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Autore: Lady1990    08/11/2015    4 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Le tenebre che mi circondano sono fitte e insondabili, tanto che perdo all’istante la nozione di spazio e tempo. I miei piedi poggiano su una superficie dura, ma non riesco a vedere niente, nemmeno il mio corpo. Mi sento soffocare come se fossi in una bara. 
Poi dei sussurri indefiniti mi giungono alle orecchie. Acuisco l’udito e mi concentro per carpire le parole, che via via si fanno sempre più chiare e si alzano di tono, rimbombando nel buio.
“Sorgi, Satana, Signore degli Inferi, Padrone del caos!” 
“Ascoltate, vi dico, le porte dell’Inferno sono spalancate!”
“Gridate e piegatevi al Re Caduto, che il sangue vergine venga offerto!”
“Tremate, il suo regno è vicino!”

Rabbrividisco. Paiono quasi gli slogan di un sermone pronunciato da un prete fanatico, anche se in questo caso è ovvio che si tratti di qualche esaltato adoratore del Diavolo.
“Lui ti divorerà, ti masticherà e si pulirà i denti con le tue ossa…”
Scuoto la testa con veemenza e mi tappo le orecchie. Le voci si zittiscono.
Ad un tratto scorgo una luce in lontananza, un leggero chiarore che mi attrae come una falena verso la fiamma di una candela. Non è eccessivamente luminosa e pian piano assume contorni netti, squadrati. Si avvicina. O forse sono io che mi sto avvicinando? Assimilo i dettagli velocemente, la distanza che si accorcia sempre di più. Un attimo più tardi una porta mi si para davanti, aperta su una stanza riccamente arredata e rischiarata da un paio di lampade, che gettano un alone giallognolo sulle pareti. 
Odo due diverse voci provenire dall’interno, così, incuriosito, mi affaccio. Sbarro gli occhi e il respiro mi si blocca nei polmoni quando il mio sguardo si posa sulla figura di mio padre, benché assai più giovane di quanto ricordo, seduto comodamente su una poltrona con le spalle alla finestra, dalla quale intravedo solo un velo nero e spesso. Di fronte a lui c’è un uomo, più o meno suo coetaneo, con dei tratti spigolosi e duri, capelli neri e occhi grigi, vestito di tutto punto. Una scrivania di mogano li divide, ma lo sconosciuto sembra quasi in procinto di scavalcarla e saltare alla gola di mio padre: infatti tiene i palmi ben piantati sul legno scuro, i muscoli delle braccia tesi allo spasmo e il busto sporto in avanti, come una pantera pronta ad azzannare la preda indifesa.
“Sarà una cerimonia importante, Amos, e tu darai il tuo contributo come tutti gli altri, sono stato chiaro?”
“Sì, non mancherò. L’unica cosa che mi lascia perplesso è la richiesta del Re. Insomma, ho già un primogenito da immolare, per di più vergine, anche se grandicello. Oppure, al limite c’è il mio secondo figlio. Non capisco perché devo mettere di nuovo incinta mia moglie e offrire il mio terzo erede, non ha molto senso.”
“Egli vuole il tuo terzogenito e tu glielo darai. Tra tredici anni i tempi saranno maturi e finalmente riceveremo la nostra ricompensa.”
“Va bene, va bene! Non serve arrabbiarsi. Lo farò.”
“Ah, un’altra cosa. Dalila ha letto le carte e ha avuto una visione a tal proposito. Proprio stamattina mi ha comunicato che il Re desidera che chiami tuo figlio Archibald.”
“Come mai proprio Archibald?”
“Lei non me l’ha saputo dire, così ho fatto qualche ricerca per conto mio e sono risalito all’etimologia del nome: sembra che derivi dall’antica lingua germanica ed è composto dalla parola ‘erchan’, cioè ‘genuino’ o ‘prezioso’, e dalla parola anglosassone ‘bald’, che ha dato il nostro ‘bold’, di cui uno dei significati è ‘audace’. Inoltre, in greco il prefisso ‘archi’ vuol dire ‘capo, signore’. Così è anche in linea con la tradizione della tua famiglia di mettere ai figli nomi che iniziano con la lettera ‘A’. È mia convinzione che il Re abbia dei progetti per tuo figlio, non sarà solo uno degli agnelli sacrificali.”
Mio padre lo squadra positivamente impressionato.
Io li osservo entrambi, attonito, aggrappato allo stipite della porta con le unghie. Non so neanche cosa pensare. Deve trattarsi di un episodio del passato, risalente, a quanto sembra, a prima che nascessi - il discorso dell’uomo mi ha fatto accapponare la pelle -, ma non sono sicuro che sia accaduto realmente. Insomma, e se fosse una visione fasulla presentatami allo scopo di confondermi? Se fosse l’ennesima menzogna ordita da Lucifero per farmi capitolare? Non posso fidarmi di ciò che vedo, non qui, non adesso. Potrebbe non essere mai successo. Però, in effetti, i tempi combacerebbero: se mio padre mi ha concepito subito dopo questa conversazione e le violenze sono cominciate poco dopo il mio tredicesimo compleanno, si spiegherebbero le parole che Lucifero mi ha rivolto nel sogno. Infatti disse che mio padre mi stuprò per salvarmi, quindi deduco si riferisse a questa fantomatica cerimonia. Il fatto di non essere più vergine mi ha risparmiato lo sgozzamento sull’altare. Non è una coincidenza.
All’improvviso, dalla parte opposta della stanza si materializza un’altra porta, che aggetta su un anonimo corridoio con i muri bianchi e il pavimento a scacchiera. Esito, poi avanzo di un passo, cauto, ma mio padre e l’uomo non mi calcolano di striscio. Così cammino deciso in quella direzione e mi inoltro nel corridoio, percorrendolo con ampie falcate. Il nervosismo mi fa contrarre le viscere e i battiti del mio cuore paiono assordanti nel silenzio ovattato che mi avvolge.
Alla fine del corridoio sbuco in una biblioteca che non riconosco, con alti scaffali ricolmi di libri a ridosso dei muri e un grande tavolo al centro. Gelo sul posto quando vedo un me stesso bambino seduto su una sedia, chino su un libro di grammatica inglese e intento a completare un esercizio. Un uomo anziano è in piedi dietro di me, mentre osserva impassibile il mio operato da dietro le lenti sottili di un paio di occhiali. È il signor Thully, il mio istitutore privato. Mi ha seguito fino a che non ho compiuto dieci anni, poi è morto di vecchiaia. Lo ricordo con un misto di affetto e timore reverenziale. Tuttavia, non mi sovviene di questo momento in particolare a cui sto assistendo, perché facevamo sempre lezione nella biblioteca della villa. È probabile che sia accaduto, ma ero troppo piccolo per badare ai dettagli.
“Bravo, Archibald, non hai fatto nemmeno un errore.” si complimenta.
Il me bambino arriccia gli angoli delle labbra in un sorriso timido ma felice. Il signor Thully piega un po’ il busto per indicare il prossimo esercizio da svolgere sul libro, ben attento a non sfiorare il suo allievo neanche di striscio. In effetti, ora che ci penso il signor Thully non mi ha mai toccato, nemmeno per sbaglio. All’epoca non ci facevo caso, però ammetto che era un comportamento strano. 
In quel preciso istante, mentre sta ancora spiegando, dalla sua camicia scivola fuori una catenella d’oro, che colpisce il piccolo me sulla nuca, restando a penzolare a mezz’aria.
Oddio… sì, questo me lo ricordo. Io e la mia famiglia eravamo ospiti dalla nonna, quando era ancora viva.
Mi basta un’occhiata fugace per registrare tutti i particolari del ciondolo, ma in questa visione il vecchio è lesto a nasconderla di nuovo sotto il colletto e l’Archie bambino è troppo lento nel voltarsi per intercettare il movimento. Credo di essere impallidito. Mi sento mancare per la sorpresa e lo sconcerto e involontariamente arretro di un passo.
“Scusa, ti ho fatto male?” 
“No, sto bene.”
Il ciondolo raffigurava una croce con un rombo e questo significa soltanto una cosa: Exurge Domine. Il signor Thully era uno Spennato. Ok, stento a capacitarmene, poiché non ho mai conosciuto Spennati anziani: tutti quelli che ho incontrato avevano un aspetto giovanile. Gli Spennati possono invecchiare? Beh, non è da escludere, dato che sono per metà umani, ma Titus mi ha detto che durante l’addestramento privilegiano la parte angelica, in maniera tale da staccarsi dal mondo terreno ed essere immuni alle tentazioni e alle debolezze che assillano i comuni mortali. Di conseguenza, la natura di angeli dovrebbe preservarli dal degrado del corpo, donando loro la longevità e una sorta di eterna giovinezza. Eppure il signor Thully me lo ricordo sempre con la chioma argentea e la barba incolta, sul viso una ragnatela di rughe e le mani leggermente tremanti per un principio di Parkinson. Chissà, forse aveva rinunciato alla parte angelica, senza però smettere di appartenere all’ordine. O forse era uno di quegli Spennati che si sono resi colpevoli di qualche crimine ed è stato punito con la sottrazione dei suoi poteri, come ha spiegato Titus. Comunque è inutile domandarmelo adesso, il signor Thully è morto da anni.
Piuttosto, come mai sto vedendo queste cose? Anzi, chi me le sta mostrando?
La visione svanisce, dissolvendosi in spirali di fumo grigio. L’oscurità mi circonda nuovamente, ma il silenzio dura poco. 
Dei singhiozzi mal trattenuti attirano la mia attenzione. Mi giro e un cono di luce sporca proveniente da chissà dove illumina una figura assisa su una roccia, le ginocchia strette al petto e la faccia celata dalle braccia. Scorgo solo dei corti capelli castani, nient’altro. È un uomo e sta piangendo.
Per una frazione di secondo penso sia Adam, ma quando solleva la testa vengo travolto dalla nausea e da un malessere che mi strappano il fiato dai polmoni, lasciandomi boccheggiante.
“Terence…” soffio atterrito.
Il suo viso è ricoperto di sangue, sangue che sgorga dai suoi occhi sottoforma di lacrime. Quando mi mette a fuoco sbarra le palpebre, si alza e si protende verso di me come se volesse afferrarmi. Mi scanso, arretro velocemente, ma inciampo e mi sbilancio all’indietro. Lui è subito su di me, mi sovrasta e mi ingabbia tra le sue braccia. Mi scruta con odio, digrigna i denti e mi stringe la gola con una mano, immobilizzandomi a terra.
“È tutta colpa tua!” sibila rabbioso.
Inizio a dimenarmi, scalcio con vigore e artiglio la sua mano per fargli allentare la presa sul mio collo, ma non molla. Non sembra minimamente scalfito dai miei tentativi di ribellione, anzi le sue labbra di curvano in un ghigno divertito.
“Ti va di spassarcela un po’ noi due, prima che torni mio zio? Prometto che sarò gentile.”
Il paesaggio cambia in modo repentino e il buio si schiarisce, delineando i contorni di una stanza familiare, un letto, un camino acceso, un armadio e una finestra affacciata sul nulla. In un attimo sono nella mia vecchia camera, disteso sul materasso, completamente nudo e alla mercé di mio cugino. I ricordi mi assalgono violenti, mi paralizzano, e il terrore mi inonda le vene. 
Terence mi tocca come faceva in passato, le sue mani scorrono sgraziate sul mio corpo acerbo e il senso di sporcizia mi pervade. Ho paura, non riesco a reagire. Perché Adam non viene a salvarmi?
All’improvviso la mia mano sinistra si serra attorno a qualcosa di duro e freddo. Volto il capo e osservo il coltello che è comparso dal nulla nel mio palmo. Ho un dejà vu. La lama emana riflessi fiammeggianti, gelidi, e la legna che arde nel camino scoppietta allegra di rimando. 
Non esito neanche per un secondo. Sollevo il coltello e lo affondo nella carotide di Terence. Il suo sangue mi imbratta il torace e il viso in una fontana vermiglia, si insinua nella mia bocca, mi impasta la lingua e penetra fino in gola. Il sapore ferroso è così reale da provocarmi conati di vomito. Estraggo il pugnale e lo conficco una seconda volta nelle sue carni, fra le scapole, ma non è sufficiente. Grido sfogando la rabbia e il dolore che ruggiscono dentro di me e colpisco ancora e ancora, dove capita. Infine Terence si accascia su di me, esanime. Lo scosto con uno spintone e un grugnito, poi riprendo a trafiggerlo in preda a una furia cieca. 
Quando torno in me mi accorgo che sul medio della mano destra ha l’anello di famiglia, quello che indossava sempre mio padre. Osservo meglio il cadavere che giace riverso sulle lenzuola impregnate di sangue e fisso stralunato Amos Blackwood, senza capire perché sia lì e dove diavolo sia finito mio cugino. Stringo il coltello spasmodicamente, come se la mia vita - e la mia sanità mentale - dipendesse da quello. Sguscio fuori dal letto incurante della mia nudità e mi allontano dal luogo del delitto, fiondandomi fuori dalla camera col cuore in gola. 
Rammento la visione che ebbi subito dopo la Caduta, in quella discoteca parigina, mentre ballavo con Samael. Anche allora ero tutto ricoperto di sangue dalla testa ai piedi e stringevo un pugnale, con cui uccisi le proiezioni di mio padre e mio fratello Adam.
I corridoi deserti di villa Blackwood che mi trovo ad attraversare sono riprodotti fedelmente sulla base dei miei ricordi, così bene che per un secondo dubito delle mie percezioni. So che tutto questo non è reale, ma lo sembra in modo alquanto inquietante. 
Mi dirigo verso la scalinata centrale del primo piano con l’intenzione di raggiungere l’ingresso e uscire, ma una volta giunto a destinazione mi fermo in cima alla rampa. In fondo alle scale, proprio di fronte alla porta, c’è un enorme crocifisso con l’immagine di Gesù Cristo piangente circondato da numerose candele che gli volteggiano intorno. Resto a guardarlo per svariati istanti, finché la sua faccia non si trasforma in una maschera grottesca, con tanto di ghigno beffardo e occhi totalmente neri, inumani. Serro di più le dita sull’elsa del pugnale e mi irrigidisco, consapevole dell’identità dell’essere che ha preso le sembianze del Cristo.
Egli scende dalla croce con movimenti agili e disinvolti, poggia i piedi scalzi sul pavimento e mi scruta dal basso con espressione affamata. Sì, “affamata”, non so come descriverla altrimenti.
“Allora, Archie. Hai fatto il birichino, eh? Samael è molto arrabbiato con te.”
Contraggo la mascella e lo fisso impettito in un gesto di sfida.
“Lucifero.” lo saluto, “Stavolta non copi il mio aspetto? Devo dire che le tue scelte, in quanto a manifestazioni, sono sempre di cattivo gusto.”
“Quanta arroganza per essere un umano.” ridacchia.
“Ma io non sono umano, me lo hai detto tu: sono un demone con un’anima.” ribatto, fingendo una spavalderia che non sento.
“E, secondo te, ciò ti dà il diritto di rivolgerti a me con questo tono?”
“Vorresti che mi prostrassi e ti chiamassi ‘mio re’?”
“Uhm, beh, sì, non sarebbe male…” dice accarezzandosi il mento con aria meditabonda, “Di sicuro appagherebbe il mio lato narcisistico.”
“Scordatelo.”
Scoppia a ridere di gusto. La sua risata somiglia allo stridio di un gesso su una lavagna, mi ferisce le orecchie e mi fa venire la pelle d’oca.
“Va bene, ho capito, sei di cattivo umore. È comprensibile, non ti biasimo. Ma sei anche confuso, desideri delle risposte… o sbaglio?” ammicca sornione.
“Non sbagli. Però dubito che tu possa darmele, e anche se lo facessi non ti crederei: sei l’Ingannatore, non mi fido di te.”
“Giusto, ma personalmente non ti ho mai mentito.”
“Oh, questa è buona!” sbuffo offeso, roteando gli occhi esasperato.
“No no, sul serio. Ho ordinato a Samael di mentirti, non l’ho mai fatto direttamente. Dalla mia bocca è uscita sempre la verità ogni volta che ci siamo incontrati faccia a faccia. Quindi, tecnicamente, non ti ho mai mentito.” ribadisce serio.
“Vuoi dire la mia faccia.”
“Su su, non badare a queste sottigliezze. Non posso assumere il mio vero aspetto. Anzi, ad essere sincero non ne possiedo più uno, quello originale se l’è tenuto Dio, quindi devo pur ricorrere ad altre tattiche.”
“Che intendi? Uno non può tenersi l’aspetto di qualcun altro.”
“Dio può. In sostanza, possiedo ancora il mio corpo, se un ammasso di densa energia spirituale può definirsi tale, ma ho perduto i miei tratti peculiari, la mia… concretezza. Prendi ad esempio Laeriel: ha conservato il suo aspetto originale, la sua concretezza, grazie alla quale tu lo vedi per come è, di statura bassa, con i capelli rossi, gli occhi bianchi e la pelle chiara. Io ero bellissimo, il più bello fra gli angeli, ma i tratti che definivano la mia bellezza sono rimasti incagliati negli artigli dell’Onnipotente e tanti saluti. È come se fossi un manichino privo di faccia. Per questa ragione sono obbligato ad assumere le sembianze di qualcosa o qualcuno, per ritrovare l’identità che mi è stata strappata. Non volermene se mi sono presentato a te… beh, uguale a te, o se ora ho questo aspetto.”
Lo studio poco convinto, indeciso se bermela o meno. Magari, se recito bene la parte dell’ingenuo, abbasserà la guardia. Comunque decido di cambiare discorso e condurlo nella direzione che mi interessa adesso. C’è una questione che mi preme più delle altre e ha a che fare con…
“La visione iniziale, quella di mio padre e l’uomo sconosciuto… è successo davvero?”
“Sì. Sai, Amos era uno dei miei adoratori più fedeli, così volli fargli un dono.” 
“E quale?”
“Essere il padre del mio erede.”
Indietreggio come colpito da uno schiaffo. Lo fisso accigliato ed esamino minuziosamente il viso ieratico di Lucifero, cioè del Cristo, alla ricerca di indizi per appurare che non mi stia rifilando l’ennesima bugia, tanto per gradire. Gli occhi dalla forma leggermente a palla paiono vacui, due pozzi color pece, profondi come abissi, solcati da strisce di sangue, che cola dalla corona di spine sulla fronte. È pittura, infatti non si muove, però ammetto che mi fa un certo effetto. Dopodiché, dal momento che non scorgo un bel niente - si meriterebbe un premio per la miglior faccia di bronzo - e non voglio dargli la soddisfazione di vedermi tremare come un agnellino, opto anch’io per assumere l’espressione più granitica del mio repertorio.
“Ok.” 
“Ok?” ripete perplesso.
“Sì, ok. Sono il tuo erede? Intendi l’Anticristo?”
“No, non in quel senso. Non abbiamo legami di sangue, io e te, sei figlio di tuo padre e di tua madre. Ma, come Dio si è servito di Gesù per guidare gli uomini, anch’io desideravo un ‘figlio’ di cui disporre per i miei scopi. Durante il tuo concepimento ero presente, proprio accanto al letto dove Amos Blackwood scopava sua moglie Eleonora. Come hai visto, gli avevo ordinato di procreare una terza volta e lui ha obbedito come mi aspettavo. Laeriel è arrivato solo quando uno degli spermatozoi di tuo padre ha attecchito su un ovulo di tua madre.”
Cercando di non mostrarmi sconvolto, mi schiarisco la voce e ribatto: “Allora non sono esattamente il tuo erede.”
“Non lo sei, ma voglio che lo diventi, Archie, ne hai tutte le potenzialità. Ti ho cresciuto, in un certo senso. Noi due abbiamo un legame che affonda le sue radici da ben prima della tua nascita e durante la tua infanzia sei venuto a contatto con me svariate volte, sebbene non ne porti memoria. Ti sei mai chiesto perché solo di recente tu abbia iniziato a ricordare? Come quella notte in cui per sbaglio assistesti ad una delle tante messe nere che avevano luogo nei sotterranei di Villa Blackwood. Devi ringraziare me per averti risparmiato ingenti traumi in così tenera età, altrimenti saresti impazzito.”
“Spiegati meglio.” lo esorto, mentre l’ansia e l’agitazione aumentano con il procedere della conversazione.
“Potrei farti rivivere tutti i momenti in cui hai percepito la mia presenza o in cui ho parlato con te attraverso qualche domestica, ma non mi va. Una volta abbiamo persino chiacchierato tranquilli per un’ora! Avevo assunto le sembianze di tuo fratello Adam per non allarmarti. Però, quando ti proposi di assassinare la tua cara mammina, scoppiasti a piangere, perciò mi vidi costretto a battere in ritirata, cancellando quell’episodio dalla tua mente. Eri molto sensibile. E adorabile, non lo nego. Anche adesso ti trovo adorabile, mentre fai il duro quando in realtà vorresti fuggire urlando.” 
Gli angoli della sua bocca si stendono fino agli zigomi, davvero troppo, e quello che in principio poteva considerarsi un semplice sorriso acquisisce all’improvviso dei tratti mostruosi, perché le labbra umane non hanno una tale estensione.
Mi mordo l’interno di una guancia per non squittire terrorizzato. Diamine, se anch’io fossi capace di questi trucchetti, gliela farei vedere.
“Comunque, non ho voglia di rivangare il passato e non è importante. Ciò che conta è il presente. Quindi sarò chiaro: Dio ha avuto il suo Messia, io voglio che tu diventi il mio. Sei già consapevole di quanto la natura umana tenda all’aberrazione e io sono già al corrente dei dubbi che Laeriel ha instillato in te. Di conseguenza, la domanda è: sei disposto a lasciare impuniti coloro che si meritano l’eterna dannazione soltanto per la salvezza di un’anima o due? Ne vale la pena? Per mille mortali di infimo livello ce ne sarà sempre uno che non lo è, e per questo dovresti risparmiare gli altri novecentonovantanove?” mi scocca un’occhiata indulgente, poi abbozza una risata.
“Parli di Laura?”
“Non di lei in particolare, ma di tutti gli innocenti che tu hai scagliato all’Inferno per regalare ai peccatori altri tredici anni di vita. Quanti sono stati, Archie?”
“Non… non avevo scelta! Era la prassi…”
“Sì, certo, la prassi. Non scappare dalle tue responsabilità, non è un atteggiamento maturo.” mi rimprovera pacato.
“Io…” balbetto, preso in contropiede.
La mia maschera di imperturbabilità scivola via e il viso di Marco si delinea innanzi a me, come se qualcuno lo stesse dipingendo con un pennello.
“Povero ragazzo, così giovane… non hai avuto pietà.” commenta distratto Lucifero e adesso avverto l’impellente bisogno di riempirlo di pugni, “Tuttavia, pensa a tuo padre, al signor Phelps, al signor Molloy e a tutti gli altri che hanno avuto la sentenza che si meritavano. Non credi di aver agito per il verso giusto? Stando alla legge di Dio, pure loro avrebbero potuto accedere al Paradiso, se si fossero pentiti. Lo trovi corretto? Ti sarebbe andato bene che tuo padre ascendesse nella Sua grazia dopo le cose che ti ha fatto? O invece sei felice che ora stia soffrendo all’Inferno? No, non ti sprecare a rispondere, non serve, me l’hai dimostrato poco fa, quando con quel coltello hai fatto nuovamente scempio del suo corpo.” 
Indica l’arma che stringo ancora nella mano sinistra e di riflesso la lascio cadere, come se mi fossi scottato.
“Cosa vuoi? Dimmelo!”
“Voglio tante cose, Archie. Voglio vendetta, voglio tirare giù il Signore dal Suo trono e sterminare la razza umana. Uhm, voglio anche indietro la mia concretezza per soddisfare la mia vanità. Voglio regnare sulla terra e nei cieli. Voglio diventare Dio.”
Lo scruto con gli occhi fuori dalle orbite, basito e sconcertato. Scuoto la testa cercando di schiarirmi le idee.
“Intendevo dire, cosa vuoi da me.”
“È semplice: voglio che scegli tra il Bene e il Male. No, anzi, voglio che scegli il Male, me. Voglio essere accettato da te, dalla tua ragione, dal tuo cuore e dalla tua anima.” ad ogni frase comincia a salire uno scalino e in men che non si dica è già a metà della rampa.
“Perché io?”
“Perché no?”
“Cosa ci guadagneresti?”
“Tu porteresti il mio messaggio agli umani, diventeresti il simbolo della mia ribellione a Dio, proprio come un Messia. Solo che non dovrai morire su una croce per convincerli.”
Rimango in silenzio a riflettere su questa cosa del Messia. Mi sfugge un passaggio fondamentale. 
Stando alla tradizione, Maria rimase incinta grazie allo Spirito Santo e diede alla luce Gesù, il Figlio di Dio, che altri non era che la Sua incarnazione. Però è un paradosso notevole, poiché sulla croce Gesù dice “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. In pratica si sta riferendo a se stesso. Il dogma della Trinità, cioè Padre, Figlio e Spirito Santo, è un puro rompicapo a livello ontologico: esso afferma che Dio è uno solo, unico e semplice nella sua sostanza, ma al contempo è anche tre diverse entità. Si tratta di “ipostasi”, che sta ad indicare ognuna delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla medesima “sostanza divina”, che le emana da sé come proiezione di sé. Quindi le tre entità sono ben distinte ma sono anche fatte della stessa sostanza, ossia Dio. C’è il Padre, creatore del cielo e della terra, il Figlio, il Redentore del mondo, generato dal Padre e fatto uomo in Gesù Cristo, e infine lo Spirito Santo, che il Padre e il Figlio inviano ai discepoli di Gesù per far sì che comprendano e diffondano le verità rivelate. Di conseguenza, Padre e Figlio, Dio e Gesù Cristo sono la stessa entità. Dio non ha avuto un Messia, non ha eletto Gesù affinché lo fosse, ma lo era Lui stesso.
Sgrano gli occhi e mi trattengo dal portarmi le mani nei capelli. Per la miseria… in che guaio mi sono cacciato? Dio, ti prego, aiutami…
Sollevo bruscamente lo sguardo e per poco non ho un infarto appena mi specchio nelle orbite nere di Lucifero, che ora se ne sta immobile a una ventina di centimetri da me. Non so quando si è avvicinato tanto, ad ogni modo la sua presenza incombente mi schiaccia e mi toglie il respiro. È terrificante, senza mezzi termini. Sussulto e compio un salto all’indietro, spaventato fino al midollo. 
Mi riprendo a fatica, deglutisco e lo osservo dal basso con timore.
“Tu non vuoi un Messia.” esalo sull’orlo di una crisi, “Tu vuoi essere il Messia.”
Lucifero mi guarda con le palpebre a mezz’asta, una statua priva di emozioni, vuota e fredda.
“Dio non ha scelto Gesù come Messia, Dio era Gesù. Il Padre è anche il Figlio.” continuo, arretrando piano piano verso il muro alle mie spalle, “Tu non vuoi Archie come Messia, vuoi essere Archie e anche il Messia. Vuoi me, vuoi il mio corpo, e per ottenerlo devo accettare te e la tua causa. Devo donarmi a te spontaneamente.” 
Via via Lucifero mi insegue, senza permettere che la poca distanza che ci separa aumenti di un singolo millimetro. Un attimo più tardi la mia schiena nuda tocca la parete e mi scappa un singhiozzo disperato, mentre alcune lacrime mi si incastrano tra le ciglia.
“Per questo hai fatto in modo di usare Samael per plagiarmi e ottenere la mia fiducia. Eri sulla buona strada fino a poco tempo fa, poiché il lavoro che ero chiamato a svolgere - scommetto una delle tue idee geniali - mi imponeva di disegnare una linea netta tra Bene e Male per non rischiare di farmi coinvolgere e impazzire, e al contempo mi impediva di vedere altro eccetto il male. È stata una mossa furba.” ingoio il groppo di saliva che mi ostruisce la gola e mi faccio forza, “Inoltre, l’appartenenza di mio padre a una setta satanica, ma soprattutto i suoi stupri sono serviti allo scopo di accostarmi a te. Dicesti che mio padre, strappandomi la verginità, tentò di salvarmi, di tenermi al sicuro da te. È assurdo, ma diciamo che lo ha fatto per amore. Tuttavia, adesso penso proprio che fosse tutto nei tuoi piani: l’avergli ordinato di fare un terzo figlio, l’averlo in qualche maniera informato di avere grandi progetti per me, di volermi per te, l’hanno spinto a compiere tali nefandezze da far inorridire il peggiore dei pedofili, e solo per proteggermi. Grazie a ciò io ho conosciuto l’odio, il rancore, la disperazione, tutti sentimenti che mi hanno guidato fra le tue braccia tramite quelle di Samael. Sbaglio, forse? Mio padre era un tuo burattino e magari lo hai scelto a caso fra tanti. Poi è stato il mio turno e ora tutti gli eventi mi hanno condotto qui, di fronte a te, per la fine dei giochi. Cercherai di farmi guardare la realtà dalla tua prospettiva, di convincermi che i motivi che ti muovono siano giusti e a quel punto, quando cederò, mi divorerai, mi masticherai e ti pulirai i denti con le mie ossa.”
Riprendo fiato, respiro affannato e tento di calmare i battiti frenetici del mio cuore. Le mie membra sono state invase da una colata di gelo denso e ustionante, che si dirama lento ma inesorabile in ciascuna estremità. 
Lucifero mi squadra in religioso silenzio con la solita, snervante espressione indecifrabile, ma almeno sembra che non abbia intenzione di farmi del male, non adesso. Devo sfruttare ogni attimo che mi è concesso.
“Volevi uccidermi sin dall’inizio.” sussurro con voce tremante, “Mi hai addestrato affinché ti cedessi il mio guscio e ti lasciassi mangiare la mia anima; mi hai fatto cadere dalla grazia, mi hai tarpato le ali e precipitato in un abisso di oscurità. Sei tu la causa delle mie sofferenze, della mia tristezza e di tutte le cose brutte che mi sono successe. Sei tu la causa della mia infelicità. E dopo averlo finalmente realizzato, sei davvero convinto che mi piegherò al tuo volere senza alzare un dito? Io ti odio, Lucifero. Ascoltami bene tu, ora: non mi avrai mai. Forse ti conviene cercarti qualcun altro per i tuoi malsani giochetti di potere.”
All’improvviso sferra un pugno sul muro, a pochissimi centimetri dal mio viso. L’intonaco si crepa e si sgretola all’impatto, ma lui non batte ciglio. Ghigna e si china su di me, in modo da portare i suoi occhi alla stessa altezza dei miei.
“Disse la vittima, già opportunamente legata a un lettino come un salame, al suo carnefice, che brandisce divertito gli strumenti di tortura. Non trovi che sia un’immagine calzante? È troppo tardi, Archie. Cosa speri di ottenere con i tuoi bei discorsetti, giunti a questo punto? La parlantina non ti manca, te ne do atto, ma non ti servirà. Credi che mi importi che tu abbia scoperto le mie carte? Credi che cambi qualcosa per me? Non sei altro che un misero umano a cui ho elargito una minuscola parte dei poteri dell’Inferno, non sei nessuno. Archibald Blackwood è nato solo per diventare il mio contenitore, il veicolo attraverso il quale io potrò agire sul piano terreno. Non vali niente, a nessuno interessa di te, nemmeno a Samael. Ti ha rigirato come un calzino per tutti questi anni e tu ti sei lasciato sballottare da lui in ogni senso possibile. E ti è piaciuto, ho visto come pendevi dalle sue labbra e gli trotterellavi dietro alla stregua di un cagnolino fedele. Lo ami, povera stella.” assume un finto broncio e mi dà un buffetto affettuoso su una guancia, “Sai, un po’ mi dispiace per te. Ti eri rimesso in gioco con Samael, avevi superato il trauma delle violenze e trovato un nuovo equilibrio, equilibrio che adesso ti è stato sottratto ancora. Perché hai capito che tutto ciò che il tuo caro maestro ha fatto era per uno scopo superiore, ovverosia aiutare me a realizzare il mio. Tutti i baci, le carezze, le paroline dolci erano solamente una strategia come un’altra per plasmare un burattino ubbidiente e devoto. Non c’è mai stato nulla di vero.” si piega di più e alita sulla mia bocca, riducendo la voce ad un bisbiglio, “Povero, dolce bambino.”
Le lacrime rompono gli argini delle ciglia e mi rigano la pelle in copiose scie salate, senza che possa fermarle. Fa male. Il mio cuore è stato fatto a pezzi in pochi istanti e non riuscirò mai a ricomporli. Quel che dice Lucifero, mi duole ammetterlo, è la verità, che era già stata ampiamente espressa da Laeriel. Samael mi ha ingannato, mi ha usato e lo ha fatto con una tale, disarmante naturalezza da risultare disgustosa.
“Non hai scelta, Archie. Se mi rifiuti, non sarà l’Inferno la tua prossima meta.”
Lo fisso stralunato e lui ridacchia.
“Sono io che decido chi mandarci e chi no, dovresti saperlo. Per te, invece, avevo pensato ad un’eternità in questo limbo, costretto a rivivere gli stupri e gli orrori che hanno costellato la tua infanzia e prima adolescenza, senza vie d’uscita. Cosa ne dici?”
Serro le labbra e gli scocco un’occhiata carica d’odio: “L’alternativa è farmi divorare da te, perdere per sempre la mia identità e consegnarti la chiave per distruggere il mondo. Vuoi scatenare l'Apocalisse indossandomi come un vestitino.”
“Esatto. Beh, puoi vederla anche in questo modo: quando lo farò, tutte le tue pene finiranno e cesserai di esistere. Non dovrai più soffrire, mai più. Non è una prospettiva allettante?”
Deglutisco rumorosamente, incapace di proferire parola. Sono stato messo all’angolo e stavolta so che non me la caverò. Ho fallito su tutta la linea. Mi sono montato la testa, convinto che una volta intuito il disegno del Male avrei potuto sventarlo, ma sono stato un illuso. Il mio più grande peccato è sempre stato l’ingenuità. D’altronde, come speravo di tenere testa a un’entità superiore come il Diavolo? Spesso si dice per scherzo “saperne una più del diavolo”, ma in realtà lui le sa tutte, non c’è verso di fregarlo. Non puoi combatterlo, puoi solo augurarti di non attirare la sua attenzione. 
Stringo i pugni, le mie unghie affondano e lacerano i palmi e il sangue scalda le mie falangi infreddolite. Non voglio arrendermi! Non può finire così. Eppure non ho piani di riserva, né alleati su cui poter contare. Sono solo, lo sono sempre stato.
“Sono il tuo angelo custode. Sono sempre stato qui con te, Archie, non ti ho mai lasciato. Fidati di me.”
Laeriel, dove sei? Ti prego, aiutami!
“Stai evocando il tuo angioletto, per caso?” mi schernisce Lucifero e scrolla il capo sconsolato, “Sei testardo, ma è tutto inutile.”
“Che vuoi dire?”
“Me ne sono occupato appena sei entrato in questa dimensione. Ho fatto il pollo alla piastra.” rivela con un inquietante luccichio negli occhi.
Mi sento morire.
“L’hai ucciso?”
La sua bocca si amplia nell’ennesimo ghigno: “Adoro il profumino di bruciato che gli angeli emanano quando li cuoci a puntino.”
“Laeriel aveva perso le ali, era un demone!”
“Sì… e no. Era ancora nella fase di mezzo. Per un momento ho ponderato di servirmene per farti passare dalla mia parte, ma poi ho pensato che mi avresti odiato per aver sporcato irrimediabilmente il tuo angioletto. Anche se comunque alla fine non hai ceduto, a scapito del mio piano geniale e delle cautela che ho adottato. Forse ho sottovalutato il potere del libero arbitrio.” mugugna sfoggiando una smorfia scontenta, ma si riprende in fretta, “Pazienza! Tempo scaduto, Archie.”
“N-non puoi toccarmi se non ti do il mio esplicito consenso!” ribatto in un ultimo, disperato tentativo, aderendo ancora di più al muro e desiderando di fondermici per sfuggire all’aura opprimente di Satana.
“Mio caro, a differenza tua io ce l’ho un asso nella manica. Dimentichi che posso usare la forza. L’unica conseguenza sarà che non potrò usufruire delle tue spoglie per un periodo molto lungo - come avevo sperato -, poiché si disintegreranno lentamente invece di rimanere intatte; infatti perderai i poteri, che finora ti hanno mantenuto giovane, sano e forte, e tornerai umano, mortale, soggetto all'invecchiamento e alle malattie, ed io non posso arrestare più di tanto il processo, è inevitabile e fa parte della natura di tutte le creature che nascono sulla terra. Ma il tempo che otterrò sarà sufficiente a raggiungere il mio obiettivo, non c'è problema.”
Mi afferra per i fianchi nudi e mi attrae a sé, forzando le mie labbra a schiudersi per lasciar entrare la sua lingua. Mi dimeno come un ossesso, ma non riesco a liberarmi. Lo sento scavare nella mia bocca ed esplorarla, poi in qualche modo penetra più a fondo e lo avverto risucchiare qualcosa dall’interno.
Mi sta mangiando l’anima.
“Lui ti divorerà, ti masticherà e si pulirà i denti con le tue ossa…”
Le energie mi abbandonano, e così la voglia di lottare. Non ne posso veramente più, desidero che tutto questo finisca.
Affogo nei suoi occhi bui, due voragini che annientano le ultime barriere della mia mente.

Non guardare, Archie. Non guardare!









 

  
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