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Autore: hotaru    23/02/2009    0 recensioni
- Questo mondo è rugiada, davvero è rugiada - disse a voce leggermente bassa, ma perfettamente udibile al di sopra del concerto di cicale che faceva da sottofondo.
Hinata si sentì improvvisamente in colpa per quello che aveva pensato poco prima. Chi era lei per poter anche solo immaginare di recriminare qualcosa a suo padre, bloccato in quel posto asettico e anonimo, o a suo cugino, solo quanto quella casa in mezzo ai rovi e ai rampicanti?
- Eppure, eppure – concluse, l’ultima parola quasi un sussurro.
Ci fu qualche attimo di silenzio, spezzato da uno sbuffo irriverente.
- Bella – fece una voce femminile un po’ aspra – Te la sei inventata sul momento o l’avevi preparata prima?
Quinta classificata al contest "Alternative Universe Special-2° edizione di DarkRose86 e vincitrice del Premio per la Miglior Trattazione dell'Immagine.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Neji Hyuuga
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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3° capitolo

3° capitolo

 
Quel mattino Hiashi Hyuuga sembrava davvero interessato al calendario appoggiato sul comodino, aperto alla pagina dedicata al mese di luglio.
L’infermiera di turno nel pomeriggio, durante il suo giro, commentò allegra:

-         aCos’è tutto questo interesse per il calendario? Ha un appuntamento? E quando?
L’uomo la guardò decisamente storto, piuttosto infastidito, ma la donna era voltata verso la finestra e non ci fece caso. Anzi, chiese gioiosa:

-         Dimenticato qualcosa?
Poi, rendendosi conto di essere stata un po’ fuori luogo, tentò di rimediare:

-         Posso esserle utile?
Hiashi Hyuuga, che pur essendo consapevole della condizione sfavorevole in cui si trovava, si sentiva sempre leggermente superiore al resto del mondo, decise per una volta di abbassarsi al livello di quell’oca giuliva, giusto per approfittare dell’aiuto che gli stava offrendo.

-         Sa per caso che giorno è oggi? – chiese cortesemente.
-       
Mi sembra… aspetti un attimo… - fece l’infermiera, spostando il calendario- con sommo fastidio del proprietario- per guardarlo meglio – Ah sì, è il tre luglio! Caspita, domani si festeggia l’Indipendenza! Uscirà anche lei a vedere i fuochi d’artificio?
Ma Hiashi non l’ascoltava più.
Guardò fuori dalla finestra, e quello che vide fu un bambino dai lunghi capelli castani che chiedeva innocentemente se i fuochi d’artificio fossero un regalo per il suo compleanno, anche se un po’ in ritardo. Suo padre, ancora giovane e in forze, senza alcuna traccia della leucemia che l’avrebbe stroncato entro pochi mesi, lanciava al gemello al di qua del vetro un’occhiata divertita, per poi rispondere sorridendo al bambino:  “Certo, Neji. Se no per quale altro motivo dovrebbero esserci?”
E si ricordò che avrebbe dovuto fare gli auguri a qualcuno.

 
Si era alla fine del mese di maggio, e gli addetti della ditta di pompe funebri avevano appena caricato la  bara sul carro. I due gemelli, le cui figure si stagliavano dritte di fronte alla vecchia casa un po’ malmessa, non batterono ciglio.
Il responsabile rivolse loro un’occhiata, per avvertirli che erano pronti. Hiashi annuì, poi fece loro segno di andare.
Hizashi, le cui braccia erano occupate da un bambino di undici mesi dai grandi occhi chiari, non staccò gli occhi dal carro funebre finché non fu partito.

-         Ti dispiace? – gli chiese il fratello, altrettanto concentrato sul moto lento ma inesorabile del mezzo.
-         Ad essere sincero, non provo nulla – rispose l’altro con voce neutra.
-         Già, nemmeno io.
-         In fondo ci ha cresciuto lei – provò Hizashi, quasi tentando di autoconvincersi.
Hiashi gli lanciò un’occhiata bieca:

-         Ci siamo tirati su a vicenda.
-         Già, hai ragione – concordò il fratello.   
Il bambino cominciò a dimenarsi tra le braccia del padre, evidentemente stufo di stare lì fermo,. cCosì Hizashi lo mise giù.

-         Cammina? – chiese Hiashi.
-         Non ancora – gli rispose il fratello, mentre il bambino gli teneva strette le dita nelle manine e muoveva qualche passo ancora incerto, diretto verso la casa – Ma per il suo compleanno dovrebbe ormai riuscire a camminare da solo. Perlomeno mia moglie dice così.
-         Sì, lo credo anch’io. Sembra un tipetto in gamba – commentò Hiashi mentre Neji cercava ostinatamente di salire i gradini di fronte alla casa, tentando di compiere passi enormi rispetto alla lunghezza della sua gamba. Andò a finire che il padre lo sollevò di peso e lo posò direttamente sul patio d’entrata, dove il bambino cominciò a sgambettare, felice e soddisfatto dell’impresa appena compiuta.
-         Ah, te l’ho detto? -o detto?ppena compiuta. a zampettare felice e soddisfattomente sul patiola casa, tentando di compiere passi enormi rispetto all ripres ai detto- rispose Hizashi - e Hiashi, apparentemente con noncuranza – Mia moglie è incinta.
-         No che non me l’hai detto - rispose Hizashi – Ma era ora: volevi lasciare Neji senza un cugino per tutta la vita?
-         Quante storie – sbuffò il fratello – Comunque nascerà per dicembre, alla fine avranno solo un anno di differenza.
-         Bene.
-         Bene.
Nella quiete della primavera inoltrata si udiva solo un forte ronzio di api e calabroni, tutti intenti a volare attorno ai fiori di campo spuntati qua e là.
Fu Hizashi a rompere il silenzio.

-         Credo che ormai siano arrivati in chiesa – ponderò.
-         Sì, e avranno anche già cominciato – annuì il fratello.
-         Già mi immagino i commenti della gente sui due ingrati gemelli che neanche vanno al funerale della zia che li ha accolti in casa e amorevolmente cresciuti… - fece Hizashi.
-         Non che cambi molto da quello che hanno sempre detto di noi – ribatté Hiashi, per nulla turbato.
-        
No, infatti – gli diede ragione il gemello, recuperando Neji che protestò contrariato – Ma faremmo meglio ad andare comunque.
Si udì un sospiro poco convinto, tuttavia poco dopo  entrambi, simili a corvi nei loro vestiti neri coperti dai capelli scuri, si diressero verso l’auto. Misero in moto e partirono, in direzione del paese.
La casa rimase lì.

 
-         E tu da quanto tempo sei qui? – chiese Neji ad una Hanabi seduta sulla pietra dei gradini davanti alla casa, apparentemente intenta a sradicare un po’ di erbacce insinuatesi tra le crepe, la borsa accuratamente appoggiata sulle ginocchia.
-         Vuoi entrare? – domandò Hinata, temendo che fosse l’orgoglio a bloccare lì la sorella.
-         No, grazie. Come ho già detto, non ci tengo proprio a finire i miei giorni sotto le macerie di una casa in rovina. Anche se ha retto con voi, non è detto che il miracolo si ripeta – ribatté la ragazza.
Neji la guardò di sottecchi, superandola senza battere ciglio. Lei gli indirizzò una smorfia infantile, notata solo da Hinata, la quale tuttavia si guardò bene dal dire qualcosa.

-         Comunque si è fatto tardi – intervenne il giovane, voltandosi verso le cugine – È già pomeriggio inoltrato e non abbiamo ancora mangiato niente. Meglio andare.
Hanabi fece per alzarsi, mentre Hinata sembrò ricordare improvvisamente qualcosa e corse di nuovo dentro casa.
Giusto il tempo per Neji e Hanabi di scambiarsi un’occhiata meravigliata, che la ragazza era già di ritorno, nella mano destra un libro dalla copertina verde opaco.

-         Ma cosa sei andata a prendere? – fece la sorella disgustata – Che ne sai che i topi non ci abbiano pisciato sopra?
Ma Hinata la ignorò, porgendo il libro al cugino, che lo prese con entrambe le mani senza dire una parola.
Poi si voltò e cominciò a camminare in direzione dell’auto, seguito dalle due ragazze.
Fatto qualche metro, Hinata si volse ancora una volta, ad osservare la casa fatiscente dal muro bianco e gli infissi penzolanti, circondata da una vegetazione che cercava forse solo di proteggerla.

-         Comunque vista da qui ha un certo fascino – disse, rivolta alla sorella – Non credi che in foto verrebbe bene?
La ragazza strinse di più la cinghia della borsa contenente la preziosa macchina fotografica da cui non si separava mai. Abbassò la testa, lasciando che i sottili capelli castani- resi un po’ più chiari dalla luce dorata del sole- le nascondessero il viso.

-         Ma scherzi? – borbottò, senza nemmeno guardarla – Sprecare una foto per quel rudere? E poi non c’è nemmeno la luce giusta.
Hinata sorrise, avendo appena avuto conferma che Hanabi la foto alla casa l’avesse già fatta, studiandone a lungo inquadratura e messa a fuoco, mentre lei e Neji erano dentro.

-         Ah, tieni – esclamò come se si fosse appena ricordata di una cosa importante, porgendole poi la scatola di latta che teneva ancora fra le braccia.
-         Cos’è? – fece la ragazza prendendola fra la mani, un po’ scettica – Non ci saranno mica dei biscotti ammuffiti dentro? Sai che dopo tutto questo tempo potrebbero avere le larve?
Cercando di non sorridere al pensiero che Hanabi, a cinque anni, aveva mandato giù più di un verme viscido e intero, Hinata scosse la testa.

-         No, sei fuori strada – le disse. E poi, con l’aria di chi sta confidando chissà quale segreto: - C’è un tesoro.
La sorella minore alzò notevolmente le sopracciglia, incredula. Era forse sul punto di rispondere qualcosa di piccante, ma sembrò cambiare idea e lasciar perdere.
Nel frattempo avevano raggiunto l’auto, la casa ormai fuori dal loro campo visivo. Ma c’era, lei e il suo passato, e lo sapevano bene tutti e tre.
Salirono silenziosamente in macchina, ognuno immerso nei propri pensieri.
Inaspettatamente fu Neji a infrangere il silenzio.
-         Allora, dove andiamo a mangiare? Qualche idea?

Grazie a giulychan, che ha messo la storia tra i preferiti.


 

 


   
 
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