3°
capitolo
Quel mattino
Hiashi Hyuuga sembrava davvero interessato al calendario appoggiato sul
comodino, aperto alla pagina dedicata al mese di luglio.
L’infermiera di
turno nel pomeriggio, durante il suo giro, commentò allegra:
-
Cos’è
tutto questo interesse per il calendario?
Ha un appuntamento? E quando?
L’uomo la guardò
decisamente storto, piuttosto infastidito, ma la donna era voltata
verso la
finestra e non ci fece caso. Anzi, chiese gioiosa:
-
Dimenticato
qualcosa?
Poi, rendendosi
conto di essere stata un po’ fuori luogo, tentò di
rimediare:
-
Posso esserle
utile?
Hiashi Hyuuga, che
pur essendo consapevole della condizione sfavorevole in cui si trovava,
si
sentiva sempre leggermente superiore al resto del mondo, decise per una
volta
di abbassarsi al livello di quell’oca giuliva, giusto per
approfittare
dell’aiuto che gli stava offrendo.
-
Sa per caso
che giorno è oggi? – chiese cortesemente.
- Mi sembra…
aspetti un attimo… - fece l’infermiera, spostando
il calendario- con sommo
fastidio del proprietario- per guardarlo meglio – Ah
sì, è il tre luglio!
Caspita, domani si festeggia l’Indipendenza!
Uscirà anche lei a vedere i fuochi
d’artificio?
Ma Hiashi non
l’ascoltava più.
Guardò
fuori dalla
finestra, e quello che vide fu un bambino dai lunghi capelli castani
che
chiedeva innocentemente se i fuochi d’artificio fossero un
regalo per il suo
compleanno, anche se un po’ in ritardo. Suo padre, ancora
giovane e in forze,
senza alcuna traccia della leucemia che l’avrebbe stroncato
entro pochi mesi,
lanciava al gemello al di qua del vetro un’occhiata
divertita, per poi
rispondere sorridendo al bambino:
“Certo, Neji. Se no per quale altro motivo dovrebbero
esserci?”
E si
ricordò che
avrebbe dovuto fare gli auguri a qualcuno.
Il responsabile rivolse loro
un’occhiata, per avvertirli che erano pronti. Hiashi
annuì, poi fece loro segno
di andare.
Hizashi, le cui braccia erano occupate
da un bambino di undici mesi dai grandi occhi chiari, non
staccò gli occhi dal
carro funebre finché non fu partito.
-
Ti
dispiace? – gli chiese il fratello,
altrettanto concentrato sul moto lento ma inesorabile del mezzo.
-
Ad
essere sincero, non provo nulla –
rispose l’altro con voce neutra.
-
Già,
nemmeno io.
-
In
fondo ci ha cresciuto lei – provò
Hizashi, quasi tentando di autoconvincersi.
Hiashi gli lanciò un’occhiata bieca:
-
Ci
siamo tirati su a vicenda.
-
Già,
hai ragione – concordò il
fratello.
Il bambino cominciò a dimenarsi tra le
braccia del padre, evidentemente stufo di stare lì fermo, c osì Hizashi
lo mise giù.
-
Cammina?
– chiese Hiashi.
-
Non
ancora – gli rispose il fratello,
mentre il bambino gli teneva strette le dita nelle manine e muoveva
qualche
passo ancora incerto, diretto verso la casa – Ma per il suo
compleanno dovrebbe
ormai riuscire a camminare da solo. Perlomeno mia moglie dice
così.
-
Sì,
lo credo anch’io. Sembra un tipetto
in gamba – commentò Hiashi mentre Neji cercava
ostinatamente di salire i
gradini di fronte alla casa, tentando di compiere passi enormi rispetto
alla
lunghezza della sua gamba. Andò a finire che il padre lo
sollevò di peso e lo
posò direttamente sul patio d’entrata, dove il
bambino cominciò a sgambettare,
felice e soddisfatto dell’impresa appena compiuta.
-
Ah,
te l’ho detto? - ripres e Hiashi, apparentemente con noncuranza
– Mia moglie è
incinta.
-
No
che non me l’hai detto - rispose
Hizashi – Ma era ora: volevi lasciare Neji senza un cugino
per tutta la vita?
-
Quante
storie – sbuffò il fratello –
Comunque nascerà per dicembre, alla fine avranno solo un
anno di differenza.
-
Bene.
-
Bene.
Nella quiete della primavera inoltrata
si udiva solo un forte ronzio di api e calabroni, tutti intenti a
volare
attorno ai fiori di campo spuntati qua e là.
Fu Hizashi a rompere il silenzio.
-
Credo
che ormai siano arrivati in
chiesa – ponderò.
-
Sì,
e avranno anche già cominciato –
annuì il fratello.
-
Già
mi immagino i commenti della gente
sui due ingrati gemelli che neanche vanno al funerale della zia che li
ha
accolti in casa e amorevolmente cresciuti… - fece Hizashi.
-
Non
che cambi molto da quello che hanno
sempre detto di noi – ribatté Hiashi, per nulla
turbato.
-
No,
infatti – gli diede ragione il
gemello, recuperando Neji che protestò contrariato
– Ma faremmo meglio ad
andare comunque.
Si
udì un sospiro poco convinto,
tuttavia poco dopo entrambi, simili a
corvi nei loro vestiti neri coperti dai capelli scuri, si diressero
verso
l’auto. Misero in moto e partirono, in direzione del paese.
La
casa rimase lì.
-
Vuoi
entrare? – domandò Hinata, temendo che fosse
l’orgoglio a bloccare lì la
sorella.
-
No, grazie.
Come ho già detto, non ci tengo proprio a finire i miei
giorni sotto le macerie
di una casa in rovina. Anche se ha retto con voi, non è
detto che il miracolo
si ripeta – ribatté la ragazza.
Neji la guardò di
sottecchi, superandola senza battere ciglio. Lei gli
indirizzò una smorfia
infantile, notata solo da Hinata, la quale tuttavia si
guardò bene dal dire
qualcosa.
-
Comunque si
è fatto tardi – intervenne il giovane, voltandosi
verso le cugine – È già
pomeriggio inoltrato e non abbiamo ancora mangiato niente. Meglio
andare.
Hanabi fece per
alzarsi, mentre Hinata sembrò ricordare improvvisamente
qualcosa e corse di
nuovo dentro casa.
Giusto il tempo per
Neji e Hanabi di scambiarsi un’occhiata meravigliata, che la
ragazza era già di
ritorno, nella mano destra un libro dalla copertina verde opaco.
-
Ma cosa sei
andata a prendere? – fece la sorella disgustata –
Che ne sai che i topi non ci
abbiano pisciato sopra?
Ma Hinata la
ignorò, porgendo il libro al cugino, che lo prese con
entrambe le mani senza
dire una parola.
Poi si voltò e
cominciò a camminare in direzione dell’auto,
seguito dalle due ragazze.
Fatto qualche
metro, Hinata si volse ancora una volta, ad osservare la casa
fatiscente dal
muro bianco e gli infissi penzolanti, circondata da una vegetazione che
cercava
forse solo di proteggerla.
-
Comunque
vista da qui ha un certo fascino – disse, rivolta alla
sorella – Non credi che
in foto verrebbe bene?
La ragazza
strinse di più la cinghia della borsa contenente la preziosa
macchina
fotografica da cui non si separava mai. Abbassò la testa,
lasciando che i
sottili capelli castani- resi un po’ più chiari
dalla luce dorata del sole- le
nascondessero il viso.
-
Ma scherzi?
– borbottò, senza nemmeno guardarla –
Sprecare una foto per quel rudere? E poi
non c’è nemmeno la luce giusta.
Hinata sorrise,
avendo appena avuto conferma che Hanabi la foto alla casa
l’avesse già fatta,
studiandone a lungo inquadratura e messa a fuoco, mentre lei e Neji
erano
dentro.
-
Ah, tieni –
esclamò come se si fosse appena ricordata di una cosa
importante, porgendole
poi la scatola di latta che teneva ancora fra le braccia.
-
Cos’è? –
fece la ragazza prendendola fra la mani, un po’ scettica
– Non ci saranno mica
dei biscotti ammuffiti dentro? Sai che dopo tutto questo tempo
potrebbero avere
le larve?
Cercando di non
sorridere al pensiero che Hanabi, a cinque anni, aveva mandato
giù più di un
verme viscido e intero, Hinata scosse la testa.
-
No, sei
fuori strada – le disse. E poi, con l’aria di chi
sta confidando chissà quale
segreto: - C’è un tesoro.
La sorella minore
alzò notevolmente le sopracciglia, incredula. Era forse sul
punto di rispondere
qualcosa di piccante, ma sembrò cambiare idea e lasciar
perdere.
Nel frattempo
avevano raggiunto l’auto, la casa ormai fuori dal loro campo
visivo. Ma c’era,
lei e il suo passato, e lo sapevano bene tutti e tre.
Salirono
silenziosamente in macchina, ognuno immerso nei propri pensieri.
Inaspettatamente
fu Neji a infrangere il silenzio.