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Autore: MarySmolder_1308    07/11/2015    1 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
Camminare in riva al mare era sempre così rilassante e rivelatore. Specie quando il proprio compagno non sputava il rospo su qualsiasi cosa lo affliggesse. Avevo capito immediatamente che qualcosa non andava, quando Ian si era alzato di scatto e si era allontanato con una scusa alquanto banale. “Mi manca il mio Wasilewski” aveva detto, prima di fuggire. Non che fosse banale la mancanza, ma da quando lo chiamava in quel modo? Da quando ammetteva la sua mancanza così apertamente? L’affetto c’era, se non di più, era vero. Quei due sembravano gemelli siamesi, talvolta. Non era strano che gli mancasse, quanto più il modo in cui aveva espresso il suo pensiero. Voce tremante, sguardo vagante. Non era stato minimamente credibile. E anche in quel momento. Era lì accanto a me, a stringermi la mano. Era lì a camminare al mio fianco. Era lì, ma allo stesso tempo non lo era.
“Senti, non riesco a fingere che non sia successo qualcosa. Mi vuoi spiegare? E’ da poco fa che sembri così strano” improvvisamente inchiodai, parlando apertamente.
Ian mi guardò sbalordito. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi venne letteralmente trascinato via da alcuni ragazzini, che non vedevano l’ora di raccogliere le erbacce ‘con il grande e grosso vampiro’.
Scossi la testa, mentre lo vedevo allontanarsi sempre di più.
Immediatamente tirai fuori il telefono e mi collegai su Skype, pregando che le mie sorelle per scelta fossero sveglie e collegate. Niente da fare. Composi il numero di Rose.
“Pronto?” rispose lei, dopo il secondo squillo.
“Conferenza stampa” pronunciai le paroline magiche velocemente, quasi con tono allarmante.
Stavano per ‘Emergenza, attiva il viva voce, ho bisogno di voi’. Avevamo inventato questo metodo al primo anno, per evitare sempre mille e mille giri di parole. Era sempre stata qualcosa mia, sua e di Steve, ma negli ultimi mesi avevamo aggiunto anche Alex. Inutile dire quanto ne fosse rimasto entusiasta. Sembrava un bambino, quando c’erano simili cose in mezzo.
“Eccoci qua, a rapporto” parlò Steve.
“Qual è il grande problema? Troppo sole? Troppo mare? Essere una Floridia in Florida è strano?” Alex pose quelle domande con un crescendo di ironia.
“Ti senti spiritoso e molto molto figo al momento, vero?” dissi con tono acido.
“In effetti sì”
“Ragazzi, smettetela. Allora – sbottò Rose – quale sarebbe l’emergenza?”
“Ho paura che Ian mi stia nascondendo qualcosa di grande e importante e non so come accertarmene”
“Che è successo?”
“Stamattina sembrava sereno, poi a pranzo ha iniziato a essere molto evasivo, distante. Sta nascondendo qualcosa di grosso, me lo sento”
“Cosa intendi con ‘qualcosa di grosso’? Tipo un tradimento?” domandò Steve innocentemente.
“Tradimen-” Rose borbottò.
Subito dopo si sentì un botto.
“Ahi!” Steve protestò.
“Sei un idiota – Rose lo rimproverò, alterata – Potrebbe essere la qualunque, perché innescarle il dubbio del tradimento?”
“La qualunque come per esempio?”
“Un anello di fidanzamento?” propose Alex dal nulla.
“Che?” rispondemmo tutti e tre in coro, colti completamente alla sprovvista.
“Pensateci. La ama così tanto, che si è beccato una macchina contro il proprio corpo; è stato molto male per la storia della gravidanza extra uterina, quindi vuole dei figli con lei. Magari oggi l’ha vista circondata di bambini, dolce e materna e ha pensato all’anello. Al matrimonio. Al voler costruire una vita concreta con lei, insomma. Cioè, non mi sembra molto fuori dal mondo. Non credi anche tu, Mary?”
“I-io non so cosa pensare” mormorai, mentre il mio cuore rallentava i suoi battiti.
Che stessi per morire?
“Intanto respira, perché sono supposizioni. Ma potrebbe essere. Insomma, ha più senso del ‘mi butto sotto una macchina per te, ma poi faccio sesso con altre donne’, non ti pare?”.
Aprì la bocca per parlare, quando qualcosa mi toccò la coscia destra.
Mi voltai di scatto, ritrovandomi di fronte non un ‘qualcosa’, bensì un ‘qualcuno’.
Per la precisione, una bambina bionda con le trecce, massimo di sei anni.
“Ragazzi, devo andare, scusate – riattaccai, poi mi piegai sulle ginocchia, arrivando alla sua altezza – Ehi, piccolina, ti sei fatta male?” le chiesi.
“E’ a terra e si muove in modo strano” mi rispose, indicando una zona non molto lontana della spiaggia.
“Chi, tesoro?”
“Quell’uomo vampiro”.
Mi sentii il mondo crollare addosso.
Entrai indaffarata nella tenda della guardia medica, afferrai una borsa di primo soccorso, poi corsi con la bambina dal ‘vampiro’.
“Ian! – urlai disperata e corsi verso di lui – Ehi, parlami” gli diedi qualche buffetto sulla guancia gonfia.
Lui mi prese la mano debole e mi guardò.
Non riusciva a respirare bene.
“Andrà tutto bene, promesso” gli sorrisi, cercando di essere rassicurante, e gli strinsi la mano.
Aprii velocemente la borsa e la tasca interna, prendendo una piccola siringa con l’etichetta gialla.
Tolsi i jeans a Ian, esponendo la parte antero-laterale della coscia destra.
“Che cos’ha?” chiese la bambina spaventata.
“Non preoccuparti, tesoro – iniettai il farmaco – questa è una medicina. Si chiama adrenalina. Lo farà stare meglio, credimi” conclusi la frase, guardandola.
La bambina mi sorrise, più tranquilla. Controllai che la pressione e i respiri tornassero regolari, poi mi feci aiutare da un maestro per portare Ian in auto.
 
POV Ian
Riaprii gli occhi lentamente, mentre il tramonto cominciava a sovrastare il panorama della Florida.
“Che è successo?” chiesi un po’ confuso, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Siamo in hotel, dovevi riposare” rispose Mary, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Accennò un sorriso, seppur preoccupato, deviando poi il suo sguardo verso la finestra.
“Ma la giornata non era finita” dissi, mentre cercavo di mettermi a sedere.
“Ma per te sì – si avvicinò velocemente e mi aiutò – Mi hai fatto prendere un colpo, mannaggia a te!” sospirò, carezzandomi il volto.
Abbassai lo sguardo.
“Dovevo stare più attento, lo so, ma fortunatamente c’era il mio angelo a proteggermi” tentai di rallegrarla, ponendo la mia mano sopra la sua.
“E se io non ci fossi stata? Se il Capo non mi avesse dato il permesso e tu oggi pomeriggio fossi stato solo? Chi ti avrebbe aiutato dal non morire per shock anafilattico?”
“Me la sarei cavata – risposi con convinzione – e, comunque, cerca di non pensare a ‘cosa sarebbe potuto accadere’, piuttosto al ‘non è successo’. Tu c’eri e l’adrenalina pure e ora eccomi qui”
“Lo so, è solo che – batté le palpebre più volte – lasciamo perdere, hai ragione. E’ tutto a posto” si morse lievemente il labbro inferiore, prima di sdraiarsi accanto a me e far appoggiare il mio capo sul suo petto.
Riuscivo a sentire il suo cuore perfettamente. Batteva come un forsennato, mentre pian piano tentava di tornare al suo ritmo regolare.
Mary continuava ad accarezzarmi, lentamente e delicatamente.
“Adoro quando mi coccoli così” sorrisi e mi strusciai su di lei, come un gatto riconoscente.
“Idiota” mi diede un buffetto, facendo una risatina.
 
“Looking out from underneath,
Fractured moonlight on the sea
Reflections still look the same to me,
As before I went under.
And it's peaceful in the deep,
Cathedral, you cannot breathe,
No need to pray, no need to speak
Now I am under.
And it's breaking over me,
A thousand miles onto the sea bed,
Found the place to rest my head.
Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go.
And the arms of the ocean are carrying me,
And all this devotion was rushing out of me,
And the crashes are heaven, for…”
Sobbalzai.
Il sole del primo mattino splendeva mollemente e io non mi ero nemmeno reso conto di essermi addormentato.
Ma da quanto tempo suonava il telefono?
“Vai a rispondere, è il tuo” borbottai a Mary, dandole delle deboli spintarelle.
Si alzò lentamente e rispose.
“Dottoressa Floridia, sono il dottor Richardson. Disturbo?” sentii dall’altro capo del telefono.
“No, non si preoccupi, mi dica” rispose la mia partner, tentando di non far sentire la sua voce mattutina.
“Ha un volo per Londra a mezzogiorno, perciò deve tornare ad Atlanta”
“No, si sbaglia, non ho prenotato nessun volo per”
“Il volo è stato prenotato dal dottor Milton. E’ stata richiesta la sua presenza in un’equipe chirurgica del London Memorial”
“I-i-il London Memorial?!” balbettò sorpresa, come se avesse ricevuto una nomination per gli Oscar.
I suoi occhi brillavano di luce propria, le sue labbra si erano increspate in un sorriso, poco prima che la sua mascella si serrasse.
Riuscivo a percepire la sua felicità e riconoscenza, impregnava tutta la stanza, tuttavia non del tutto. C’era qualcosa che la bloccava, che le impediva di saltellare di qua e di là, di aprire la finestra e urlare al mondo della sua grande opportunità.
“Capo, senta, so che è una cosa abbastanza consistente, però…” fece cadere il discorso e mi  guardò con la coda dell’occhio.
La guardai con la bocca aperta. Ero io il motivo? Per via di quello che era successo? Subito mi alzai e le strappai il telefono dalle mani. Non era corretto che rinunciasse a tutto per me.
“Salve, dottor Richardson, la richiamiamo tra poco, d’accordo? – dissi di fretta e riattaccai, poi la guardai – Fai immediatamente le valige, torna ad Atlanta e prendi quel volo. E non accetto un ‘no’ o un ‘Ian, ma’ come risposta”
“Ian, tranquillo, non fa niente”
“Non accetto neanche questa. Mary, devi. Da come ti brillano gli occhi, si capisce che è un’occasione imperdibile e non ti permetterò di buttarla via solo – tossii – solo per una stupida allergia”
“Ian, non posso lasciarti così. Se dovesse succedere di nuovo quello che è succ”
“Non succederà – le presi le mani – Mary, tu mi hai appoggiato sempre, ti sei fatta sommergere dai giornalisti, pur di accompagnarmi agli eventi occasionali del mio mondo, perciò ora parti e goditi qualcosa che riguarda il tuo di mondo. Potresti pentirtene se non lo fai e non voglio che accada. E poi, guardami: il mio volto è tornato normale, i miei polmoni respirano… non c’è niente di cui preoccuparsi”
“D’accordo, d’accordo. Partirò”.
L’abbracciai felice e, mentre lei chiamava il dottor Richardson per confermare, io chiamai l’aeroporto di Miami per cercare di prenotare un volo immediato per Atlanta. Sfortunatamente, però, prima di mezzogiorno non c’era nessun volo.
“Merda” sussurrai.
“Che succede?”
“Non ci sono voli per Atlanta”
“Ma il volo per Londra è tra cinque ore circa, non ce la farò ad imbarcarmi, se”
“Forse mi è venuta un’idea” le feci l’occhiolino, carezzandole un braccio, poi andai a fare una chiamata.
 
 POV Mary
Era trascorsa un’ora e mezza, da quando avevo ricevuto quella telefonata. Ora e mezza in cui io e Ian avevamo fatto di tutto per organizzare il mio soggiorno nella capitale inglese. Melania e Luca erano rientrati in Italia per le ferie, perciò stare da loro era stato escluso subito. Fortunatamente per me, Giorgio, Addison e Luke non mi diedero nemmeno il tempo di completare la mia umile richiesta: stavano già sistemando la stanza per permettermi di stare lì.
“Grazie, fratellone, cognatina e nipotino. Sul serio. Se avessi potuto, avrei avvisato prima, ma è stato tutto così improvviso”
“Non preoccuparti, sorella! – Giorgio rispose entusiasta – Il tuo volo durerà circa nove ore e venti minuti, noi avremo tutto il tempo per sistemare con calma e farti trovare tutto pronto all’arrivo. A proposito, verrai direttamente qui o prima passerai in ospedale?”
“Penso di andare prima lì. Giusto per presentarmi, sai. Anche perché credo mi aspettino per introdurmi il caso”
“D’accordo. Ricordi la via da comunicare al tassista?”
“Sì”
“Perfetto. Ci vediamo presto”
“A presto” riattaccai.
Guardai per un attimo spaesata la valigia. Stava succedendo davvero? Sì. Sarei stata all’altezza di uno degli ospedali più rinomati a livello mondiale? Chi poteva dirlo!
Improvvisamente, un forte rombo costante smosse i miei pensieri. Ian prese la mia valigia e mi invitò a seguirlo. Arrivati sul tetto dell’albergo, trovammo un elicottero. Dopo aver dato la valigia a un uomo, Ian tornò al mio fianco, fiero di se stesso.
“H-hai fatto v-venire un elicottero?!” spalancai la bocca.
“Dave mi doveva un favore – mi spiegò – Torna ad Atlanta, vola a Londra e mostra a tutti che medico straordinario sei”
“Ti amo, ti amo, ti amo” lo abbracciai forte.
Lui mi baciò i capelli e sciolse l’abbraccio.
“Anch’io! Ora va’” sorrise e mi diede una pacca sul sedere.
Gli diedi un bacio stampo e salii sul mezzo.
 
Recuperai la valigia e andai verso l’androne principale dell’aeroporto. Lì trovai ad aspettarmi un uomo con un cartello, su cui era scritto il mio cognome.
“Buonasera, sono la dottoressa Floridia” gli porsi la mano.
“Lieta di conoscerla, dottoressa. Il dottor Milton mi ha incaricato di portarla in ospedale. Mi porga il suo bagaglio, per favore, e venga con me” disse, ricambiando la stretta di mano, in un tono gentilissimo, ovviamente.
Cosa ci si poteva aspettare da un Britannico, se non educazione e gentilezza?
Seguii quell’uomo e, ben presto, mi ritrovai in un’auto nera, che sfrecciava per le vie londinesi. Ero stata altre vote a Londra, era vero, ma era sempre affascinante guardarsi intorno e vederne la bellezza. I palazzi, i prati, le strade, la gente che camminava, presa dai suoi impegni. Tutto era meraviglioso e magico. Persino il tempo, spesso e volentieri piovoso!
Giungemmo in ospedale dopo circa quaranta minuti. L’uomo mi aprì la portiera.
“Grazie” dissi, sorridendogli.
“Si figuri” rispose nuovamente con una gentilezza disarmante e con quell’accento meraviglioso.
Ah, gli uomini inglesi! Come si faceva a non amarli perdutamente?
Non appena misi piede in quella meravigliosa struttura, una donna rossa mi venne incontro.
“Ciao, tu devi essere Maria Chiara, io sono Beth, benvenuta al London Memorial. Il capo verrà tra pochi minuti, intanto se mi vuoi porgere la tua valigia – sorrise, tendendo la mano verso il bagaglio – la terremo al sicuro, mentre fai il giro della struttura” squittì.
“Grazie” sorrisi forzatamente, ma gentilmente e gliela porsi, poi mi guardai intorno.
Quell’ospedale era… mozzafiato. Il pavimento e le scale erano in marmo chiaro, che contrastava con i pannelli d’ebano alle pareti; gli ascensori erano di vetro, così come l’alto soffitto dell’ingresso; vi erano piante dappertutto. Mentre guardavo ancora estasiata il soffitto, vidi il capo dell’ospedale avvicinarsi. Era un uomo incredibilmente giovane per essere primario di un intero ospedale, massimo sulla quarantina, alto, con i capelli biondo-castani e gli occhi grigi. Una volta Rose mi aveva detto che Sophie, una sua amica che lavorava qui, aveva ammesso che tutte le donne single dell’ospedale gli correvano dietro. E ci credevo, era un bellissimo uomo!
“Dottoressa Floridia, se non erro” mi sorrise e tese una mano.
Il suo accento inglese era ammaliante. Impeccabile. Bellissimo.
Ero a Londra da meno di un’ora e già ero completamente dipendente da quell'accento, quasi come se stessi assumendo una droga e non fosse mai abbastanza.
“Dottor Milton, è un piacere e un onore conoscerla” ricambiai il sorriso con professionalità e gli strinsi la mano.
“Il piacere è tutto mio, mi creda. Sa, devo proprio dirglielo, la foto del suo profilo ospedaliero non le rende giustizia”
“Grazie” risi nervosamente e imbarazzata.
Ma ci stava provando?
Milton cambiò discorso: “Allora, il volo è andato bene? Mi è dispiaciuto darle così poco preavviso”
“Non si preoccupi, è andato tutto benissimo”
“E’ stanca? Magari vuole riposare un po’”
“No, davvero, va tutto magnificamente” sorrisi.
“Perfetto! Mi segua, per favore”.
Annuii e lo seguii. Dopo aver visitato l’immensa struttura, ci fermammo davanti a una porta.
“Sa perché è stata convocata?” mi chiese.
“Effettivamente no”
“Dottoressa Floridia, mi dica, cosa sa riguardo le cellule staminali usate in cardiologia e nella chirurgia cardiotoracica?”
“Si stanno facendo degli studi per vedere se possono essere usate per risanare il cuore dopo un infarto del miocardio”
“Giusto”
“Allora è per questo motivo che…?”.
Milton scosse la testa.
“No, è molto, molto meglio” sorrise trionfante e aprì la porta.
“Wow” fu tutto quello che riuscii a dire, completamente affascinata.
 Le pareti della sala innanzi a me e al primario inglese erano piene di monitor: alcuni raffiguravano degli elettrocardiogrammi, altri il cuore ideale per un bambino, altri ancora un piccolo cuore danneggiato e malformato; al centro della stanza vi era un grande tavolo da laboratorio. Il dottor Milton mi invitò ad avvicinarmi.
“Q-queste s-sono” balbettai ancora rapita da quei vetrini.
“Cellule staminali. Owen Kay, il nostro paziente, è nato prematuro e con un difetto genetico. Alla madre si sono rotte le acque due giorni fa e noi abbiamo cercato di ritardare il parto quanto più possibile, ma non è stato avverabile. La nascita pretermine, solo a trentadue settimane, e il già presente difetto hanno causato un ulteriore grave danno sia allo sviluppo che al funzionamento del cuore. Avrebbe bisogno di un trapianto, ma è troppo piccolo, perciò abbiamo avviato questa sperimentazione, in tutta fretta, nella speranza che il cuore si possa guarire autonomamente e dall’interno. Ecco perché il poco preavviso”.
Ascoltai attentamente e senza parole la presentazione del dottor Milton.
Stava continuando a parlare, quando trovai il coraggio di bloccarlo e di porgli la fatidica domanda: “Mi scusi, è davvero un onore partecipare a un caso del genere, perché è davvero straordinario e senza precedenti, però… perché ha scelto me?! Sono certa che i suoi col”
“Ho sentito molte voci sul suo conto da parte del dottor Richardson. Consideri questa un’occasione per dimostrare se quelle voci siano vere. Per quel che mi riguarda, sento che è così”
“Ma se era solo per questo, ammesso che comunque sia vero, potevo dimostrarlo da Atlanta. Perché…?”
“Questo caso è estremamente delicato, perciò necessito dei chirurghi migliori. E lei, nonostante sia ancora uno specializzando del quinto anno, è una delle migliori. Ha un talento innato, sarebbe un peccato non usarlo. Non crede anche lei?” mi guardò.
Ero sicuramente diventata rossa, quelle parole mi avevano davvero lusingata e non sapevo come rispondere.
Vedendo che il mio silenzio persisteva, il dottor Milton cambiò discorso. Mi portò fuori dalla stanza e tornammo all’ingresso, dove Beth, che io avevo ribattezzato ‘colei che ha la voce portatrice di emicrania’, mi restituì la valigia.
“Allora – il dottor Milton tese la mano – domani alle otto prenderà servizio qui”.
Gli strinsi la mano.
“Già. Senta, ma quanto potrebbe durare il tutto?”
“L’intervento è fissato tra due settimane, speriamo funzioni”
“Sento che funzionerà – sorrisi – Allora a domani”.
Stavo per andarmene, quando Beth squittì: “Se non hai un posto dove stare, puoi venire da me”
“Non preoccuparti, ce l’ho. Grazie comunque, sei stata molto gentile” le sorrisi e uscii dall'ospedale.
Chiamato un taxi, giunsi presto a casa di mio fratello. Giorgio spalancò la porta e Lucas uscì a braccia aperte.
“Zia Mary” urlò.
Lasciai il trolley sul vialetto e corsi ad abbracciarlo.
“Ciao amore mio! Ma come stai?” chiesi dolcemente, stringendolo e accarezzandogli i capelli.
“Sto bene” sorrise.
“La scuola?”
“Bene. Zia, ma lo sai che studiamo il nostro corpo a scuola?”
“Davvero? – mi finsi sorpresa – E oggi l’avete studiato?”
“Sì, come funziona il cuore”
“Ma che bello” gli sorrisi.
Lucas continuò a raccontarmi della sua giornata, di cosa gli avesse spiegato la maestra e di come si fosse vantato di sapere già qualcosa grazie a me con i suoi compagni, ma io non riuscii ad ascoltarlo del tutto, troppo intenta a soffermarmi, invece, sui suoi gesti e sulla felicità che mostrava, mentre mi parlava. Stava cominciando solo allora a scoprire veramente il mondo, a conoscere e a rapportarsi con gli altri ed era davvero entusiasta di farlo. Mi ricordò un po’ me da piccola.
“Luke, non farai stare tua zia fuori per tutta la notte, vero?” Addison sorrise.
“Non ricordi che dobbiamo dirle una cosa? Come possiamo farlo, se non la fai entrare?” continuò Giorgio.
Lucas brontolò qualcosa, poi mi prese la valigia e tornò dentro.
“Che succede?” guardai Giorgio.
“Per ora entra” sorrise.
Chiusi il portone alle mie spalle e Addison mi si avvicinò.
“Ti ho preparato la cena, starai morendo di”.
Non fece in tempo a finire la frase, che il mio stomaco brontolò violentemente. Scoppiammo a ridere e andammo in cucina. Mentre mi abbuffavo di cibo, notai che mi guardavano in modo strano.
“Avete messo del veleno nel cibo per caso?” li guardai di sottecchi.
“No, ma che dici!” disse subito la mia dolce cognata, ridendo nervosamente.
“E allora cosa dovete dirmi?”
“E’ una piacevole novità, non preoccuparti” Giorgio sorrise, poi simulò un tamburo con le mani, mentre Luke lo imitava.
“Sono di nuovo incinta” disse Addison felice e si toccò il ventre.
“Olè” urlarono i maschietti di casa.
“Oh mio Dio! – esclamai contenta – Di quanto sei?”
“Un mese… o forse due – rise, poi mi toccò una spalla – Ma non è tutto: vorremmo che tu e Ian foste i padrini”.
Li guardai a bocca aperta.
“Davvero?”
“Mh mh” annuirono i futuri genitori al quadrato.
“Ma che domande, certo! – mi alzai dal tavolo e li abbracciai forte – Sono così felice”
“Anche noi”.
Dopo aver festeggiato un altro po’, misi Lucas a letto. Non era abituato a stare in piedi fino a tardi ed era stremato.
“Zia Mary, secondo te sarò bravo come fratello maggiore?”
“Ma certo, amore! Sarai bravissimo” gli carezzai il volto.
“Vorrei avere una sorellina. Così potrei guidarla, come ha fatto papà con te”
“Hai detto una cosa molto dolce. Sarai un fratello maggiore meraviglioso, ne sono certa. Ora dormi, però. O domani a scuola ti addormenterai sul banco” feci una risatina e gli diedi un bacio sulla fronte.
“Oh, no, sarebbe alquanto spiacevole! – scosse il capo; poi, ridendo, aggiunse – Ti voglio bene, zia Mary. E ne voglio anche a zio Ian. E all’embrione” completò la frase mormorando.
Chiuse gli occhi e, in breve tempo, Morfeo lo accolse fra le sue braccia.
Lo guardai dormire, rapita dal suo volto angelico, poi andai in camera. Presi immediatamente il telefono e composi un numero.
 
POV Ian
Avevo passato tutto il secondo giorno del ‘Let’s Get Dirty’ nella spiaggia al sud di Miami, la più grande di tutta la Florida. Era una delle spiagge più belle del mondo, trascurando il fattore ‘inquinamento’, ma grazie ai volontari, che mi avevano aiutato, era tornata a splendere.
Il giorno successivo alla manifestazione, dopo pranzo, mi mobilitai per tornare ad Atlanta. Non avevo ricevuto ancora notizie di Mary, chissà come stava.
Quando arrivai a casa, trovai Paul ad aspettarmi. Feci un bel respiro e scesi dall’auto.
“Ti sei appostato qui da due giorni?” gli sorrisi.
“Tu mi hai staccato in faccia, cattivone, e non hai ancora risposto alla mia domanda. Inoltre, mi hai detto che potevo stare qui da te, quindi – tirò fuori una valigia dalla sua auto – eccomi qui. Ah! Non puoi sfuggirmi, ti sei tradito da solo”
“Rispondere a che domanda? Tradito? Non so di cosa tu stia parlando” risposi, mentre posavo dentro il mio bagaglio.
“Ah, non lo sai?! Ti rinfresco la memoria: ‘Perché mi hai chiamato?’”.
Mentre parlava con un tono di voce tra l’esasperato e il ‘sto morendo di curiosità, ti prego, parla e metti fine alla mia sofferenza’, chiusi il portone di casa.
“Allora, tu puoi sistemarti nella stanza degli ospiti al piano di sotto. Domani dobbiamo ricordarci che dopo le riprese dobbiamo passare da Jess a prendere i gatti e il cane – mi sfregai le mani – Che ti va per cena? Onestamente, non so cosa ci sia in frigo”
“Ian, non farlo”
“Fare che?”
“Ignorarmi. E dai, voglio solo la conferma di quello che ho pensato”
“Parla, Wasilewski. La conferma arriverà successivamente”
“Secondo me tu stai pensando al matrimonio con Mary. Da sempre hai voluto costruirti una famiglia. Insomma, ho perso il conto di quante persone volessi sposare. Prima volevi sposare Megan, ma ti sei innamorato di Nina; poi hai pensato ‘Ehi, potrei chiedere alla bulgara di sposarmi, la amo da morire’, ma il tuo pensiero non si è concretizzato, perché vi siete mollati e poi ti sei reso conto di amare Mary. E ora – esitò un attimo – penso che tu stia riflettendo sul da farsi. Penso che tu voglia farlo, con tutto il cuore, ma che tu abbia paura. Perché ogni volta che hai pensato di compiere il grande passo, qualcosa è andato storto, ma sai che ti dico? Che secondo me le cose sono andate male, proprio perché tu potessi compiere questo passo importante con Mary. Insomma, sei finito sotto una macchina per lei. Avete quasi avuto un figlio insieme. Avete vissuto più esperienze ed emozioni forti in quasi un anno voi rispetto a coppie che stanno insieme da decenni. Avete cose in comune e cose che vi differiscono, ma non per questo lasciate che vi divida. Anzi, lo rendete il vostro punto di forza. Vi completate. Cosa c’è di meglio? E, giusto per dire eh, se per caso il mio divorzio ti abbia spaventato ancora di più, ti do una sberla. Questa è la mia vita, il mio errore. Non il tuo. Solo perché io mi sono sposato presto ed è finita male, non vuol dire che anche tra voi andrà così. Io credo che il vostro amore sia di quelli rari. E non deve essere sprecato. Perciò, se davvero ci stai pensando, fallo. Proponile di sposarti”
“Wes, sei uno psicologo mancato. E’ vero, ci sto pensando sul serio. E, sì, sono terrorizzato all’idea che qualcosa possa andare storto. Ma, nonostante tutti questi dubbi, è tutto in stand-by al momento”
“Come mai?”
“E’ andata a Londra, è stata convocata per un caso medico. Non so ancora quanto resterà via, quindi”
“Quindi, al posto di mettere in stand-by tutti i modi in cui potresti chiederglielo”
“Non sono quelli a esserlo, ma proprio il ‘glielo chiedo o meno?’”
“No, abbiamo già stabilito che glielo chiederai”
“L’hai stabilito tu”
“Ian, non farti condizionare dal passato. E’ andata male le altre volte, è vero, ma… diamine, siete sopravvissuti a tantissime cose quest’anno. Lei ha avuto il coraggio di farsi avanti e dichiararti il suo amore, tu di salvarla da una psicopatica, hai parlato di lei al Paleyfest! Davanti a milioni di persone! E l’hai fatto come se fosse la cosa più naturale del mondo! Hai bisogno di ulteriori prove? Perché ogni singolo giorno che avete trascorso insieme è la risposta. Ed è un sì. Lei è la donna della tua vita”
“Hai ragione, ma la paura mi blocca”
“Non permetterglielo. Sei già felice con lei, giusto?”
Annuii.
“Bene. Questa è la tua occasione di essere ancora più felice. Non sprecarla”
“Mi hai con” interruppi la frase.
Il telefono stava squillando.
Mary mi stava chiamando.
“Ehi” risposi dolcemente.
“Ciao, volevo ringraziarti per avermi convinto a partire. Farò parte della storia della medicina” mi disse estasiata.
Subito dopo mi raccontò del caso che aveva e di tutti gli annessi e i connessi. La ascoltai attentamente e, mentre mi parlava, la immaginai gesticolare e camminare da un lato all’altro della stanza tutta elettrizzata.
“E quando opererete?” chiesi interessato.
“Purtroppo l’intervento è tra due settimane”
“Purtroppo?”
“Beh, non potrò tornare ad Atlanta fin quando non opereremo, perciò…” fece cadere il discorso.
“No, e dai, non vale! Vuoi dire che non potrò vederti per due lunghe settimane?”
“Adesso puoi capire cosa provo, quando vai in giro per il mondo senza di me”
“Oppure no. Potresti usare il tuo lato da ragazzaccia dark per importi e tornare”.
Tornai per un breve attimo con la mente a quel momento.
 
“Kev, andiamo. Stiamo tutti facendo il turno di notte e siamo tutti stanchi. Perché non ci dai una mano, consegnandoci le analisi, senza fare storie?” disse Mary, appoggiata al bancone del laboratorio analisi.
Erano le due e mezza del mattino. I corridoi erano praticamente vuoti, eccezion fatta per la mia squadra, che era di turno insieme alla mia dottoressa preferita.
“Doc, senti, io capisco che vuoi fare bella figura di fronte a questi quattro attori, ma io stanotte sono da solo! E non devo esaminare solo i vostri campioni, ma anche quelli di tutti gli altri. Ci vuole il tempo che ci vuole”
“Sì, ma i miei sono urgenti”
“Anche gli altri”
“Ah, vuoi dirmi che tutto l’ospedale ha bisogno del risultato di un fottutissimo ago aspirato per confermare un tumore alla tiroide? Sei serio?”
“Sono altri tipi di analisi. Con altri tipi di priorità”l’operatore, Kevin, guardò Mary con aria di sfida.
“Allora, sai che ti dico? – fece un salto e si sedette sul bancone, ritrovandosi, così, dall’altro lato – Tu esamina i tuoi preziosissimi campioni con ‘altri tipi di priorità’ – fece le virgolette con le dita – mentre io esamino il campione del mio paziente. Vinciamo tutti”
“Senta, non può entrare qui, saltando dal bancone. Quest’area non è per lei”
“Senta lei! – Mary gli puntò il dito contro – Io ho bisogno del referto di quel campione, per poter confermare a un mio paziente, di già cardiopatico, la diagnosi di tumore o la completa incompetenza del suo endocrinologo. Ne ho bisogno, perché il mio paziente ha diritto di sapere che diamine sta succedendo nel suo corpo e ne hanno il diritto anche sua moglie e i suoi meravigliosi piccoli figli. E, visto che lei è troppo impegnato ad analizzare i campioni delle dottoresse single per poi poterci provare con loro, piuttosto che darmi retta, faccio da me. E se ha qualcosa da ridire, chiamo il dottor Richardson e la faccio sospendere per intralcio alla diagnosi. Qui dobbiamo pensare a salvare le persone. Non a rimorchiare”
“D’accordo, ehm – Kevin deglutì – il campione è di là in saletta”
“Bene. Grazie per la disponibilità – Mary sorrise, scacciando la minaccia dal suo volto; poi si rivolse a noi, inermi spettatori – Ragazzi, entrate! C’è del lavoro da fare”
 
“Ian – scoppiò a ridere – Quella volta stavo solo facendo il mio dovere! – percepii la sua testa scuotersi – E come dovrei fare per l’intervento?”
“Non sembrava proprio – sorrisi maliziosamente – Comunque, semplice, poi torni a Londra tra due settimane”
“Sai che non si può fare, vero?”
“Non vuoi usare quel tuo lato così sexy?” sorrisi maliziosamente, nonostante non potesse vedermi.
“Non parlare di quel lato, mi imbarazza”.
Ci furono attimi di silenzio.
“Devo andare”
“D’accordo” sospirai.
“Uh, ma prima di staccare devo darti una notizia: mia cognata è di nuovo incinta”
“Davvero?! Che bello” dissi felice.
“Già, e noi saremo i padrini”
“Cosa?”
“Me l’ha comunicato stasera”
“Sarà un grande onore, ringraziala”
“Ma certo, senz’altro – continuò contenta – Ora stacco davvero, il volo mi ha stremata. Ah, e da domani mi aspettano delle lunghe giornate in laboratorio”
“Vai tranquilla e fa’ gli auguri ad Addison da parte mia – sorrisi – Dormi bene, amore. Mi manchi già”
“Anche tu per entrambe le cose. Anche se effettivamente da te sono solo le sette e mezza del pomeriggio, quindi non penso tu stia andando a dormire – fece una risatina – Dettagli! Ti amo”
“Anch’io” e riattaccai.
Guardai il monitor del telefono per un po’, poi mi rivolsi a Paul: “Wes, abbiamo due settimane di tempo per organizzare la proposta più bella del secolo”
“Quindi ti ho convinto?”
“Decisamente” sorrisi.
 
POV Mary
Ci accomodammo in sala conferenze e poco dopo ci raggiunsero i giornalisti. Dopo aver permesso a questi ultimi di scattare qualche foto, il dottor Milton prese la parola, espose il caso e, in seguito, cominciò a presentare l’equipe. Eravamo divisi in due gruppi: un gruppo stava in sala operatoria nella prima parte dell’intervento, mentre il secondo gruppo, in cui c’ero io, subentrava nella seconda parte, nel momento in cui si dovevano inserire le cellule staminali nel cuore del piccolo Owen. Essendo la specializzanda più anziana, ero stata nominata capo del gruppo e, di conseguenza,  secondo chirurgo nella seconda parte dell’intervento.
Nelle due settimane che avevo trascorso lì a Londra, avevo passato la maggior parte delle giornate in laboratorio a esercitarmi. Era un intervento fin troppo delicato e, nonostante pensassi che l’esercizio non servisse a molto, dovevo farlo per non fallire e non deludere, così, tutti quanti. Chiusi per un momento gli occhi, cercando di rilassarmi. Il solo pensare all’intervento mi riempiva di adrenalina, sì, ma anche di ansia. Ma non c’era posto per quest’ultima, non doveva esserci.
“Capo del secondo gruppo d’equipe, Maria Chiara Floridia” annunciò il dottor Milton al microfono.
Battei le palpebre, lasciando i miei pensieri altrove. Mi alzai e mi presentai in maniera garbata, poi mi accomodai nuovamente e cominciarono le domande.
“Dottoressa Floridia, come si è sentita quando ha scoperto di essere stata convocata per questo caso? Lei è l’unica dottoressa dell’equipe che non lavora qui a Londra, bensì negli Stati Uniti”
“Se devo essere sincera, quando sono arrivata qui, ero all’oscuro di tutto. Solo giunta in ospedale, sono stata informata dal dottor Milton del caso e… beh, mi sono sentita fin da subito molto onorata e lusingata. Ciò che domani si cercherà di fare in sala operatoria non si è mai visto prima ed è davvero… straordinario” sorrisi.
“Ci può dire come mai? Dal suo punto di vista, ovviamente”
“Beh, è un momento importante, sia dal punto di vista medico, che umano. Molti, ai giorni attuali, pensano che ormai la maggior parte delle persone voglia diventare un medico per i soldi, per godere di agevolazioni nella sanità e chissà che altro. Magari per qualcuno è così, ma questo caso dimostra che non lo è per tutti! Il caso di Owen è estremamente delicato, specie perché nessuno ha mai sperimentato una cosa del genere. E il fatto che il dottor Milton, primario del London Memorial, si sia da subito impegnato così tanto per trovare qualcosa che possa aiutarlo e per mettere su una squadra in grado di provarci, è davvero lodevole. E fa ben sperare sul fatto che il medico non è chi guadagna molto; bensì un umile operatore, che cerca di aiutare il prossimo. Si farà la storia della medicina con quest’intervento, verissimo; ma non bisogna mai dimenticare che, soprattutto, si farà la storia di Owen Kay. Questo bambino ha l’opportunità di avere una vita migliore. E’ ancora piccolo, ma ha già la speranza in sé. Ed è meraviglioso. E ti fa sentire così grato il tutto, proprio perché ti da la possibilità di aiutare e di essere utile”
“Parole emozionanti, doc. Quale sarà il suo compito?”
“Io e il mio gruppo resteremo a tenere d’occhio le cellule staminali in laboratorio, poi, quando ci daranno un segnale, le porteremo in sala operatoria e il mio dovere sarà aiutare il chirurgo principale, il dottor Sparks, a immetterle nel cuore. Sembra facile, ma non lo è affatto”
“Si è esercitata per questo?”
“Sì, tantissimo, ma ovviamente non si può pretendere che l’operazione sia uguale all’esercitazione. Come dice il mio Capo, il dottor Richardson, che approfitto per salutare: ‘L’imprevisto è sempre dietro l’angolo’, e ha ragione. In sala operatoria può succedere di tutto, perciò a volte l’esercizio può anche non servire”
“Perché, mi scusi?”
“Perché nell’esercitazione se fai un errore o trovi un intoppo, puoi resettare tutto e ricominciare, mentre ciò ovviamente non può accadere in sala operatoria: se fai un errore, puoi uccidere il paziente; se c’è un intoppo, devi risolverlo altrimenti il paziente muore, perciò… esercitarsi sì, ma non fare troppo affidamento su questo”
“Com’è stato lavorare in un ambiente diverso da Atlanta?”
“E’ stato entusiasmante e poi i colleghi sono stati molto gentili con me”
“Un’ultima domanda, che abbiamo posto a tutti: come si sente riguardo l’intervento di domani?”
“Non voglio sembrare ripetitiva, ma, essendo un caso che capita forse solo una volta nella vita, sono molto elettrizzata. Però, sono anche un po’ spaventata perché, come ha già detto il dottor Milton, è un caso molto delicato su un paziente molto fragile. Si deve stare molto attenti”
“Grazie, dottoressa Floridia”
“Di niente” sorrisi e il dottor Milton continuò la presentazione del secondo gruppo.
Quando finì, scattammo qualche altra foto e controllammo che tutto fosse pronto per l’intervento, poi fummo liberi di tornare a casa.
Dopo qualche ora di relax sul letto con l’Ipod acceso, Giorgio entrò e mi disse di accendere la televisione sul canale ‘U(K)SA-World’, canale in comune alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, perché stavano trasmettendo la conferenza stampa.
Dopo che una voce fuori campo ebbe spiegato che il video a seguire era stato registrato qualche giorno prima, fu inquadrato un giornalista, posto davanti alla casa di Ian, ad Atlanta. Quando uscì, il giornalista si avvicinò.
“Ian, mi perdoni il disturbo. Sono un giornalista della sezione scientifica di ‘U(K)SA-World’. Ha per caso sentito ciò che la sua fidanzata farà tra qualche giorno a Londra?”
“Sì, certamente. Me ne ha parlato al telefono e sono davvero felice per lei. Nonostante sia difficile e complicato, è un’operazione sensazionale e importante. Si aggiunge come esperienza al suo bagaglio professionale e anche umano” sorrise.
“E, mi dica, come ci si sente a essere fidanzato con una dottoressa, che potrebbe diventare di fama mondiale nel campo medico, dopo un caso del genere?”.
Scoppiai a ridere e presi immediatamente il telefono, ignorando automaticamente il televisore.
 
POV Ian
Il telefono squillò puntuale.
“Sei come un orologio svizzero” risi, ma dall’altro lato non rispose nessuno.
“Mary?”
“Mi dica, come ci si sente a essere fidanzato con una dottoressa, che potrebbe diventare di fama mondiale nel campo medico, dopo un caso del genere? – disse e rise a crepapelle – Sto ridendo talmente tanto, che non ho nemmeno sentito la risposta, perciò ti prego di dirmela”
“Non sei affatto divertente, quindi non te la dirò”
“Allora guarderò l’intervista su Youtube – rise un altro po’, poi tornò seria – Come stai?”
“Bene e tu?”
“Sono stanca morta e non vedo l’ora di tornare e di dormire almeno per dodici ore”
“Pochine” scoppiai a ridere.
“E tu avrai un ruolo estremamente fondamentale in tutto ciò”
“E sarebbe?”
“Sarai il mio cuscino comodissimo!”
“Contaci”.
Ridemmo.
“E ora che stai facendo? Relax o preparazione psicologica per la grande operazione di domani?”
“Ah, non me ne parlare, sono tesa come una corda di violino. In realtà, ti sto guardando” fece una risatina.
Mi bloccai.
“I-i-in che s-senso, scusa?” balbettai.
“Volevo cercare l’intervista su youtube, ma poi sono andata su ‘Google Immagini’. Ti sto guardando. Sai, cominciavo a non ricordare più che aspetto avessi – rise, mentre la immaginavo fare una linguaccia – Ian, mi manchi tanto”
“Anche tu, ma pensa che dopodomani ci rivedremo e recupereremo queste due settimane” finii la frase con malizia.
“E’ un bel programma, che però potrà realizzarsi solo dopo le mie dodici ore di sonno”
“Sì, ma prima di sabato. Non penso che in Sicilia da te potremo concludere qualcosa”
“Potremmo sempre usare il metodo silenzioso”
“Continui a prendermi in giro? Sei crudele”
“Ti prenderò in giro a vita, mio caro. Quella notte è indimenticabile” fece una risatina.
“Proprio perché è indimenticabile, forse dovremmo evitare di ripeterla in casa tua”
“Hai ragione”
“Perciò, tesoro, tieni duro e pensa al nostro ricongiungimento”
“Al momento riesco solo a pensare a domani. Se dovessi sbagliare qualcosa”
“Non sbaglierai niente. Sei bravissima nel tuo lavoro, sii sicura di te e vedrai che tutto andrà per il meglio”
“Te l’ho mai detto che hai delle capacità calmanti straordinarie? Grazie per tutto davvero”
“E’ il mio dovere e lo svolgo con piacere, non c’è bisogno di ringraziarmi”.
Si sentirono dei mormorii, poi Mary sbuffò.
“Devo scendere per la cena. Ti chiamo appena finito, d’accordo?”
“D’accordo, a più tardi. Ti amo”
“Anch’io”
“Mary, prima di riattaccare”
“Dimmi”
“Sono fiero di te”
“Sei sempre troppo buono” mi mandò un bacio e riattaccò.
Sospirai di sollievo. Per un attimo avevo davvero creduto che mi avesse beccato, invece non sospettava ancora niente. L’avevo sviata bene.
 
Portai le valige al piano di sotto, giusto in tempo per accogliere Jessica in casa.
“Eccomi qua – disse di fretta, chiudendo il portone d’ingresso alle sue spalle – Scusami per il ritardo” fece una smorfia mortificata.
“Tranquilla, Jess – le sorrisi – Anzi, grazie perché terrai Moke, Thursday, Damon e Polar”
“Lo faccio con piacere, lo sai – si guardò intorno – Tutto pronto per la partenza?”
“Sì” affermai con convinzione.
“Bene. Sono felice che tu faccia questo passo, finalmente – mi abbracciò forte – anche se mi mancherai”
“Anche tu, Jess, anche tu – la strinsi – ma Londra chiama”.
Jess sciolse l’abbraccio, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
Guardai anch’io.
La sera stava calando. La luna non era ancora alta.
Non si muoveva una foglia. Tutto era calmo.
Era una serata primaverile bellissima.
L’unica fonte di luce proveniva dai fari del taxi, che era appena arrivato.
Dovevo andare.

“Chiamami, non appena arrivi. Mi raccomando, eh!” Jess agitò l’indice.
“Che mammina premurosa” le sorrisi, abbracciandola nuovamente.
“Staccati o perderai il volo”
“Non lo perderò, tranquilla. Solo, prima di lasciarti andare, vorrei un favore da te”
“Che favore?”
“Più precisamente una promessa: se dovesse andare male, aiutami a raccogliere i cocci della mia vita. Te ne prego. Perché non credo di poter superare tutto questo un’altra volta”

“Ian, capisco la paura, ma non andrà come le altre volte. Non sei nemmeno riuscito a comprare un anello in quelle. Adesso sì. E’ perfetto per lei e per l’occasione. Sono certa che andrà tutto per il meglio. Ve lo meritate. Perciò, non ti prometto un bel niente. Perché, quando tornerete, non ci saranno cocci da raccogliere; bensì, un matrimonio da organizzare – annuì decisa – Chiaro?”
“Ti voglio bene. Ci vediamo presto”
“Contaci” 
 
 Il servizio in camera arrivò e cominciai a cenare, mentre il Big Ben sovrastava la vista della mia stanza. Ero lì, arrivato da qualche ora. Ero nella capitale inglese anch’io. Ero pronto. E sicuro. Come mai in vita mia. Sorrisi, mentre pensavo al giorno successivo e al grande passo che avrei compiuto.
 
POV Mary
Sophie entrò in laboratorio e ci fece segnale di andare. Tutti ci alzammo e ci dirigemmo verso la sala operatoria quattro, trasportando con la massima cautela le cellule. Demmo  le cellule al primo gruppo, poi ci lavammo e ci sostituimmo a loro per iniziare la seconda parte dell’intervento.
Presi posizione di fronte al dottor Sparks e cominciai ad aiutarlo. Dopo non molto tempo notai la sua mano tremare.
Lo guardai. Sembrava pallido e sudato. Respirava affannosamente.
“Dottor Sparks, sta bene?”
“I-io” disse a fatica e cadde a terra, facendo lacerare gran parte del miocardio del bambino.
“Beth, aiuta il dottor Sparks; Cole, passami un quattro zeri, presto!” dissi in fretta.
Mentre cercavo di riparare il danno, chiesi a Beth come stesse lo strutturato di cardiochirurgia.
“Ha un infarto in corso” mi rispose, lo pose su una barella, con l’aiuto di alcuni colleghi, e si allontanò dalla sala.
Dopo pochissimo tempo, arrivò il dottor Milton.
“Come sta Sparks?” chiesi preoccupata.
“Se ne stanno occupando. Owen?”
“Non bene. Quando Sparks è svenuto, il divaricatore è stato tirato e ha lacerato gran parte del cuore. Sto cercando di ripararlo, ma non so se ci sto riuscendo, il cuore è troppo piccolo e fragile. E poi, anche se ci riuscissi, non potremmo continuare l’intervento senza Sparks. Non ci voleva”
“Sì che possiamo, ti sei esercitata per questo”
“Sta scherzando, vero?” lo guardai di sfuggita, mentre cercavo di recuperare il cuore del piccolo.
“No, non potrei mai scherzare con una situazione del genere in corso. Ti darò più aiuto possibile, ma sarai tu a operare. E’ la sfida finale, ricordalo”.
Feci un respiro profondo.
“Mary, andrà bene. Fidati di te per una volta!” pensai, tentando di calmarmi.
“D’accordo. Muoviamoci, colleghi” parlai più decisa.
“Come posso aiutarti?” chiese il primario del London Memorial.
“Cerchiamo di arrestare l’emorragia. Al momento conta solo quello. Non appena si ferma, possiamo procedere con l’inserimento delle cellule”
“Non sarebbe meglio se il cuore fosse più riparato?”
“Sì, totalmente vero. Tuttavia, ci servirebbero degli innesti, di cui al momento non disponiamo. Di conseguenza, avremmo bisogno di tempo per ottenerli, ma Owen non ne ha molto a disposizione. Se fermiamo l’emorragia ed evitiamo che ulteriore sangue venga perso, spero che l’immissione delle cellule permetta di riparare anche il danno causato”
“Potrebbe funzionare”
“Deve farlo, signore, o il piccolo Kay non sopravvivrà a quest’intervento” scossi la testa, continuando a lavorare.
 
Non riuscivo a dire da quanto tempo fossi all’interno di quella sala operatoria. Succedeva a ogni intervento che il tempo si fermasse, era vero. Ma quella situazione era diversa dalle altre operazioni, cui avevo preso parte. Era diversa persino dal mio intervento da primo. Era un’operazione, che, se fosse riuscita, sarebbe finita negli annali della medicina; che sarebbe diventata grande storia; che avrebbe fatto molto bene alla vita del bambino e anche alla mia carriera. Quindi il tempo era, proprio per questo, ancora più indefinito. Battei più volte le palpebre per qualche secondo, di modo da mantenermi vigile. Sospirai rumorosamente.
Era giunto il momento.
Nonostante il tempo generico fosse nullo, quello dell’intervento aveva raggiunto il punto di non ritorno. Quello per cui o avevo avuto successo o avevo fallito. Era la prova del nove.
Guardai il dottor Milton e incrociai le dita, poi comandammo che Owen venisse staccato dal bypass.  Respirai pesantemente di nuovo, in ansia, mentre guardavo il monitor. Se le cellule staminali avessero funzionato, il cuore avrebbe cominciato a pompare, molto debole. Sarebbe servito il bypass per far sì che il cuore si rinforzasse, ma comunque rappresentava il successo. Se, invece, non avessero funzionato, probabilmente Owen sarebbe morto in meno di un minuto.
I rumori dell’elettrocardiogramma cominciarono a rimbombare nella stanza deboli, ma più o meno costanti.
“Ha funzionato” balbettai contenta, mentre gli occhi pizzicavano leggermente e tutti applaudivano, primo fra tutti il dottor Milton.
Dopo aver posto nuovamente il piccolo sotto bypass e averlo richiuso, uscii dalla sala e andai dai genitori.
La madre mi venne incontro ansiosa. Aveva i capelli castani scombinati, raccolti maldestramente in una coda. Gli occhi erano colmi di preoccupazione e bramosi di risposte.
“Come sta? Ha funzionato? Perché ha gli occhi lucidi? Il mio bambino è-è” chiese tremante.
“Owen sta bene – affermai immediatamente, accennando un sorriso – Ovviamente il cuore non è forte come quello degli altri bambini, però pompa il sangue e l’importante è questo. Per le prime settimane comunque resterà attaccato alle macchine. Il suo cuore deve acquisire più forza, non dobbiamo farlo affaticare, però, ecco, ha funzionato”
“Grazie, grazie” urlò e mi abbracciò forte.
“Dovere, signora” la strinsi.
Permisi anche al marito di abbracciarmi, in modo più impacciato, poi lasciai informare loro tutti i parenti sull’esito dell’intervento.
Mi diressi felice verso lo spogliatoio, ma fui bloccata da Hannah, l’assistente del dottor Milton.
“Mary, devi seguirmi” disse velocemente, camminando con altrettanta velocità.
“Ma dove mi stai portando?” chiesi, mentre mi trascinava per un polso per i corridoi.
“La stampa sta aspettando, devi metterti un abito decente e parlare”
“Perché io?!”
“Perché sei stata tu a salvare la vita a Owen, dopo che Sparks l’ha quasi ucciso. Devi parlare tu”
“Madonna Santa, devo proprio? Io non sono fatta per queste cose” sbuffai.
“Oggi sì” rispose seccamente.
Non che fosse arrabbiata, semplicemente molto di fretta. Giungemmo dinanzi a una stanza chiusa a chiave. Hannah la aprì e mi invitò a entrare.
“Ho cercato di capire dai tuoi vestiti nell’armadietto che taglia potessi avere. Questo è l’unico vestito, tra quelli che ho trovato, che mi piacesse. Vedi un po’ se ti sta. Io aspetto qui fuori” e richiuse la porta alle proprie spalle.
Mi avvicinai timidamente al vestito, che mi aveva indicato.
Era indubbiamente molto elegante. Ma era adatto? Potevo presentarmi a una conferenza stampa in quel modo?
Cercai di non pensarci e lo indossai. Poco prima di uscire, mi guardai allo specchio.
Mi sentivo incredibilmente a disagio. La sensazione non svaniva. L’abito era lungo e molto semplice, non c’erano eccessive decorazioni, questo andava a suo favore; ma, il fatto che fosse rosso scuro, che ci fosse uno spacco e che indossassi persino le scarpe col tacco andava a sfavore.
“Mary, allora?” chiese Hannah ad alta voce.
Non sapevo dire precisamente per quale motivo, ma scoppiai in lacrime.
Hannah entrò di corsa.
“Ehi, che succede? Guarda che ti sta d’incanto” cercava di consolarmi, dandomi delle pacche sulla spalla sinistra.
“Non è per il vestito, credo. Cioè è un bel vestito, anche se mi fa sentire un po’ a disagio”
“Allora, come mai stai piangendo?”.
Sbarrai gli occhi per un secondo, realizzando che non erano lacrime di dolore o di tristezza, bensì di gioia. Raramente nella mia vita mi ero sentita davvero all’altezza e davvero in grado di riuscire in qualcosa. E, in quel momento, guardando la me del presente allo specchio e paragonandola a quella del passato, potevo solo essere Fiera di me stessa. Per la prima volta.
“I-io ce l’ho fatta” accennai un sorriso in mezzo alle lacrime.
“Sì, l’hai fatto davvero. Hai cambiato la vita di quel bambino. Non conosco la tua storia, ma è davvero bellissimo vederti reagire così. Non hai fallito, Mary. Ti sei messa in gioco, hai lavorato duro e adesso puoi festeggiare questo bellissimo risultato. Devi essere molto fiera di te stessa e di ciò che hai fatto”
“Grazie, Hannah – mi asciugai le lacrime col dorso della mano destra – Ora sono pronta per andare. Anche se, effettivamente, sarebbe utile un po’ di trucco in questo momento”
“Arriva!” Hannah mi sorrise.
Truccatami, uscimmo insieme da quella stanza. Andammo nella sala conferenze.
Tutti i giornalisti, visibilmente sorpresi dal mio abbigliamento e dal mio aspetto, cominciarono a fotografarmi, poi cominciò l’intervista sull’intervento.
Risposi a tutte le domande che mi posero in modo sicuro e professionale, poi lasciai la parola al dottor Milton.
“Sono davvero onorato di aver conosciuto la dottoressa Floridia. E’ una donna tenace, non si arrende mai, cerca sempre di dare il massimo, anche quando non sempre le circostanze lo rendono possibile. Due settimane fa, l’ho convocata per questo caso per vedere se le voci sul suo conto fossero vere. Ebbene oggi, Diciassette Aprile Duemilaquattordici, posso confermare queste voci. La dottoressa Floridia è una degli specializzandi più competenti che io abbia mai incontrato e, nel corso della mia carriera, ne ho incontrati tanti” mi sorrise.
Ci fecero qualche altra domanda, poi se ne andarono soddisfatti delle nostre risposte. Stavo per uscire dalla stanza, quando il dottor Milton mi bloccò.
“Le devo parlare” disse gentilmente.
“E’ successo qualcosa?”
“No, non si preoccupi. Volevo solo… chiederle… ecco” rise un po’ a disagio.
Mi allarmai. Ma che voleva chiedermi?
“Vuole entrare a far parte ufficialmente del mio staff ospedaliero a partire dall’anno prossimo?” mi guardò.
Ricambiai lo sguardo sorpresa. Restai per parecchio tempo immobile e incapace di proferire una parola, ma poi riuscii a riprendermi e risposi: “Dottor Milton, è davvero un’offerta inattesa e grandiosa, davvero, però… non posso accettare. Il mio posto è ad Atlanta”
“Ha a che fare anche con il fatto che è la fidanzata di Ian Somerhalder?”
Arrossii immediatamente.
“E’ un insieme di cose – balbettai – Ovviamente c’entra anche Ian, ma c’entrano anche i miei colleghi. E’ stato un onore lavorare qui, davvero, però… io appartengo a quell’ospedale, mi dispiace”
“C’ho provato” il dottor Milton rise, poi chiamò il mio Capo.
“Craig, avevi ragione. Ha rifiutato” esordì il dottor Milton.
“Che posso dire, conosco i miei dipendenti – rise – Sono contento che il tuo corteggiamento lavorativo non abbia funzionato”
“Tentar non nuoce” rise il dottor Milton.
“Floridia, siamo davvero fieri di te e ti aspettiamo ansiosi qui, a casa” disse il Capo dolcemente, poi continuò a parlare con Milton.
Mi congedai e uscii da quella sala.
Dopo essermi intrattenuta con i miei colleghi di quelle settimane, uscii e presi un taxi per tornare a casa. Lungo la via, ricevetti una chiamata Skype. Immediatamente la accettai. Lo schermo dello smartphone si suddivise in sei.
“Mary!” urlarono le mie sorelle per scelta.
“Ragazze – le salutai contenta – sto tornando a casa dall’ospedale”
“Com’è andata?” chiese Melania.
“Mel, ma che domande! Guarda com’è vestita elegante – Iris agitò l’indice – Sono certa che ti hanno fatto vestire così per la conferenza stampa, perché è andato tutto bene. E’ vero? Ho ragione?”
“Sì, hai ragione” dissi, ridendo per la convinzione della mia amica.
“Lo sapevamo! Sei grandiosa” disse Serena, battendo le mani.
“Hai cambiato la vita di quel bambino! Sei meravigliosa, tesoro” proruppe Nadia.
“Dici sempre di non essere abbastanza, ma non ti rendi conto di quanto sei capace? Questo ne è la prova” Tatia concluse il discorso, annuendo per le sue parole.
“Ragazze, grazie infinite! Siete troppo buone con me”
“Non dirlo neanche per scherzo, è semplicemente la verità, signorinella” Iris aggrottò la fronte e gonfiò le guance, facendo finta di essere arrabbiata.
“Purtroppo non possiamo restare collegate ancora per molto, ma sappi che ti vogliamo bene” Serena sorrise.
“E che siamo molto fiere di te” anche Melania lo fece.
“E devi goderti questi complimenti e tutto il resto, perché, semplicemente” Nadia lasciò la frase in sospeso.
“Te lo meriti, completamente!” dissero Tatia e Iris in coro.
Gli occhi ripresero a pizzicare, mentre le mie sorelle per scelta mi battevano le mani, felici.
“Ragazze, vi adoro. Siete speciali! Non vedo l’ora di essere con voi tra qualche giorno”
“Anche noi. Ora dobbiamo proprio andare. Ci vediamo in Sicilia, sorella” ribadirono in coro e riattaccammo.
Per il resto del tragitto, passai il tempo a rispondere ai numerosi messaggi dei miei familiari italiani e dei miei amici americani. Nonostante fossi contenta che mi stessero pensando, non ero del tutto felice. Ian non si faceva sentire dalla sera precedente. Stava bene? Perché non mi aveva ancora chiamata?
Ripensai per un attimo alla brutta sensazione che avevo avuto due settimane prima. Quell’averlo accanto, ma non averlo davvero al mio fianco. Che avesse aspettato la fine dell’intervento per farmi capire la realtà della nostra relazione? Che avesse cercato di non farmi pesare il suo malessere in questi giorni di lontananza?
Non sapevo dirlo.
Non sapevo nemmeno cosa pensare.
Sapevo solo che il mio cuore era stretto nella morsa dell’ignoto e non era piacevole. Affatto.
“Signorina, siamo arrivati a destinazione” il tassista mi fece tornare coi piedi per terra.
Mi voltai sulla destra, notando la casa singola di mio fratello.
“Ok, grazie, quanto le devo?” domandai, aprendo lo sportello.
Non feci in tempo a mettere un piede fuori dall’auto, che Lucas e Giorgio mi ci ricacciarono.
“Ma che fate?!” chiesi un po’ infastidita.
“E’ arrivata questa per te. Non so cosa sia, però credo ti servirà il taxi” Giorgio sorrise a Lucas complice, poi rientrò in casa con lui.
“Allora, scende o no?” mi chiese il tassista.
Lo ignorai e aprii la busta. Dentro vi erano un Ipod e un biglietto, scritto al computer.
<< Questo percorso devi iniziare per alla meta finale arrivare. Essa molto importante è: vai presso il Tower Bridge e scoprirai dov’è >>.
Lo guardai confusa, poi risposi al tassista: “La pago il doppio, se mi accompagna dove le chiedo”.
Al tassista si illuminarono gli occhi a forma di Pound, poi mi chiese la meta.
“Tower Bridge” sorrisi e accesi l’Ipod.
Quando premetti il tasto play, partì una canzone.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=foZM3se9uO8


It’s alright with me
As long as you are by my side
Talk or just say nothing
I don’t mind your looks never lie
I was always on the run
Finding out
What I was looking for and
I was always insecure
Just until I found you
You were always on my mind
You, you’re the one I’m living for
You, you’re my everlasting fire
You’re my always shining star.
L’ascoltai un paio di volte, poi il tassista mi disse che eravamo arrivati.
“Grazie, resti qui, per favore”.
Scesi dal taxi e corsi verso il ponte. Non avevo la minima idea di dove cercare. Cominciai a guardarmi intorno, mentre le auto non smettevano di suonare. Non mi ero cambiata dalla conferenza stampa, che vergogna!
Sbuffai. Dove cavolo poteva essere questa meta finale che menzionava il biglietto?
Decisi di tornare al taxi, probabilmente era stato solo uno scherzo. Ero molto vicina, quando mi scontrai con un uomo.
“Oh mio Dio, mi scusi tanto, non l’avevo vista” dissi mortificata.
“Non si preoccupi, signorina, non mi sono fatto niente” sorrise e se ne andò.
Lo vidi allontanarsi, poi guardai per caso in basso e trovai una busta.
“Signore, le è caduta una busta” urlai, ma non mi sentì.
Un pensiero mi travolse la mente. E se era una busta come quella già ricevuta? La raccolsi in fretta e la aprii. Un altro Ipod e un altro biglietto, come avevo immaginato.
<< Quanta strada devi fare per la meta finale poter toccare. Orsù dunque, corri in fretta, qualcosa di clamoroso ti aspetta. Che sbadato, il prossimo posto non ti ho indicato. Alto, magro, più volte rintocca. Hai capito cos’è? Scusami, con queste cose non sono ferrato, perciò non far molto caso al verso mancato >>.
Scoppiai a ridere, avendo capito chi fosse l’autore di quella strana caccia al tesoro.
Avevo sempre preso un po’ in giro Ian per la sua mancata abilità nel comporre particolari rime. Che dolce! Il peso, che mi opprimeva il cuore, si alleggerì, facendo posto alla curiosità.
Ma che stava architettando?
Tornai al taxi e chiesi al tassista di accompagnarmi al Big Ben, poi accesi il secondo Ipod e ascoltai l’unica canzone che vi era dentro.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=IzdPeMQSPqM


Is this the end of the moment
Or just a beautiful unfolding
Of a love that will never be?
Or maybe be
Everything that I never thought could happen
Or ever come to pass and
I wonder if maybe, maybe I could be
All you ever dreamed
Cause you are beautiful inside, so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, I know that its true
That I'd rather be anywhere but here without you
Anywhere but here
Is this a natural feeling
Or is it just me bleeding?
All my thoughts and dreams
In hope that you will be with me or
Is this a moment to remember
Or just a cold day in December?
I wonder if maybe, oh, maybe I could be
All you ever dreamed
Cause you are beautiful inside, so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, I know that it's true
That I'd rather be anywhere but here without you
Anywhere but here, anywhere but here
Is this the end of the moment
Or just a beautiful unfolding
Of a love that will never be
For you and me?
Cause you are, you're beautiful inside, you're so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, yeah, I know that its true
That I'd rather be anywhere but here without you
Whoa, ooh yeah, no, no, no, no, no.
Mi lasciai trasportare così tanto da quella canzone, che il tassista dovette chiamarmi svariate volte. Scesi e guardai il Big Ben. Era davvero imponente e, al tramonto, assumeva un aspetto più magico del solito. Mi avvicinai. Nonostante non fosse la prima volta a Londra, era sempre un’emozione stare vicino a delle strutture così meravigliose. Anche se ero ancora incantata, riuscii a notare la terza busta, attaccata a un palo della luce, e subito la aprii.
<< A Buckingham Palace, che serata, tutte le guardie sono in sfilata! Attenzione, però, una di loro non lo è: se vuoi sapere il prossimo posto, devi scoprire chi è >>.
“Buckingham Palace, presto” dissi, rientrando nel taxi.
Indossai le cuffie e ‘All of me’ mi invase.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=450p7goxZqg


What would I do without your smart mouth
Drawing me in, and you kicking me out
You got my head spinning, no kidding, I can't pin you down
What's going on in that beautiful mind
I'm on your magical mystery ride
And I'm so dizzy, don't know what hit me, but I'll be alright
My head's underwater
But I'm breathing fine
You're crazy and I'm out of my mind
'Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you, oh
How many times do I have to tell you
Even when you're crying you're beautiful too
The world is beating you down, I'm around through every mood
You're my downfall, you're my muse
My worst distraction, my rhythm and blues
I can't stop singing, it's ringing in my head for you
My head's underwater
But I'm breathing fine
You're crazy and I'm out of my mind
'Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you, oh
Give me all of you, oh oh
Cards on the table, we're both showing hearts
Risking it all though it's hard
Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you
I give you all of me
And you give me all, of you, oh oh oh.
Scoppiai in lacrime. Non avevo la più pallida idea di dove Ian volesse arrivare, ma ero già senza parole e con quel peso sul cuore definitivamente sparito.
Tante volte, nel corso della mia vita, avevo desiderato un uomo che mi capisse al volo, che riuscisse a calmarmi in un millisecondo, che fosse capace di farmi sentire l’unica al mondo con gesti semplici, ma allo stesso tempo eclatanti, però non ero mai riuscita a trovarlo, finché non avevo incontrato lui. Amico, complice e anima gemella, era stato l’unico che era riuscito a farmi sentire tutto ciò. Con lui mi sentivo al sicuro, non temevo niente e sapevo di poter sempre contare su di lui, me l’aveva dimostrato. L’amore che sentivo per lui era indescrivibile.
“Signorina, tutto bene?” il tassista mi distolse dai miei pensieri.
Annuii, asciugandomi le lacrime, e lui continuò: “Siamo arrivati. Devo aspettarla?”
“Sì, grazie” sorrisi e scesi.
Osservai attentamente le guardie. Quale tra loro poteva non esserlo? Cominciai a camminare avanti e indietro, finché non lo notai.
Risi, in effetti era abbastanza semplice da capire.
Mi avvicinai al mimo e gli diedi cinque Pounds. Subito cominciò a muoversi e, sorridendo, mi porse una busta.
<< Fuoco fuochino, il posto è sempre più vicino: accanto al Tamigi, con il sole discendente, si trova un parco, di verde splendente. Vai lì, ormai che ti costa? Ci sei quasi, non fare una sosta >>.
Rientrai nel taxi e chiesi al tassista di che parco potesse trattarsi. Lui ci pensò su un bel po’, poi mi rispose: “Il Battersea Park. Sì, credo proprio sia quello”.
Mi sorrise e partì a tutta birra. Mentre osservavo Londra dal finestrino, ascoltai la canzone di quell’Ipod.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=SPUJIbXN0WY


You're a falling star, You're the getaway car.
You're the line in the sand when I go too far.
You're the swimming pool, on an August day.
And you're the perfect thing to say.
And you play it coy, but it's kinda cute.
Ah, When you smile at me you know exactly what you do.
Baby don't pretend, that you don't know it's true.
Cause you can see it when I look at you.
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
You're a carousel, you're a wishing well, 
And you light me up, when you ring my bell.
You're a mystery, you're from outer space, 
You're every minute of my everyday.ng.html ]
And I can't believe, uh that I'm your man, 
And I get to kiss you baby just because I can.
Whatever comes our way, ah we'll see it through, 
And you know that's what our love can do.
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing
You're every line, you're every word, you're everything.
So, La, La, La, La, La, La, La
So, La, La, La, La, La, La, La
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
You're every song, and I sing along.
'Cause you're my everything.
Yeah, yeah
So, La, La, La, La, La, La, La
So, La, La, La, La, La, La, La, La, La, La, La.
La commozione aveva ormai preso il sopravvento, non riuscivo a trattenerla. Portai una mano al petto, come se, tramite quel gesto, potessi calmare il mio cuore, che batteva all’impazzata.
Continuavo a non capire dove Somerhalder volesse arrivare, ma inconsciamente un’idea stava facendosi strada. Mentre guardavo la capitale inglese dal finestrino, indossando ancora le cuffie e riascoltando il magnifico Bublé, ripensai alle parole di Alex durante la ‘conferenza stampa’.
 
Un anello di fidanzamento?” propose Alex dal nulla.
“Che?” rispondemmo tutti e tre in coro, colti completamente alla sprovvista.
“Pensateci. La ama così tanto, che si è beccato una macchina contro il proprio corpo; è stato molto male per la storia della gravidanza extra uterina, quindi vuole dei figli con lei. Magari oggi l’ha vista circondata di bambini, dolce e materna e ha pensato all’anello. Al matrimonio. Al voler costruire una vita concreta con lei, insomma. Cioè, non mi sembra molto fuori dal mondo. Non credi anche tu, Mary?”
“I-io non so cosa pensare” mormorai, mentre il mio cuore rallentava i suoi battiti.
Che stessi per morire?
“Intanto respira, perché sono supposizioni. Ma potrebbe essere. Insomma, ha più senso del ‘mi butto sotto una macchina per te, ma poi faccio sesso con altre donne’, non ti pare?”.
 
“Mary, non pensarci troppo! Magari stai fraintendendo tutto” pensai, chiudendo per un attimo gli occhi e cercando di respirare profondamente.
Poteva essere. Come poteva essere qualsiasi altra sorpresa.
Dovevo smettere di pensare e vivere quel momento. Stop. In fondo, quella strana caccia al tesoro stava per concludersi.
Ben presto, arrivammo al parco.
Scesi dal mezzo di trasporto alla velocità della luce, sperando che fosse l’ultima tappa, spinta dalla curiosità di sapere che stesse succedendo, dal desiderio di dar ragione o torto a quell’adorabile scemo di Alex e dalla voglia di abbracciare quel dolce pazzo che aveva fatto tutto questo per me. Appena misi piede sul prato verde, mi tolsi le scarpe col tacco e cominciai a gironzolare, sentendo la freschezza dell’erba tra le dita. All’improvviso, sopra una panchina vicino al fiume, vidi la solita busta. Corsi e la aprii. Stavolta, c’era solo un foglio. Che fosse finita, come speravo, quella folle corsa per Londra?
Lessi ad alta voce, ancora scossa da qualche singhiozzo: “Per un momento la rima finirà, così potrò parlare in libertà ;).
Mary,
ti conosco esattamente da due anni, tre mesi e una settimana e ringrazio il cielo ogni giorno per essermi sdraiato in mezzo alla strada quella sera, nonostante non sia stata proprio una mossa da ‘persona sana di mente’.
Mi rendo conto di essere un tipo abbastanza logorroico, che ha sempre la parola pronta per tutti e per tutto, che potrebbe parlare per giorni interi, senza stancarsi mai, ma… con te è diverso. Ogni termine mi sembra inadatto per descrivere i miei sentimenti per te.
Una volta, una donna saggia mi disse che non per forza bisogna saper esprimere a parole un rapporto o una persona; ciò che conta davvero è che si dimostri a quella persona quanto vale; quanto quel rapporto sia essenziale per la nostra vita; quanto non se ne possa più fare a meno, una volta provato.
Questa persona è mia madre.
Tante volte, nel corso della mia vita, ho pensato di aver trovato la persona giusta. La mia anima gemella. La mia complice. Ma mai queste bellissime parole mi sono tornate in mente. Mai. Perlomeno, fino a quando non ho conosciuto te.
Riflette perfettamente la nostra storia. Ci sono state parole, è vero; ma, soprattutto ci sono stati gesti.
Il tuo salvarmi dalla strada, nel nostro primo incontro.
Il mio portarti al mare, per farti sentire a casa nel giorno di Natale.
Il tuo presentarti sul portico di casa, nel bel mezzo di un temporale, per dirmi che sei innamorata di me.
Il mio proteggerti da una macchina in corsa.
La tua straordinaria capacità di avermi cambiato la vita in meglio e di arricchirmela ancora, ogni giorno di più.
Tutto questo rende quelle parole vere. Concrete.
Tuttavia, adesso, la rima deve tornare, anche se preferirei evitare. Sento che devo ribadire il concetto per far apparire tutto perfetto: da soli undici mesi insieme stiamo, ma tanto ci amiamo. Tante avventure abbiamo passato, ma con il nostro amore tutto abbiamo superato.
Mi sento un po’ stupido a parlare in rima, nonostante comunque sia una cosa carina.
Ora, molto, ma molto imbarazzato, solo una cosa mi resta da fare: chiederti” il biglietto finì lì.
“Chiederti?” ripetei, con il cuore che stava per uscirmi dal petto, mentre le lacrime continuavano a scendere sulle mie guance.
“Mi vuoi sposare?” sentii la voce di Ian alle mie spalle, tremante, ma decisa.
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note dell'autrice: 
Eccomi qua! In ritardo, come sempre, spero mi perdoniate! 
Non è un capitolo molto lungo, in tutto 20 pagine. Ma, credetemi, non so quante volte mi sono commossa scrivendolo, rileggendolo e revisionandolo.
Non ho molto da dire, perché credo che parli da solo.
Spero solo che sia stato all'altezza dell'attesa.
Ringrazio tutti voi per la pazienza, i lettori silenziosi, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi lascia le recensioni e le pazze del gruppo su FB, che mi fanno sempre sorridere e mi spronano, quando ci sono i momenti di "crisi da pagina bianca". Per chi volesse iscriversi, il link è questo: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/ .
Grazie per seguire la storia. Grazie perché mi permettere di raccontarvi quello che immagino.
Grazie a nome mio e dei personaggi.
Alla prossima, spero non tanto lontana!
Mary :*
  
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