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Autore: skeletonflower    02/11/2015    1 recensioni
Cosa faresti, se l'eternità ti separasse dall'unica cosa che riesce a farti stare bene?
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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L'età vittoriana è un'epoca di luci ed ombre, misteri, segreti celati e nascosti da strati di trionfi, di stabilità, sicurezza. È il periodo della Regina Vittoria, il quale inizia a metà Ottocento e prosegue fino alla sua morte, nei primi anni del ventesimo secolo.

In quegli anni l'Inghilterra fiorisce grazie ad un periodo di stabilità, di espansione coloniale; il tutto, però, nasconde il degrado sociale dell'epoca: spopolano la povertà, il sovraffollamento, il lavoro minorile e la prostituzione, la droga. Il divario, la lacerazione tra le classi sociali è chiaramente percepibile.

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Peter si era rinchiuso già da ore nella biblioteca del padre. Il suo corpo magro e sottile affondava nella poltrona su cui si era rifugiato, la sua preferita - quella più morbida delle altre e più vicina al camino, il quale era ovviamente acceso. Il fuoco scoppiettava allegro, illuminando con caldi bagliori il tappeto e parte della poltrona su cui Peter era seduto. Contrariarmente al fuoco, però, Peter non era felice. Soppesava il libro che stringeva tra le dita fingendo di leggerlo, oppure si sforzava di interessarsi all'inchiostro impresso sulle fragili pagine, fallendo miseramente.

In realtà, a Peter piaceva leggere. Passava intere giornate a studiare e amava affondare il viso in un libro, informandosi su qualsiasi parola gli sembrasse sconosciuta e scoprendo di giorno in giorno nuove curiosità riguardo le materie che preferiva. Quando finiva di divorare un libro ne cercava un altro tra gli scaffali della biblioteca, per poi tornare sulla sua poltrona. Talvolta le ore passavano tanto velocemente che nemmeno si rendeva conto di quanto si fosse fatto tardi. Ma non quel giorno.

Stump. La violenza con la quale Peter chiuse quel libro lasciò sorpreso pure lui. Continuava a gettare occhiate nervose al quadrante dell'orologio appeso alla parete, spiandone le lancette. Sperava potessero tornare indietro, sempre più velocemente. Non poteva innervosirsi, preoccuparsi così tanto per un evento come il ballo che ci sarebbe stato il giorno seguente. Non ne aveva nessuna ragione. O, almeno, nessuna scusante da utilizzare con qualcuno, nessun motivo che potesse solo sembrare credibile.

Si alzò dal morbido materiale su cui era adagiato fino ad un attimo prima, e avvicinandosi alla propria scrivania posò il libro che stava tentando di leggere sul legno scuro. La sua mente era, come al solito, un violento vortice di pensieri, idee, riflessioni. Qualsiasi cosa gli passasse davanti agli occhi diveniva oggetto di ragionamento. In quel momento, l'argomento principale, che continuava a vorticare senza sosta e a cui Peter stava dedicando particolari attenzioni da almeno due settimane, era il ballo. Nello specifico, come evitare il ballo. Il ragazzino aveva pensato a mille scusanti, e nessuna di queste poteva andare bene. Ripensò attentamente a quelle più probabili, tenendo il conto di quante fossero con le dita.

Prima scusa: Ho la febbre. Peter la scartò nuovamente, scuotendo il capo. Suo padre si sarebbe potuto preoccupare: anche una semplice febbre, o raffreddore, non era da prendere alla leggera. Avrebbe probabilmente chiamato un medico, e a quel punto si sarebbe ritrovato a confessare di aver mentito.

Seconda scusa: Non so tenere una danza. Un'evidente smorfia si presentò sulle labbra del giovane. Idiota, fu ciò che pensò subito dopo. Non poteva utilizzare una frase del genere per evitare di partecipare. Non poteva nemmeno dirla per scherzo. Uno dei problemi che gravavano sulle spalle di Peter era proprio quello, il non saper ballare. Peter non aveva mai partecipato ad un ballo, e nessuno gli aveva mai insegnato a danzare con una dama. Il secondo problema - probabilmente più grave, in base ai punti di vista - era la socializzazione.

A Peter non piaceva stare in mezzo alle persone. Quando si ritrovava circondato da troppi corpi gli mancava l'aria e desiderava solamente scappare e prendere una boccata d'aria fresca, da solo. Preferiva i libri alla gente. I suoi amati tomi non erano opprimenti, non parlavano in continuazione, non discutevano di argomenti frivoli e non lo facevano impazzire. Stava bene da solo. Da solo con i suoi volumi pieni di pagine di carta. Di certo non stava bene ad un ballo.

Con un leggero sbuffo si avvicinò nuovamente al camino, affascinato dalle lingue di fuoco che parevano poterlo scottare da un minuto all'altro. Avvicinò una mano al globo dalle sfumature rosse, calde, bollenti. Gli occhi si sgranarono mentre la mano si faceva più vicina al fuoco; il calore iniziava a sferzare con sempre più prepotenza contro il palmo roseo. A Peter non piaceva avvicinarsi al pericolo. A Peter piaceva osservarlo da lontano e immaginare, cosa lo sapeva solo lui. Il suo corpicino era accucciato vicino alle fiamme, abbastanza lontano da non farsi male, abbastanza vicino per potersi godere appieno quel calore che lo riempiva. Si irradiava dal palmo della mano, e lentamente saliva lungo il braccio, per poi arrivare alle spalle e scendere lentamente lungo il petto.

Forse, alla fine, Peter non si rendeva conto di ciò che davvero temeva. Cercò di ammetterlo a se stesso. Aveva paura del ballo. Ne era terrorizzato. Aveva paura di quell'occasione di festa così come quando aveva paura nel momento in cui il fuoco scoppiettava, facendolo balzare indietro per lo spavento. Era intimidito, il domani lo inquietava. Se avesse potuto, sarebbe rimasto tutto il giorno in biblioteca, accucciato nella sua poltrona bordeaux.

Pensa ai lati positivi, Peter. Una vocina fischiò nelle sue orecchie. Si sedette a gambe incrociate, sul morbido tappeto, cercando di allontanare i pensieri negativi per far spazio ai lati positivi della serata del giorno seguente. Ricominciò a contare.

Prima cosa: Nessuno mi costringerà a tenere una danza.

Seconda cosa: Non dovrò accompagnare nessuna ragazza, ci saremo solo io e mio padre.

Un sospirò fece tremare le labbra di Peter. Poteva superare le danze, poteva superare quella serata. Nessuna scusa, nessuna vergogna, nessuna paura. Avrebbe - cercato - di intrattenere una discussione con qualche fanciulla nel modo più rispettabile possibile, avrebbe conosciuto le due figlie dell'amico di suo padre. Sarebbe andato tutto bene.

Si ritrovò ad annuire da solo, tra sé e sé. Doveva solo pensare positivo. Gettò l'ennesima occhiata all'orologio, ricominciando improvvisamente ad udire il ticchettio delle lancette, il quale si era affievolito nel momento in cui aveva cominciato a pensare. Era tardi.

Quando Peter crollò sul materasso del suo letto, i suoi folli ragionamenti avevano ricominciato a tormentarlo. Passò almeno metà notte in bianco, continuando a rigirarsi tra le coperte, scalciandole e stringendosi ad esse, fino a sparire completamente sotto il caldo tessuto. Il cuore continuava a marterrargli in petto, lo stomaco si contorceva e i pensieri picchiettavano costantemente il suo capo.

Oltre che ad essere spaventato e intimidito, si sentiva strano. Aveva un presentimento, una sensazione. Non sarebbe andata bene.

   
 
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