Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: sof_chan    09/11/2015    1 recensioni
SPOILER PROSSIMI CAPITOLI: "Cominciai a cambiare. Anzi, di sicuro cominciai a tingermi dei colori di Zoro. Il cielo, che sembrava non cambiare mai, mi appariva completamente diverso. Per il semplice fatto che lo stavamo ammirando insieme, era infinitamente più bello. Sai Zoro... anche se non sei più accanto a me, continuo lo stesso ad amare il cielo."
Nami sembra una normalissima studentessa delle superiori, ma la sua esistenza è calpestata e devastata da un passato fatto di violenze e abbandoni. Zoro è, all'apparenza, il classico compagno di classe solitario e evanescente, ma si rivela anche un ragazzo forte e generoso, con una colpa da scontare con se stesso. Nami, che pensava non sarebbe mai cambiata, tanto meno per amore, comincia a "tingersi dei colori di Zoro" e, senza neanche rendersene conto, finirà per innamorarsi completamente di lui. Questo amore impetuoso, che scorre sempre in avanti con la forza e la decisione dell'oceano, riempirà le loro vite, unendoli in un legame profondissimo
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Non chiedermi (parte prima)

“…Hai perso per strada il rossore e il sorriso

di chi fa finta di niente.

Chissà se qualcuno ha raccolto quell’attimo

in cui le è impazzito il cuore.

Ci vuole fortuna, magia, un prestigiatore”

 

“Forse... E’stato solo un sogno”

Rimango qua, stesa sul letto grande e gelido, con lo sguardo rivolto alla pioggia. Mi sembra di essere ritornata la ragazzina di dodici anni che nelle giornate piovose restava ferma a guardare, fissa e immobile –senza pensare a nulla- l’acqua che copiosa scendeva.

 

Quando guardo la pioggia, senza pensare a nulla, ho come l’impressione che il mio corpo si sciolga e che il mondo reale si allontani da me.

La pioggia ha un particolare potere sulle persone, quasi ipnotico.

 

Il rumore del ghiaccio nel bicchiere, così flebile ma saldamente ancorato allo scorrere del tempo, mi ridesta da questo stato ipnotico. Mi accorgo solo ora di Sardina, steso beatamente tra le mie gambe e le lenzuola. Il suo calore è così rassicurante, vivo!

Mi alzo piano, per non disturbare il suo sonno, mi avvio verso la cucina a riempire un altro bicchiere. Siamo io, l’alcool e quest’appartamento circondato dalla pioggia fitta e battente a riportare tutto alla realtà.

Mia madre e i nostri percorsi che finalmente, forse, viaggiano alla stessa velocità.

Sorrido felice, poi il nulla.

Tutto annientato da Arlong, dal suo tocco nauseabondo che porta via ogni cosa, in quel tunnel senza fondo che ormai accompagna ogni mio singolo battito di ali.

 

La mia presunta volontà perde forza e scivola lentamente fuori dal confine del mondo reale, al quale con fatica e stordimento sta cercando di ancorarsi, come le gocce di pioggia attaccate al vetro di questa finestra che vomita addosso il mio riflesso.

 

Nella notti in cui piove mi sento anche soffocare; la realtà che inseguo si deforma e il tempo assume una dimensione assurda.

 

Stremata da questa giornata, mi metto sotto le coperte ma rimango a fissare il paesaggio fuori dalla finestra. Ho come la sensazione di essere stata abbandonata in una terra arida e senza tracce di vita. Le mani del mio aguzzino di nuovo su di me, il suo fiato sul collo insieme alla sua bramosia e violenza. Sento di crollare in uno stadio di sonno-veglia dove i confini del reale sono divorati da incubi di bambina. Queste visioni assorbono tutti i colori del mondo. Gli oggetti e il paesaggio attorno a me appaiono piatti, vuoti, sbiaditi, come se siano stati messi qua provvisoriamente. Tutto è polveroso.

E mentre cado nella notte riesco a vedere il profilo sicuro di mio padre.

Si sa, tutti vivono e poi muoiono, ma non è questo l’importante.

Alla fine ciò che resta è il deserto!

 

 

La pioggia continua a battere col suo modo di fare sicuro e spavaldo, mi sveglia dal mio luogo al confine del mondo. La prima cosa che percepisco è un gran dolore alla testa. Poso gli occhi sul comodino notando la bottiglia di rum ormai vuota, riuscendo finalmente a dare un perché a questo mio stato pietoso. Sardina è ai piedi del letto e reclama, impaziente, la sua colazione, o forse pranzo?

Che diavolo di ora è? Non lo so e non m’interessa!

Lo accarezzo e mi alzo malvolentieri reggendomi a fatica; a passi lenti mi dirigo verso il frigo rovistando tra gli avanzi.                                                  

Prosciutto cotto di appena due giorni fa: ecco il tuo pasto Sardina! Te lo dico sorridendo e promettendoti sottovoce che da domani sarei stata più brava nel prendermi cura di te e, chissà, magari avrei anche iniziato a prendermi cura di me stessa, a volermi più bene.

 

Temporeggio versando del succo d’arancia in una tazza, speranzosa che il cervello incominci a elaborare quel qualcosa momentaneamente sfuggente. E’ domenica, esattamente le quattro e mezzo del pomeriggio. Ieri sono stata a Coconout a far visita a mia madre, sono rientrata a casa dopo aver incontrato quello schifoso di Arlong, ho mandato giù una quantità non identificata d’alcool e poi. Poi...

MERDA!

La lucina del cellulare è già là, lampeggiante, a ricordarmi dell’assurda dimenticanza avuta.

Un solo messaggio sullo schermo: “Mocciosa! Muovi quel culo altrimenti giuro che questa volta TI AFFETTO!”

 

Corro a perdifiato sotto la pioggia, ringraziando tutti i Kami per l’ombrello "preso in prestito" dall’atrio del mio condominio. I mezzi di trasporto sono in sciopero ma fortunatamente ho un buon  senso dell’orientamento e riesco a districarmi bene in queste strade che ancora non conosco benissimo. Arrivo finalmente vicino alla casa di Zoro; è un palazzo molto alto e all’apparenza abbastanza nuovo. I muri grigi sembrano così silenziosi, le finestre di ogni appartamento sono distribuite a distanza millesimale l’una dall’altra, evidenziando con letale enfasi un ordine sovrastante del “tutto circostante”. L’ascensore che adesso prendo è, invece, vecchio e logoro, in contrasto con tutto ciò che ho visto finora. Quasi mi rassicura. E’ come un’ombra buona e intoccata dallo scorrere inattaccabile del mondo. E'come se volesse dirmi: eccomi, sono qui! Nulla è riuscito a distruggere o a plasmare ciò che è stato.

Sorrido a questo pensiero mentre mi dirigo a testa china verso la casa del mio probabile aguzzino. Suono una sola volta e aspetto. Sento dei passi strisciare verso me, la porta aprirsi con mano ferma e due occhi neri e profondi mi guardano con fare annoiato.

-Oh! Ma che onore mocciosa! Ed io che pensavo che tu, oltre ad avere un pessimo carattere, avessi anche la mania di non adempiere ai tuoi compiti!-

 

E’ alto Zoro, alto e possente. Me ne accorgo solo ora che è a due passi da me, mentre veste quel suo ghigno strafottente e austero. Ha indosso solo una canotta bianca, che evidenzia in maniera precipitosa e degnamente dei muscoli saettanti, e un paio di pantaloni da tuta neri. Alto, possente, belle gambe e… Puzza! Accipicchia se puzza.

-Cribbio buzzurro!- rispondo ai suoi toni evidenziando il suo stato pietoso con una mano ancorata al mio delicato naso, -Noto con sommo dispiacere che oltre a non avere un buon modo di salutare gli ospiti hai anche delle gravi mancanze in fatto di pulizie personali!-

-Mi stavo allenando strega!L’appuntamento per il compito era più di un'ora fa! -

-Vatti subito a fare un bagno, testa d’alga! Altrimenti il mio fondoschiena sarà l’ultima cosa positiva che ricorderai prima di quel bel due sul tuo compito!- puntai il mio indice sul suo torace sudato, pentendomene all’istante.

-T- il suo solito ghigno. Ho imparato a riconoscerlo ormai, è un po’ un misto tra “maledetta!” e “maledizione, hai vinto tu!”, fatto sta che si discosta ed io decido di entrare, sicura del fatto che lui abbia accettato il mio consiglio. La sala in cui mi trovo e piccola ma avvolgente, un camino caldo e protettivo emana dei perfetti giochi di luce e ombra sulle pareti panna e spoglie. Vi è solo un divano di fronte ad esso, la sua linea è semplice e maschile, color nero. Poi c’è un tavolo di ferro vicino alla finestra; carte e libri messi alla rinfusa, segno che il buzzurro ha studiato mentre mi aspettava. Il tutto è tenebroso ma rassicurante, proprio come lo è Zoro.

Senza dirci una parola mi muovo verso le sedie per incominciare questa stupida e noiosa ricerca del cavolo; il mio compagno rientra nella sala con in mano degli indumenti puliti e si dirige verso quello che presumo sia il bagno. E mentre avanza nello stretto corridoio ben visibile dalla mia posizione, si ferma vicino a una stanza socchiusa. Guarda la porta con aria sconfitta. Accarezza dolcemente la maniglia e sospira.

                                                                                                L’aria è triste e rarefatta, per un attimo è come se Zoro fosse scalfito e abbattuto da una qualche entità invisibile, e tutto è così tangibile e palpabile da far male al cuore. Mi fisso a guardarlo, come un ebete. Tratteggio il suo profilo che per la prima volta mi appare così infantile e insicuro, lo abbraccio inconsapevolmente con lo sguardo.

Vuoto.

 

Un’ultima carezza e la sua mano si muove verso la serratura che viene chiusa con uno scatto.

Questo strano spaccato di attimi è ormai fuori dalla nostra dimensione, al di là di quella serratura.

 

 

La concentrazione è ormai andata a farsi friggere. Riesco solo a percepire, oltre al rumore della doccia, questa mia insopportabile voglia di capire, di andare oltre il consentito.

Perché Zoro aveva quello sguardo? Dove è andato a finire quel ragazzo sicuro e forte che ho sempre, e per la maggior parte delle volte malvolentieri, visto?

 

Solo uno balzo, secco e deciso, e anniento subito la barriera tra me e questa curiosità imprevista.

 

Buio e aria consumata, come se l’usura del tempo avesse prosciugato ogni singolo centimetro di vita e quotidianità. Non c’è nulla, se non il pavimento, una finestra chiusa e degli scaffali difficili da fronteggiare vista l’oscurità che regna qua dentro. E questa stanza stranamente spoglia ricorda proprio l’angolo di un vecchio mondo dimenticato dal presente.

-Come un guscio vuoto- questa è la prima impressione che mi comunica. Mi fa pensare a una stanza dopo che tutti se ne sono andati. Qualcosa di essenziale è come se fosse scomparso da lei in modo definitivo. Ciò che è rimasto, quel che esiste in queste mura ferme e silenziose, non è la presenza, ma l’assenza. Non il calore della vita, ma l’immobilità dei ricordi.

 

Avanzo piano, mi sento sporca e così dannatamente ingiusta nel percorrere questa purezza altrui, come se stessi facendo la cosa più spregevole al mondo, ma tre ombre dai contorni annebbiati mi attirano in un vortice senza possibilità di ritorno. Tre katane disposte in ordine su uno scaffale imprigionano immotivatamente lo sguardo. La prima partendo dal basso è nera, nera come i suoi occhi, poi una rossa e infine, sopra di tutte ve n’è una bianca, di un bianco immacolato, puro e penetrante come l’aria che respiro qua dentro. Non riesco a non guardarla, né a fermare la mia mano tremante che avanza verso di lei.

Un tocco leggero il mio, delicato come lo sfiorire di un fiore di ciliegio.

Tristezza e dolore.

Una sensazione così subdola e irreale che mi viene da pensare che, in realtà, non sia una katana ciò che tocco, ma un fragile spirito racchiuso in una bottiglia di vetro. Mi chiedo cosa nasconda questa stanza, quale sia il suo vero significato. Ma allo stesso tempo ho paura, terrore di addentrarmi troppo in una marea di emozioni e sensazioni che non riuscirei a sopportare.

Ho il mio mondo, i miei grattacapi. Mi basta questo!

Ma gli occhi bassi e pieni di Zoro mi fan tremare i pensieri.

Fingere di essere felici quando si è tristi non è poi un grande sforzo. E’ un modo di intendere la vita, non sempre facile da accettare, questo lo sai buzzurro?

Forse è questo pensiero a farmi andare oltre, a rendermi testarda di fronte a quella scatola ben nascosta nell’ultimo scaffale. Prendo una sedia dalla sala col camino, non prima d’aver controllato il persistente rumore dell’acqua della doccia, e mi dirigo verso quell’armadio. Senza far rumore mi arrampico per arrivare più in alto possibile ma, ahimè, un tono di voce baritonale mi piomba addosso come uno schiaffo a mano aperta.

-Allontanati subito da lì!- mi grida Zoro mentre avanza arrabbiato verso di me. Il suo sguardo è truce e pericoloso, questa volta sono andata troppo oltre.

Grida, grida talmente forte che la mia coscienza si sgretola sotto la materialità del mio corpo; mi sta facendo paura, una paura che troppe volte mi ha surclassato e sconfitta.

Si avvicina e parla, parla e grida, muove le mani, mi punta l’indice addosso col suo sguardo da vittima e carnefice.

Ed io non capisco più nulla. Scendo dalla sedia e indietreggio, facendomi scudo con le braccia. Non sento alcun suono.

Mi accascio all’angolo del muro rannicchiandomi su me stessa.

Ripenso agli occhi di Arlong, al dolore delle sue percosse immotivate sul mio corpo di bambina. E lo so bene, non serve a niente proteggersi ma il mio è un gesto automatico.

-Ti prego non toccarmi! Ti scongiuro, è l’unica cosa che riesco a gridare tra i singhiozzi. Trattengo le lacrime, proprio come sono stata abituata a fare per tutti questi anni.

Non succede nulla.                                                                                                                          

 Nessun rumore, alcun colpo. Tutto tace, incastrandosi come un puzzle perfetto con l’anima di questa maledetta stanza.

 

 

Alzo il volto per incontrare quello di Zoro, e quello che percepisco mi disorienta e annienta completamente; i suoi occhi sono uguali ai miei, spaesati e spaventati. Non erano quei quotidiani pozzi profondi d’acqua sorgiva, all’ombra di una tranquilla roccia che nessun soffio di vento poteva raggiungere, no… Niente si muoveva dall’interno e i suoi colori erano immersi in un silenzio totale.                                                         

–Va via, ti prego! Vai subito fuori di qui- è una preghiera quasi sussurrata la sua. Ed io non posso far altro che maledire me stessa, per la mia cattiveria, la mia sconsideratezza.

Poggio le braccia a terra per aiutarmi ad alzarmi, per correre via da questa brutta situazione, ma queste cedono. I lividi e le ferite della sera precedente fanno ancora un male atroce. E come una lama in pieno petto, ecco la mano forte e callosa di Zoro verso di me a offrirmi aiuto. Ed io mi maledico ancora una volta per aver frettolosamente pensato che un ragazzo come lui potesse farmi del male.

 

Stupida, schifosa, testarda e cattiva strega! Ecco cosa sono.

 

Mi vergogno terribilmente e delicatamente declino quella sua gentilezza riuscendo a mettermi in piedi nonostante le macchie viola che nascondo sotto i polsini della felpa.

Esco dalla stanza. A fare da sottofondo ci sono i passi trascinati e pesanti del padrone di questa casa.

-Non ci sono scuse per quello che ho fatto. Mi spiace terribilmente Zoro - Continuo a rivolgergli le spalle, non riuscirei a sopportare quel suo sguardo, - Ora… E’ meglio che vada. Scusami anche per il compito. Domani prenderò io ogni responsabilità-

Ed è così che corro verso la porta, fuggendo via da tutto. D’altronde è la cosa che mi riesce meglio.

Ma una forza improvvisa mi ferma, circondandomi in quello che mi sembra un abbraccio.

E’ caldo e avvolgente, ha un profumo dolce e nostalgico.     

Fa star bene.

 

Il misterioso spadaccino mi volta verso di lui e mi guarda fisso e immobile. In lui alcuna emozione, come un contenitore svuotato del suo prezioso contenuto. Le sue braccia si muovono delicatamente sulle mie alzandole e spostando con fare sicuro e gentile i polsini che coprono la mia condanna.

Se n’è accorto Zoro, scruta ogni cosa lui! Al suo occhio attento non sarebbe mai sfuggito nulla.

Guarda che ho capito, sai. Nessun altro se n’è accorto, ma io si!” ecco quello che la sua mano ferma e protettiva mi comunica.

Io non riesco a dare voce al turbinio di emozioni che m’invade: paura, gioia, dolore, salvezza? Non lo so.

La cosa certa è che le lacrime che a stento riesco a trattenere sono l'unica forza che mi è rimasta; quell'urlo silenzioso che implora“non chiedere, non chiedermi nulla Zoro!

E quel contatto telepatico che ci unisce, volente o dolente, ancora una volta vince su tutto. Lo vedo chiudere gli occhi e ghignare nervosamente. Poi mi lascia le braccia portando le sue sui fianchi in segno di resa, ma le mani si stringono in un pugno nervoso.

Capisco che mi sta lasciando andare. Ed io vado via, lontano da questa presenza troppo vicina, pericolosa e necessaria allo stesso tempo.

 

 

La pioggia cade più forte di prima. Cerco disperatamente l’ombrello che ho lasciato all’ingresso, ma non lo trovo. “Chi la fa l’aspetti” si dice, vero?!

Mi arresto vicino alla fermata del bus ricordando qualche istante dopo lo sciopero.

MERDA!

Voglio tornare a casa! Poco m’importa il come.                                                                                                                                                                                

 

I miei vestiti sono già inzuppati, i miei capelli sono un disastro. Mi accascio su me stessa e riprendo a respirare. La pioggia bagna senza far rumore i gruppi di palazzi, immersi in un silenzio di tomba. Alle sei del pomeriggio la città appare squallida e sporca. Ci sono dappertutto segni di degrado e di rovina, nei quali mi sembra di riconoscere me stessa, e quella impressa sui muri sembra proprio la mia ombra.

 

All’improvviso non sono le gocce d’acqua ciò che sento sulla mia testa, ma qualcosa di morbido e profumato. Un giubbotto nero in pelle, già visto, è appoggiato sulle mie spalle e mi copre completamente. Non riesco a trattenere un breve, misero sorriso mentre alzo lo sguardo e rivedo tesa verso me una mano calda e callosa.

-Mocciosa, dai alzati! Rientriamo a casa. Se continui a stare qua fuori come una gallina spelacchiata ti verrà un accidenti. E poi toccherà a noi sopportare le tue lamentele isteriche-

Mi convince così, con queste parole e col suo sguardo rivolto, un  po’ per imbarazzo un po’ per orgoglio, da tutt’altra parte. Stavolta accetto questa gentilezza e preoccupazione sincera. Stringo forte la sua mano nella mia, che mi appare piccola e bianca al confronto.

Corriamo verso casa.

 

-Certo che tu un ombrello lo potevi portare!-

-Ti ho prestato il mio prezioso giubbotto, strega!-

-Squattrinato!-

-Mocciosa!-

-Buzzurro!-

 

 

“Nella vita ci sono cose che possono essere cambiate

e altre che sono irreversibili.

Lo scorrere del tempo è un processo irreversibile e quando si

arriva ad un determinato punto non si torna più indietro.

Come se alcune cose finiscono per assumere una forma definita,

come cemento che si solidifica.

Lo pensavi anche tu, vero Zoro?

Ma di una cosa sono convinta: quella tua mano forte e sicura

che per la seconda volta mi ha sostenuta... Trattenuta.

 E’ stata proprio quella

che ha reso reversibile la nostra vita.

Lei ci ha permesso

di tornare indietro sulla strada persa, di invertire la rotta

per percorrerne una nuova,

insieme”

 

 

“…Il Dio delle piccole cose aspetta la fine del cammino,

con un sacco sgualcito dal tempo ed un piccolo inchino.

Chissà se ci ridà indietro le cose che abbiamo in sospeso,

io credo sia questo l’inferno e il paradiso"

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ehm… Bene! Da dove posso iniziare? Sicuramente dal ringraziare chi ha letto in tutto questo tempo d’assenza (quasi un  anno) questa storia. A chi l’ha messa tra le preferite e tra le seguite, nonostante la lunga pausa. A chi ha sperato in un proseguo. Bene, eccomi qua! Ribadisco che ci tengo tantissimo a questa fan fiction, ed è per questo che scrivo quando sento pienamente di averne il possesso.

Un saluto particolare va a Place, con la speranza che bazzichi ancora da queste parti e che non resti delusa da questo nuovo capitolo (sono un pochino fuori fase/forma)

Vi bacio tutte. 

   
 
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