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Autore: Rin Hisegawa    24/02/2009    2 recensioni
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante. [MAYURI KUROTSUCHI X OC]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Bleeding Saga'
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Verso le tre del pomeriggio Kurotsuchi sentì bussare alla porta del laboratorio.
- Che cosa vuoi? - chiese, infastidito.
Anche se non era stata invitata ad entrare, Rin fece capolino nella stanza. Nonostante la lunga convalescenza sembrava in ottima forma, e sorrideva soddisfatta in direzione di Kurotsuchi. Assieme ai pantaloni della divisa da shinigami indossava una maglietta senza maniche bianca, al posto della casacca. Con i resti di quest’ultima, aveva ricavato quello che sembrava un lungo guanto che le copriva tutto il braccio ferito, fermato all’altezza del polso e della spalla da due serie di lacci intrecciati.
Allo sguardo di disapprovazione che Kurotsuchi le restituì, replicò con un altro sorriso divertito. L’idea di togliersi dai piedi non l’aveva neppure sfiorata. L’uomo si voltò di nuovo in direzione del tavolo, ben deciso a ignorarla. Non era ancora il momento per lei di frequentare il laboratorio, non prima di aver dimostrato almeno un minimo di affidabilità e capacità.
Tuttavia, Rin non sembrò far caso all’atmosfera poco ospitale con cui era stata accolta. Si sedette su un tavolino situato sul lato sinistro della porta, e prese ad armeggiare con i vari pezzi del fornellino elettrico smontato che vi aveva trovato sopra. Quando lo ebbe rimontato, saltò giù dalla sua postazione e prese ad osservare le scaffalature. Kurotsuchi non diceva niente.
- Se vuoi che diventi la tua assistente, dovrai insegnarmi che cosa fare, - disse infine lei con tono leggero, osservando con grande curiosità le grottesche forme all’interno dei barattoli.
- Quando ne avrò bisogno te lo dirò. Fino ad allora, ti consiglio di non intrometterti.
Rin si voltò a fissare l’uomo chino sul tavolo da lavoro, si strinse nelle spalle e riprese a camminare su e giù per il laboratorio. Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di sbieco. Certamente, la ragazza non era un tipo facilmente impressionabile. Era anche piuttosto intelligente, sebbene l’intelligenza potesse a volte rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Decise di farle qualche domanda, metterla alla prova.
- Hai ucciso uno shinigami per procurarti quella divisa? - le chiese con noncuranza.
Rin non esitò un attimo a rispondere.
- No. È mia.
Kurotsuchi le lanciò un lungo sguardo indagatore.
- A quale divisione appartieni, dunque?
- Non sono di nessuna divisione, - disse lei dopo una pausa. Il suo tono di voce voleva suonare sicuro, ma Kurotsuchi notò che, mentre parlava, Rin teneva gli occhi fissi a terra. – Il giorno delle cerimonie... ho avuto un contrattempo.
Sollevando il viso si trovò faccia a faccia con l’uomo, che le lanciò un’occhiata impassibile. Si voltò in fretta, incapace di sostenere il peso di quello sguardo freddo. Poi, Kurotsuchi spostò l’attenzione sulla fasciatura.
- Capisco, - disse con voce piatta.
Si allontanò di nuovo. Rin rimase immobile, le spalle appoggiate contro il muro, incerta sul da farsi. Doveva dirgli la verità? Cosa avrebbe fatto se un giorno le guardie si fossero presentate da Kurotsuchi e lo avessero accusato di nascondere una criminale?
- Kurotsuchi-san...
L’uomo si voltò immediatamente, una provetta a mezz’aria; Rin sentì le parole morirle in gola. Cosa sarebbe successo se Kurotsuchi avesse deciso di consegnarla? Si detestava.
Lei, convinta che niente ormai avesse più importanza, non aveva il coraggio di rovinarsi la reputazione di fronte a quell’uomo.
Aveva creduto che, una volta perdute tutte le persone a lei care, sarebbe stata libera di non provare più paura né vergogna e che non le sarebbe importato più di niente. E invece, ecco che già si preoccupava di non perdere la fiducia di un perfetto sconosciuto.
“Gli esseri umani sono veramente delle creature disgustose.” pensò “Senza un briciolo di autonomia, sempre alla ricerca di una spalla a cui appoggiarsi.”
- Cosa c’è? - chiese Kurotsuchi. Non c’era rabbia o fastidio nel tono della sua voce, solo curiosità e un leggero accento di sorpresa, perchè era da molto tempo che nessuno lo chiamava più “Kurorsuchi-san”.
Rin si rese conto che non avrebbe potuto continuare. Maledicendo se stessa e la propria debolezza si portò sulla difensiva, assumendo quella che sperava essere un’espressione indifferente.
- Non fa niente, scusa.
Da come lui la guardò, la ragazza capì di non essere riuscita a ingannarlo; tuttavia, Kurotsuchi non fece altre domande. Rin, appena poté, sgattaiolò fuori dalla laboratorio e si chiuse nella sua stanza, dove l’uomo non avrebbe potuto piantarle addosso gli occhi color ambra che, ormai ne era certa, avevano il potere di cogliere con chiarezza ogni sfumatura del suo umore.

Il laghetto era poco profondo e l’acqua trasparente come uno specchio lasciava scorgere con chiarezza il fondale di sassi lisci e ovali. Rin se ne stava in piedi al centro, ad occhi chiusi, i pantaloni arrotolati fin sopra il ginocchio, lasciandosi accarezzare dalle leggere onde che increspavano la superficie luccicante. La brezza serale faceva mormorare le foglie degli alberi circostanti.
Lo stridio di un pipistrello uscito a caccia prematuramente riportò la ragazza alla realtà, facendola sussultare. Il cielo si era ormai tinto di nero a est, e il tramonto era frammentato in un mosaico di pagliuzze dorate e malva. Era in ritardo, e quella sera si sarebbe tenuta la festa in suo onore, per celebrare la promozione all’accademia degli shinigami. Rabbrividendo leggermente, uscì dall’acqua e raccolse le proprie cose sparse sull’erba. Il vento sapeva di pioggia ed erba appena tagliata. Rin s’incamminò lungo il sentiero, canticchiando una canzone.
Non appena ebbe imboccato la strada che portava alla villa, capì subito che qualcosa non andava. La sua era una delle antiche famiglie nobili della Soul Society, e per questo disponeva di agi e ricchezze. In genere, quando qualcuno dei padroni restava fuori fino a tardi, il guardiano dei cancelli accendeva una fila di torce lungo la recinzione per illuminare la strada di casa. Quella sera, tutto era spento.
Camminando a passo sempre più spedito, Rin attraversò i cancelli e si inoltrò nel giardino in stile giapponese. Anche le scuderie erano buie, cosa insolita per quell’ora. Adesso, la ragazza quasi correva. Col fiatone, raggiunse la porta e bussò con entrambi i pugni sul legno scuro. Si sentiva pervasa da un terrore irrazionale che le scorreva addosso come un liquido freddo e soffocante.
- C’è nessuno?- quasi gridava.
Quando ormai cominciava a pensare di non poter più attendere un solo istante, la porta si aprì. Sulla soglia apparve suo fratello maggiore, Hikaru, con indosso il kimono da shinigami e una strana espressione dipinta in volto. Cercò di sorridergli.
- Hikaru! Dove sono tutti?
Lui le restituì un sorriso enigmatico, ma i suoi occhi rimasero privi di qualsiasi espressione. Rin si sentì gelare, senza sapere perchè.
- Credevo che saresti tornato solo domani. Ti hanno dato un giorno di permesso?
Hikaru era un membro della Guardia, e trascorreva gran parte del suo tempo lontano da casa.
- Diciamo che sono venuto qui a sistemare una faccenda che avevo in sospeso.
Si voltò, e solo allora Rin scorse delle tracce di sangue sulle mani di lui.
- Sei ferito? Dove sono finiti tutti? Hikaru, sei strano... c’è qualcosa che non va?
Intanto, i due avevano attraversato un lungo corridoio ed erano entrati in una grande sala quadrata col pavimento di legno, e al centro un tavolo basso circondato da cuscini.
- Siediti, Rin.
Lei ubbidì.
- Quello che sto per dirti ti sconvolgerà, ma non devi interrompermi per nessun motivo. Vedrai che, quando ti avrò spiegato tutto, capirai.
Che cosa significava? Cosa c’entrava tutto ciò con la festa? E che fine aveva fatto la sua famiglia?
- Qualche mese fa, - proseguì Hikaru - ricevetti una lettera da un mio collega che stava svolgendo indagini da queste parti comunicandomi di aver avviato un’operazione di spionaggio con l’intento di smascherare un influente, ma ovviamente sconosciuto, contrabbandiere. Mi invitava a unirmi a lui nell’intento e, cosa più interessante, mi offriva la possibilità di salire immediatamente di grado nel caso in cui l’operazione fosse andata a buon fine.
- Io accettai subito. Il bersaglio era un gruppo di persone che acquistava Gigai per poi rivenderli a scienziati che li utilizzavano per i loro esperimenti. Dapprima, ero convinto che i contrabbandieri agissero per mezzo di un corriere che si spostava in queste zone, e che la vera e propria sede distante chilometri dal luogo dell’azione; è così che di solito vanno le cose. Ma poi, col tempo, mi sono reso conto che in realtà il cervello di tutta l’impresa era situato in questo posto. Per la precisione, in questa casa.
Rin si sentì mancare il fiato. Uno strano presentimento iniziò ad affacciarsi alla sua mente, ma tentò di scacciarlo e si costrinse a rimanere in silenzio, e ascoltare ciò che suo fratello aveva ancora da dirle.
- Venni così a sapere, da fonti indubbiamente attendibili, che il contrabbandiere in questione era nientemeno che nostro padre. Avrebbe voluto mettermi a conoscenza del fatto nel giro d’un paio di anni, nella speranza di trarre vantaggi dall’avere un figlio nella Guardia, pronto a difenderlo nel caso che fosse stato scoperto.
- Tuttavia, Rin, tuo fratello non è un codardo nè uno stolto. Non avrei mai appoggiato i suoi folli piani di potere. Ho detto a quell’uomo che l’avrei consegnato alla legge assieme a nostra madre, sua complice in tutta questa storia, e a tutti i suoi seguaci, se non si fosse costituito spontaneamente: si è rifiutato, mi ha chiamato figlio degenere e ha minacciato di disconoscermi dicendo, in effetti a ragione, che la sua parola valeva molto più della mia e che nessuno avrebbe mai osato accusarlo di un crimine talmente assurdo.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non riusciva a capacitarsi del fatto che la ricchezza di suo padre provenisse da un traffico illecito di cui neppure i figli erano a conoscenza, nè tantomeno che lui, l’uomo che li aveva cresciuti, fosse disposto a rinunciare a loro pur di non perdere la propria posizione.
- Nostro padre, malgrado tutto, aveva ragione. - continuò Hikaru. - Se avessi detto alla Guardia che un personaggio così influente, per di più legato a me da un vincolo di sangue, era il fantomatico contrabbandiere di cui tutti tanto parlavano, mi avrebbero preso per pazzo. Ma giustizia doveva essere fatta.
- Ho finto di dover tornare alla caserma, ma in realtà sono rimasto per giorni in questa zona, controllando ogni vostro singolo movimento da lontano. Ho atteso che tu uscissi. In un primo tempo sembrava impossibile riuscire nell’impresa, la sera c’era sempre troppa confusione in giro per la villa. Ma stasera ce l’ho fatta: ho finto di aver ottenuto un giorno di permesso e mi sono presentato al cancello come se niente fosse. Sapevo che nostro padre mi avrebbe presto messo alle calcagna un suo qualche galoppino, dovevo agire in fretta. Ho ucciso tutta la servitù che ho incontrato sul mio cammino.
La ragazza si portò le mani alla bocca per impedirsi di gridare. Cominciava a capire.
- Tu hai... hai ucciso...?
- Ho dovuto farlo, Rin. Il progetto a cui stavano lavorando era qualcosa in grado di spazzar via l’intera Soul Society in un soffio. Ho dato loro una possibilità, ma non hanno voluto accettare le mie condizioni. Era la sola cosa da fare.

- NO!
Si svegliò di soprassalto. La stanza era ancora immersa nell’oscurità più fitta e i rami degli alberi si stagliavano neri contro il blu del cielo, fuori. Rin si tirò su a sedere e si passò una mano sulla fronte sudata. Si accorse di avere le guance umide, e si affettò ad asciugare gli occhi con una manica.
Di nuovo quel sogno. Lo aveva fatto milioni di volte negli ultimi giorni, tanto che a volte faticava a credere che fosse accaduto davvero. Poi si guardava attorno nella stanza sconosciuta, si legava le bende attorno al braccio ferito e si preparava a cominciare un altra giornata della sua nuova vita. Il tempo che si frapponeva fra il presente e quella fatidica notte sembrava sempre non accumularsi abbastanza in fretta.
Sospirò. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Un’ombra, in piedi sulla soglia, la stava fissando a braccia conserte. La ragazza si rese conto che probabilmente, mentre sognava, doveva aver gridato piuttosto forte, e se ne vergognò. Avrebbe fatto bene ad imparare a controllarsi.
- Stai bene?
Kurotsuchi si avvicinò al futon, e rimase a fissarla dall’alto con occhio indagatore. Rin fece segno di si con la testa, ma non disse niente. Non si aspettava una simile domanda.
- Non era mia intenzione svegliarti, Kurotsuchi-san. - riuscì a dire infine- Credo di aver sognato qualcosa di spiacevole, e ho gridato.
- Che genere di cosa spiacevole?
La ragazza capì che era inutile mentire, ma tentò ugualmente. Di dire la verità, non ne aveva il coraggio.
- Non ricordo.
- Quella di raccontare menzogne è una tua scelta, - rispose Kurotsuchi con voce piatta - ma sapere se posso fidarmi di chi lavora per me è un mio diritto.
Rin fissò le mani di lui, strette a pugno lungo i fianchi. Scoprì che le era più facile parlare guardando le mani di Kurotsuchi, piuttosto che i suoi occhi: ogni volta che incontrava il suo sguardo, infatti, percepiva la distanza enorme che separava quell’uomo dal resto del mondo.
- Hai ragione – rispose - ma queste sono cose di cui non voglio parlare.
Per un attimo, pensò che Kurotsuchi le avrebbe fatto notare che lei non era minimamente nella condizione di dettare le regole. Iniziò a cercare affannosamente un modo per glissare sulla risposta. Invece, Kurotsuchi si diresse di nuovo verso la porta e si voltò a fissarla dalla soglia.
- Alzati. È il momento di cominciare il tuo apprendistato.
Un angolo nella mente di Rin fu remotamente grato all’uomo, consapevole che quello era solo un espediente per distrarla dalle sue preoccupazioni. La parte cosciente di lei, tuttavia, continuava a ripetersi di fare attenzione e misurare le parole.
Si avviarono insieme lungo il corridoio buio, senza dire altro. I laboratorio era già illuminato, e sul tavolo era sparpagliata la consueta massa caotica di oggetti, che brillavano sinistri nella luce artificiale. Evidentemente, Kurotsuchi era a lavoro quando lei si era svegliata. Doveva aver gridato veramente forte, se lui era riuscito a sentirla da laggiù.
- Spero che tu non sa una persona impressionabile.
Rin spostò lo sguardo sul tavolo illuminato dal neon, e si rese conto che il mucchio di stracci sanguinolenti adagiato lì sopra aveva una forma umana, nonostante fosse apparentemente privo di tutti e quattro gli arti.
- E’ su questo che stavi lavorando, Kurotsuchi-san?- chiese, gli occhi fissi sul cadavere.
L’uomo le lanciò un’occhiata di sbieco, senza dire niente. La ragazza alzò lo sguardo di rimando, sentendosi gli occhi di lui puntati addosso: la stava mettendo alla prova. Se si aspettava che avrebbe urlato, allora non sapeva con chi aveva a che fare.
- Immagino che si tratti di un’altro “metodo di ricerca poco ortodosso”, eh?
Kurotsuchi continuava a guardarla con la coda dell’occhio, in silenzio. Poi, inaspettatamente, esplose in una risata priva di gioia. Rin si voltò, stupita.
- Quindi per te non ci sono problemi a fare esperimenti su un cadavere. - disse infine lui, riacquistando il suo solito tono freddo e distaccato. Era un’affermazione, non una domanda.
- No - rispose comunque lei.
- Prendi dall’armadio il contenitore 23.
Rin si avvicinò al grande mobile di legno pieno di scaffalature, ognuna delle quali conteneva una notevole quantità di bottiglie, vasetti e barattoli sigillati. Ciascuno era contrassegnato dalla propria etichetta, con un numero di riconoscimento e la composizione del suo contenuto. Quello che la ragazza aveva in mano era pieno di un liquido verdastro, in cui galleggiavano delle sfere argentee di varie dimensioni.
Rin si diresse verso il tavolo e porse il contenitore a Kurotsuchi, che lo prese dalle sue mani e lo sollevò un attimo, tenendolo in controluce. Le gocce argentee brillarono sinistramente, ondeggiando sinistramente nella sostanza che le avvolgeva.
- Non c’è molto che possa insegnarti partendo da un cadavere. - disse Kurotsuchi, lanciando un’occhiata distratta al mucchio informe sul tavolo - Ma al momento non dispongo di un numero tanto alto di cavie da poterle sprecare per semplici dimostrazioni.
Rin si chiese remotamente che cosa Kurotsuchi intendesse per cavie, ma decise semplicemente di non porsi il problema. Tornò a concentrarsi sul barattolo numero 23, che adesso era aperto sul tavolo e emanava un leggero fumo verde acido.
- Normalmente, la prima cosa da fare quando si sta per affrontare un esperimento è addormentare la cavia. Questo nel caso che non si vogliano studiare eventuali reazioni del soggetto, chiaramente, perchè in quel caso serve che esso sia cosciente. È ovvio che, adesso, questo passaggio possiamo ometterlo comunque.
Rin annuì in silenzio. Sapeva bene che l’unico modo per rimanere con Kurotsuchi era dimostrarsi un’abile apprendista, e al momento non aveva nessun altro posto dove andare. L’idea di lavorare al laboratorio le piaceva: lì era al sicuro e avrebbe potuto fare qualcosa di utile, nel bene o nel male.
- Questa sostanza, - Kurotsuchi indicò con un cenno il barattolo appoggiato sul tavolo - permette di concentrare il Reiatsu di qualunque individuo in un singolo punto. Questo processo separa il Reiatsu dal corpo e lo immagazzina in questa sfera argentata.
Così dicendo, l’uomo aveva immerso una mano nel liquido verde e ne aveva estratto una delle bilie lucenti, grande più o meno come una nocciola.
- Adesso osserva.
Kurotsuchi fece scivolare la sferetta luccicante tra le dita, e la appoggiò sul corpo steso sul tavolo. Immediatamente, la pelle fredda e tumefatta del cadavere iniziò ad assorbire l’oggetto, come avrebbe fatto uno specchio d’acqua con un sassolino.
- Dopo qualche giorno dalla morte, il Reiatsu comincia ad abbandonare spontaneamente il corpo che lo ospitava. In questo caso, però, il cadavere dovrebbe essere ancora abbastanza recente.
- A cosa serve il Reiatsu una volta separato dal corpo?
Kurotsuchi non rispose. Alzò la testa di scatto.
- Silenzio!
Il campanellino alla porta d’ingresso tintinnò, seguito dal consueto rumore di passi sul pavimento in legno del corridoio. Kurotsuchi raccolse uno straccio dal tavolo e si asciugò le mani.
- Fallo sparire, quello - disse, accennando al Reiatsu, perfettamente visibile sul piano da lavoro - Farò in modo che il nostro ospite non debba entrare nel laboratorio.
Sparì oltre la porta e lungo il corridoio buio, in direzione dei passi. Qualche istante dopo, Rin udì una voce sconosciuta dire qualcosa, e Kurotsuchi rispondere con freddezza. La luce dell’ingresso si accese.
Tuttavia, la ragazza non aveva tempo per seguire la conversazione in quel momento. Se lo sconosciuto fosse entrato nel laboratorio e avesse visto il Reiatsu, probabilmente sia lei che Kurotsuchi avrebbero passato dei guai. Non si intendeva molto di bioetica, ma non era necessaria una grande esperienza per capire che quello che stavano facendo non era del tutto lecito.
Raccolse il tubo di vetro e lo tenne per un attimo in controluce. Il neon giallo pallido, attraverso il vetro blu, risplendeva spettrale e minaccioso. Rin sentì un brivido lungo la schiena, sebbene nel laboratorio vi fosse un piacevole tepore. Non era freddo, quello che sentiva addosso, ma la consapevolezza che la sua vita stava scivolando via senza uno scopo, senza una giustificazione. Si sentiva così da quella fatidica notte, dopo ciò che era successo nella villa con suo fratello.
Si sentiva come se, dopo quell’evento, non esistesse nessuna azione al mondo in grado di riscattarla, di dare un motivo al suo essere ancora in vita. Sospirò, e abbassò il braccio. La luce scivolò dalla superficie di vetro con un ultimo scintillio.
Intanto, le voci nell’ingresso si erano fatte più concitate, e Rin sentì salire la curiosità di sapere che cosa stava succedendo. Improvvisamente, si rese conto che quella di riordinare il laboratorio era stata solo una scusa, inventata da Kurotsuchi per impedirle di origliare la conversazione: non servivano più di tre minuti per trovare un buon nascondiglio ad un oggetto piccolo come una sferetta di Reiatsu, mentre la discussione fra i due uomini si stava protraendo ormai da almeno un quarto d’ora.
Infilandosi distrattamente il tubo azzurro in tasca, Rin prese a risalire il corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile con i piedi scalzi sul legno. Arrivata a metà strada, si immobilizzò nell’ombra. Da lì non poteva vedere i due uomini che discutevano, ma le voci giungevano ben chiare, e non avrebbe corso il rischio di essere scoperta.
- ...al processo, che si terrà tra tre giorni.
- Sarà condannato a morte?
C’era una sfumatura di vaga apprensione nella voce di Kurotsuchi, un tono che Rin non gli aveva mai sentito. Ma di chi stavano parlando? L’altro, che Rin immaginò essere uno shinigami di rango inferiore, rispose:
- Si vocifera che Urahara Taichou verrà esiliato assieme ai suoi complici. In questi giorni è stata svolta una perquisizione piuttosto capillare nelle sue stanze, e non pare che non siano state trovate prove sufficienti per una condanna maggiore.
Kurotsuchi non replicò. Nonostante fosse appena uscita dall’accademia per shinigami, Rin aveva già sentito il nome di Urahara prima di allora. Kisuke Urahara era il capitano della dodicesima Divisione, di cui Kurotsuchi Mayuri era Vice. Era la divisione degli scienziati, e circolava voce tra i membri delle altre squadre che nei suoi laboratori fossero compiuti spesso esperimenti che superavano i limiti della legalità. Dopo aver trascorso una settimana in casa di Kurotsuchi, Rin poteva confermare queste voci.
Tuttavia, di Urahara si sentiva parlare tra gli shinigami semplici come di una persona intelligente ed equilibrata, abile e leale. Perchè era stato condannato, allora? Kurotsuchi era in qualche modo coinvolto in tutta questa faccenda? La voce della guardia distolse Rin da queste elucubrazioni.
- Kurotsuchi-sama, ho buone ragioni di credere che, una volta allontanato Urahara, le sarà chiesto di salire al grado di Taichou. Non è ancora niente di ufficiale, ma le consiglio di prepararsi ad una simile proposta.
- Lo terrò presente. - rispose semplicemente lui.
Rin era rimasta immobile nel suo angolo, paralizzata per lo stupore. La faccenda doveva essere seria, se comprendeva l’estradizione di un capitano dalla Soul Society. Tuttavia, l’affermazione dello shinigami significava anche un’altra cosa: che Kurotsuchi doveva essersi dimostrato estraneo ai progetti di Urahara, oppure abbastanza scaltro da riuscire a conservare la fiducia del Consiglio nonostante tutto.
L’uomo continuava a parlare, ma Rin non ascoltava più da un pezzo. Voleva saperne di più, anche se si rendeva conto che, probabilmente, non era nemmeno suo diritto farlo. Congedandosi con parole molto formali, la guardia se ne andò; il campanellino sulla porta tintinnò di nuovo la sua nota cristallina, poi il silenzio riprese ad aleggiare nella casa. Rin non si mosse di un millimetro, domandandosi come avrebbe fatto adesso ad andarsene da lì: per tornare al laboratorio, Kurotsuchi doveva necessariamente imboccare quel corridoio.
La risposta arrivò prima del previsto.
- E’ parte del tuo carattere fare il contrario di ciò che ti viene chiesto?
Nella voce di lui c’era una nota di vago divertimento, ma il tono era tagliente come al solito. Rin non rispose, sapendo di essere decisamente dalla parte del torto.
- Vieni qui.
Non potendo negare la propria presenza, la ragazza uscì allo scoperto. Si fermò a qualche passo di distanza da Kurotsuchi, fissando ostinatamente un punto del pavimento.
- Immagino che adesso vorrai delle spiegazioni, ma non ho intenzione di perdere tempo a raccontarti tutto. Se sei interessata, i dubbi dovrai toglierteli da sola tra tre giorni, al processo. Altrimenti, dimentica tutto.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non era in collera con lei, che aveva origliato cose così importanti?
Kurotsuchi sorrideva.
Forse, allora, quell’uomo era effettivamente pazzo.
  
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