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Autore: SagaFrirry    04/11/2015    0 recensioni
Asteria è un pianeta diviso in 10 territori identici, ciascuno dei quali è governato da un diverso elemento. Questa storia narra le avventure attorno ad un mondo fantastico popolato da creature legate a Luce, Fuoco, Metallo, Terra, Roccia, Oscurità, Acqua, Ghiaccio, Aria ed Elettricità. Per compiere una missione di fondamentale importanza per la sopravvivenza del pianeta, creature estremamente diverse e solitamente rivali dovranno allearsi. Fra difficoltà, risse, assurdità e personaggi strambi, i dieci regni li attendono. Scritto nell'ormai lontano 2011, vede comparire alcune creature della trilogia "città degli Dei" (capitemi..è la mia prima storia, ci sono affezionata!) e tutti (e dico TUTTI) i personaggi presenti in questa storia sono persone reali. Amici, parenti, ex fidanzati..ovviamente modificati a dovere. Li vorrei ringraziare tutti ma non ho molto spazio. Spero vi divertiate, come io mi sono divertita a scrivere.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIV

 

“Dunque ci siamo...è il momento dell’evocazione” mormorò Efrehem.

“Che dobbiamo fare adesso?” domandò Enki, mentre tutto il gruppo si girava verso la Luce.

“Che avete da guardare?! Perché, secondo voi, dovrei saperlo io?”.

“Perché tu hai letto il libro del Signore dell’Ovest, mi pare ovvio!” rispose Kassihell.

“Sì, ma…non l’ho capito! Tutta quella faccenda della forza dei nomi, quelle rime prive di logica…non vogliono dire niente!”.

“Forse, piccolo mortale, non ti erano chiare all’inizio” parlò Luciherus “Ma ora, ne sono certo, se le riguarderai, troverai molti punti in più in grado di dirti qualche cosa”.

Efrehem aveva lasciato da parte quel grosso volume da tempo, non volendo percepire la frustrazione che derivava dal fatto di non capirlo. Lo aprì, svogliatamente, e ne rimase sorpreso. Effettivamente, molti passaggi erano molto più comprensibili. L’oscurità che piange per le sue sorelle si riferiva quasi sicuramente a Lehelin e le morti avvenute fra la sua gente. Kassihell e le sue fiamme avevano affrontato i loro demoni, come scritto. E la luce che ammira la danza del ghiaccio…di certo descriveva ciò che lui, Luce, provava per Hanjuly, il Ghiaccio.

“A cosa serve un libro di cui si comprendono i passaggi solo una volta che sono avvenuti?” sbottò, girando le antenne a punto di domanda.

“Agli Dèi piace fare cose del genere” ridacchiò Luciherus “Và avanti a leggere. Non voglio essere io colui che ti spiega come fare l’evocazione”.

“Ma non era Idisi quella che aveva ricevuto in dono le parole per questo?” si stupì Reishefy, indicando la Terra.

“Solamente le parole, non le procedure. Avanti…non rompete troppo! Obbedite e basta!” sbottò il Dio, agitando la coda ed incrociando le braccia.

Efrehem lesse mentalmente, con aria dubbiosa: “Qui dice…” informò i compagni, dopo un po’ “…che ogni oggetto proibito dev’essere consegnato dando la forza di ciò che si è appreso e la magia del nome ricevuto. Cioè?! E la presentazione del donatore che roba è?!”.

Luciherus sospirò, ruotando gli occhi al cielo: “Devo sempre fare tutto io…” brontolò, guardando Mihael che se la rideva sotto i baffi.

“Tirate fuori i vostri oggetti proibiti” ordinò, incrociando pure le gambe e rimanendo sospeso in aria, fluttuante.

Si accese una sigaretta, accuratamente riposta nella tasca posteriore dei pantaloni, con un grosso accendino. Riprese a parlare dopo qualche boccata.

“Se i miei Fratelli mi dessero una mano…” protestò, riferendosi alle altre divinità di Asteria “…avrei meno da spiegarvi ma, dato che vogliono far tutti le prime donne, tocca a me indicarvi il modo di avviare l’evocazione. Poi…cazzi vostri!”.

Mihael canticchiò allegramente, seduto in terra, in attesa di vedere ciò che accadeva. I viaggiatori, in piedi, si guardavano attorno, non capendo ancora dove fossero finiti.

“Siete in una dimensione parallela…” spiegò Luciherus, nervoso perché non sopportava l’ignoranza di quelle creature “…a metà fra la vostra, mortale, e quella divina. Qui i vostri poteri sono ampliati, avrete modo di costatarlo personalmente. Avete gli oggetti proibiti fra le mani? Chi può averlo fra le mani…” ci tenne a specificare, notando lo sguardo smarrito di Idisi ed Enki.

“Principessa del Ghiaccio…” ricominciò il Dio, guardando ciò che lei teneva con delicatezza fra le dita “…tu sei la prima che attiverà il suo oggetto”.

“Io?! Perché io?!” si spaventò Hanjuly.

“Che due palle!!! Perché sì, ecco perché!” sbottò Luciherus.

“Perché tu possiedi il primo oggetto che dev’essere attivato” parlò una voce.

Era Gibrihel, Dio della Terra. Poggiò una mano sulla spalla della principessa.

“Io, Dio della Terra, Gibrihel, ho concesso in dono l’oggetto proibito del mio elemento a questa mortale” parlò, in tono solenne.

Hanjuly lanciò un gridolino di sorpresa. Il disco che stringeva era divenuto rovente e fluttuava, illuminato, mentre Efrehem spalancava gli occhi dicendo “La presentazione del donatore!”.

“Ora tocca a te, Signora del Ghiaccio. Dì chi sei e cosa hai ricevuto da questo viaggio, in che modo sei cambiata…cos’hai imparato?” continuò Luciherus.

“Io sono Hanjuly…” iniziò lei.

“Significa "paziente, che ha misericordia". Hai seguito il tuo nome? Hai caricato l’oggetto della sua magia?” domandò il Dio della Roccia.

La principessa parve smarrita dinnanzi a simili domande ma non aveva il coraggio di chiedere spiegazioni, vedendo che Luciherus era già da sé piuttosto infastidito.

“Certo che l’ha fatto!” parlò Reishefy “Ha avuto pazienza, con me soprattutto, e misericordia in diverse occasioni”.

Delle bolle colorate presero forma e fluttuarono, andando verso l’alto. Al loro interno i dieci e le divinità presenti videro ricreati gli episodi in cui Hanjuly aveva seguito il significato del suo nome.

Luciherus sorrise, giocherellando con una di quelle bolle. L’oggetto proibito si illuminò con più potenza e vibrò, emettendo un singolare suono melodico altalenante.

“La magia del nome ricevuto…” mormorò Efrehem.

“Volete sapere cosa ho imparato?” parlò il Ghiaccio “Ho imparato che non c’è niente di sbagliato in me. Ho capito che, anche se sono una guerriera ed una combattente, non una dolce fanciulla come vorrebbero i miei genitori, vado bene così e devo sempre avere il coraggio di mostrarlo”.

A quelle parole, l’oggetto proibito si ingrandì e si girò, divenendo una specie di tavolino circolare con un grosso foro centrale. Era lucido, con fasce di colore diverso. Il gruppo si mise attorno ad esso. Solo alcuni ebbero il coraggio si sfiorarlo con le dita, sorridendo, avvertendone l’energia. Le bolle scomparvero, scoppiando tutte assieme, e tornò a predominare la penombra.

Il disco divenne azzurro. Aherektess, riconoscendo quella tonalità come quella del suo popolo, fece un passo avanti, impugnando il bastone decorato di Dharam.

“Io sono Aherektess, significa "guerriero di pace"…” iniziò, mentre le bolle ricomparvero mostrando le gesta di guerriero del principe dell’Aria.

Quella centrale, la più grande, conteneva la stretta di mano fra lui e Kassihell. Luciherus annuì.

“Io, Dharam, Dio del regno del Fuoco, permetto l’attivazione dell’oggetto proibito a me affidato”.

La divinità controllante Sirona era apparsa. Con i capelli infuocati ed il lungo mantello, ripeté il gesto di Gibrihel: poggiò la mano sulla spalla del mortale. Aherektess sobbalzò, percependo quel tocco caldo e l’improvvisa attivazione di ciò che stringeva fra le mani.

“In questo viaggio…” riprese l’Aria “Ho imparato che le persone che ci vogliono bene tendono a controllarci, a volte in modo eccessivo, ma questo viene fatto solo come gesto d’affetto, non di possessione o tormento. Magari a volte esagerano…ma lo fanno per noi!”.

Le bolle mostrarono varie scene con i due gemelli del regno dell’Aria, Aherektess e Zameknenit. Luciherus sorrise, lanciando un’occhiata a suo fratello Mihael.

Il bastone decorato di Dharam ora brillava fortissimo. Aherektess lo lasciò andare, non riuscendo più a tenerlo fra le mani per quanto intensamente bruciasse. L’oggetto non cadde, rimase sospeso, e si mosse fino a prendere posto sul disco di Hanjuly, senza toccarlo, in verticale. Tutti guardarono la scena con ammirazione e leggero timore, mentre le bolle scoppiavano di nuovo tutte assieme ed il tavolo lucido tornava a cambiare colore, lentamente. Divenne marrone.

Mattehedike si schiarì la voce.: “Io sono Mattehedike. Il mio nome significa "dono degli Dèi vincitori"…”.

“E lo sei, per il tuo regno” parlò il Dio della Roccia, fissando il mortale del suo elemento con serietà ed un mezzo sorriso enigmatico.

“Ho imparato che è bene migliorare ogni giorno, senza mai credere di essere perfetti”.

“Ottimo!” commentò Luciherus, circondato dalle bolle piene di immagini.

“Questo è il mio oggetto proibito ma…dov’è il Dio che me lo ha consegnato?” borbottò Mattehedike, tenendo il pugnale fra le due mani a palmi aperti.

“Sarà in ritardo come sempre…” ridacchiò Mihael.

“Loreatehenzi!” tuonò il Dio della Roccia, impaziente non si sa per quale motivo.

Passarono diversi minuti, di imbarazzante silenzio, prima che il Dio dell’Aria piombasse dall’alto. Atterrò sulle spalle di Mattehedike che, leggera com’era quella divinità, non ebbe problemi a sorreggerla. La compagnia fissò il Dio, che sorrise, avvolto dai capelli sospesi dal vento.

“Cosa mi sono perso?” domandò, disegnando con le dita sulla testa pelata della Roccia.

“Non ti farò un riassunto” sibilò Luciherus “Dì quello che devi dire ed andiamo avanti”.

“Permaloso, come sempre. Ti farebbe bene rilassarti, ogni tanto”.

Quella frase ricevette di risposta una chiara occhiataccia minacciosa, che Loreatehenzi ignorò.

“Io sono Loreatehenzi, potete chiamarmi Lorenz, e sono il Dio dell’Aria. Ho affidato l’oggetto a questo mortale…che si attivi pure!”.

Il pugnale si illuminò, si sollevò dalle mani della Roccia ed andò a posizionarsi sul disco, in verticale e senza toccarlo esattamente come il bastone di Aherektess. Allo scoppio delle bolle, la superficie lucida cambiò colore di colpo, divenendo giallo acceso.

“Tocca a me!” esclamò Reishefy, con entusiasmo, alzando al cielo la coppa proibita.

“Io sono Reishefy, "signora della freccia"…non chiedetemi perché!”.

Le bolle mostrarono la scena in cui lei ed il Fuoco davano la morte alle creature della Roccia.

“Ah!” si stupì la principessa “Ecco perché!” ridacchiò, mentre la coppa iniziava ad attivarsi, una pietra dopo l’altra.

“Io, Heronìka, Dea dell’Acqua, ho concesso questo oggetto alla creatura dell’Elettricità che ha meritato di ottenerlo” parlò la Dea, apparendo fra la spuma bianca dell’oceano che poi si dissolse.

Appoggiò la mano palmata sulla spalla della mortale, che le sorrise come fossero vecchie amiche.

“Io ho imparato che, a volte, è molto meglio controllarsi e riflettere…un pochino!”.

Heronìka le sorrise, guidando la coppa sul disco lucente e facendo scoppiare tutte le bolle con uno schiocco di dita. Il buio prevalse, ed il disco si fece nero.

“Finalmente!” esclamò Mihael, balzando in piedi ed afferrando l’Oscurità con entrambe le mani.

“Io, il possente ed invincibile Mihael, ho concesso il mio oggetto proibito a questa mortale, anche se non lo meritava, e sono proprio curioso di vedere cosa succede adesso che lo attivo”.

Lehelin, sconcertata dall’irruenza di quelle frasi ed inquietata dalla presenza della divinità alle sue spalle, che la sballottava, non disse nulla.

“Parla, mortale!” la incitò Luciherus.

“Io…io sono Lehelin. Dicono voglia dire "lacrima di luce"…”.

“Questo so spiegarlo io!” parlò Thuwey.

“Davvero?” si stupì lei, fissandolo con scetticismo.

“I tuoi occhi sono tristi, questo spero di non averlo notato solo io. Si vede, nonostante tu distolga sempre lo sguardo quando parli. Le lacrime…ma anche la luce perché hai saputo dire le parole giuste al momento giusto, illuminando degli animi altrimenti confusi”.

“Veramente?!” ridacchiò l’Oscurità.

“Sì, veramente” confermò Hanjuly.

Lehelin rimase in silenzio, non sapendo bene che cosa dire. In imbarazzo, rise di nuovo.

“Cos’hai imparato?” incalzò Luciherus, arricciando la coda.

“Ho imparato che bisogna essere se stessi. Bisogna essere ciò che si è, non adattarsi ai desideri ed alle voglie degli altri fingendo di essere qualcun altro. Come ha detto anche il Ghiaccio, non c’è niente di sbagliato in ciò che siamo”.

L’anello proibito si illuminò ed andò al suo posto. Il disco divenne rosso acceso, in un intreccio di fiamme e guizzi agitati.

“Io sono Kassihell” parlò il Fuoco, reggendo il medaglione proibito con una mano sola “Sono "l’angelo della morte"…”.

Le bolle fluttuanti mostrarono l’avvenimento nel regno del Ghiaccio, in cui Efrehem aveva perso la vita, ma che il Fuoco, riavvolgendo il tempo, aveva salvato. I viaggiatori, non potendo ricordarlo, lo fissarono con stupore ed incredulità.

“Ecco perché hai schiacciato quella piccola farfalla…” mormorò Idisi, sorridendo.

“Ed ecco il perché delle cicatrici!” aggiunse Hanjuly.

“Grazie!” gli disse Efrehem, non trovando altre parole.

“L’angelo della morte regge una clessidra fra le mani” spiegò Luciherus “Tu, nella tua vita, hai portato tanta morte, combattendo in guerra, ma sei stato in grado di girare la clessidra, e donare una vita. Il tutto non sapendo quali conseguenze quel gesto potesse avere su di te”.

“Ti sono debitore” sussurrò la Luce.

“Vedrò come farmi ripagare” borbottò Kassihell, non abituato a simili situazioni.

“Speravo lo avresti usato in modo diverso, mortaluccio…” sospirò Kaos, sbucando dal buio “…ma io, Kaos, l’ho donato a te e quindi ne hai fatto l’uso che ritenevi più giusto”.

Il Fuoco lanciò un’occhiata alle sue spalle, trovando inquietante il fatto che il Dio Oscuro fosse dietro di lui. Si sentì sfiorare dalla nebbia nera di cui era composto e si sforzò di guardare avanti a sé, continuando il discorso, scostando le bolle con scene di vita e morte dalla sua visuale.

“In questo viaggio ho imparato che la vendetta genera altra vendetta e non porta da nessuna parte”.

Il medaglione vibrò, rilucendo, e si mosse verso il disco. Kaos guardò prima l’oggetto, come facevano tutti i presenti, e poi Lehelin, con un mezzo sorriso.

Il colore argento della superficie fece parlare Thuwey. Mostrò i due bracciali e sorrise a Xoduzz, apparso alle sue spalle. Si salutarono, pugno contro pugno, e poi si presentò.

“Io sono Thuwey. Da quel che ne so, il mio nome vuol dire "sogno ritrovato". Cosa c’entri questo con la missione, non saprei dirlo”.

“Ma è ovvio!” parlò Idisi “Hai ritrovato tua madre!”.

Il Metallo si mostrò piuttosto scettico davanti a quelle parole ma non ribatté.

“Io, Xoduzz, ho donato questi affari al mortale qui presente e sono lieto che vengano attivati” esclamò il Dio dell’Elettricità, appoggiandosi spalla contro spalla a Thuwey.

I bracciali si illuminarono e si sganciarono dai polsi del loro portatore.

“Ho imparato che, ogni tanto, è bene fidarsi anche degli altri” mormorò il Metallo, quasi vergognandosi nel dire una frase del genere.

Gli oggetti andarono al giusto posto, facendo mutare il colore del disco dall’argento al bianco.

“Sono io…” parlò Efrehem, leggermente intimorito.

Il piccolo plettro proibito quasi non si vedeva, sul palmo pallido del mortale.

“Il mio nome è un augurio. "Che possa crescere, maturare, dare frutto". Ritengo di aver donato a questo oggetto la magia ad esso legato. Lungo il cammino sono cresciuto, maturato…e spero, un giorno, di dare dei frutti!” sorrise, arrossendo, guardando Hanjuly.

Lei gli mandò un bacio con la punta delle dita. Lui rabbrividì, avvertendo un soffio gelido alla schiena. Enrikiran, Dio del Ghiaccio, era apparso alle sue spalle senza dire una parola.

“Grazie alla divinità dietro di me…” riprese Efrehem “…ho imparato ad ascoltare la musica dentro di me e seguire il mio cuore, non solamente la testa”.

Luciherus si aspettava che la divinità in questione dicesse qualcosa ma non fu così. Si limitò ad allungare una mano verso il plettro, sospeso a mezz’aria. Toccandolo, lo attivò all’istante e questi andò a posizionarsi sul disco.

“Io, Luciherus, Dio rappresentante del regno della Roccia, ho concesso a questa mortale di accedere al luogo proibito dove ci troviamo” parlò Luciherus, anticipando il colore blu che apparve subito dopo ed inondò l’area circostante, come l’oceano.

“Io sono Enki. Il mio è un nome maschile. Significa "signore della parte inferiore", riferendosi al mondo interiore. Immagino si riferisca al fatto che ho capito come controllare la mia interiorità, senza farmi sopraffare dalla paura. Questo è anche ciò che ho imparato: avere fiducia in me stessa e non spaventarmi più. Ho finalmente risvegliato il mio coraggio”.

Ammirò con orgoglio le bolle con le immagini che lo dimostravano, mentre il terreno e l’aria attorno al gruppo si riempivano di luci, attivandosi.

Per ultima, Idisi attese che il disco diventasse verde prima di parlare.

“Il mio nome, Idisi, per la mia gente vuol dire "destino"…”.

“Era destino che ti unissi a questa missione…ricordi la storia delle carte che mi hai raccontato?” disse Enki, fra i segni d’assenso del gruppo.

“In questo viaggio….ho imparato ad arrabbiarmi, cosa utile in certi casi”.

Le bolle mostrarono la Terra nella biblioteca della Luce, mentre inveiva contro Aria e Fuoco.

“Io, Vereheveil, Dio del regno della Luce, ho concesso a questa mortale il testo per l’evocazione che lei, soltanto lei, pronuncerà e conoscerà”.

Il Dio dalle ali dorate la toccò con le sue piume e la incitò a parlare. Idisi gli lanciò un’occhiata preoccupata. Poi prese fiato, sentendo attivarsi una parte di lei dentro la testa, contenente tutto ciò che doveva dire. Senza pensarci più, recitò una sorta di poesia, una nenia complicata in una lingua che nessuno, tranne lei e Vereheveil, comprese. Gli oggetti e l’aria si illuminarono con sempre maggiore intensità. Era una luce magica, che non nuoceva ai rappresentanti dell’Oscurità. Sempre più forte, iniziò a concentrarsi in un unico punto, accanto a Luciherus. Prese una forma e Lei apparve, avvolta da lunghi capelli neri mossi da un vento inesistente. Idisi tacque, la luce formava ora una corona, un cerchio lucente, attorno al capo della Creatrice. Luciherus la guardò e lei rispose a quello sguardo, sorridendo.

Spalancò le braccia, mostrandole ai viaggiatori ed alle divinità. Erano sette. Su sei di esse teneva sospese delle sfere che ruotavano incessantemente. Efrehem ne individuò una a spicchi di colore diverso, intuì rappresentasse Asteria.

“È esattamente quello che pensi, principe della Luce” parlò lei, leggendone la mente.

Luciherus baciò l’unica mano senza sfere, sussurrando parole che solo la Creatrice riuscì a percepire. Lei sorrise, anche se con poca convinzione. I lunghi capelli non si davano pace, fluttuando incessantemente e formando riccioli in aria.

“Figli miei…” parlò, rivolta ai mortali “…mi avete chiamato?”.

Le parole le uscivano da piccole labbra divise a metà per colore, come il resto del viso di lei. Bianco e nero, bene e male, luce ed ombra, formavano quel volto.

“Mia Signora…” ebbe il coraggio di parlare Efrehem “Vi abbiamo chiamato affinché portiate i vostri splendidi occhi azzurri su questo pianeta malato”.

Lei rimase in silenzio, socchiudendo le palpebre nel silenzio, come ascoltando qualcosa.

“La magia della mia piccola Asteria è debole…” mormorò.

Guardò Luciherus, con aria interrogativa.

“Creatore…” lo chiamò, fra lo stupore di mortali e Dèi “…cosa succede a questo pianeta?”.

“Lo stanno consumando” rispose il Dio, senza incrociare lo sguardo di lei.

“Domando perdono, per avervi lasciati da soli” parlò la Creatrice, riferendosi a divinità e mortali “Come sapete, io ho altri universi a cui badare e non mi accorgo delle variazioni della magia, se non quando poggio piede su uno di essi”.

“Ogni mano è un universo…” parlottò Efrehem, sempre più curioso.

La Dea gli sorrise, annuendo.

“Di chi è la colpa di tutto questo?” prese coraggio Thuwey “E qual è la soluzione?”.

“La colpa?” sussurrò la Creatrice, spalancando per un attimo gli occhi “La colpa è un po’ di tutti, Dèi e mortali. Ma c’è modo di rimediare, state tranquilli”.

“Asteria quindi non finirà? Sarà salva?” esclamò Enki.

“Sì, certo. Temevate la fine del mondo?” ridacchiò la Dea.

Smise di ridere quando notò che tutti i presenti avevano tirato un sospiro di sollievo.

“Non vi facevo così catastrofici…” borbottò, passandosi la mano libera fra i capelli.

“Ad ogni modo…” riprese, dopo alcuni attimi di silenzio “…vi aiuterò. Sono orgogliosa dell’unione che siete riusciti a trovare per evocarmi. Però…manca un pezzo!”.

“Un pezzo?!” si stupì Luciherus, fissandola alzando un sopracciglio.

“Sì, un pezzo…provvedo immediatamente”.

Mosse la mano senza sfere e, in un attimo, alle spalle di mortali e Dèi, apparvero i reali di Asteria, coloro che avevano affidato le chiavi del palazzo del Signore dell’Ovest ai viaggiatori. Mattehedike avvertì un brivido ed intravide lo spirito di Eranoranhan che lo guardava, con orgoglio.

“Ma che…” iniziò Ozymandias ma non aggiunse altro, vedendo chi aveva dinnanzi.

Fra gli Dei e la Creatrice, decise che fosse meglio rimanere in silenzio.

Zameknenit, Rocana, Nerektan, Vehuya, Taranis, Friedrik, Jovihann, Midir, Ozymandias e lo spirito semitrasparente di Eranoranhan si fissarono, piuttosto confusi da quella materializzazione in quel luogo sconosciuto.

“Benvenute, vostre altezze” salutò la Dea.                                         

“Siamo tutti adesso? O manca ancora qualcosa?” sbottò Luciherus.

La Creatrice si girò verso di lui, incrociando le braccia e fissandolo leggermente scocciata.

“Come sarebbe a dire?!” esclamò “Riflettici un po’, prima di aprire quella tua boccaccia!”.

Il Creatore non rispose, non sapendo cosa dire. Si fissarono negli occhi, con una strana espressione sul viso. Lei sospirò, rinunciando all’idea di farsi capire.

“Se non ci fossi io…” mormorò, scuotendo la testa.

Alzò la mano libera al cielo ed una creatura precipitò, cadendo nel mezzo del foro centrale del disco proibito. I viaggiatori allungarono il collo per vedere chi fosse. Tossendo, la figura si alzò.

“Kire!” esclamò Vehuya.

“Un mezzosangue? Come mai? Facciamo un bel sacrificio?” domandò il Metallo.

“Ma tu sei proprio fissato con i sacrifici!” disse Aherektess.

“Cosa ci faccio qui?” chiese il sanguemisto, rialzandosi con una mano sul capo.

“Benvenuta, creatura d’Asteria” lo salutò la Creatrice.

“Cosa ci azzecca lui?” protestò Luciherus.

“Ha il diritto di rappresentare questo mondo anche lui, no? Di contribuire all’evocazione ed alla guarigione del pianeta” sorrise la Dea, con aria saccente.

“E in che modo? Non ha né un oggetto proibito né un Dio che lo presenta”.

“Kire significa "potente dominatore della patria"…” parlò la Dea, ignorandolo.

“E allora?” si accigliò il mezzosangue.

Kassihell sorrise. Nel vederlo così, con i capelli spettinati e la barba sfatta, si notava che i due erano fratellastri. A braccia incrociate, non mostrava timore nemmeno davanti alle divinità.

“Allora lo so io!” parlò Thuwey.

Il Metallo si girò verso la regina del suo regno, sua madre, che era rimasta in piedi dietro di lui e Xoduzz. Le sorrise.

“Lui sarà un potente dominatore della patria. Jovihann, mia regina e madre, io sono un guerriero. Lo sono sempre stato e questa cosa non cambierà. Questo giovane, invece, è un ottimo capo. L’ho visto come governava la sua gente, come dava ordini e riusciva a coordinare tutto. Non sarei mai in grado di fare la stessa cosa. Prima di partire per questa missione, mi avete concesso un desiderio qualsiasi, mia regina, in cambio. Ritengo di aver capito quale sia. Io voglio che Kire diventi il principe ereditario del regno del Metallo”.

“Ma…” balbettò Jovihann, incredula “…ma…sei tu il principe ereditario! Tu sei mio figlio…”.

“Lo è anche lui e, potete credermi, sarà di certo più qualificato di me a regnare. Io sarò lieto di restare a capo dell’esercito, addestratore. Il re non è il mio ruolo”.

Kire fissò il fratellastro, piuttosto confuso. La regina faceva lo stesso.

“Ti ho fatto una promessa” disse lei, dopo un lungo silenzio “Ho promesso di avverare un tuo desiderio. Se è questo, non mi tirerò indietro. Kire…vuoi essere principe del Metallo?”.

Il sanguemisto si inchinò: “Solo se lo desiderate Voi, regina” mormorò e lei sorrise.

“Sì, vabbè…tutto questo è molto bello ma…cosa c’entra con la missione?” sibilò Luciherus.

“Sei peggio dei bambini” sbuffò la Creatrice.

“Cosa serve che lui segua il suo nome? Mancano sempre l’oggetto e la divinità”.

“La divinità l’hai di fronte, Dio impaziente ed iracondo!” sbottò lei.

Lui la fissò, con aria interrogativa. Lei chiuse gli occhi e mutò, mostrando il suo vero aspetto. Rizzò le antenne sulla testa, rosse e con le iridi gialle. Liberò le corna dai capelli. Mosse le lunghe orecchie a punta, tempestate di orecchini. Lasciò che due delle sue braccia, una per lato, si ricoprissero di piume azzurre. Mostrò la coda, terminante con una sfera elettrica. Un terzo occhio le si aprì in fronte e sul dorso di ogni mano. L’intero suo corpo si riempì di disegni arricciati, azzurrini e vitrei. I suoi capelli si tempestarono di fiori. Una delle sue mani divenne palmata e squamata, verde. Un’altra si avvolse di fiamme vive. Una terza si indurì di pietra. La quarta fu ricoperta di spuntoni metallici. Solamente quella che non sorreggeva alcuna sfera rimase immutata. Il viso si illuminò dal lato bianco e divenne di nebbia nel lato nero.

“Io sono la più grande dei sanguemisto” disse, fra lo stupore generale.

Solamente Luciherus rimase impassibile, conoscendone già la reale fisicità.

“Ognuno di voi ha un aspetto di me” riprese la Creatrice “Come potete definirvi e dividervi in razze, quando siete stati tutti generati da me? I cosiddetti sanguepuro han gli stessi diritti di esistere dei sanguemisto, e viceversa. Non c’è niente di sbagliato nel fatto che esistano, a differenza di quanto pensate voialtri”.

“Quindi…non sono loro la causa degli squilibri di Asteria?” volle sapere la Luce.

“Certo che no. La causa degli scompensi di Asteria è lo sfruttamento della sua magia, senza che le sia dato niente in cambio. Questa mia creatura ha un equilibrio delicato che va rispettato. Per ogni atto magico che volete compiere, dovete pensare a come compensare il pianeta”.

“Come facciamo noi con i sacrifici?” domandò Thuwey.

“Ancora con ‘sti sacrifici?!” ruotò gli occhi al cielo Aherektess.

“In un certo senso sì…” rispose la Creatrice “…anche se non sono ciò che avevo in mente. Pensavo più ad una cosa tipo i rituali del regno dell’Oscurità, con un'offerta di qualcosa per ottenere la magia. Anche quelli del Fuoco, con le danze e la musica, possono andare. Ma non una volta ogni tanto. Sarebbe bene farli spesso, coccolando la forza di Asteria e non sfruttandola”.

I presenti si fissarono fra loro, piuttosto perplessi.

“Tornando all’evocazione…” incalzò Luciherus.

“Quanto sei pedante, Lucy!” protestò lei.

“Non chiamarmi Lucy!”.

“Io ti chiamo come cazzo mi pare! Tornando all’evocazione…lui non ha bisogno di alcun oggetto proibito. Lui È un oggetto proibito!”.

“In che senso?!” si stupì Kire.

“Non c’è niente di più proibito di te, data la concezione distorta che vi siete creati dividendovi per razze ed impedendovi di fare figli fra voi. Sei figlio di un Imperatore di Fuoco ed una regina di Metallo…l’essenza del proibito per voi mortali!”.

Kire si illuminò, attivandosi come gli oggetti dei viaggiatori, mentre appariva un gruppetto di una ventina di mezzosangue tutt’attorno ai presenti.

“Manca ancora qualcosa…” mormorò la Creatrice, toccandosi il volto con la mano libera “Ah, sì! Ma certo! Che stupida…”.

Allungò la mano e la mosse, creando piccoli cerchi. Ai piedi di tutti non si vedeva più il suolo nero.

“Chi sono?” domandò Reishefy, notando delle presenze a testa in giù, con i piedi a contatto con la sottilissima parete trasparente che faceva da terreno ad entrambi.

“Elehcim” mormorò Kire, vedendoselo attaccato ai piedi.

“Il regno dei morti…” aggiunse Aherektess, vedendo i suoi genitori.

Ognuno dei mortali presenti riconobbe qualcuno. Amici, genitori, nonni, fratelli, compagni d’arme e di vita, colleghi e parenti lontani. Thuwey intuì che doveva essere suo padre quello che lo stava fissando dall’altro mondo.

“Siete pronti?” chiese la Creatrice “Insieme ridaremo la forza ad Asteria”.

Le presenze del regno dei morti si stavano prendendo per mano, creando un’immensa spirale. I viventi, vedendo questo, iniziarono a fare lo stesso. Kire si inginocchiò per stringere quella rimasta libera del fratello. Kassihell si allungò verso di lui, dando via alla spirale del regno dei vivi. Accanto a lui, Aherektess. La loro stretta di mano stupì Zameknenit e Vehuya, vicini, che si fissarono minacciosi, prima di sorridere e decidere di fare altrettanto. Luciherus fece uno sforzo enorme per riuscire a prendere la mano di Vereheveil, divinità che odiava a morte per via delle ali piumate ed il suo fare da saggio, ma alla fine non interruppe il serpentone. Prescelti, Dèi, reali e mezzosangue ora erano tutti uniti. Guardandosi attorno, si accorsero che avevano dato vita a qualcosa che non aveva fine. Tutta Asteria era con loro. Da qualche parte, forse, l’ultimo dei vivi si univa all’ultimo dei morti. Solamente la Creatrice era rimasta fuori da quell’incatenamento. Avanti a sé osservò la sfera dell’universo di quel pianeta. Lo tenne sospeso, guidandolo con la mano libera.

“Ridiamo forza ad Asteria” mormorò.

A quelle parole, Kire iniziò a trasmettere la sua luce, che si espanse per tutta la spirale, sia dalla parte dei viventi che in quella dei morti. Gli occhi della Dea si spalancarono, divenendo di colore unico, mentre la pallina che teneva sospesa fra le mani si illuminò in modo sempre più forte. Il bagliore si fece più intenso, abbagliante e magico. La sua energia fu chiaramente percepita da tutti quelli che ne venivano attraversati. Il tutto durò qualche istante, pochi minuti. A qualcuno parve un’eternità, a qualcun altro solo un soffio. La luce si esaurì. Il regno dei morti scomparve ed i mortali caddero in terra, esausti. Perfino gli Dèi parevano provati dalla cosa, ma non vollero darlo a vedere e fecero finta di nulla. Lentamente, tutto tornò nella penombra, lasciando solamente i prescelti, le divinità, i reali e Kire. Il resto scomparve. La Creatrice non parlò, come non parlò nessuna delle divinità, in attesa che i loro sottoposti si svegliassero.

“È tutto finito?” mormorò Luciherus.

“Per ora…” rispose la Dea.

 

Il primo a svegliarsi fu Thuwey. Intontito e stremato, fu aiutato ad alzarsi da Mihael.

“Se non vi vedessi…” disse, riferendosi agli Dèi “…direi che è stato tutto un sogno”.

“Ti piacerebbe!” ghignò Kassihell, rialzandosi con calma e sistemandosi il vestito.

I due erano ai lati opposti del disco, che si stava rimpicciolendo, privo di luce. Uno dopo l’altro, si rialzarono tutti, aiutati e sorretti dalla divinità del proprio regno. La Creatrice porse la mano libera a Kire, che fu piuttosto titubante ma l’afferrò.

I prescelti si guardarono fra loro, non comprendendo gli sguardi assurdi che si stavano scambiando.

“Che c’è?” domandò Reishefy “Cosa sono quelle facce?”.

“I tuoi capelli…” mormorò Enki.

L’Elettricità ci passò una mano sopra e…erano lisci! Erano pettinati e non stavano più in aria a scosse sconnesse come erano soliti fare.

“Sei bellissima così, bambina mia!” le disse Taranis, abbracciandola dopo tutto quel tempo.

“Tutti noi abbiamo qualcosa di diverso?” domandò Thuwey “Io cos’ho?”.

“Le mie bellissime corna!” rispose Mihael.

Il Metallo si tastò il capo e le trovò. Erano due cornoni neri, appuntiti e minacciosi.

“Che figata…” disse, impaziente di  potersi guardare allo specchio.

La Roccia e la Luce si erano accorti da soli di ciò che avevano ricevuto e non stavano nella pelle. Mattehedike ora possedeva un bel paio d’ali nere, come quelle del Dio del suo elemento. Anche Efrehem aveva ricevuto delle ali in dono, ma erano piumate e d’oro, con tanti occhi fra le piume, come quelle di Vereheveil. Entrambi provarono ad alzarsi in volo, con scarsi risultati.

“Dilettanti” scosse la testa Aherektess.

Avvertì una certa sensazione di fastidio alla fronte. Provò a grattarsela ma si fermò. Un grosso occhio dalle iridi rosse lo fissava, sul dorso della sua mano. Girò anche l’altra. Entrambe avevano quell’occhio. E sulla fronte? si chiese. Portò il dorso dell’arto destro vicino alla testa e vide il suo volto, con un bel terzo occhio turchino nel mezzo. Rimase senza parole. Di certo questo lo avrebbe aiutato in volo ma…deglutì, mentre il gemello gli metteva un braccio attorno alle spalle, ridacchiando e dicendogli che così sì che aveva stile. Hanjuly sorrise, notando che le erano ricresciuti i capelli e vedendo sulla sua pelle gli stessi tatuaggi della Dea, trasmettitori di un’energia che mai prima d’ora aveva posseduto. Anche Kassihell aveva ricevuto dei tatuaggi. I suoi, quelli a fiamma che aveva sempre avuto, bruciavano di fiamma viva senza nessuno sforzo da parte sua. Sorrise, soddisfatto da questa novità. Idisi annusò l’aria, avvertendo il profumo di un fiore nuovo. Era del colore del grano, con riflessi azzurri, e cresceva fra i suoi capelli. Il Ghiaccio vi riconobbe il fiore che aveva creato con il Dio della Terra.

“A me che cosa è successo?” domandò Enki, non notando cambiamenti.

“La tua cresta! È bellissima!” le disse Idisi.

Era passata dal verde all’arancio acceso, con riflessi rosso rubino. Splendeva.

“E tu, mia cara Lehelin…” parlò Thuwey, avvicinandosi all’Oscurità “Ora hai gli occhi azzurri”.

Lei non rispose. Si girò verso Kaos che le stava alle spalle. Aveva gli occhi come lui.

“Da questo momento, ognuno di voi porterà il segno di ciò che accaduto” parlò la Creatrice “Come ricordo e come monito. Non permettete che l’equilibrio di Asteria sia compromesso nuovamente in futuro”.

Furono le ultime parole che pronunciò, prima di scomparire alla vista dei mortali. Luciherus la seguì, con la sigaretta in bocca e senza dire una parola.

Kire ghignò. Non c’era niente di diverso in lui. Non si era accorto di avere tre ombre…

 

“Efrehem…” parlò il Dio del Ghiaccio, Enrikiran, per la prima volta dall’inizio di tutta quella faccenda “…ti ho portato questo. Ora puoi portarlo a casa”.

Fra le mani stringeva il violino con cui la Luce aveva affrontato la sfida. Gli occhi del mortale si illuminarono, meravigliati.

“Dite sul serio?”.

Enrikiran annuì. Efrehem lo prese fra le mani, con un piccolo inchino, e lo mostrò a suo nonno, Friedrik. Quando si girò, il Dio ghiacciato non c’era più.

“Buona fortuna, per tutto” disse Vereheveil, salutando tutti e volando via, lasciando piume qua e là.

“Chiamatemi, se decidete di organizzare qualche bella festa!” furono le parole di commiato di Loreatehenzi, prima di scomparire in un soffio di vento.

“Vale lo stesso per me” si aggiunse Xoduzz, dissolvendosi in un lampo.

“Cercate di non venire a tormentarci per un po’…” fu il commento di Gibrihel, mentre si faceva avvolgere dal suo elemento, sparendo sotto la superficie del suolo.

Heronìka abbracciò Reishefy, augurandole ogni bene e dandole due baci sulle guance. Enki la salutò con la mano e la Dea svanì, così com’era apparsa, sorridendo.

“Mi raccomando…basta guerre!” ammonì Dharam, rivolgendosi a Kassihell ed Aherektess.

“Cosa?! Ed io cosa ci sto a fare qui, allora?” protestò Mihael.

Il Dio del Fuoco lo prese sotto braccio, sorridendo, ed incamminandosi con lui verso una meta imprecisata, lontana: “Ci sono molte altre cose che puoi fare!” iniziò “Ad esempio…hai mai pensato di divenire il Dio della musica che ti piace tanto? O, che ne so, il Dio delle barbe e dei capelli? Avresti molto più successo…”.

Non si videro più neppure loro due, avvolti dalla luce emessa da Dharam.

Solamente Kaos rimase dov’era. Fissò i mortali, che si stavano salutando calorosamente a grandi abbracci, baci e frasi d’addio.

“Lehelin…” disse, guardando la principessa oscura, che sobbalzò al suono profondo di quella voce.

“Sì?” rispose, girandosi.

“Vieni con me…vorrei parlarti di una cosa”.

Mattehedike, vedendo che la compagnia si stava separando, informò che invitava tutti i presenti alla sua festa d’incoronazione, certo che quello non fosse un addio.

   
 
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