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Autore: Emmastory    06/11/2015    4 recensioni
Farebury. Un piccolo villaggio dell'Inghilterra dimora di molti abitanti. Nell'anno 1615, si trova ad ospitare la famiglia della giovane Miriel Finnegan, che a causa di una tragedia, perde tutto ciò che possiede, ritrovandosi costretta a nascondere un recondito segreto che dimora unicamente nel suo sangue, ovvero l'essere parte di un'intera stirpe di streghe.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sangue di strega'
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Sangue-di-strega-I-mod
Sangue di strega: Origine magica
Capitolo II
Somiglianze e amicizie
Un singolo giorno passava, ed io mi svegliavo piena di energie. Come al solito ero pronta a lavorare e guadagnare le mie sudate rupie. La mia giornata di lavoro iniziò senza farsi attendere, e tutto sembrava normale. Quello non era che il mio pensiero, e in poco tempo mi accorsi di sbagliarmi. Ero occupata a servire un cliente, quando improvvisamente vidi un uomo avvicinarsi. A giudicare dal suo abbigliamento, composto da una tunica lunga fino ai piedi, e dalla sua particolare acconciatura, compresi che era uno dei monaci del mio villaggio. Sorridendo, gli augurai il buongiorno, e per tutta risposta, l’uomo ignorò le mie parole, limitandosi a guardarmi fissamente. Per qualche strana ragione, era incredibilmente concentrato sui miei occhi. Fingendo indifferenza in realtà non provata, scostai lo sguardo, per poi notare la sua sparizione. Poco dopo, mi concessi del tempo per pensare, rimanendo basita. Ero confusa, e la paura si stava lentamente annidando nel mio animo. Quel monaco appariva taciturno, e non mi aveva rivolto la parola. Riflettendo, lasciai che la mia paura continuasse a crescere, iniziando quindi a temere per la mia incolumità. Il modo in cui mi aveva guardata, non aveva fatto altro che incutermi terrore, tanto che passai il resto della giornata ad interrogarmi circa le sue intenzioni nei miei riguardi. Non sapevo se avesse dei dubbi, se la mia vista lo avesse spaventato, se mi avesse scoperto, o se fosse semplicemente curioso. Quasi istintivamente, scartai l’ultima delle ipotesi, ritrovandomi poi da sola con la mia incredulità. Il tempo continuò a scorrere, e il mio umile spaccio ricevette una visita alquanto particolare. Un gatto nero come la pece si avvicinava guardingo, fissandomi con quei suoi grandi occhi aurei. In poco tempo mi fu accanto, ed io tentai di accarezzarlo. Con mia grande sorpresa, l’animale lasciò fare, emettendo quindi un unico e lungo miagolio. Da quel momento in poi, iniziai lentamente ad allontanarmi, non notando che il felino continuava a seguirmi. Accorgendomene, non tentai di scacciarlo. L’amore per gli animali mi accompagnava sin dalla giovinezza, ragion per cui, lasciai che divenisse mio fedele compagno, dandogli perfino un nome. Senza pensarci troppo, lo chiamai Salem, in onore del primo luogo in cui le streghe furono scoperte. Sin da quel nefasto giorno, avevo perso ognuna delle mie radici, e la presenza di quel gatto riusciva in qualche modo a confortarmi. Da allora in poi, le mie notti cessarono di essere solitarie. Difatti, passavo ogni attimo del mio tempo libero ad accarezzarlo, e in alcuni casi, a parlargli. Poteva sembrare strano, ma per qualche arcana ragione, farlo risultava alquanto terapeutico. Inoltre, Salem riuscì ad abituarsi alla mia quotidianità abbastanza in fretta, imparando perfino a riconoscere le mie emozioni. Non avevo modo di saperlo con certezza, eppure sembrava aver capito quanto il mio lavoro fosse importante. Volendo unicamente evitare di disturbarmi, passava la maggior parte del suo tempo sdraiato in un punto del bancone, lasciando accarezzare e coccolare dai clienti. I bambini erano il suo bersaglio preferito. Ogni volta che ne vedeva uno, miagolava iniziando a strusciarsi contro le loro mani e facendo le fusa. Quella scena mi strappava ogni volta un sorriso, aiutandomi quindi a dimenticare il mio passato e il mio dolore. Ad ogni modo, l’ora di chiusura si stava avvicinando, e la giornata appariva fiacca. Ero mollemente appoggiata al bancone, e senza accorgermene, lasciai che il mio sguardo cadde sul mio polso. Presentava quella che ad un occhio poco attento poteva sembrare una cicatrice, ma in realtà non era che un marchio. Il mondo delle streghe è vario e pieno di insidie e particolari, fra cui alcuni riguardanti i marchi. Alla nascita, una strega assiste alla comparsa di una sorta di ferita sulla propria pelle. A seconda della forma, la stessa rappresentava l’appartenenza della strega ad una stirpe. Il mio marchio ha la forma di una stella, motivo per cui sono parte di una stirpe chiamata “Sangue Nero.” Stando ai racconti di mia madre, che ricordo nonostante l’andar del tempo, esistono in tutto tre differenti ordini, dati sia dalla forma del marchio che dal comportamento della strega o del mago in questione. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere, e addormentandomi, attesi l’inizio di un nuovo giorno. Venendo svegliata dal miagolare di Salem, lo salutai accarezzandolo, e rivestendomi, mi rimisi subito al lavoro. Il sole splendeva nel cielo mattutino, e la giornata mi sembrava in qualche modo diversa. Per qualche strana ragione, i clienti parevano fissarmi con odio, o tendevano ad ignorarmi, e ad essere sincera, la cosa mi preoccupava. Con il passare del tempo, la mia paura circa le loro intenzioni nei miei riguardi aumentava, ma non volendo apparire emotiva, cercavo di non mostrarlo. Le mie ore di lavoro passarono veloci, e poco prima che lasciassi il bancone, una ragazza provò ad avvicinarmisi. Guardandola negli occhi, la lasciai fare, prestando particolare attenzione a ciò che credevo avesse da dirmi. Quasi come se mi conoscesse, mi salutò amichevolmente, e l’istinto mi portò a ricambiare sorridendo. “Hai un viso familiare.” Mi disse, lasciando che l’azzurro dei suoi occhi incontrasse il verde dei miei. “Come ti chiami?” continuò, ponendomi quella semplice domanda. “Mi chiamo Miriel, e tu?” risposi, scegliendo quindi di rigirarle la domanda. “Io sono Minerva.” Rispose a sua volta, tendendomi la mano e attendendo che gliela stringessi. Afferrai le sue dita con una vena di riluttanza, per poi provare una stranissima sensazione. Non avevo idea del perché, ma mi sembrava di aver già visto quella ragazza. Mi ricordava mia sorella, e condivideva con lei una somiglianza a dir poco incredibile. In via del tutto eccezionale, le diedi modo di raggiungermi nel retrobottega. Parlandole, scoprii di essere incredibilmente simile a lei. Ci somigliavamo sia fisicamente che caratterialmente. Difatti, Minerva era una ragazza davvero loquace e gentile, e questa sua particolarità mi portava a considerarla una grande amica. Finalmente, ero felice. Per la prima volta in tutto quel tempo, ero riuscita a stringere un’amicizia. Ad ogni modo, ogni cosa sembrò cambiare quando lei pronunciò una frase che spedì il mio morale sul fondo di un metaforico e buio baratro di sconforto e malessere. “Vivi da sola, sbaglio?” disse, tacendo nell’attesa di una risposta. Mantenendo il silenzio, scossi lentamente il capo, fornendole quindi una risposta positiva. “Dov’è la tua famiglia?” chiese poi, peggiorando inconsapevolmente il mio già cupo umore. A quella domanda, il mio silenzio si protrasse, e non cogliendo l’eloquenza del mio sguardo, Minerva si ripetè. “Non capisci? Io non ho una famiglia!” gridai, alterandomi di colpo e nascondendo il viso con le mani. Data la mia reazione, Minerva scelse di cingermi un braccio attorno alle spalle cercando di confortarmi, e pur accettando il suo gesto, non riuscii a ritrovare la calma. Alcuni minuti passarono, ed io mi scusai con lei. La reazione che avevo avuto, andava ben oltre le mie stesse aspettative, e quando arrivò per lei il momento di andarsene, parlai con me stessa, capendo quindi qualcosa di molto importante. La solitudine aveva cessato di sovrastarmi, e in Minerva avevo trovato sia una somiglianza che una grande amicizia.
   
 
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