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Autore: Akune_Niives    06/11/2015    1 recensioni
Sogni. Raven ne ha fatti molti, nella sua vita. Ma mai come questo. Il sogno che le cambierà la vita, che le farà veramente scoprire chi è. Che le farà scoprire chi è Lui. Il giovane che sogna ogni notte. Un'illusione? O un avvertimento del destino?
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi voltai di nuovo verso Arthur.

-Spero per voi che questi "antidoti" esistano veramente e che non mi facciate fare tanta fatica e tante illusioni per niente.- sbuffai, tornando a sedere.

-Sono cose documentate anni fa, un fondo di verità dovrà pur esserci.. No?- mormorò Max..

-Sarà.. Ma io voglio perderci meno tempo possibile.- mormorai, spostando lo sguardo verso la finestra. 

Toccai la mano ancora fasciata. Non sentivo nemmeno più dolore. Tolsi le bende distrattamente e vidi che non c'era la minima traccia dello scontro avuto con l'armadietto. Nemmeno un livido. 

-Beh, uno dei pregi è questo.. Un fattore di guarigione abbastanza buono.- accennò Shadow, che si era avvicinato lentamente ma che comunque manteneva una giusta distanza. -Ah, certamente non è lontanamente simile al mio.. Ti puoi rigenerare, ma non puoi sfuggire a malattie o a ferite particolarmente gravi.. Avrai una vita anche molto longeva, ma non credo potresti superare i 200 anni..- continuò..

-Non mi interessa.- lo fermai -Non voglio rimanere così ancora per molto.-

Mi voltai verso Arthur, che nel frattempo aveva steso una mappa sul tavolo e stava parlando seriamente con Anya mentre Max osservava in silenzio.

-Quando possiamo partire per trovare questi antidoti? Il luogo ce l'abbiamo, no?-

-Ipoteticamente sì. Dobbiamo solo confermare le nostre ipotesi e poi possiamo definire i dettagli del viaggio.- rispose lo scrittore, senza nemmeno guardarmi.

-E quanto ci vorrà per confermare le vostre ipotesi?- chiesi, alzando gli occhi al cielo.

Lui si voltò verso di me

-Appena lo saprò io, lo saprai anche tu.- rispose in tono acido. Poi tornò nuovamente sulla mappa e ricominciò ad ignorarmi.

Mi guardai intorno per capire la situazione.

Il professore parlava in russo con Anya, che aveva iniziato a prendere appunti su un blocco.

Max li guardava e ascoltava in silenzio, ovviamente non capendo nemmeno una parola.

Shadow guardava fuori dalla finestra, come se fosse rapito da chissà quali pensieri.

Sbuffai, alzai nuovamente gli occhi al cielo e mi diressi verso Max.

-Andiamo, noi due siamo inutili qui dentro.- mormorai, e lo afferrai per un braccio.

Lui annuì e si alzò, prese il suo zaino come io presi il mio e ci avviammo verso la porta. Io uscii decisa dall'appartamento, Max invece si voltò un'altra volta verso il gruppetto.

-Beh, allora noi andiamo.. Ci fate.. sapere voi?- chiese incerto, quasi balbettando.

Anya alzò per un attimo lo sguardo e semplicemente gli sorrise. Arthur e Shadow nemmeno gli rivolsero un'occhiata.
Accennò qualche altro balbettio e fui costretta a tirarlo fuori di lì. Facemmo le scale e arrivammo sulla strada. Lui iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di una fermata del bus che potesse riportarci a casa. Io, invece, mi voltai verso di lui.

-Mi spieghi che ti prende? Non hai mai visto una russa prima d'ora?-

-Una russa sì.. Una russa bionda, con gli occhi verde-acqua e un sorriso folgorante no, mai..- rispose, sorridendo.

-Oh, cielo. Adesso ti prendi pure le cotte per le assistenti? Ma non eri asessuato, tutto nuoto e circuiti?- chiesi, ridendo.

Lui per risposta sussurrò uno "stronza" e rise con me, mentre ci incamminavamo verso una fermata.
Il tragitto fu silenzioso, con Max che guardava il tramonto e io che lo guardavo di tanto in tanto. Da qualche parte avevo letto che se una persona, quando guarda fuori da un finestrino, osserva il cielo è felice mentre se guarda in basso è triste. Max era davvero felice e si vedeva dal sorriso che si era stampato sul suo viso. Dentro di me, invece, c'era qualcosa che sapeva di tristezza, frustrazione e anche un po' di rabbia. Sì, rabbia perché c'era questa cosa nuova in me che aveva un nome. E non era "attacchi di rabbia" come avevano diagnosticato vari psicologi e psicoterapeuti dai quali mia madre mi aveva portata fin da piccola. Era "essere un lycan", una grossa, pelosa e rabbiosa bestia con le sembianze di lupo che fino a poco fa conoscevo solo grazie ai film di Underworld.
Scesi alla mia fermata e lasciai Max sull'autobus. Sicuramente mi disse qualcosa, ma la mia mente non registrò ne' la conversazione ne' il percorso che dalla fermata mi portava a casa. Mi ritrovai, così, davanti alla porta senza ricordare di aver camminato fino ad arrivarci davanti. 
Entrai in casa e, nemmeno il tempo di poggiare lo zaino a terra che mia madre mi accolse come un uragano. Mi strinse in un abbraccio e una valanga di domande uscì dalla sua bocca.

"Come ti senti? Sei furiosa con me? Che ti ha detto Arthur? Ha detto qualcosa di tuo padre? Hai fame, devo prepararti qualcosa in particolare? Raven, dimmi qualcosa! Ti senti male?"

Non risposi a nessuna sua domanda e semplicemente la guardai con occhi assenti.

Solo poche parole uscirono dalla mia bocca:

-Perché mi hai fatto questo?-

E poi tutto esplose.

Iniziai ad urlare frasi sconnesse, frasi che miravano a far male, frasi che scaricavano tutto fuori di me. Come se la rabbia, che da sempre aveva fatto la tana nel più profondo del mio cuore, fosse appena uscita fuori liberandosi dopo anni di assopimento.
Ci fu dolore, un dolore dilaniante, odore di carne bruciata, spasmi incontrollabili che mi piegavano la schiena e la più brutta di tutte: un rumore orripilante. Rumore di ossa che si spezzavano e di carne che si strappava.
In un breve barlume di lucidità, osai guardarmi allo specchio appeso vicino alla porta e rabbrividii.
Il volto era deformato in un ghigno di rabbia che non mi apparteneva, gli occhi erano iniettati di sangue e le iridi tendenti al colore viola. Brandelli di carne si stavano staccando dal mio viso, come se una seconda pelle volesse prepotentemente uscire fuori.
Uno spasmo mi scosse il braccio sinistro e, sempre sfruttando il piccolo spiraglio di lucidità che ancora riuscivo a permettermi, lo osservai.
Il mio braccio non c'era più. Al suo posto c'era una zampa ricoperta di peli e sangue, con lunghi artigli scuri al posto di quelle che una volta erano le mie unghie.

Un ringhio uscì dalle mie labbra e la paura mi strinse il cuore.

Cos'era questo dolore? Che diavolo stava succedendo dentro di me?
Le risposte le lessi tutte negli occhi di mia madre.

La mia prima trasformazione.

Mi sentii annegare. 
Caddi a terra e mi sembrò veramente di essere caduta in un mare di acqua ghiacciata. Annaspavo, cercavo di uscirne e non ci riuscivo. Così chiusi gli occhi e mi appellai a tutte le mie forze.
Agitai le braccia, le gambe, altri ringhi gutturali sostituivano le mie grida e mia madre mi guardava, terrorizzata e impossibilitata ad aiutarmi, in un angolo come un cucciolo.

Con uno scatto di reni riuscii ad alzarmi e ad uscire dal pozzo ghiacciato dove stavo sprofondando. Accolsi la boccata d'aria come se fosse stata la prima di tutta la mia vita e il dolore sparì.
Recuperai tutta l'aria che mi era stata negata senza spostare lo sguardo e, come tutto era iniziato, tutto finì.

Rimasi in quella posizione per qualche minuto, finché ripresi coscienza di me e mi osservai il braccio. Fu la cosa più disgustosa che io avessi mai visto. Pezzi di carne che si riassemblavano sotto i miei occhi guarendo in pochi secondi.
Cercai di alzarmi, combattendo contro la momentanea instabilità delle mie gambe e, barcollando, arrivai allo specchio. Niente occhi iniettati di sangue, niente cambio di colore dell'iride.

Era tutto tornato normale.

Mia madre si avvicino, tremante, cercando di aiutarmi ma tutto ciò che ottenne fu una spinta nemmeno troppo controllata che la fece scontrare contro la porta. Sempre barcollando, mi arrampicai su per le scale e, con grande fatica, raggiunsi finalmente la mia stanza.

Chiusi la porta a chiave, mi gettai sul letto e piansi. Piansi come mai avevo fatto prima di quel momento, con un vago odore familiare all'arancio che si faceva sempre più vicino la luna piena che mi illuminava il volto. 

Provai un odio sconfinato verso quell'insulso satellite, come se la colpa fosse davvero sua.

-Sai che non è così, non fare pensieri sciocchi..-

Era lui.

Con quel profumo che riusciva a stregare chiunque.
Non ebbi nemmeno la forza di voltarmi a fissarlo, nonostante la sedia della scrivania fosse vicina a me.

-Sì, è normale.. Ti toglie un sacco di energie, specialmente la prima volta.. Diavolo, Raven. La tua prima trasformazione! E' stata grandiosa.. Soprattutto perché sei riuscita a sottrarti prima che potessi fare qualche danno! Sei stata fenomenale e.. So che te lo stai chiedendo, ma sono entrato dalla finestra. Un classico, no?-

Scivoloso e silenzioso, proprio come un'ombra.

-Secondo te, perché mai mi avranno chiamato così se non per questo motivo?- disse, e lo sentii ridacchiare.

Tirai su con il naso e mi lasciai scappare un sorriso. Lo sentii spostarsi e sedersi sul letto di fianco a me. Il materasso si piegò delicatamente sotto il suo peso e la sua gamba mi sfiorò la mano.

-Perché sei venuto da me?- chiesi, così flebilmente che una persona normale non sarebbe mai riuscita ad udirmi.

-Perché avevi bisogno di aiuto. Ti ho seguita. Sarei intervenuto, se le cose fossero peggiorate. Trasformarsi in una casa, un ambiente così.. ristretto!.. Come prima volta non va molto bene.. Avresti potuto ferire tua madre..- mormorò, con un timbro preoccupato.

-Resterai? Almeno un po'?- chiesi, titubante. In qualche modo la sua presenza, in quel momento, mi rassicurava, mi dava conforto e mi trasmetteva sicurezza.

Lo sentii avvicinarsi verso di me e mettermi una mano sulla schiena.

-Non andrò da nessun'altra parte. Rimarrò qui, ma adesso devi recuperare le tue energie.. Dormi, piccola Raven. Dormi..-

E il buio ebbe il sopravvento.
   
 
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