XIV
“Dunque
ci siamo...è il
momento dell’evocazione” mormorò Efrehem.
“Che
dobbiamo fare adesso?”
domandò Enki, mentre tutto il gruppo si girava verso la Luce.
“Che
avete da guardare?!
Perché, secondo voi, dovrei saperlo io?”.
“Perché
tu hai letto il libro
del Signore dell’Ovest, mi pare ovvio!” rispose
Kassihell.
“Sì,
ma…non l’ho capito! Tutta
quella faccenda della forza dei nomi, quelle rime prive di
logica…non vogliono
dire niente!”.
“Forse,
piccolo mortale, non
ti erano chiare all’inizio” parlò
Luciherus “Ma ora, ne sono certo, se le
riguarderai, troverai molti punti in più in grado di dirti
qualche cosa”.
Efrehem
aveva lasciato da
parte quel grosso volume da tempo, non volendo percepire la
frustrazione che
derivava dal fatto di non capirlo. Lo aprì, svogliatamente,
e ne rimase
sorpreso. Effettivamente, molti passaggi erano molto più
comprensibili.
L’oscurità che piange per le sue sorelle si
riferiva quasi sicuramente a
Lehelin e le morti avvenute fra la sua gente. Kassihell e le sue fiamme
avevano
affrontato i loro demoni, come scritto. E la luce che ammira la danza
del
ghiaccio…di certo descriveva ciò che lui, Luce,
provava per Hanjuly, il
Ghiaccio.
“A
cosa serve un libro di cui
si comprendono i passaggi solo una volta che sono avvenuti?”
sbottò, girando le
antenne a punto di domanda.
“Agli
Dèi piace fare cose del
genere” ridacchiò Luciherus
“Và avanti a leggere. Non voglio essere io colui
che ti spiega come fare l’evocazione”.
“Ma
non era Idisi quella che aveva
ricevuto in dono le parole per questo?” si stupì
Reishefy, indicando la Terra.
“Solamente
le parole, non le
procedure. Avanti…non rompete troppo! Obbedite e
basta!” sbottò il Dio,
agitando la coda ed incrociando le braccia.
Efrehem
lesse mentalmente, con
aria dubbiosa: “Qui dice…”
informò i compagni, dopo un po’
“…che ogni oggetto
proibito dev’essere consegnato dando la forza di
ciò che si è appreso e la
magia del nome ricevuto. Cioè?! E la presentazione del
donatore che roba è?!”.
Luciherus
sospirò, ruotando
gli occhi al cielo: “Devo sempre fare tutto
io…” brontolò, guardando Mihael che
se la rideva sotto i baffi.
“Tirate
fuori i vostri oggetti
proibiti” ordinò, incrociando pure le gambe e
rimanendo sospeso in aria,
fluttuante.
Si
accese una sigaretta,
accuratamente riposta nella tasca posteriore dei pantaloni, con un
grosso
accendino. Riprese a parlare dopo qualche boccata.
“Se
i miei Fratelli mi dessero
una mano…” protestò, riferendosi alle
altre divinità di Asteria “…avrei meno
da
spiegarvi ma, dato che vogliono far tutti le prime donne, tocca a me
indicarvi
il modo di avviare l’evocazione. Poi…cazzi
vostri!”.
Mihael
canticchiò
allegramente, seduto in terra, in attesa di vedere ciò che
accadeva. I
viaggiatori, in piedi, si guardavano attorno, non capendo ancora dove
fossero
finiti.
“Siete
in una dimensione
parallela…” spiegò Luciherus, nervoso
perché non sopportava l’ignoranza di
quelle creature “…a metà fra la vostra,
mortale, e quella divina. Qui i vostri
poteri sono ampliati, avrete modo di costatarlo personalmente. Avete
gli
oggetti proibiti fra le mani? Chi può averlo fra le
mani…” ci tenne a
specificare, notando lo sguardo smarrito di Idisi ed Enki.
“Principessa
del Ghiaccio…”
ricominciò il Dio, guardando ciò che lei teneva
con delicatezza fra le dita
“…tu sei la prima che attiverà il suo
oggetto”.
“Io?!
Perché io?!” si spaventò
Hanjuly.
“Che
due palle!!! Perché sì,
ecco perché!” sbottò Luciherus.
“Perché
tu possiedi il primo
oggetto che dev’essere attivato” parlò
una voce.
Era
Gibrihel, Dio della Terra.
Poggiò una mano sulla spalla della principessa.
“Io,
Dio della Terra,
Gibrihel, ho concesso in dono l’oggetto proibito del mio
elemento a questa
mortale” parlò, in tono solenne.
Hanjuly
lanciò un gridolino di
sorpresa. Il disco che stringeva era divenuto rovente e fluttuava,
illuminato,
mentre Efrehem spalancava gli occhi dicendo “La presentazione
del donatore!”.
“Ora
tocca a te, Signora del
Ghiaccio. Dì chi sei e cosa hai ricevuto da questo viaggio,
in che modo sei
cambiata…cos’hai imparato?”
continuò Luciherus.
“Io
sono Hanjuly…” iniziò lei.
“Significa
"paziente, che
ha misericordia". Hai seguito il tuo nome? Hai caricato
l’oggetto della
sua magia?” domandò il Dio della Roccia.
La
principessa parve smarrita
dinnanzi a simili domande ma non aveva il coraggio di chiedere
spiegazioni,
vedendo che Luciherus era già da sé piuttosto
infastidito.
“Certo
che l’ha fatto!” parlò
Reishefy “Ha avuto pazienza, con me soprattutto, e
misericordia in diverse
occasioni”.
Delle
bolle colorate presero
forma e fluttuarono, andando verso l’alto. Al loro interno i
dieci e le
divinità presenti videro ricreati gli episodi in cui Hanjuly
aveva seguito il
significato del suo nome.
Luciherus
sorrise,
giocherellando con una di quelle bolle. L’oggetto proibito si
illuminò con più
potenza e vibrò, emettendo un singolare suono melodico
altalenante.
“La
magia del nome ricevuto…”
mormorò Efrehem.
“Volete
sapere cosa ho
imparato?” parlò il Ghiaccio “Ho
imparato che non c’è niente di sbagliato in
me. Ho capito che, anche se sono una guerriera ed una combattente, non
una
dolce fanciulla come vorrebbero i miei genitori, vado bene
così e devo sempre
avere il coraggio di mostrarlo”.
A
quelle parole, l’oggetto
proibito si ingrandì e si girò, divenendo una
specie di tavolino circolare con
un grosso foro centrale. Era lucido, con fasce di colore diverso. Il
gruppo si
mise attorno ad esso. Solo alcuni ebbero il coraggio si sfiorarlo con
le dita,
sorridendo, avvertendone l’energia. Le bolle scomparvero,
scoppiando tutte
assieme, e tornò a predominare la penombra.
Il
disco divenne azzurro.
Aherektess, riconoscendo quella tonalità come quella del suo
popolo, fece un
passo avanti, impugnando il bastone decorato di Dharam.
“Io
sono Aherektess, significa
"guerriero di pace"…” iniziò, mentre le
bolle ricomparvero mostrando
le gesta di guerriero del principe dell’Aria.
Quella
centrale, la più
grande, conteneva la stretta di mano fra lui e Kassihell. Luciherus
annuì.
“Io,
Dharam, Dio del regno del
Fuoco, permetto l’attivazione dell’oggetto proibito
a me affidato”.
La
divinità controllante
Sirona era apparsa. Con i capelli infuocati ed il lungo mantello,
ripeté il
gesto di Gibrihel: poggiò la mano sulla spalla del mortale.
Aherektess
sobbalzò, percependo quel tocco caldo e
l’improvvisa attivazione di ciò che
stringeva fra le mani.
“In
questo viaggio…” riprese
l’Aria “Ho imparato che le persone che ci vogliono
bene tendono a controllarci,
a volte in modo eccessivo, ma questo viene fatto solo come gesto
d’affetto, non
di possessione o tormento. Magari a volte esagerano…ma lo
fanno per noi!”.
Le
bolle mostrarono varie
scene con i due gemelli del regno dell’Aria, Aherektess e
Zameknenit. Luciherus
sorrise, lanciando un’occhiata a suo fratello Mihael.
Il
bastone decorato di Dharam
ora brillava fortissimo. Aherektess lo lasciò andare, non
riuscendo più a
tenerlo fra le mani per quanto intensamente bruciasse.
L’oggetto non cadde,
rimase sospeso, e si mosse fino a prendere posto sul disco di Hanjuly,
senza
toccarlo, in verticale. Tutti guardarono la scena con ammirazione e
leggero
timore, mentre le bolle scoppiavano di nuovo tutte assieme ed il tavolo
lucido
tornava a cambiare colore, lentamente. Divenne marrone.
Mattehedike
si schiarì la
voce.: “Io sono Mattehedike. Il mio nome significa "dono
degli Dèi
vincitori"…”.
“E
lo sei, per il tuo regno”
parlò il Dio della Roccia, fissando il mortale del suo
elemento con serietà ed
un mezzo sorriso enigmatico.
“Ho
imparato che è bene
migliorare ogni giorno, senza mai credere di essere perfetti”.
“Ottimo!”
commentò Luciherus,
circondato dalle bolle piene di immagini.
“Questo
è il mio oggetto
proibito ma…dov’è il Dio che me lo ha
consegnato?” borbottò Mattehedike,
tenendo il pugnale fra le due mani a palmi aperti.
“Sarà
in ritardo come sempre…”
ridacchiò Mihael.
“Loreatehenzi!”
tuonò il Dio
della Roccia, impaziente non si sa per quale motivo.
Passarono
diversi minuti, di
imbarazzante silenzio, prima che il Dio dell’Aria piombasse
dall’alto. Atterrò
sulle spalle di Mattehedike che, leggera com’era quella
divinità, non ebbe
problemi a sorreggerla. La compagnia fissò il Dio, che
sorrise, avvolto dai
capelli sospesi dal vento.
“Cosa
mi sono perso?” domandò,
disegnando con le dita sulla testa pelata della Roccia.
“Non
ti farò un riassunto”
sibilò Luciherus “Dì quello che devi
dire ed andiamo avanti”.
“Permaloso,
come sempre. Ti
farebbe bene rilassarti, ogni tanto”.
Quella
frase ricevette di
risposta una chiara occhiataccia minacciosa, che Loreatehenzi
ignorò.
“Io
sono Loreatehenzi, potete
chiamarmi Lorenz, e sono il Dio dell’Aria. Ho affidato
l’oggetto a questo
mortale…che si attivi pure!”.
Il
pugnale si illuminò, si
sollevò dalle mani della Roccia ed andò a
posizionarsi sul disco, in verticale
e senza toccarlo esattamente come il bastone di Aherektess. Allo
scoppio delle
bolle, la superficie lucida cambiò colore di colpo,
divenendo giallo acceso.
“Tocca
a me!” esclamò
Reishefy, con entusiasmo, alzando al cielo la coppa proibita.
“Io
sono Reishefy,
"signora della freccia"…non chiedetemi
perché!”.
Le
bolle mostrarono la scena
in cui lei ed il Fuoco davano la morte alle creature della Roccia.
“Ah!”
si stupì la principessa
“Ecco perché!” ridacchiò,
mentre la coppa iniziava ad attivarsi, una pietra
dopo l’altra.
“Io,
Heronìka, Dea dell’Acqua,
ho concesso questo oggetto alla creatura
dell’Elettricità che ha meritato di
ottenerlo” parlò la Dea, apparendo fra la spuma
bianca dell’oceano che poi si
dissolse.
Appoggiò
la mano palmata sulla
spalla della mortale, che le sorrise come fossero vecchie amiche.
“Io
ho imparato che, a volte,
è molto meglio controllarsi e riflettere…un
pochino!”.
Heronìka
le sorrise, guidando
la coppa sul disco lucente e facendo scoppiare tutte le bolle con uno
schiocco
di dita. Il buio prevalse, ed il disco si fece nero.
“Finalmente!”
esclamò Mihael,
balzando in piedi ed afferrando l’Oscurità con
entrambe le mani.
“Io,
il possente ed
invincibile Mihael, ho concesso il mio oggetto proibito a questa
mortale, anche
se non lo meritava, e sono proprio curioso di vedere cosa succede
adesso che lo
attivo”.
Lehelin,
sconcertata dall’irruenza
di quelle frasi ed inquietata dalla presenza della divinità
alle sue spalle,
che la sballottava, non disse nulla.
“Parla,
mortale!” la incitò
Luciherus.
“Io…io
sono Lehelin. Dicono
voglia dire "lacrima di luce"…”.
“Questo
so spiegarlo io!”
parlò Thuwey.
“Davvero?”
si stupì lei,
fissandolo con scetticismo.
“I
tuoi occhi sono tristi,
questo spero di non averlo notato solo io. Si vede, nonostante tu
distolga
sempre lo sguardo quando parli. Le lacrime…ma anche la luce
perché hai saputo
dire le parole giuste al momento giusto, illuminando degli animi
altrimenti
confusi”.
“Veramente?!”
ridacchiò
l’Oscurità.
“Sì,
veramente” confermò
Hanjuly.
Lehelin
rimase in silenzio,
non sapendo bene che cosa dire. In imbarazzo, rise di nuovo.
“Cos’hai
imparato?” incalzò
Luciherus, arricciando la coda.
“Ho
imparato che bisogna
essere se stessi. Bisogna essere ciò che si è,
non adattarsi ai desideri ed
alle voglie degli altri fingendo di essere qualcun altro. Come ha detto
anche
il Ghiaccio, non c’è niente di sbagliato in
ciò che siamo”.
L’anello
proibito si illuminò
ed andò al suo posto. Il disco divenne rosso acceso, in un
intreccio di fiamme
e guizzi agitati.
“Io
sono Kassihell” parlò il
Fuoco, reggendo il medaglione proibito con una mano sola
“Sono "l’angelo
della morte"…”.
Le
bolle fluttuanti mostrarono
l’avvenimento nel regno del Ghiaccio, in cui Efrehem aveva
perso la vita, ma
che il Fuoco, riavvolgendo il tempo, aveva salvato. I viaggiatori, non
potendo
ricordarlo, lo fissarono con stupore ed incredulità.
“Ecco
perché hai schiacciato
quella piccola farfalla…” mormorò
Idisi, sorridendo.
“Ed
ecco il perché delle
cicatrici!” aggiunse Hanjuly.
“Grazie!”
gli disse Efrehem,
non trovando altre parole.
“L’angelo
della morte regge
una clessidra fra le mani” spiegò Luciherus
“Tu, nella tua vita, hai portato
tanta morte, combattendo in guerra, ma sei stato in grado di girare la
clessidra, e donare una vita. Il tutto non sapendo quali conseguenze
quel gesto
potesse avere su di te”.
“Ti
sono debitore” sussurrò la
Luce.
“Vedrò
come farmi ripagare”
borbottò Kassihell, non abituato a simili situazioni.
“Speravo
lo avresti usato in
modo diverso, mortaluccio…” sospirò
Kaos, sbucando dal buio “…ma io, Kaos,
l’ho
donato a te e quindi ne hai fatto l’uso che ritenevi
più giusto”.
Il
Fuoco lanciò un’occhiata
alle sue spalle, trovando inquietante il fatto che il Dio Oscuro fosse
dietro
di lui. Si sentì sfiorare dalla nebbia nera di cui era
composto e si sforzò di
guardare avanti a sé, continuando il discorso, scostando le
bolle con scene di
vita e morte dalla sua visuale.
“In
questo viaggio ho imparato
che la vendetta genera altra vendetta e non porta da nessuna
parte”.
Il
medaglione vibrò,
rilucendo, e si mosse verso il disco. Kaos guardò prima
l’oggetto, come
facevano tutti i presenti, e poi Lehelin, con un mezzo sorriso.
Il
colore argento della
superficie fece parlare Thuwey. Mostrò i due bracciali e
sorrise a Xoduzz,
apparso alle sue spalle. Si salutarono, pugno contro pugno, e poi si
presentò.
“Io
sono Thuwey. Da quel che
ne so, il mio nome vuol dire "sogno ritrovato". Cosa c’entri
questo
con la missione, non saprei dirlo”.
“Ma
è ovvio!” parlò Idisi “Hai
ritrovato tua madre!”.
Il
Metallo si mostrò piuttosto
scettico davanti a quelle parole ma non ribatté.
“Io,
Xoduzz, ho donato questi
affari al mortale qui presente e sono lieto che vengano
attivati” esclamò il
Dio dell’Elettricità, appoggiandosi spalla contro
spalla a Thuwey.
I
bracciali si illuminarono e
si sganciarono dai polsi del loro portatore.
“Ho
imparato che, ogni tanto,
è bene fidarsi anche degli altri”
mormorò il Metallo, quasi vergognandosi nel
dire una frase del genere.
Gli
oggetti andarono al giusto
posto, facendo mutare il colore del disco dall’argento al
bianco.
“Sono
io…” parlò Efrehem,
leggermente intimorito.
Il
piccolo plettro proibito
quasi non si vedeva, sul palmo pallido del mortale.
“Il
mio nome è un augurio.
"Che possa crescere, maturare, dare frutto". Ritengo di aver donato a
questo oggetto la magia ad esso legato. Lungo il cammino sono
cresciuto,
maturato…e spero, un giorno, di dare dei frutti!”
sorrise, arrossendo,
guardando Hanjuly.
Lei
gli mandò un bacio con la
punta delle dita. Lui rabbrividì, avvertendo un soffio
gelido alla schiena.
Enrikiran, Dio del Ghiaccio, era apparso alle sue spalle senza dire una
parola.
“Grazie
alla divinità dietro
di me…” riprese Efrehem “…ho
imparato ad ascoltare la musica dentro di me e
seguire il mio cuore, non solamente la testa”.
Luciherus
si aspettava che la
divinità in questione dicesse qualcosa ma non fu
così. Si limitò ad allungare
una mano verso il plettro, sospeso a mezz’aria. Toccandolo,
lo attivò
all’istante e questi andò a posizionarsi sul
disco.
“Io,
Luciherus, Dio
rappresentante del regno della Roccia, ho concesso a questa mortale di
accedere
al luogo proibito dove ci troviamo” parlò
Luciherus, anticipando il colore blu
che apparve subito dopo ed inondò l’area
circostante, come l’oceano.
“Io
sono Enki. Il mio è un
nome maschile. Significa "signore della parte inferiore", riferendosi
al mondo interiore. Immagino si riferisca al fatto che ho capito come
controllare la mia interiorità, senza farmi sopraffare dalla
paura. Questo è
anche ciò che ho imparato: avere fiducia in me stessa e non
spaventarmi più. Ho
finalmente risvegliato il mio coraggio”.
Ammirò
con orgoglio le bolle con
le immagini che lo dimostravano, mentre il terreno e l’aria
attorno al gruppo
si riempivano di luci, attivandosi.
Per
ultima, Idisi attese che
il disco diventasse verde prima di parlare.
“Il
mio nome, Idisi, per la
mia gente vuol dire "destino"…”.
“Era
destino che ti unissi a
questa missione…ricordi la storia delle carte che mi hai
raccontato?” disse
Enki, fra i segni d’assenso del gruppo.
“In
questo viaggio….ho
imparato ad arrabbiarmi, cosa utile in certi casi”.
Le
bolle mostrarono la Terra
nella biblioteca della Luce, mentre inveiva contro Aria e Fuoco.
“Io,
Vereheveil, Dio del regno
della Luce, ho concesso a questa mortale il testo per
l’evocazione che lei,
soltanto lei, pronuncerà e conoscerà”.
Il
Dio dalle ali dorate la
toccò con le sue piume e la incitò a parlare.
Idisi gli lanciò un’occhiata
preoccupata. Poi prese fiato, sentendo attivarsi una parte di lei
dentro la
testa, contenente tutto ciò che doveva dire. Senza pensarci
più, recitò una
sorta di poesia, una nenia complicata in una lingua che nessuno, tranne
lei e
Vereheveil, comprese. Gli oggetti e l’aria si illuminarono
con sempre maggiore
intensità. Era una luce magica, che non nuoceva ai
rappresentanti
dell’Oscurità. Sempre più forte,
iniziò a concentrarsi in un unico punto,
accanto a Luciherus. Prese una forma e Lei apparve, avvolta da lunghi
capelli
neri mossi da un vento inesistente. Idisi tacque, la luce formava ora
una
corona, un cerchio lucente, attorno al capo della Creatrice. Luciherus
la
guardò e lei rispose a quello sguardo, sorridendo.
Spalancò
le braccia,
mostrandole ai viaggiatori ed alle divinità. Erano sette. Su
sei di esse teneva
sospese delle sfere che ruotavano incessantemente. Efrehem ne
individuò una a
spicchi di colore diverso, intuì rappresentasse Asteria.
“È
esattamente quello che
pensi, principe della Luce” parlò lei, leggendone
la mente.
Luciherus
baciò l’unica mano
senza sfere, sussurrando parole che solo la Creatrice riuscì
a percepire. Lei
sorrise, anche se con poca convinzione. I lunghi capelli non si davano
pace, fluttuando
incessantemente e formando riccioli in aria.
“Figli
miei…” parlò, rivolta
ai mortali “…mi avete chiamato?”.
Le
parole le uscivano da
piccole labbra divise a metà per colore, come il resto del
viso di lei. Bianco
e nero, bene e male, luce ed ombra, formavano quel volto.
“Mia
Signora…” ebbe il
coraggio di parlare Efrehem “Vi abbiamo chiamato
affinché portiate i vostri
splendidi occhi azzurri su questo pianeta malato”.
Lei
rimase in silenzio,
socchiudendo le palpebre nel silenzio, come ascoltando qualcosa.
“La
magia della mia piccola
Asteria è debole…” mormorò.
Guardò
Luciherus, con aria
interrogativa.
“Creatore…”
lo chiamò, fra lo
stupore di mortali e Dèi “…cosa succede
a questo pianeta?”.
“Lo
stanno consumando” rispose
il Dio, senza incrociare lo sguardo di lei.
“Domando
perdono, per avervi
lasciati da soli” parlò la Creatrice, riferendosi
a divinità e mortali “Come
sapete, io ho altri universi a cui badare e non mi accorgo delle
variazioni
della magia, se non quando poggio piede su uno di essi”.
“Ogni
mano è un universo…”
parlottò Efrehem, sempre più curioso.
La
Dea gli sorrise, annuendo.
“Di
chi è la colpa di tutto
questo?” prese coraggio Thuwey “E qual è
la soluzione?”.
“La
colpa?” sussurrò la
Creatrice, spalancando per un attimo gli occhi “La colpa
è un po’ di tutti, Dèi
e mortali. Ma c’è modo di rimediare, state
tranquilli”.
“Asteria
quindi non finirà?
Sarà salva?” esclamò Enki.
“Sì,
certo. Temevate la fine
del mondo?” ridacchiò la Dea.
Smise
di ridere quando notò
che tutti i presenti avevano tirato un sospiro di sollievo.
“Non
vi facevo così
catastrofici…” borbottò, passandosi la
mano libera fra i capelli.
“Ad
ogni modo…” riprese, dopo
alcuni attimi di silenzio “…vi aiuterò.
Sono orgogliosa dell’unione che siete
riusciti a trovare per evocarmi. Però…manca un
pezzo!”.
“Un
pezzo?!” si stupì
Luciherus, fissandola alzando un sopracciglio.
“Sì,
un pezzo…provvedo
immediatamente”.
Mosse
la mano senza sfere e,
in un attimo, alle spalle di mortali e Dèi, apparvero i
reali di Asteria,
coloro che avevano affidato le chiavi del palazzo del Signore
dell’Ovest ai
viaggiatori. Mattehedike avvertì un brivido ed intravide lo
spirito di
Eranoranhan che lo guardava, con orgoglio.
“Ma
che…” iniziò Ozymandias ma
non aggiunse altro, vedendo chi aveva dinnanzi.
Fra
gli Dei e la Creatrice,
decise che fosse meglio rimanere in silenzio.
Zameknenit,
Rocana, Nerektan,
Vehuya, Taranis, Friedrik, Jovihann, Midir, Ozymandias e lo spirito
semitrasparente di Eranoranhan si fissarono, piuttosto confusi da
quella
materializzazione in quel luogo sconosciuto.
“Benvenute, vostre
altezze” salutò la Dea.
“Siamo tutti adesso? O
manca ancora qualcosa?” sbottò Luciherus.
La Creatrice si girò
verso di lui, incrociando le braccia e fissandolo
leggermente scocciata.
“Come sarebbe a
dire?!” esclamò “Riflettici un
po’, prima di aprire
quella tua boccaccia!”.
Il Creatore non rispose, non sapendo
cosa dire. Si fissarono negli
occhi, con una strana espressione sul viso. Lei sospirò,
rinunciando all’idea
di farsi capire.
“Se non ci fossi
io…” mormorò, scuotendo la testa.
Alzò la mano libera al
cielo ed una creatura precipitò, cadendo nel
mezzo del foro centrale del disco proibito. I viaggiatori allungarono
il collo
per vedere chi fosse. Tossendo, la figura si alzò.
“Kire!”
esclamò Vehuya.
“Un mezzosangue? Come mai?
Facciamo un bel sacrificio?” domandò il
Metallo.
“Ma tu sei proprio fissato
con i sacrifici!” disse Aherektess.
“Cosa ci faccio
qui?” chiese il sanguemisto, rialzandosi con una mano
sul capo.
“Benvenuta, creatura
d’Asteria” lo salutò la Creatrice.
“Cosa ci azzecca
lui?” protestò Luciherus.
“Ha il diritto di
rappresentare questo mondo anche lui, no? Di
contribuire all’evocazione ed alla guarigione del
pianeta” sorrise la Dea, con
aria saccente.
“E in che modo? Non ha
né un oggetto proibito né un Dio che lo
presenta”.
“Kire significa "potente
dominatore della patria"…” parlò la
Dea, ignorandolo.
“E allora?” si
accigliò il mezzosangue.
Kassihell sorrise. Nel vederlo
così, con i capelli spettinati e la barba
sfatta, si notava che i due erano fratellastri. A braccia incrociate,
non
mostrava timore nemmeno davanti alle divinità.
“Allora lo so
io!” parlò Thuwey.
Il Metallo si girò verso
la regina del suo regno, sua madre, che era
rimasta in piedi dietro di lui e Xoduzz. Le sorrise.
“Lui sarà un
potente dominatore della patria. Jovihann, mia regina e
madre, io sono un guerriero. Lo sono sempre stato e questa cosa non
cambierà.
Questo giovane, invece, è un ottimo capo. L’ho
visto come governava la sua
gente, come dava ordini e riusciva a coordinare tutto. Non sarei mai in
grado
di fare la stessa cosa. Prima di partire per questa missione, mi avete
concesso
un desiderio qualsiasi, mia regina, in cambio. Ritengo di aver capito
quale
sia. Io voglio che Kire diventi il principe ereditario del regno del
Metallo”.
“Ma…”
balbettò Jovihann, incredula
“…ma…sei tu il principe ereditario!
Tu sei mio figlio…”.
“Lo è anche lui
e, potete credermi, sarà di certo più qualificato
di me
a regnare. Io sarò lieto di restare a capo
dell’esercito, addestratore. Il re
non è il mio ruolo”.
Kire fissò il
fratellastro, piuttosto confuso. La regina faceva lo
stesso.
“Ti ho fatto una
promessa” disse lei, dopo un lungo silenzio “Ho
promesso di avverare un tuo desiderio. Se è questo, non mi
tirerò indietro.
Kire…vuoi essere principe del Metallo?”.
Il sanguemisto si
inchinò: “Solo se lo desiderate Voi,
regina” mormorò e
lei sorrise.
“Sì,
vabbè…tutto questo è molto bello
ma…cosa c’entra con la missione?”
sibilò Luciherus.
“Sei peggio dei
bambini” sbuffò la Creatrice.
“Cosa serve che lui segua
il suo nome? Mancano sempre l’oggetto e la
divinità”.
“La divinità
l’hai di fronte, Dio impaziente ed iracondo!”
sbottò lei.
Lui la fissò, con aria
interrogativa. Lei chiuse gli occhi e mutò,
mostrando il suo vero aspetto. Rizzò le antenne sulla testa,
rosse e con le
iridi gialle. Liberò le corna dai capelli. Mosse le lunghe
orecchie a punta,
tempestate di orecchini. Lasciò che due delle sue braccia,
una per lato, si
ricoprissero di piume azzurre. Mostrò la coda, terminante
con una sfera
elettrica. Un terzo occhio le si aprì in fronte e sul dorso
di ogni mano.
L’intero suo corpo si riempì di disegni
arricciati, azzurrini e vitrei. I suoi
capelli si tempestarono di fiori. Una delle sue mani divenne palmata e
squamata, verde. Un’altra si avvolse di fiamme vive. Una
terza si indurì di
pietra. La quarta fu ricoperta di spuntoni metallici. Solamente quella
che non
sorreggeva alcuna sfera rimase immutata. Il viso si illuminò
dal lato bianco e
divenne di nebbia nel lato nero.
“Io sono la più
grande dei sanguemisto” disse, fra lo stupore generale.
Solamente Luciherus rimase
impassibile, conoscendone già la reale
fisicità.
“Ognuno di voi ha un
aspetto di me” riprese la Creatrice “Come potete
definirvi e dividervi in razze, quando siete stati tutti generati da
me? I
cosiddetti sanguepuro han gli stessi diritti di esistere dei
sanguemisto, e
viceversa. Non c’è niente di sbagliato nel fatto
che esistano, a differenza di
quanto pensate voialtri”.
“Quindi…non
sono loro la causa degli squilibri di Asteria?” volle sapere
la Luce.
“Certo che no. La causa
degli scompensi di Asteria è lo sfruttamento
della sua magia, senza che le sia dato niente in cambio. Questa mia
creatura ha
un equilibrio delicato che va rispettato. Per ogni atto magico che
volete
compiere, dovete pensare a come compensare il pianeta”.
“Come facciamo noi con i
sacrifici?” domandò Thuwey.
“Ancora con ‘sti
sacrifici?!” ruotò gli occhi al cielo Aherektess.
“In un certo senso
sì…” rispose la Creatrice
“…anche se non sono ciò che
avevo in mente. Pensavo più ad una cosa tipo i rituali del
regno dell’Oscurità,
con un'offerta di qualcosa per ottenere la magia. Anche quelli del
Fuoco, con
le danze e la musica, possono andare. Ma non una volta ogni tanto.
Sarebbe bene
farli spesso, coccolando la forza di Asteria e non
sfruttandola”.
I presenti si fissarono fra loro,
piuttosto perplessi.
“Tornando
all’evocazione…” incalzò
Luciherus.
“Quanto sei pedante,
Lucy!” protestò lei.
“Non chiamarmi
Lucy!”.
“Io ti chiamo come cazzo
mi pare! Tornando all’evocazione…lui non ha
bisogno
di alcun oggetto proibito. Lui È un oggetto
proibito!”.
“In che senso?!”
si stupì Kire.
“Non
c’è niente di più proibito di te, data
la concezione distorta che
vi siete creati dividendovi per razze ed impedendovi di fare figli fra
voi. Sei
figlio di un Imperatore di Fuoco ed una regina di
Metallo…l’essenza del
proibito per voi mortali!”.
Kire si illuminò,
attivandosi come gli oggetti dei viaggiatori, mentre
appariva un gruppetto di una ventina di mezzosangue
tutt’attorno ai presenti.
“Manca ancora
qualcosa…” mormorò la Creatrice,
toccandosi il volto con
la mano libera “Ah, sì! Ma certo! Che
stupida…”.
Allungò la mano e la
mosse, creando piccoli cerchi. Ai piedi di tutti
non si vedeva più il suolo nero.
“Chi sono?”
domandò Reishefy, notando delle presenze a testa in
giù, con
i piedi a contatto con la sottilissima parete trasparente che faceva da
terreno
ad entrambi.
“Elehcim”
mormorò Kire, vedendoselo attaccato ai piedi.
“Il regno dei
morti…” aggiunse Aherektess, vedendo i suoi
genitori.
Ognuno dei mortali presenti
riconobbe qualcuno. Amici, genitori, nonni,
fratelli, compagni d’arme e di vita, colleghi e parenti
lontani. Thuwey intuì
che doveva essere suo padre quello che lo stava fissando
dall’altro mondo.
“Siete pronti?”
chiese la Creatrice “Insieme ridaremo la forza ad
Asteria”.
Le presenze del regno dei morti si
stavano prendendo per mano, creando
un’immensa spirale. I viventi, vedendo questo, iniziarono a
fare lo stesso.
Kire si inginocchiò per stringere quella rimasta libera del
fratello. Kassihell
si allungò verso di lui, dando via alla spirale del regno
dei vivi. Accanto a
lui, Aherektess. La loro stretta di mano stupì Zameknenit e
Vehuya, vicini, che
si fissarono minacciosi, prima di sorridere e decidere di fare
altrettanto.
Luciherus fece uno sforzo enorme per riuscire a prendere la mano di
Vereheveil,
divinità che odiava a morte per via delle ali piumate ed il
suo fare da saggio,
ma alla fine non interruppe il serpentone. Prescelti, Dèi,
reali e mezzosangue
ora erano tutti uniti. Guardandosi attorno, si accorsero che avevano
dato vita
a qualcosa che non aveva fine. Tutta Asteria era con loro. Da qualche
parte,
forse, l’ultimo dei vivi si univa all’ultimo dei
morti. Solamente la Creatrice
era rimasta fuori da quell’incatenamento. Avanti a
sé osservò la sfera
dell’universo di quel pianeta. Lo tenne sospeso, guidandolo
con la mano libera.
“Ridiamo forza ad
Asteria” mormorò.
A quelle parole, Kire
iniziò a trasmettere la sua luce, che si espanse
per tutta la spirale, sia dalla parte dei viventi che in quella dei
morti. Gli
occhi della Dea si spalancarono, divenendo di colore unico, mentre la
pallina
che teneva sospesa fra le mani si illuminò in modo sempre
più forte. Il
bagliore si fece più intenso, abbagliante e magico. La sua
energia fu
chiaramente percepita da tutti quelli che ne venivano attraversati. Il
tutto
durò qualche istante, pochi minuti. A qualcuno parve
un’eternità, a qualcun
altro solo un soffio. La luce si esaurì. Il regno dei morti
scomparve ed i
mortali caddero in terra, esausti. Perfino gli Dèi parevano
provati dalla cosa,
ma non vollero darlo a vedere e fecero finta di nulla. Lentamente,
tutto tornò
nella penombra, lasciando solamente i prescelti, le
divinità, i reali e Kire.
Il resto scomparve. La Creatrice non parlò, come non
parlò nessuna delle
divinità, in attesa che i loro sottoposti si svegliassero.
“È tutto
finito?” mormorò Luciherus.
“Per
ora…” rispose la Dea.
Il primo a svegliarsi fu Thuwey.
Intontito e stremato, fu aiutato ad
alzarsi da Mihael.
“Se non vi
vedessi…” disse, riferendosi agli Dèi
“…direi che è stato
tutto un sogno”.
“Ti piacerebbe!”
ghignò Kassihell, rialzandosi con calma e sistemandosi
il vestito.
I due erano ai lati opposti del
disco, che si stava rimpicciolendo,
privo di luce. Uno dopo l’altro, si rialzarono tutti, aiutati
e sorretti dalla
divinità del proprio regno. La Creatrice porse la mano
libera a Kire, che fu
piuttosto titubante ma l’afferrò.
I prescelti si guardarono fra loro,
non comprendendo gli sguardi assurdi
che si stavano scambiando.
“Che
c’è?” domandò Reishefy
“Cosa sono quelle facce?”.
“I tuoi
capelli…” mormorò Enki.
L’Elettricità
ci passò una mano sopra e…erano lisci! Erano
pettinati e
non stavano più in aria a scosse sconnesse come erano soliti
fare.
“Sei bellissima
così, bambina mia!” le disse Taranis,
abbracciandola
dopo tutto quel tempo.
“Tutti noi abbiamo
qualcosa di diverso?” domandò Thuwey “Io
cos’ho?”.
“Le mie bellissime
corna!” rispose Mihael.
Il Metallo si tastò il
capo e le trovò. Erano due cornoni neri,
appuntiti e minacciosi.
“Che
figata…” disse, impaziente di
potersi guardare allo specchio.
La Roccia e la Luce si erano accorti
da soli di ciò che avevano ricevuto
e non stavano nella pelle. Mattehedike ora possedeva un bel paio
d’ali nere,
come quelle del Dio del suo elemento. Anche Efrehem aveva ricevuto
delle ali in
dono, ma erano piumate e d’oro, con tanti occhi fra le piume,
come quelle di
Vereheveil. Entrambi provarono ad alzarsi in volo, con scarsi risultati.
“Dilettanti”
scosse la testa Aherektess.
Avvertì una certa
sensazione di fastidio alla fronte. Provò a
grattarsela ma si fermò. Un grosso occhio dalle iridi rosse
lo fissava, sul
dorso della sua mano. Girò anche l’altra. Entrambe
avevano quell’occhio. E
sulla fronte? si chiese. Portò il dorso dell’arto
destro vicino alla testa e
vide il suo volto, con un bel terzo occhio turchino nel mezzo. Rimase
senza
parole. Di certo questo lo avrebbe aiutato in volo
ma…deglutì, mentre il
gemello gli metteva un braccio attorno alle spalle, ridacchiando e
dicendogli
che così sì che aveva stile. Hanjuly sorrise,
notando che le erano ricresciuti
i capelli e vedendo sulla sua pelle gli stessi tatuaggi della Dea,
trasmettitori di un’energia che mai prima d’ora
aveva posseduto. Anche
Kassihell aveva ricevuto dei tatuaggi. I suoi, quelli a fiamma che
aveva sempre
avuto, bruciavano di fiamma viva senza nessuno sforzo da parte sua.
Sorrise,
soddisfatto da questa novità. Idisi annusò
l’aria, avvertendo il profumo di un
fiore nuovo. Era del colore del grano, con riflessi azzurri, e cresceva
fra i
suoi capelli. Il Ghiaccio vi riconobbe il fiore che aveva creato con il
Dio
della Terra.
“A me che cosa
è successo?” domandò Enki, non notando
cambiamenti.
“La tua cresta!
È bellissima!” le disse Idisi.
Era passata dal verde
all’arancio acceso, con riflessi rosso rubino.
Splendeva.
“E tu, mia cara
Lehelin…” parlò Thuwey, avvicinandosi
all’Oscurità “Ora
hai gli occhi azzurri”.
Lei non rispose. Si girò
verso Kaos che le stava alle spalle. Aveva gli
occhi come lui.
“Da questo momento, ognuno
di voi porterà il segno di ciò che
accaduto”
parlò la Creatrice “Come ricordo e come monito.
Non permettete che l’equilibrio
di Asteria sia compromesso nuovamente in futuro”.
Furono le ultime parole che
pronunciò, prima di scomparire alla vista
dei mortali. Luciherus la seguì, con la sigaretta in bocca e
senza dire una
parola.
Kire ghignò. Non
c’era niente di diverso in lui. Non si era accorto di
avere tre ombre…
“Efrehem…”
parlò il Dio del Ghiaccio, Enrikiran, per la prima volta
dall’inizio di tutta quella faccenda
“…ti ho portato questo. Ora puoi portarlo
a casa”.
Fra le mani stringeva il violino con
cui la Luce aveva affrontato la
sfida. Gli occhi del mortale si illuminarono, meravigliati.
“Dite sul
serio?”.
Enrikiran annuì. Efrehem
lo prese fra le mani, con un piccolo inchino, e
lo mostrò a suo nonno, Friedrik. Quando si girò,
il Dio ghiacciato non c’era
più.
“Buona fortuna, per
tutto” disse Vereheveil, salutando tutti e volando
via, lasciando piume qua e là.
“Chiamatemi, se decidete
di organizzare qualche bella festa!” furono le
parole di commiato di Loreatehenzi, prima di scomparire in un soffio di
vento.
“Vale lo stesso per
me” si aggiunse Xoduzz, dissolvendosi in un lampo.
“Cercate di non venire a
tormentarci per un po’…” fu il commento
di
Gibrihel, mentre si faceva avvolgere dal suo elemento, sparendo sotto
la
superficie del suolo.
Heronìka
abbracciò Reishefy, augurandole ogni bene e dandole due baci
sulle guance. Enki la salutò con la mano e la Dea
svanì, così com’era apparsa,
sorridendo.
“Mi
raccomando…basta guerre!” ammonì
Dharam, rivolgendosi a Kassihell ed
Aherektess.
“Cosa?! Ed io cosa ci sto
a fare qui, allora?” protestò Mihael.
Il Dio del Fuoco lo prese sotto
braccio, sorridendo, ed incamminandosi
con lui verso una meta imprecisata, lontana: “Ci sono molte
altre cose che puoi
fare!” iniziò “Ad esempio…hai
mai pensato di divenire il Dio della musica che
ti piace tanto? O, che ne so, il Dio delle barbe e dei capelli? Avresti
molto
più successo…”.
Non si videro più neppure
loro due, avvolti dalla luce emessa da Dharam.
Solamente Kaos rimase
dov’era. Fissò i mortali, che si stavano salutando
calorosamente a grandi abbracci, baci e frasi d’addio.
“Lehelin…”
disse, guardando la principessa oscura, che sobbalzò al
suono
profondo di quella voce.
“Sì?”
rispose, girandosi.
“Vieni con
me…vorrei parlarti di una cosa”.
Mattehedike, vedendo che la
compagnia si stava separando, informò che
invitava tutti i presenti alla sua festa d’incoronazione,
certo che quello non
fosse un addio.