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Autore: Akemichan    08/11/2015    2 recensioni
«C'è un'ultima cosa che dovete sapere.» Il ghigno scomparve com'era venuto e Dragon tornò a parlare di lavoro. «Mentre Serse è un regno sotto il Governo Mondiale, Baharat non lo è. Fa parte dell'Impero di uno dei quattro Imperatori Pirata.» Una piccola pausa, per fissare i suoi occhi neri penetranti su Sabo. «Si tratta di Barbabianca.»
[...]
Incredibilmente, Sabo aveva avuto la reazione più composta, a parte gli occhi che si erano spalancati in un attimo: poi aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il sorriso che gli si stava formando sul volto. Ace era entrato nella Rotta Maggiore già da due anni, ma era la prima volta che poteva avere concretamente una possibilità di incontrarlo. Improvvisamente Serse e la sua crudeltà erano diventati obiettivi di poco conto.
[Partecipante al Contest "Mahjong Contest" indetto da My Pride]
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koala, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Passaggio per l'inferno

Sabo e Koala avevano previsto di essere accolti nel palazzo reale. Forse non avrebbero avuto la possibilità di parlare direttamente con il re Serse, forse avrebbero comunicato tramite un intermediario, ma di certo non si aspettavano che venisse loro detto di seguire un gruppo di guardie alla scalata di una delle montagne che circondavano, come un'immensa muraglia naturale, la capitale dell'isola Persia.
Non che per loro fosse un problema, dato che erano allenati a sufficienza per prenderla come una piacevole passeggiata, però era un fuori programma che non avevano considerato e ciò, nell'ottica delle missioni che svolgevano come rivoluzionari, spesso indicava dover effettuare dei cambi imprevisti nella loro strategia.
Era una splendida giornata e il cielo era terso sopra di loro. Sabo cercò di godersi ugualmente la camminata, dato che era raro che avesse la possibilità di esplorare con più attenzione le isole che visitavano e che, spesso, erano talmente lacerate dalla guerra da non avere più nulla di piacevole. Quando finalmente giunsero sull'altipiano, la vista che si spalancò loro era splendida.
La capitale sotto di loro si vedeva in tutta la sua grandezza e magnificenza, sopratutto il palazzo reale al centro, circondato da ampie mura e leggermente sollevato sulle proprie fondamenta. La distanza impediva di vedere la realtà delle cose, i mendicanti che giacevano ai bordi delle strade e la scarsa pulizia nei quartieri più poveri, facendo apparire la città come un ammasso uniforme di opulenza.
Attorno si estendevano le alte montagne, che mentre dal basso incutevano paura e quasi nascondevano la luce del sole, da quell'altezza sembravano tanti uomini dall'aspetto simpatico che proteggevano il proprio figlio dai pericoli esterni. La vegetazione era florida, nonostante l'altitudine, ed il vento che sferzava di tanto in tanto muoveva le fronde e i prati, dando l'idea di un mare verde agitato dalle onde, in contrapposizione con il blu dell'oceano che faceva capolino tra una cima e l'altra solo per confondersi con l'azzurro del cielo.
Nell'altopiano in cui si trovavano, poi, l'intero prato era costellato da fiori bianchi e gialli, così numerosi da nascondere quasi l'erba. Quando il vento passava, li faceva somigliare davvero alla schiuma del mare. Sabo si chinò a raccoglierne uno e si accorse che erano Bocche di Leone. Si voltò verso Koala e le mostrò sorridendo le due parti del fiore che si aprivano come se fossero una vera bocca. Lei gli scoccò un'occhiata poco convinta, chiedendosi se fosse il caso di mettersi a giocare, ma poi si lasciò andare e infilò il dito nella bocca del fiore, fingendo di non poterlo più liberare.
Dal bosco che circondava l'altipiano si sentirono delle voci in lontananza, che si facevano sempre più vicine. Il soldato che li aveva accompagnati fece loro cenno con la mano di non muoversi né di parlare. Sabo e Koala annuirono per indicare che avevano capito, quindi concentrarono tutta la loro attenzione davanti a loro.
Prima di tutti, dal bosco emersero quattro soldati armati di tutto punto, che precedevano la portantina chiusa trasportata da otto uomini. Questi la appoggiarono a terra più o meno al centro del prato, rivolta in avanti, e poi fecero dei passi indietro, sistemandosi con le mani mollemente adagiate lungo i fianchi. Apparivano esausti. I soldati, invece, si disposero ai due lati.
Dopo di loro arrivarono altri soldati: questi invece stavano trasportando dei prigionieri, con le mani legate dietro la schiena, tenendoli per un collare. Sabo vide del rosso attorno alla loro bocca e, poiché non emettevano che suoni inarticolati, in un primo momento credé che fossero stati imbavagliati. Solo quando furono più vicini, capì che era semplicemente sangue: avevano la lingua tagliata. I soldati li fecero inginocchiare in due file davanti alla portantina, a poca distanza l'uno dall'altro, e chinati con la testa in avanti.
Chiudeva quella strana carovana uno sparuto gruppo di persone, composte per la maggior parte da donne, vecchi e bambini. C'era anche qualche ragazzo, che però stava nascosto dietro le schiene degli altri, come se non volesse farsi notare per non finire nella stessa situazione dei prigionieri. Rimasero ad un lato dell'altipiano, anche perché quando uno di loro fece cenno di volersi avvicinare, uno dei soldati aveva immediatamente alzato il fucile contro di loro.
Finalmente la portantina si aprì, rivelando il re Serse seduto su un trono di legno intarsiato d'oro, le mani che stringevano con forza i braccioli, quasi a volerci infilare dentro le unghie. In testa portava la corona con le numerose corna che indicavano la sua ascendenza divina. Il sole, che splendeva alto nel cielo, si rifletteva nei numerosi monili d'oro che portava ovunque, accecando chiunque tentasse di guardarlo.
Persino Sabo e Koala furono costretti a distogliere lo sguardo. Ebbero però il tempo di pensare che dal vivo il volto del re Serse era ancora più crudele e spietato rispetto alla fotografia che Dragon aveva mostrato loro, quando aveva spiegato la missione. Sembrava di pietra, con gli occhi fissi come pozzi neri e le labbra, per il poco che si vedevano sotto gli anelli che le riempivano, erano piegate in una smorfia crudele. Soprattutto erano semi aperte, a mostrare i denti bianchissimi e appuntiti, come una fiera pronta a divorare il suo pasto. Loro due avevano incontrato tanti tiranni prima di allora, ma non si abituavano mai all'idea.
Poi Serse fece un semplice gesto: alzò un braccio. Fu un movimento lento, ma appena accennato. La mano si scostò di pochi centimetri dal bracciolo, per ritornarci poco dopo. Era comunque un gesto concordato, perché le guardie che sorvegliavano i prigionieri estrassero contemporaneamente la lunga spada che portavano alla cintura e si disposero ciascuna al lato del proprio prigioniero, le gambe leggermente divaricate.
Allora il soldato della prima fila, che stava al limite destro, alzò la spada sopra la sua testa e in un attimo decapitò il prigioniero. Il sangue spruzzò insozzando il prato, la testa con la bocca aperta in una smorfia di dolore rotolò poco più avanti mentre il corpo si accasciò lentamente di lato, continuando a spruzzare liquido rosso zampillante attorno. Il soldato pulì la lama dal sangue con un fazzoletto, che poi gettò a terra in segno di spregio, la rinfoderò e si rimise sull'attenti. Dal gruppo delle persone di lato si erano levate delle grida, ma nessuno fece un gesto per avvicinarsi.
Quando le grida e i pianti si furono placati, o almeno furono diventati più deboli da essere appena percepiti, toccò alla seconda guardia decapitare il secondo prigioniero, con la stessa precisione e letalità e cerimoniosità. E continuarono così, lasciando agli uomini il tempo di vedere il destino che gli attendeva e contemporaneamente allungando l'agonia di quello che sarebbe capitato loro, permettendo ai cari di piangere il proprio scomparso, ma poi di dover consolare qualcun altro successivamente.
«È proprio necessario?» domandò Koala, ad un certo punto. Era uno spettacolo disgustoso da cui non si poteva distogliere lo sguardo.
Il soldato parve irritato dalla sua interruzione. «Ovviamente sì» rispose. «Chi si oppone al Supremo Serse deve pagare con la propria vita. O ricordarsene per sempre.»
«No, intendevo dire se era necessario che guardassimo anche noi» ribatté Koala, con tono polemico. Di tiranni ne aveva conosciuti tanti, lei, non solo come rivoluzionaria, e conosceva i loro metodi meglio di loro. Probabilmente avrebbe potuto dare delle lezioni a Serse stesso. Tuttavia loro, in teoria, si erano presentati come mercanti, venuti semplicemente a commerciare con il regno di Persia. Non avevano nulla a che fare con tradimenti o esecuzioni.
«Sì» rispose la guardia, seccamente. «Così imparerete subito anche voi a non scherzare con il re.»
Koala fece per ribattere, ma Sabo le strinse il polso per bloccarla. Stava per dirgli qualcosa, però si fermò quando capì che lui era ancora più irritato di lei, dal modo in cui stringeva le labbra e teneva gli occhi fissi non sull'esecuzione che si stava svolgendo sotto i loro occhi, bensì su Serse. Allora si calmò: era Serse stesso che avrebbe dovuto imparare a non scherzare con loro.
Quando tutti gli uomini furono stati giustiziati e il prato ridotto ad una poltiglia sanguinolenta che nascondeva completamente il pallido colore delle bocche di leone, il gruppo di persone cercò di avvicinarsi, probabilmente con l'intenzione di recuperare i corpi dei loro cari, ma le guardie si frapposero fra loro e quegli uomini martoriati.
«Che i corpi siano lasciati qui a marcire» parlò, per la prima volta da quando quella storia era iniziata, il re Serse. «Prendete le teste per le mura del palazzo.» Non era la voce dura e secca che si sarebbero aspettati, era più suadente, gentile, per questo forse ancora più spaventosa considerando ciò che ordinava.
Uno degli uomini più vecchi del gruppo, Sabo ipotizzò fosse il capo villaggio, fece un passo avanti e si chinò a profusione, piangendo. «La prego, Supremo Serse, di concederci la grazia e permetterci di seppellire i nostri morti. La prego, Supremo Serse, abbiamo sbagliato e abbiamo pagato. La prego, Supremo Serse.» Continuò a pregare con quella litania e la fronte appoggiata al terreno, ma sia il re sia le guardie, che si erano voltate per recuperare le teste, lo ignorarono.
Per la prima volta, Serse si voltò verso Sabo e Koala: li aveva già notati, ma aveva volutamente evitato il contatto. I due rimasero in piedi e lo fissarono con il mento perfettamente eretto: la guardia aveva detto molte cose, ma nulla sull'etichetta che avrebbero dovuto assumere, per cui avevano semplicemente deciso di ignorare anche le norme che utilizzavano di solito di fronte ai sovrani.
«Ho sentito che avete qualcosa per me» disse Serse.
Sabo annuì. «La “Stella Blu”, il diamante della sua famiglia che sua sorella Atossa le ha rubato, portandolo con sé in un paese straniero.» Erano menzogne, dato che quel gioiello era stato donato come dote e quindi era tutto regolare, ma era certo che fosse quello che Serse voleva sentirsi dire.
Alla menzione della sorella, infatti, lo aveva visto fare una smorfia e poi sorridere di nuovo in maniera felina al fatto che il diamante le fosse stato sottratto. «Ho letto che gliel'hanno rubato durante la cerimonia per il suo primogenito...» Era chiaro che la cosa lo divertiva. «Dovrei fidarmi che siate stati voi? Che sia quello autentico?»
Sabo accennò un piccolo sorriso, che nascose facendo un inchino. «Dovrei essere uno stupido, a cercare di imbrogliare il supremo Serse, dopo quello che ho visto.» No, stupido non lo era di certo, al contrario. Era abbastanza intelligente e aveva la forza per voler liberare il mondo da un tiranno simile.
Serse sorrise soddisfatto. «Immaginavo lo spettacolo vi sarebbe piaciuto.»
Koala sbuffò. «Era proprio necessario?» domandò. «Almeno lasci loro seppellire i loro morti.»
Sabo era preoccupato che Serse potesse offendersi per quest'affermazione, invece lui rise. Una risata profonda e gutturale. «Oh, mia cara, cara ragazza!» esclamò infine. «Lo so che le donne sono fatte per la compassione, per questo non saranno mai in grado di comandare. Ci sono dei compromessi che non saranno mai disposte a fare.»
Sabo si chiese se Serse fosse davvero stupido, o avesse una conoscenza del mondo limitata. Avrebbe tanto voluto presentargli l'Imperatrice Pirata Big Mom, o Hancock della Flotta dei Sette. Quello sarebbe stato divertente. Ma Koala non aveva la sua stessa passione per i pirati, quindi replicò:  «O forse non vogliamo comandare proprio niente».
«Tutti vogliono comandare. Tutti» ripeté Serse, questa volta seriamente. «Coloro che non lo fanno, non ne sono semplicemente in grado. Io invece sì.»
«Fino a comandare il mondo?» domandò Sabo gentilmente. Era un modo subdolo per cercare di verificare la teoria di Dragon riguardante il fatto che stesse preparando un esercito per dichiarare guerra agli altri paesi.
«Tutti vogliono comandare il mondo» disse allora Serse. «Non tutti ne sono capaci.» Non aveva risposto direttamente alla domanda, ma, dato quello che aveva detto prima, era implicito e scontato che lui si ritenesse in grado di farlo.
«Ma adesso basta con questi discorsi» affermò, agitando la mano per ordinare alle guardie di chiudere la portantina. «Vi riceverò con più calma a palazzo, quest'odore mi sta dando la nausea.»
La portantina venne richiusa e gli otto uomini che la trasportavano si rimisero al lavoro, preceduti dalle quattro guardie e poi seguite dai boia, uno dei quali portava con sé un sacchetto con le steste dei giustiziati, il quale gocciolava sangue dietro di lui. Sull'altopiano rimasero solo un paio di guardie, giusto per assicurarsi che nessuno seppellisse i cadaveri.
La loro guida aspettò che la carovana fosse scomparsa in lontananza, prima di voltarsi verso di loro e fare cenno di seguirlo. «Possiamo andare.»
«Conosciamo la strada» ribatté Koala e, invece di prendere il sentiero per tornare in città, proseguì in altezza, fino a raggiungere l'estremità dell'altipiano, quando la montagna iniziava a salire, e si accomodò sull'erba. Lì non c'erano Bocche di Leone, solo fili d'erba disordinati. In lontananza, la macchia rossa sul prato spiccava tra il verde e il bianco. Sabo la raggiunse poco dopo.
«Ne ho salvato uno» le disse, mostrandole lo stesso fiore che aveva raccolto prima.
Lei sorrise leggermente. «Scusami. Dico sempre che sei tu che fai casini, invece non sono riuscita a trattenermi.»
«Non preoccuparti» rispose lui. «Anche io sono arrabbiato.»
Lavoravano da anni per i rivoluzionari, conoscevano e avevano più volte applicato i metodi per cui contava il risultato finale, non i sacrifici fatti per arrivarci, perché puntavano ad un obiettivo superiore che non era facile da raggiungere e che necessitava di compromessi duri da accettare. Lo capivano e lo rispettavano, ma inconsciamente provavano sempre quel senso di impotenza e di vergogna quando si rendevano conto che non potevano salvare tutti, pur avendone la forza. Proprio com'era successo poco prima. Per nessuno dei due sarebbe stato difficile uccidere le guardie e impedire l'esecuzione. E nemmeno uccidere Serse sarebbe stato complicato. Ma non potevano: dovevano scendere a compromessi con lui, prima, e fare in modo che fosse la stessa popolazione ad insorgere poi. Loro erano dei tramiti, non degli esecutori.
«È uno stupido» affermò Koala.
«Più che stupido, direi che ha completamente torto.» Tutti i tiranni che avevano conosciuto utilizzavano sempre quella filosofia, che se era in parte efficace, non teneva conto di tutto il resto. Del mondo. «Ci sono un sacco di persone che hanno la forza ma non vogliono comandare niente, figuriamoci il mondo.»
«Dragon» disse subito lei.
«Oh, probabilmente Serse penserebbe di sì» rise Sabo. «Ma hai ragione, Dragon non vuole comandarlo. Lo vuole liberare perché sia in grado di comandarsi da solo. Nemmeno Rufy vuole comandare.»
«Che c'entra tuo fratello?» domandò Koala. Sapeva bene che lo tirava fuori ad ogni occasione buona, ma di solito trovava il modo di essere in linea con il discorso.
«Be', vuole diventare il Re dei Pirati e tu penseresti che debba governare su qualcuno» rispose Sabo allegramente, mentre gli venivano in mente tutti i momenti in cui Rufy ne parlava – ed erano parecchi. «Invece no. Vuole solo essere libero di fare quello che gli pare.»
Allora Koala rise: una risata sincera, aperta, che indicava che si stava lasciando alle spalle il senso di colpa per ciò che aveva visto. Non che se lo sarebbe mai dimenticato, ovviamente, ma l'avrebbe chiuso nella scatola della sua mente assieme a tutto il resto, finché non avesse potuto presentare alle vittime il risultato del loro sacrificio.
Sabo guardò davanti a sé: la vista da quelle montagne rimaneva sempre mozzafiato, lo splendore della città, il blu del cielo e del mare quasi fusi, l'erba verde e le fronde degli alberi che incorniciavano le cime delle montagne puntando al sole. Eppure quella macchia rossa sotto di loro attirava l'attenzione, spiccando nel prato come del sangue virginale sulle lenzuola pulite, e solo guardarlo faceva precipitare l'intero paesaggio nello sconforto.
Era come l'espressione vivente di qualcosa che Sabo aveva capito da anni, ma che si rifiutava di pensare, ritenendo sempre i viaggi che faceva nella Rotta Maggiore come una meraviglia e un'avventura. Aveva lasciato Goa, dove si sentiva in trappola, per assaporare la libertà che un viaggio sulle orme del Re dei Pirati poteva dargli. Ma non vi aveva trovato solo la bellezza del cielo, ma anche l'orrore dell'inferno. Assassini, criminali, venditori di schiavi. Guerre, massacri, esecuzioni. Alla fine era diventata ordinaria amministrazione, per lui, pur senza dimenticarsi che non era quello che aveva cercato nella Rotta Maggiore.
«In ogni caso, quando questa storia sarà finita, potremo ucciderlo.» Allungò la mano in avanti e la trasformò nei suoi artigli di drago pieni d'Haki. Poteva già immaginare il rumore del cranio che cedeva sotto la sua presa fino a frantumarsi, con il sangue e la materia celebrale che iniziava a colare. Il sorriso gli si trasformò in una smorfia di piacere. «Ucciderò Serse.»
Aveva visto l'inferno troppo a lungo e ne era stato risucchiato, alla fine. Ciò nonostante, non distoglieva mai lo sguardo dall'alto, dal cielo blu che era il suo obiettivo. Avrebbe attraversato l'inferno, ma prima o poi avrebbe raggiunto il cielo.
 
Un'ora e mezzo dopo, Ace aveva già deciso che la vita del rivoluzionario non faceva decisamente per lui. L'arrivo in una nuova isola, di norma, coincideva in un'esplorazione più o meno autorizzata della zona, poi un bel pasto caldo delle specialità tipiche locali e un sonnellino, due cose che in genere avvenivano contemporaneamente. Se gli andava bene, una bella scazzottata con qualche marine o cacciatore di taglie troppo imprudente, dato che comunque andava in giro senza nascondersi con i suoi bei vestiti strambi e il tatuaggio sulla schiena ben in evidenza. La qual cosa gli metteva appetito, quindi un altro spuntino sempre ben accetto, seguito da una bella bevuta di liquore locale o di rum.
Invece era stato costretto a vestirsi come un locale per passare inosservato, una cosa che già gli procurava discreto fastidio, e sicuramente doveva anche tenersi alla larga dai guai e dalle botte. Senza considerare il cerone che Koala ci aveva appiccicato in faccia per nascondere le lentiggini, cosa che lo faceva prudere. Di mangiare o bere non se ne parlava nemmeno. Almeno stavano visitando la zona, ma invece di passare le vie principali prendevano tutti i vicoli più sfigati e si fermavano solo a guardare i mendicanti, l'unica cosa che pareva suscitare l'interesse di Hack.
«Posso sapere che cosa stiamo facendo?» domandò seccato. Stava iniziando a pensare che Sabo gli avesse volutamente affidato la parte più noiosa.
«Stiamo cercando una persona» rispose Hack vago. Ace gli scoccò un'occhiata eloquente e lui aggiunse: «Si chiama Etul. Abbiamo bisogno di lui per aiutarci a scatenare una rivolta.»
«È per questo che stiamo controllando ogni singolo mendicante della zona?»
«Esatto.»
Ace si guardò intorno: non aveva idea di come fosse fatto questo tipo e da come Hack cercava di guardare le persone, senza lasciare che si accorgessero di quanto le stava fissando, era più che chiaro che neppure lui fosse sicuro della sua fisionomia. Diede uno sbadiglio, guardando la strada di fronte a lui: non era di quelle principali, ma c'era almeno un mendicante ad ogni angolo.
«Etul! Etul!» gridò. «C'è qualcuno che si chiama Etul qui?» Tutti i visi dei presenti si voltarono verso di lui e lo stesso Hack lo guardò come se fosse un pazzo.
«Non dovremo farci scoprire a parlare con un ex-dissidente!» gli sibilò. Sabo era imprudente, ma almeno sapeva come si dovevano fare i lavori. Poi, però, uno dei mendicanti in fondo alla via si era alzato, recuperando la coperta sporca dove era seduto e corse via. Ace alzò le braccia, come dire “ehi, ha funzionato però”. Hack scosse la testa e poi si gettò all'inseguimento di Etul.
Ace invece prese la via corta, balzando su uno dei tetti piatti e correndo per via aerea fino a ricadere a terra proprio davanti ad Etul, che si trovò l'altra uscita del vicolo bloccata da Hack che stava arrivando dietro di lui.
«Che cosa volete?» disse, mettendosi in posizione difensiva. «Non ho fatto nulla.»
Dato che Ace non avrebbe saputo cosa dirgli, si limitò a fare un cenno in modo che si voltasse verso Hack. «Vogliamo solo il tuo aiuto» gli disse allora lui. «C'è un posto dove possiamo parlare con calma?»
Etul non sembrò molto felice della cosa, ma capì che non l'avrebbero lasciato in pace finché non li avesse accontentati, quindi annuì. «Venite con me.» Ace gli si affiancò per essere sicuro che non avesse intenzione di scappare di nuovo, ma Etul fu di parola e li trascinò in una strada senza uscita che probabilmente, data la puzza, era utilizzata come orinatoio. «Ditemi.»
«Sappiamo della tua storia. Siamo dispiaciuti per la tua perdita» mormorò Hack gravemente. «Vogliamo il tuo aiuto per organizzare una rivolta qui a Persia.»
«Una rivolta?» ripeté Etul sospettoso. «Non siete stranieri, voi?»
Hack annuì. «Ci manda la regina Atossa. Sa in che condizioni siete e vorrebbe prendersi il regno al posto di suo fratello Serse, con l'aiuto dell'esercito rivoluzionario.»
«Sì, come no.»
«È la verità.» Hack allargò un attimo il suo vestito per prendere dalla tasca interna la “Stella Blu”. Etul rimase a fissarla incredulo: era chiaro che la conosceva di fama, ma non doveva mai averla vista così da vicino. Era chiaro che non era a conoscenza del furto, anche se si erano preparati una storia per giustificarlo, e la prese per autentica. «Non può mandare l'esercito ad attaccare Persia senza motivo, ma se scoppiasse una rivolta potrebbe farlo per aiutarvi.»
Etul non aveva distolto gli occhi dal diamante e fu anche un po' deluso quando scomparve, di nuovo nascosta nelle pieghe del vestito. «Capisco» disse infine. «Ma non posso aiutarvi.»
«Perché no?» intervenne Ace, al quale il pensiero di essersi annoiato così tanto per nulla faceva innervosire parecchio.
«Sono stanco di combattere» fu la spiegazione di Etul. «L'ho fatto a lungo e guardate che cosa ne ho ricavato.» Allargò le braccia per indicare il suo corpo sporco e martoriato. «Serse non può essere battuto. Non da noi, comunque.»
«Ma se la regina venisse in vostro aiuto...» suggerì Hack.
«Doveva pensarci prima» ribatté Etul. «Non fraintendetemi, certo sarebbe brava a governare, ma non può vincere. Serse ha già radunato un esercito esperto e con armi potenti a disposizione e Baharat è un povero paese che non ne ha nemmeno uno fisso.»
«Bah!» protestò Ace. «Certo che ha già vinto se nessuno lo combatte.»
Etul gli scoccò un'occhiata di fuoco, ma non disse nulla. Era chiaro che lo riteneva un ragazzino che non sapeva nulla del mondo. Hack, al contrario, non voleva irritarlo troppo. Sapeva che non c'era nessuna regina Atossa in loro aiuto e che alla fine sarebbero stati in quattro a fare il lavoro serio.
«Rispetto la sua decisione» disse allora. «Ma abbiamo comunque bisogno di un locale. Può suggerirci qualcun altro che sarebbe disposto a darci una mano?»
«Guardatevi attorno e rispondetemi voi.» Etul sputò per terra. «Date un'occhiata alle mura del castello e capirete che è meglio se ve ne andate.»
Fece per tornare nella strada principale, ma Hack lo fermò. «Un'ultima cosa: per caso sa dove il re Serse tiene l'arsenale delle armi?»
«Ci sono solo due posti circondati da mura, qui. Uno è il castello» rispose Etul. «Non sarà difficile capire qua è l'altro.»
«Quindi?» domandò Ace, una volta che furono rimasti da soli nel vicolo maleodorante. Il tono era a metà fra i seccato e il rassegnato: di sicuro credeva di aver perso tempo.
«Facciamo un giro a controllare dov'è l'arsenale e poi torniamo alla nave» disse Hack. «Ci aggiorneremo con gli altri.»
Come Etul aveva detto, c'erano solo due luoghi circondati da mura. Il secondo non era così vicino al palazzo come si poteva pensare, probabilmente per tenere separati l'aspetto reale e quello militare. Le mura protettive erano alte e impedivano di vedere troppo all'interno, ma era chiaro che fosse una caserma, dai grandi capannoni i cui tetti svettavano in alto. Sicuramente all'interno c'era uno, se non più, depositi per le armi.
Fecero anche un rapido giro di controllo attorno al palazzo, per contare le entrate e la sorveglianza, in tempo per accorgersi di cosa aveva parlato Etul: delle teste umane ancora sanguinanti erano state appese dal lato principale delle mura, facendo scivolare righe rosse sull'intonaco bianco.
«Questo è davvero pessimo» commentò Ace.
«Detto da un pirata dà proprio l'idea di quanto lo sia» disse Hack.
«Be', sono diventato pirata per la libertà, mica per andare in giro a decapitare gente» protestò Ace. Benché le sue mani non fossero esattamente pulite, non aveva mai eseguito esecuzioni così sistematiche, senza contare che non l'avrebbe mai fatto verso i suoi compagni o i sudditi delle isole che Barbabianca proteggeva.
Quando tornarono alla nave, che era ancora ancorata nella parte più nascosta del porto, capì che c'era qualcosa che non andava. C'erano più presenze a bordo di quante era accettabile. Fece un leggero cenno ad Ace, che pur non essendo un rivoluzionario era avvezzo a situazioni simili, quindi salirono a bordo con prudenza. Subito dopo furono aggrediti da alcune guardie. Ace stava per rispondere con il suo fuoco, ma Hack lo fermò afferrandolo per un braccio e lo trascinò con sé mentre si tuffava in acqua.
Scomparve nel fondo e poi usò la sua velocità in quanto uomo pesce per riemergere dall'altra parte del porto, lontano da dove erano stati aggrediti, per non essere individuati. Ace respirò con la bocca aperta e continuò a stringersi forte alle sue spalle per paura di affondare. Odiava l'acqua di mare e odiava ancora di più finirci senza preavviso.
Quando Hack fu sicuro che nessuno li avesse notati, si avvicinò alla riva per tornare all'asciutto. Ace emise una fiammata per riprendersi e poi tossì. «Che cosa significa?» protestò. La sua pazienza aveva superato pericolosamente la soglia limite.
«Come era prevedibile, Serse non ha intenzione di fare accordi» disse Hack, che invece non appariva sorpreso della situazione. «Probabilmente è venuto a cercare la “Stella Blu” quando ha capito che Sabo e Koala non l'avevano con loro.»
In quel momento Ace ebbe un ricordo molto vivido delle teste appese alle mura del palazzo, solo che nella sua mente avevano tutte assunto l'aspetto di Sabo. Si gettò in avanti orripilato, con l'intenzione di buttare giù il palazzo con i suoi Pugni di Fuoco, ma si sentì bloccare nuovamente per le spalle da Hack. «Lasciami andare!» protestò. «Sabo è in pericolo!»
«Sabo può cavarsela! Sa quello che fa!» ribatté Hack. «Credi che non si sia trovato mai in situazioni come questa? Non hai fiducia in lui?»
«Non capisci!» Ace si liberò della sua stretta seccamente. «Dieci anni fa... Mi sono fidato di lui. Non sono andato a salvarlo. E poi ho pensato che fosse morto! Come puoi pretendere che stia qui a non fare nulla adesso?»
«Non ho detto che non dobbiamo fare nulla» disse semplicemente Hack. «Capisco quello che provi e anche io sono preoccupato. Sono i miei compagni da anni, li ho visti crescere.» Quella era una frecciata ad Ace, che invece era tornato solo da mezza giornata nella vita di Sabo, ma era involontaria. «Ma proprio per questo mi fido di loro e so che se la possono cavare. Se vogliamo aiutarli, dobbiamo fare il nostro lavoro.»
«Che sarebbe?» domandò Ace in tono polemico.
«Recuperare le armi e far scoppiare una rivolta.»
Ace rimase a rifletterci per un attimo. Voleva davvero aiutare Sabo. Non voleva più sentire quella sensazione terribile di averlo lasciato al suo destino. Eppure, di nuovo, non sapeva cosa fosse la cosa più giusta da fare per lui. Dieci anni prima di era fidato di Bluejam e aveva sbagliato. Però Hack era un'altra storia: forse avrebbe dovuto fidarsi di lui.
«Sei certo che Sabo stia bene?»
«È in grado di liberarsi dalle guardie, lo sai» rispose Hack. «Ma in ogni caso non credo che Serse abbia cercato di ucciderli, prima deve assicurarsi di poter recuperare la “Stella Blu”.»
Questo sollevò in parte l'umore di Ace: aveva senso, come cosa. Ed era anche certo della forza di Sabo. «Va bene» disse. «Ma adesso si fa a modo mio.»

***

Akemichan parla senza coerenza:
Ho solo una cosa da dire: spero che chi abbia letto già questa parte quando era un'one-shot sia arrivato alla fine del capitolo, dato che c'è tutta la parte nuova XD

 
   
 
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