profondi
gemiti, le grida di disperazione di Kire.
†††
Il
castello del regno, e la capitale racchiusa fra le alte mura argentate,
erano
chiari davanti a loro. Ancora qualche chilometro ed avrebbero raggiunto
entrambi. A capo chino, senza parlare, i dieci avanzavano piano. Tutta
la
storia avvenuta da quando erano entrati in quelle terre aveva
instaurato nelle
loro menti il germe del dubbio. Era piccolo e quasi muto, ma presente e
fastidioso. Era davvero giusta tutta questa faccenda
dell’evocazione? Erano
davvero loro i “predestinati” a salvare Asteria o,
come aveva detto quel
mezzosangue, il pianeta era già condannato ed era troppo
tardi? Tutta quella
fatica…
La
luce di Sirona faceva risplendere la vegetazione ed il sentiero.
Perfino l’erba
sembrava composta da sottili filamenti d’acciaio.
Un
grido, acuto e sibilante, simile ad un lungo stridio minaccioso, li
sorprese.
Aherektess trovò quel verso molto familiare. Alzò
gli occhi e vide delle
creature alate, a prima vista degli abitanti del regno
dell’Aria. In realtà,
osservando meglio, non ci voleva molto per capire che erano sanguemisto
e
quello era il loro grido di guerra. Il terreno ai loro piedi
vibrò, comandato
da Kire. In groppa ad Orebrec, corse verso la capitale.
Ignorò, apparentemente,
i dieci viaggiatori. I suoi occhi, rosso fuoco, fiammeggiavano e
guizzavano.
“Vogliono
distruggere la capitale e far cadere il regno!” si
allarmò Thuwey.
“Per
poi passare ai regni successivi…” aggiunse Efrehem.
“Spero
che i soldati a guardia di Gwydyon siano preparati”
mormorò Kassihell.
“Lo
sono. La capitale non cadrà in mano
loro…” rispose il Metallo, senza celare una
certa inquietudine dentro di sé.
Quei
militari, i suoi uomini che aveva addestrato lungo gli anni e coloro
che lo
avevano seguito fin da ragazzo, facendolo divenire ciò che
era, stavano per
affrontare un nemico a cui di certo non erano preparati. E la
regina…
“Dobbiamo
raggiungere il castello e fermarli!” esclamò
Thuwey, mentre diverse onde di
mezzosangue apparivano da ogni punto.
Avanzavano
compatti. I viaggiatori, al contrario, si misero a correre veloci,
precedendoli. Thuwey conosceva ogni scorciatoia e fece arrivare i suoi
compagni
alle porte di Gwydyon, la capitale, quando solamente i mezzosangue
dell’Aria e
Kire erano giunti fino a lì. Garihiele, un alto sanguemisto
dagli occhi chiari
e le piume azzurre, si muoveva con l’agilità di un
ballerino e lanciava palle
di fuoco sulla città. Schivava agilmente le frecce ed i
colpi con cui
rispondevano gli abitanti. Araik, una giovane piuttosto piccina, volava
e
comandava la Terra, affinché bloccasse i movimenti dei suoi
avversari. Arual,
librandosi con le sue piume blu, comandava l’Acqua e ne
mandava ondate,
sfruttando anche la presenza di un fiume attorno alle mura. Monihika,
signora
di Luce ed Aria, usava tutta la sua magia contro quelle creature
impreparate.
Handro, un piumato arancione, poteva usare anche
l’elettricità, che colpì i
soldati e gli innocenti senza preavviso. Antyhela, Aria e Metallo, con
le ali
viola, sollevava un forte vento per mettere in difficoltà i
sanguepuro. Kire,
accarezzando Orebrec sulla testa, rimanendo in groppa, osservava quel
primo
attacco. Percepì i prescelti grazie alla magia del Metallo e
capì che erano
riusciti ad entrare in città tramite un passaggio segreto.
Sorrise, ghignò.
“Bel
lavoro, ragazzi” gridò, rivolto ai suoi compagni
“Continuate così, presto
arriveranno gli altri. Io entro. Raggiungetemi appena
possibile”.
“Sì”
risposero, all’unisono, i sanguemisto dell’Aria,
mentre Orebrec scavalcava le
mura della capitale con Kire saldamente aggrappato alla sua schiena.
I
dieci compagni, seguendo i percorsi che mostrava loro Thuwey, sbucarono
alle
porte del castello tramite un passaggio segreto.
“Io
vado a dare qualche ordine ai miei uomini” disse il Metallo
“Li metterò in
guardia su ciò che gli aspetta. Tornerò in un
istante”.
I
suoi compagni non ebbero modo di obbiettare. Si guardarono attorno e
cercarono
di aiutare come potevano. Enki spegneva le fiamme con il suo elemento,
Hanjuly
le congelava, Aherektess muoveva il vento tentando di soccorrere gli
abitanti,
Kassihell provava a contrattaccare, Mattehedike muoveva le rocce per
fortificare le mura e gli edifici, Reishefy assorbiva il più
possibile le
scosse che lanciava Handro, l’Oscurità inseguiva
saltellando le ombre dei suoi
avversari nel tentativo di immobilizzarli ed Efrehem bloccava la magia
lanciata
da Monihika. Idisi, con la piuma di Vereheveil fra le mani per poter
interpretare le parole anche di coloro che non conoscevano la lingua
comune fra
i regni di Asteria, come i bambini o gli anziani, curava chi poteva con
la sua
borsa piena di erbe medicinali. I sacerdoti e le sacerdotesse della
capitale,
vestiti di nero ed argento, col volto dipinto, si chiedevano se Mihael
era
irato con loro e se era il caso di offrirgli i sacrifici umani che
erano soliti
effettuare.
Il
Metallo tornò in fretta verso i compagni di viaggio:
“Venite! Il castello ha un
sotterraneo dove saremo al sicuro. Ogni casa della capitale ha una cosa
del
genere ed è là che si sta dirigendo il popolo che
non è stato ferito dagli attacchi
improvvisi. I soldati resteranno a combattere”.
“Non
possiamo combattere anche noi?” parlò il Ghiaccio.
“Non
è la cosa più saggia. Non possiamo rischiare di
subire delle conseguenze. La
nostra missione è troppo importante”.
Nessuno
osò rispondere a quella frase di Thuwey, pur non concordando
del tutto.
Entrarono nel castello. La regina era lungo il corridoio e si stava
apprestando
a raggiungere le stanze sotterranee.
“Mia
regina…” parlò il Metallo, notando che
era ferita sul fianco.
“Thuwey!
Sei tu! Che sollievo vederti!” rispose lei, tenendo sollevata
la lunga e
pomposa gonna nera per poter camminare più in fretta.
“Presto,
Jovihann! Andiamo!” sbottò una voce maschile.
Kassihell
spalancò gli occhi. Era suo padre l’uomo che era
sbucato alle spalle della
regina e, sfiorandola con le mani, la incitava ad avanzare.
“Papà!”
esclamò il Fuoco.
“Ma
guarda chi si vede…” gli rispose Vehuya, con tono
neutro.
“Io
e te abbiamo alcune cosette da chiarire…”
sibilò il figlio.
“Quando
vuoi!” ghignò il padre.
“Direi
che ora non è il caso!” affermò
Aherektess.
“Concordo!
Raggiungiamo i sotterranei!” si aggiunse Thuwey.
L’imperatore
e la regina, l’uno accanto all’altro, seguirono il
Metallo che, da capo delle
guardie, apriva ogni porta fino a raggiungere l’ultima,
quella che solamente la
sua sovrana poteva far spalancare. Per sbloccarla, Jovihann
poggiò la mano su
un quadrato lucido, che brillò. Reagiva al suo codice
genetico e solo un membro
della famiglia reale poteva farlo funzionare. Si richiuse alle spalle
del gruppo
di fuggitivi, ermeticamente.
I
corridoi erano bui, impolverati e silenziosi. L’aria era
pesante, umida.
Nessuno parlava, sentendosi in colpa per tutte le persone che, ferite,
non
sarebbero state in grado di salvarsi come loro.
“Come
mai tuo padre è qui?” sussurrò Reishefy
a Kassihell, sentendo la sua voce poi
rimbombare lungo le pareti.
“Che
domanda idiota!” sbottò il Fuoco.
“Qui
abbiamo cibo, acqua e tutto il necessario per sopravvivere diversi
giorni”
parlò il Metallo, mostrando le varie stanze “E
nessuno può accedervi né
uscirne, se non con la mano della regina”.
Kassihell
accese le fiaccole lungo la via e le candele nelle salette quasi del
tutto
spoglie. Seduti in terra tutti assieme, per tenersi compagnia, i
sovrani si
tenevano per mano. Jovihann aveva la testa sulla spalla di Vehuya ed il
figlio
di lui fissava entrambi con fastidio.
“Perché
mi guardi così, ragazzo mio?” ridacchiò
il padre “Tua madre sa di tutto
questo”.
“Non
mi interessa e non mi riguarda. È che mi fa
senso…” rispose Kassihell, incrociando
le braccia e inclinando la testa.
“Thuwey…”
parlò la regina, sorridendo con dolcezza
“C’è una cosa di cui ti vorrei
parlare…”.
“Non
sforzatevi…” la interruppe lui, mentre la Terra
curava la ferita di lei.
“Ho
avuto davvero paura di non rivederti, quando sono stata
ferita…”.
“Signora,
vi prego! Non so dove vogliate andare a parare
ma…” borbottò il Metallo.
“Chiudi
la bocca, soldatino, e ascolta ciò che ha da
dirti!” lo zittì Vehuya.
“Dicevo…”
riprese la sovrana “…ho davvero avuto paura di
morire e non poterti rivedere. E
non poter sistemare tante cose che, se non ci fossi più,
resterebbe altrimenti
in sospeso. Volevo che tu sapessi, mio caro, che sarai tu il prossimo
re di
questo regno”.
“Che
cosa?! Perché?!” farfugliò lui, per
niente felice della notizia, mentre i suoi
compagni di viaggio ridacchiavano e gli facevano le congratulazioni.
“Perché
tu sei mio figlio, Thuwey”.
“Eh?!”
si sentì, corale, fra i presenti.
“Ti
sei mai chiesto come mai tu possieda una tale energia magica? Sei
sangue del
mio sangue…”.
“Ma…se
è così…mio padre chi è? E
perché sono cresciuto da solo?”.
“Tuo
padre non saprei dirti esattamente chi sia…al tempo mi
divertivo un sacco, lo
devo ammettere. Non ero una regina, quando nascesti. Per i miei
genitori era
una cosa inammissibile che la principessa ereditaria avesse un bambino
senza
essere sposata, mostrando al regno il fatto che vivevo
un’esistenza piuttosto
sregolata e fuori da ciò che doveva essere
l’ordinario. Sei nato, ed è già
stato un grande traguardo. Ho dovuto combattere per farti vedere la
luce, al
contrario di quanto ordinavano i miei. Appena sono divenuta regina, ho
iniziato
a cercarti. Non è servito perché fosti tu a
giungere da me, come soldato
protettore della capitale. Ti ho riconosciuto subito, perché
ogni creatura del Metallo
ha le zone del proprio elemento in punti diversi e poi…la
tua energia era
inconfondibile!”.
“Perché
non mi avete detto la verità fin
dall’inizio?”.
“Non
lo so. Forse perché, quando ti ho rivisto, eri
già grande. Eri quasi
maggiorenne e di certo non avevi bisogno di una
mamma…”.
Thuwey
la fissò, con gli occhi ramati che si muovevano senza
controllo, con in testa
un misto di amore ed odio che si mescolavano in modo confuso.
“Perdonami,
Thuwey. Ho commesso tantissimi errori nella mia vita…sono
stata una pessima
sovrana ed una pessima persona…”.
“Non
è vero…” mormorò il Metallo,
non sapendo cos’altro dire mentre la sovrana
scattava in avanti, spalancando le braccia in cerca di un abbraccio.
Lui
la fissò, titubante, e poi ritrasse le punte, permettendo a
Jovihann di
avvolgerlo con affetto. Lehelin gli sorrise. Il suo compagno
d’avventure aveva
appena ottenuto ciò che andava cercando da una vita e da cui
si era sempre
protetto.
La
porta si aprì, ne sentirono lo scattare secco.
Com’era possibile?
“Solo
altre due persone potrebbero aprire quella porta…”
borbottò Vehuya.
“Due?
E chi sarebbero?” si stupì la regina.
“I
gemelli…”.
“Non
ti avevo dato ordine esplicito di liberartene?”
mormorò lei, avvicinandosi di
più all’imperatore con aria minacciosa.
“Lo
so” rispose lui, distogliendo lo sguardo
“Ma…non l’ho fatto”.
“Di
che state parlando?” alzò un sopracciglio
Kassihell.
“Mi
stai dicendo che hai provato ad ucciderli ma non ci sei
riuscito?” continuava a
parlare piano Jovihann, mentre Vehuya non la guardava.
“Se
ci ha provato, qualcosa non è andato per il verso
giusto” parlò Kire, fissando
tutti quanti con aria triste e distante “L’erba
cattiva non muore mai. Quasi
mai…”.
“Che
succede, Kire?” domandò l’imperatore.
“Kire?!
Come sai il suo nome?! Perché non mi hai
detto…” iniziò la regina ma Vehuya la
zittì.
“Io
ci tengo ai miei figli, a differenza di te!”
sbottò e Kassihell lo fissò con
aria scettica, non sentendosi particolarmente amato.
“Non
è vero, imperatore” parlò, piano, Kire
“Tu non ci tieni ai tuoi figli”.
“Non
vi ho uccisi, come vostra madre mi aveva ordinato, e vi ho affidato ad
un
sanguemisto di mia fiducia, Neziar, colui che vi ha
cresciuto”.
“Vaffanculo”.
“Mi
sono perso qualche passaggio…il cosetto dal sangue
incrociato qui presente è
mio fratello?” tentò di capire il Fuoco.
“Figlio
mio e di Jovihann, esatto” confermò
l’imperatore.
“Quindi…anche
mio fratello!” si aggiunse Thuwey.
“Non
ho capito…” piagnucolò Reishefy.
“Non
è difficile, cretina!” sbuffò
Mattehedike.
“Ti
spiego con calma…” sospirò Thuwey
“Kassihell è il figlio di Vehuya e di sua
moglie, imperatrice del Fuoco. Io sono figlio di Jovihann e di una
creatura del
Metallo non identificata. Kire, il mezzosangue qui presente,
è figlio di Vehuya
e Jovihann”.
“Quindi…se
non ho capito male…Elehcim era vostro fratello?”.
“Era?!”
si stupì la regina.
Ci
fu silenzio. Si guardarono fra loro, con tantissima confusione nella
testa e
sulla coscienza.
“Era,
esatto” parlò Kire “Era
perché ora non lo è più. Questi
bastardi…lo hanno
ammazzato!”.
“Guarda
che qui c’è solo un bastardo, ed è
Thuwey di cui non si sa chi sia il padre! E
poi, scusami tanto, ma il tuo gemellino ha tentato di
ucciderci!” sbottò la
Roccia.
“Elehcim
è morto?” domandò Vehuya, visibilmente
turbato.
“In
modo atroce…”.
“Voleva
ucciderci! È stata legittima difesa!”
continuò Mattehedike.
“Smettetela
di parlare, brutti schifosi!” ringhiò Kire.
Scattò
in avanti e, con lui, molti altri mezzosangue che lo avevano seguito
lungo il
cunicolo segreto. Impedirono la fuga ai viaggiatori, bloccandoli nella
stanza.
C’era Danjell, di Terra e Fuoco. Roary, Luce e
Oscurità, gli stava accanto.
Omokaig, Luce ed Acqua, era sulla porta vicino a Monihika, Luce ed
Aria. Semar,
stringendo i pugni, guardava tutti quanti con odio per ciò
che era stato fatto
ad Elehcim. Anyram, Ailil ed Hella, tutte con metà sangue di
Ghiaccio, erano
vicine. Anyram sprizzava elettricità, Ailil sfoggiava i
tipici fiori della
Terra ed Hella gli spuntoni del Metallo. Innavoig, Terra e Roccia,
fissava
tutti con sfida. Arual, di Aria ed Acqua, pareva poco convinta su come
si
stessero mettendo le cose e sospirava. Cihalu, una donna di Roccia ed
Elettricità, aveva lo sguardo perso e confuso di chi non ha
bene idea di cosa
stesse facendo. Frahin palleggiava con una sfera di Fuoco, avvolto
dalla nebbia
tipica degli abitanti dell’Oscurità. Aseret,
triste perché non amava la
violenza, era l’insieme di Terra e Luce e questo le
permetteva di sapere
moltissime cose mescolando il suo sapere intellettivo e le parole che i
suoi
elementi le dicevano. Ultimi, in fila per tre, venivano i mezzosangue
d’Aria
Handro, Antyhela e Garihiele con le loro caratteristiche
d’Elettricità, Metallo
e Fuoco. Tutti loro, impedivano ai viaggiatori ed alla coppia di reali
di
salvarsi. Erano furiosi, ancora sconvolti per il modo disumano in cui
era stato
ucciso il loro compagno Elehcim. Vendicativi, furiosi e molto potenti,
iniziarono ad usare i loro poteri. Nel frattempo, fuori, Araik e Neziar
comandavano gli altri sanguemisto per distruggere la capitale.
“
Noi siamo fratelli. Non dobbiamo ucciderci” parlò
Kassihell, rivolto a Kire.
“Io
avevo un solo fratello, e me lo avete portato via! Tu sei solamente il
figlio
di colui che non mi ha voluto e mi ha abbandonato, perché si
vergognava di aver
messo al mondo un incrocio!”.
I
presenti ebbero modo di vedere che Vehuya e Jovihann avevano un
potenziale
magico straordinario, che sfruttavano. Purtroppo risultava inutile
perché i
loro avversari annullavano a vicenda ogni loro punto debole, impedendo
l’attacco combinato. I dieci ed i reali capirono di non poter
andare avanti a
lungo. Erano stanchi ed abbattuti, senza più voglia di
uccidere quelle creature
criptiche. Kire dava ordini in modo preciso, come se il suo corpo
avesse
centinaia di occhi e fosse capace di seguire ogni movimento dei suoi
compagni.
Thuwey ammirò le sue doti di leader, trovando le proprie
pessime se non sotto
il punto di vista militare. Schizzava sangue e si aprivano ferite,
volavano
insulti e percosse, quando una voce profonda sovrastò tutte
le altre.
“Adesso
piantatela!” si sentì, mentre il terreno vibrava.
Era
Kaos. A braccia incrociate, dietro di lui si potevano scorgere tutte le
altre
divinità del pianeta, aveva l’aria di chi
rimproverava dei bambini troppo
agitati.
“Gli
Dèi…” sussurrarono alcuni dei mortali.
“Esatto.
Gli Dèi” confermò Kaos.
“Perfetto.
Pure voi vi mettete contro di noi…”
mormorò Kire.
“Io
non sono dalla parte di nessuno, se non dalla mia. Mi trovo bene qui,
mortaluccio, e non me ne voglio andare. Non voglio aspettare che la
Creatrice
realizzi un altro mondo per poter avere un posticino dove farmi adorare
e
divertirmi. Asteria sta morendo ed io la voglio salvare”.
“NOI
la vogliamo salvare!” specificò Vereheveil.
“Facendoci
estinguere? Grazie tante!” commentò, sarcastico,
Semar.
“Per
quel che mi riguarda…” rispose Kaos
“…potete anche estinguervi tutti.
Mezzosangue, triplosangue, sanguepuro, poveri bastardelli o di stirpe
reale…per
me siete tutti uguali. Ed anche agli occhi della Creatrice siete
così,
credetemi. Perciò è inutile che vi scaldiate
tanto. Salvate Asteria, ed Asteria
salverà voi”.
“Ne
siete sicuro?” domandò Efrehem.
Il
Dio non rispose e fissò la Luce con i suoi occhi azzurri.
Poi si spostò su
Lehelin e le sorrise.
“Quindi…mi
assicurate che noi non subiremo conseguenze
dall’evocazione?” azzardò Roary.
“Non
sappiamo cosa accadrà dopo l’evocazione”
parlò Dharam, Dio del Fuoco “Ma di
certo le conseguenze potrebbero ricadere su tutti. Sui sanguepuro, sui
sanguemisto, su noi Dèi…non sappiamo quale
sarà la scelta della Creatrice”.
“Perciò,
alla fine di tutta questa faticaccia, potremmo ritrovarci
all’altro mondo?”
gemette Enki.
“Potrebbe
essere…” confermò Heronìka.
“E
voi non dite niente?” piagnucolò Reishefy.
Enrikiran
alzò le spalle, con indifferenza, e Loreatehenzi
ridacchiò.
“I
prescelti devono continuare il loro viaggio, ottenendo gli ultimi due
oggetti
proibiti ed evocando la Creatrice. Ciò che sarà
dopo, si vedrà” parlò Xoduzz,
Dio dell’Elettricità, con voce solenne.
“E
chiunque interferirà con tutto questo, verrà
eliminato!” aggiunse Mihael.
Tutti
poggiarono le proprie armi, dando segno di resa.
“Sappiate
che se per salvare Asteria è necessaria la vostra morte, la
Creatrice non
esiterà. Fra voi mortali e la sopravvivenza del mondo,
è ovvio che lei
sceglierà la seconda opzione e non starà troppo a
pensarci. Se per far
proseguire la vita di Asteria vi dovrà far estinguere,
allora lo farà” furono
le parole di Vereheveil, Dio della Luce.
“Noi
non vogliamo morire! Non esiste un modo per…”
farfugliò l’Elettricità.
Enki
si inginocchiò, a mani giunte, supplicando la Dea
dell’Acqua, Heronìka, di
darle la grazia.
“Io
non posso far nulla” parlò la Dea “Se
non proteggerti fino alla fine di questa
missione. Poi sarete nelle mani della Creatrice, e non potrò
fare niente”.
“Perché
non siete intervenuti prima? Perché non avete salvato
Elehcim?” volle sapere,
con sguardo basso e braccia incrociate, Kire.
“Era
un suo desiderio” gli rispose Kaos “Era il dono
più bello che potessimo
concedergli: una morte epica, memorabile, che chiedeva da
tempo”.
Kire
non disse altro e chiuse gli occhi, lucidi.
“Voi
dieci!” sbottò Xoduzz, irritato dalle perdite di
tempo “Muovetevi e partite.
Concludete questa missione e facciamola finita, qualsiasi cosa accada
con
l’evocazione”.
I
viaggiatori si fissarono.
“Dovete
concorrere per lo stesso scopo” parlò, con calma,
Vereheveil “Mezzosangue o
sanguepuro, mortali o Dèi, dobbiamo pensare al bene di
Asteria”.
“Al
bene di Asteria? Pensare a quello e non pensare a noi stessi ad alle
conseguenze?! Ma che si fotta pure Asteria e la Creatrice!”
sbottò Semar.
“Sappiate
che noi divinità siamo per la conclusione della missione e
conseguente
evocazione” informò Loreatehenzi.
“E
con questo?” si domandò Kire.
“Con
questo, brutto coglione, intendiamo dire che se qualcuno
oserà interferire
subirà tutte le conseguenze che merita”
ringhiò Kaos.
“Bene.
Perfetto. Ho capito” mormorò il capo dei
sanguemisto, abbassando le orecchie a
punta, consapevole che perfino le divinità li avevano
abbandonati al loro
destino.
“Non
fare quella faccia…” gli disse Thuwey, andandogli
vicino “…mi sa tanto che qui
nessuno vince e nessuno perde. Ce la pigliamo nel culo tutti allo
stesso modo”.
Kire
alzò leggermente il lato destro della bocca, in un micro
sorriso, e scosse la
testa. I puri ed i misti si separarono. Ora i dieci erano ancora meno
convinti
di ciò che stavano facendo, ma non avevano scelta. Gli
Dèi li tenevano
d’occhio. Li scortavano. Mihael iniziò a seguirli
per questo. Tolse l’elmo,
mostrando i lunghi capelli mori, mossi, ed un enorme paio di corna
nere.
Comunicò loro che d’ora in poi li avrebbe
controllati da vicino.
Volevano
lasciarsi alle spalle l’odio, le morti, i dubbi ed il sangue,
uscendo da quel
regno. Purtroppo per loro non fu così e, entrando nel mondo
della Terra, tutto
ancora pesava sul loro animo.