Anime & Manga > Inazuma Eleven
Segui la storia  |       
Autore: Strawbana    09/11/2015    4 recensioni
{Storia ad OC} {Iscrizioni chiuse}
Vi siete mai chiesti cosa accade alle anime di coloro che muoiono nel sonno? La maggior parte di loro raggiunge l'aldilà tranquillamente, ma alcune persone, i sognatori lucidi, spesso rimangono bloccati nel mondo dei sogni, costretti per sempre a vagare in un paradiso onirico che possono plasmare a loro piacimento. Ma, ahimè, non tutti i sogni sono gradevoli.
Un'anima perduta riesce a tornare nel mondo della veglia, ma non è sola. Gli incubi iniziano ad abbandonare i sogni delle persone ed iniziano a comparire nel mondo reale, prima come incubi ad occhi aperti poi come vera e propria minaccia per gli esseri umani. Ma un incubo è pur sempre un sogno, quindi chi è in grado di controllare i suoi sogni forse è in grado di fermare questa terribile minaccia...
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3.   Red Lights and Beautiful Dreams

 

> Inazuma-cho, casa Kageyama, 3 agosto, 11:12 PM

Dopo lo stupore iniziale, Kageyama fu preso da una grande rabbia.

«No, no, NO! Lei è morta, non puoi essere vero! Chi sei tu, cosa sei tu?»

Spaventata da quella reazione tanto violenta ed inaspettata, Cassandra arretrò di un passo.

«L-Lo so che è strano da credere, ma ti prego di ascoltarmi!»

Ignorando completamente le parole della ragazza, l’uomo la prese per un polso, cercando di trovare un punto debole in quello che lui credeva un travestimento.

«Non sembra una maschera e non vedo cicatrici da chirurgia estetica… Chi si è preso il disturbo di trovare un sosia e mandarlo da me?! Dimmi per chi lavori!»

Come risposta la castana mise la mano libera in faccia all’uomo, cercando di allontanarlo.

«Kageyama, calmati ed ascoltami, per piacere!»

Irritato all’inverosimile da quel gesto, Reiji scostò bruscamente la mano della giovane dalla sua faccia e le afferrò anche l’altro polso. C’erano poche cose al mondo in grado di far perdere in quel modo all’uomo la sua solita compostezza, ma l’idea che qualcuno stesse cercando di giocare con dei sentimenti che aveva a lungo cercato di dimenticare lo faceva davvero infuriare.

Cassandra in quel momento era davvero spaventata: certo, si aspettava una reazione incredula, anche brusca, ma non una così aggressiva. Cercando di mantenere la calma, la ragazza fece quello che faceva sempre quando qualcuno non la ascoltava: prese una bella boccata d’aria e poi emise un urlo acutissimo e prolungato. Stordito da quel suono, Kageyama lasciò i polsi della castana per potersi tappare le orecchie e chiuse gli occhi. Era incredulo: ricordava bene il suono di quell’urlo, più volte da giovane aveva chiesto alla sua fidanzata di gridare in quel modo per spaventare qualcuno che gli stava poco simpatico e divertirsi un poco, un suono del genere era difficile da imitare, soprattutto per chi non l’aveva mai sentito. Una volta che la giovane smise di strillare, Reiji riaprì gli occhi e sentì una stretta al cuore guardando quelli pieni di lacrime di Cassandra.

«L-Lo so che è difficile da credere, neanche io riesco a farmene una ragione, ma sono viva. Ho freddo, ho fame, sono tutte cose che non provo da tantissimo tempo, ma sono cose che mi fanno capire di essere viva. Reiji… Ascoltami, ti prego, non ho nessun altro a cui chiedere aiuto…»

L’uomo si morse le labbra: avrebbe voluto davvero credere alla ragazza, più la guardava e più sentiva la sua voce più si convinceva che era la fidanzata che aveva perso tanti anni prima, ma continuava a temere che quello fosse tutto un inganno.

«Come faccio… Come faccio a sapere che sei davvero tu?»

La castana rimase senza parole: quella posta da Kageyama era una domanda più che legittima, ma come poteva dimostrargli di essere la stessa ragazza di quarant’anni prima? Si prese un attimo per riflettere, poi venne fulminata da un’idea.

«Tua madre ti ha confezionato un pinguino di peluches quando sei nato, lo conservavi sotto il tuo letto! Un pomeriggio mentre studiavamo insieme l’ho trovato per caso, tu per l’imbarazzo ti sei chiuso in bagno ed ho impiegato circa due ore per convincerti ad uscire da lì!»

Reiji avvampò, imbarazzato dal ricordo e dal fatto che la domestica che l’aveva chiamato prima e che era rimasta lì tutto il tempo avesse sentito. Coprendosi il volto con una mano, l’allenatore fece un cenno alla donna di allontanarsi.

«Vai a prendere qualcosa per permettere a questa ragazza di asciugarsi e cerca un cambio di vestiti che le possa andare.»

Una volta che la domestica se ne fu andata, Kageyama tornò a posare il suo sguardo su Cassandra, che lo guardava speranzosa.

«Solo tu potevi scegliere di raccontare qualcosa di tanto imbarazzante per farti riconoscere…»

Felice di essersi finalmente guadagnata la fiducia del suo vecchio fidanzato, la castana non riuscì a trattenere un sorriso.

«Beh, era l’unica cosa che certamente non conosceva nessuno oltre noi due, io non l’ho mai detto a nessuno come ti avevo promesso!»

Quel sorriso scaldò il cuore di Reiji, che non poté fare a meno di imitare la ragazza.

«Vieni dentro, devi raccontarmi tante cose…»

>Inazuma-cho, casa Kageyama, 4 agosto, 00:27 AM

Kageyama sospirò per l’ennesima volta quella sera: con un po’ di fatica e prendendo in prestito qualche vestito dal cambio della domestica, era riuscito a mettere insieme qualcosa da far indossare alla sua ospite mentre ciò che indossava prima si asciugava. Le aveva fatto preparare da mangiare e nel frattempo la ragazza gli aveva raccontato la sua storia. L’uomo trovava incredibile che la castana fosse rimasta per tutti quegli anni in quello che lei definiva il mondo dei sogni e che ne fosse uscita tramite uno strano portale. Tutta quella storia suonava assurda e impossibile, ma anche la sola presenza di Cassandra seduta al suo fianco era impossibile, quindi aveva deciso di accettare la vicenda così come gli era stata esposta. Nel mentre raccontava, la castana gli aveva più volte dato prova di essere la stessa di quarant’anni prima: conosceva cose che solo loro potevano sapere, ricordava un sacco di eventi che Reiji stesso aveva iniziato a dimenticare e, cosa più importante di tutte, si comportava esattamente come la ragazza di cui Kageyama si era innamorato quarant’anni prima. L’uomo sorrise, osservando la sua ospite sorseggiare la tisana che le aveva fatto preparare, e le accarezzò una guancia.

«Non sei cambiata di una virgola…»

Cassandra lo squadrò e poi sorrise divertita.

«Beh, scusa se il treno della pubertà non passa nel mondo dei sogni!»

Reiji non capì al volo la battuta.

«Treno della pubertà…?»

La castana ridacchiò, un po’ a disagio.

«Beh, perché da come sei cresciuto sembra che non sei stato tu a raggiungere la pubertà, è stata lei ad investirti e a passarti sopra un paio di volte!»

La risata della ragazza morì piano piano, lasciando il posto ad un silenzio imbarazzante. Si diede mentalmente della stupida: come le veniva in mente di fare una battuta del genere in quel momento? Doveva abituarsi all’idea che Kageyama aveva quarant’anni in più di lei ormai, non poteva lasciarsi andare a spiritosaggini del genere, soprattutto perché non sapeva se l’uomo avesse fosse impegnato con qualcun altro, non era più il suo fidanzatino.

«Sono cambiato molto, vero?»

Reiji aveva un sorriso amaro dipinto sul volto: da giovane era sempre insicuro del suo aspetto, un disagio che era andato affievolendosi col passare degli anni senza però scomparire mai del tutto. Ma quello a cui si riferiva principalmente l’uomo era ciò che aveva fatto nei passati quarant’anni. Aveva compiuto a sangue freddo diversi crimini, infischiandosene della vita di tutti quelli intorno a lui, non era più il ragazzino che al massimo faceva a botte con i suoi compagni di scuola o rispondeva male agli adulti. Chissà se Cassandra avvertiva quel suo cambiamento, di sicuro se avesse scoperto quello che aveva fatto lo avrebbe lasciato, e Kageyama non voleva correre quel rischio. Non voleva perderla di nuovo, non dopo che era miracolosamente tornata da lui.

Cassandra si rattristò nel vedere Reiji così amareggiato e lo abbracciò, facendolo sussultare.

-Sì, sei cambiato. Sei cresciuto e dall’essere un bel ragazzo sei diventato un bell’uomo. Va bene così, non c’è nulla di sbagliato! Sei maturato, o a quest’ora ti staresti già lamentando per l’imbarazzo, e dalla casa che ti ritrovi direi che te la sei cavata bene anche nel mondo del lavoro. Sono felice di vedere che la tua vita sta andando bene…

L’uomo sorrise appena e ricambio l’abbraccio. Era strano, Cassandra era tanto piccola fisicamente in confronto a lui, ma un suo abbraccio lo rassicurava più di un esercito pronto a proteggerlo. Era stata una particolarità che la ragazza aveva sempre posseduto, gli era mancata molto la calma che riusciva a regalargli, ma questo Kageyama non l’avrebbe mai ammesso. Dopo un po’ la castana si separò dall’abbraccio e sbadigliò.

«Sei stanca? Hai avuto una giornata intensa dopotutto… Andiamo a dormire?»

Cassandra rabbrividì e sorrise a Reiji, cercando di sembrare sicura di sé.

«Oh no, potrei andare avanti a parlare per tutta la notte!»

L’allenatore la guardò facendo una smorfia poco convinta.

«Non sei mai stata brava a mentire.»

Il sorriso della ragazza si spense mentre lei si raggomitolava su sé stessa, ginocchia strette al petto e sguardo perso nel vuoto.

«Ho paura che se mi addormento rimarrò di nuovo intrappolata in quel mondo…»

Kageyama le accarezzò la testa.

«Stai tranquilla, non permetterò che accada. Se inizia a succedere qualcosa ti sveglierò immediatamente.»

L’uomo si alzò dal divano e le porse la mano.

«Dai, andiamo. Ti si chiudono gli occhi e domani è il mio turno di raccontarti un po’ di cose…»

Reiji ridacchiò.

«In fondo hai solo quarant’anni di storia da recuperare.»

Confortata da quelle parole, Cassandra tornò a sorridere.

«Va bene, mi affido a te allora…»

>Inazuma-cho, caffetteria universitaria, 4 agosto, 07:34 am

«Oh andiamo, smettetela di ridere, vi ho detto che è vero!»

Aléja guardò malissimo il suo amico Shane che, insieme al suo fidanzato Eiji, si stavano sbellicando dalle risate dopo aver sentito cosa aveva visto il giorno prima.

«Un millepiedi gigante che passa per la strada al posto dell’autobus e che hai visto solo tu? Andiamo Al, è assurdo!»

«Non era un millepiedi Shane, era qualcosa di peggio!»

Dal bar si sentì chiamare un numero ed Eiji si alzò dal suo posto per andare a prendere il loro ordine.

«Meno canne amico mio, meno canne.»

Saez mostrò un bel dito medio all’amico, anche se questo era di spalle e non poteva vederlo.

«‘Fanculo Maekawa, vi ho detto che ho dato un tiro UNA sola volta!»

Il russo odiava quando i due fidanzati si spalleggiavano in quel modo, quasi quanto la loro abitudine di tubare sottovoce tagliandosi fuori dai discorsi del loro gruppo di amici. Certo, era molto felice che Shane, di solito introverso ed indifferente, avesse trovato qualcuno che lo smuovesse un po’, ma quando i due si alleavano contro qualcosa o qualcuno anche per scherzo erano insopportabili. Aléja però non poteva dar loro torto: se fosse stato nei loro panni neanche lui avrebbe creduto ad una storia del genere. Poco dopo Eiji tornò, consegnando a ciascuno il proprio ordine.

«Comunque sicuro che non sia stato uno scherzo dello stress? Forse dovresti andare a casa a risposarti, questo esame ti sta davvero spompando.»

«No ragazzi, non era un’allucinazione, era reale! Potevo sentire perfettamente il suono delle sue… Cose che fungevano da zampe sbattere contro l’asfalto, ho sentito lo spostamento d’aria che ha provocato, ho anche visto i vestiti e i capelli degli altri muoversi a causa di quell’aria, ma oltre me nessuno si è accorto di niente!»

Shane iniziò a prendere sul serio quella faccenda: certo, non credeva al mostro che passeggiava tranquillamente per strada, ma il suo amico era fermamente convinto di aver visto qualcosa del genere, quindi qualcosa non andava con lui.

«Non avevi mangiato niente di strano prima?»

«No.»

«Non hai preso medicinali scaduti.»

«Non prendo medicinali da tipo un mese!»

«Provato roba strana?»

«Dio santo Shane, non ero fatto!»

L’americano iniziò a preoccuparsi: se Aléja non aveva preso niente che potesse provocare allucinazioni forse quello era un sintomo di qualche malattia neurologica e la cosa non gli piaceva per niente. Shane stava ripassando mentalmente le malattie che conosceva e che potevano provocare allucinazioni quando il suo fidanzato gli tirò una gomitata per attirare la sua attenzione.

«Shane, lo vedi anche tu quello?»

Il ragazzo alzò lo sguardo per osservare il punto indicato da Eiji: su uno dei grattacieli che si vedevano dalla vetrata c’era una grande figura nera arrampicata come una lucertola. Era abbastanza lontana, quindi non riusciva a vedere bene i dettagli, ma quella creatura sembrava avere un aspetto umano.

«Che è quella roba?»

Aléja, che si era girato anche lui per osservare quel mostro, tirò per la manica uno studente che gli era appena passato vicino e gli indico il palazzo.

«Ehi, vedi niente di strano lì?»

Lo studente guardò tranquillo in direzione della figura, poi fece segno di no.

«No, mi sembra tutto apposto.»

Il russo strinse le spalle.

«A me sembrava che il vetro fosse crepato… Va beh, sarà stata una mia impressione, meglio così.»

Eiji e Shane si guardarono increduli, poi tornarono a guardare la creatura e, con loro sommo orrore, notarono che questa aveva girato la testa a 180° e stava fissando nella loro direzione con i suoi grandi e luminosi occhi rossi. Allarmati da questa cosa, i due scattarono in piedi quasi simultaneamente, imitati subito dopo da Aléja.

«Andiamocene, subito

Dopo aver recuperato le loro borse, i tre si avviarono a passo veloce verso le loro classi.

«Cosa era quel mostro?!»

«Oh, non lo so, sicuro di non essere fatto?»

La coppietta fulminò con lo sguardo Aléja che si stava prendendo la sua rivincita, ma quando quest’ultimo si bloccò di colpo tornarono a guardare davanti a loro e rimasero sgomenti nel vedere la finestra immersa in un bagliore rosso. Quando quel bagliore si trasformò in pura oscurità per un secondo i ragazzi non ebbero più dubbi: quello era un occhio della creatura di prima.

>Inazuma-cho, zona ovest, 4 agosto, 10:45 am

Matt osservava con noncuranza la creatura fuori dalla sua finestra: era una delle allucinazioni più strane che aveva avuto di recente, si trattava dell’enorme testa di una persona decisamente brutta, come quelle streghe delle favole che gli venivano raccontate da piccolo. Il naso arcigno e verrucoso, pieno di rughe e con i capelli sporchi e scompigliati, ma la cosa più strana di quel volto erano gli occhi: erano quattro, piccolissimi, rossi e luminosi. Il ragazzo iniziò a chiedersi se poteva esistere dell’LSD più scadente di quella che aveva comprato la sera prima, quando sentì la porta di casa aprirsi.

«Ehi Matt, sei in casa?»

Il biondo si accigliò e si alzò dall’angolino della stanza dove si era addormentato la sera precedente.

«Fudou, che ci fai qui? Non dovresti essere a quelle lezioni supplementari a scuola?»

«Oh, allora sei a casa sul serio.»

Il giovane teppista gettò sul tavolo le chiavi che aveva usato per aprire la porta e si diresse subito al frigo, come se fosse a casa sua.

«Non avevo voglia di andarci, e tu? Non dovresti essere al lavoro?»

Matt si morse le labbra e non rispose.

«Oh, non me lo dire. Ti sei fatto licenziare un’altra volta…»

«Non me la sentivo di truffare le persone in quel modo…»

Akio sospirò, aprendosi una lattina che aveva trovato in frigo.

«Di nuovo. Che ti trovo a fare un lavoro se lo perdi nel giro di una settimana?»

Il biondo si sentiva davvero in colpa: Fudou si impegnava a trovargli una occupazione, anche se di dubbia legalità, e lui lo ripagava spendendo quel poco che guadagnava in droghe. Il più piccolo sbuffò, agitando una mano per farsi aria.

«Qua dentro si soffoca, non puoi aprire la finestra?»

Matt lanciò un’occhiata veloce alla testa che si era spostata per continuare a guardarlo: era sicuro che quella fosse solo un’allucinazione, ma si sentiva comunque a disagio nel sapere che quella cosa era libera di entrare in casa.

«…È rotta.»

Il teppista sbuffò nuovamente.

«Che palle… Va beh, allora approfittiamone ed andiamo a comprarci qualcosa di fresco al mini-market qui sotto.»

Con un ghigno fiero, Akio tirò fuori un portafogli gonfio e lo mostrò all’amico, che lo guardò male.

«Fudou, hai derubato di nuovo qualcuno?!»
Con
fare innocente, il ragazzino aprì il portafoglio ed iniziò ad esaminarne il contenuto.

«Non è colpa mia, quel pallone gonfiato lo teneva in bella vista nella tasca di dietro del suo pantalone, era un invito a fregarglielo.»

Matt scosse la testa sconsolato: voleva davvero bene ad Akio, lo aveva aiutato parecchio in quegli ultimi mesi e per lui ormai era diventato come un fratellino, ma proprio non sopportava quel suo fare da criminale. Purtroppo però, il biondo non riusciva proprio a dissuaderlo dal commettere furti e stringere patti ed amicizie con individui poco raccomandabili.

«Dai, non fare così. Oggi offro tutto io, ti riempio il frigo e pensiamo a trovarti un nuovo lavoro. Sai, ho iniziato a fare dei servizietti per un pezzo grosso, magari lui può procurarti un posto di poco conto ma di cui non ti potrai lamentare.»

Lo svedese fece una smorfia: non credeva che qualcuno delle conoscenze di Fudou riuscisse a procurargli un lavoro onesto, ma alla fine tentare non nuoceva a nessuno. Lanciò poi un’altra occhiata alla finestra e vide che il mostro di prima era scomparso. Sollevato dalla cosa, andò a recuperare chiavi e portafogli, mentre il teppista finiva la sua bibita e lanciava con noncuranza la lattina vuota sul pavimento.

«Datti una mossa Matt, se rimango in questo forno un secondo di più ci rimango secco.»

Il biondo sospirò, poi aprì la porta al più piccolo.

«Andiamo. Quando ti metti a frignare così sembri proprio un bambino.»

Akio gli passò davanti esibendo un bel dito medio e si avviò verso l’ascensore del palazzo, mentre il suo amico si fermò un attimo a chiudere la porta dell’appartamento prima di seguirlo.

 

>Tokyo, courtyard hotel, 4 agosto, 2:34 pm

Noia. Quella che Andrea provava in quel momento era pura e semplice noia. Aveva finito l’ultimo libro che si era portata dietro dall’America, i suoi amici a Los Angeles in quel momento erano tutti a mangiare o a finire i loro compiti e suo padre non era ancora tornato dalla riunione di quella mattina. Ma la cosa peggiore di tutte era che aveva fame. Suo padre le aveva promesso di portarla in qualche posto carino per pranzo, ma non si era ancora fatto vivo. Andrea però era ormai abituata, quindi continuò a scorrere sul suo Iphone la mappa di Akihabara, segnandosi i posti da visitare quando finalmente suo padre si sarebbe deciso a portarla lì.

Sarebbe andata volentieri andata da sola a visitare quel quartiere, ma per arrivarci avrebbe dovuto prendere la metropolitana ed il solo pensiero la fece rabbrividire.

In quel momento sentì la porta della stanza aprirsi e si mise a sedere sul letto, speranzosa. Finalmente suo padre entrò in camera e poggiò con un sospiro di sollievo la sua borsa a terra, prima di sorridere alla figlia.

«Ehi Andrea, eccoti qui!»

La ragazza si alzò e andò ad abbracciare il genitore.

«Finalmente sei tornato. Andiamo a mangiare ora? Muoio di fame.»

«Ehi, quanta fretta! Fammi cambiare un attimo, poi andiamo a mangiare dove vuoi.»

L’americana era impaziente, ma in fondo suo padre aveva il diritto almeno di indossare qualcosa di più comodo, quindi decise di aspettare senza lamentarsi. Nel mentre si svestiva, l’uomo cercò di conversare con la figlia.

«Allora, cosa hai fatto stamattina?»

La castana strinse le spalle.

«Niente di che. Ho lavorato un po’ al computer, chiacchierato con i ragazzi a casa, finito di leggere il libro che mi hai regalato… Domani mi porti a visitare Akihabara

Il signor Cervini fece una smorfia.

«Scusa tesoro, per domani mi hanno fissato un’altra riunione importante…»

Andrea sospirò esasperata: quel quartiere era l’unica cosa che voleva visitare lì a Tokyo, ma suo padre continuava a rimandare la loro gita lì. Dopo essersi cambiato l’uomo andò a scompigliare i capelli alla figlia.

«Dai, non fare così, ho promesso che ti ci porto e ti ci porterò!»

La giovane fece un verso poco convinto, sperando che quella promessa venisse mantenuta il più presto possibile, poi iniziò a radunare le sue cose per uscire.

«A proposito… Dopodomani dovrei andare a parlare con un cliente in un quartiere residenziale parecchio lontano da qui e poi avrei il pomeriggio libero, vuoi venire con me? Certo, non sarà come visitare la città dell’elettricità, ma potremmo divertirci comunque.»

Andrea ci pensò un po’ su: certo, un quartiere residenziale non era la sua meta più ambita, ma sempre meglio che rimanere in albergo ad annoiarsi.

«Ok, ci sto. Ora andiamo per piacere? Mi mangio un cuscino se non ci sbrighiamo.»

Suo padre ridacchiò e prese la chiave magnetica della stanza.

«Va bene, va bene. Visto che ho parecchie cose da farmi perdonare che ne dici di andare a mangiare a quel KFC gigantesco vicino alla stazione?»

«Direi che è una splendida idea, approvata.»

>Inazuma-cho, cortile della Raimon, 4 agosto, 4:16 PM

Vespera era decisamente depressa e demoralizzata: essere l’unica studentessa della Raimon costretta a venire a scuola durante le vacanze estive per frequentare delle lezioni supplementari non faceva bene alla sua già fragile autostima. Avendo però studiato per tutta la vita privatamente con vari istruttori privati almeno era abituata a rimanere per lungo tempo sola con un insegnante. La scuola era stata anche molto gentile ad organizzare quelle lezioni speciali di giapponese solo per aiutarla, ma lei continuava a sentirsi un peso per tutti: in fondo viveva stabilmente in Giappone da un anno e mezzo, il fatto che non avesse ancora imparato perfettamente la lingua non era accettabile.

Mentre era immersa in questi mesti pensieri, le arrivò un pallone in testa. Il colpo non era stato molto forte e la rossa prese in mano la sfera, prendendosi un colpo vedendo che, dalla stessa direzione da cui era arrivata la palla, stava venendo verso di lei un ragazzo in divisa sportiva.

«Scusami, ti sei fatta male?»

Il giovane sconosciuto era molto alto e magrissimo, carnagione scura e capelli di uno strano azzurro tagliati a spazzola.  Sorrideva, ma Vespera si sentiva comunque intimidita dal suo aspetto, forse a causa del fatto che il ragazzo era molto snello, cosa che le faceva gravare ancora di più i suoi problemi di peso.

«Cosa c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?»

Andando un po’ nel panico di fronte a quell’insistenza, l’australiana porse il pallone al ragazzo e chiuse gli occhi.

«S-Sorry, I don’t speak japanese

Che cosa stupida che aveva detto, pensò Vespera, in fondo il giapponese lo sapeva parlare, aveva anche capito il ragazzo, l’ansia però le giocava spesso quei brutti scherzi.

«…Oh! Parli inglese! Ti sei trasferita qui da poco? Da dove vieni?»

La rossa riaprì gli occhi, stupita: il giovane aveva appena parlato in un inglese perfetto, senza sbagliare nemmeno una pronuncia.

«D-Da Melbourne…»

«Australiana? Cool! I miei sono giapponesi, ma ho vissuto in negli States praticamente per tutta la vita, mi sono trasferito qui poco più di un anno fa!»

Vespera si sentì sollevata come non mai: aveva finalmente trovato qualcuno che poteva capirla. Ma prima che potesse dire qualcos’altro al ragazzo, qualcuno dal campo da calcio lo chiamò.

«Ehi Domon, sbrigati con quella palla!»

Rispondendo all’appello, il calciatore riprese la palla dalle mani della rossa e si riavviò verso il campo.

«Scusa, devo andare! Ci si becca in giro, ciao!»

Vespera rimase a guardarlo mentre tornava a giocare con i suoi compagni, riflettendo sul da farsi: voleva davvero tanto fare amicizia con quel ragazzo, però in quel momento era con un sacco di altre persone e non sapeva se era il caso di avvicinarsi o meno. Però alla fine doveva provare, tanto ormai le lezioni erano finite e, se qualcosa andava storto, poteva sempre scappare verso casa. Timidamente, la giovane si avvicinò al campo di calcio e rimase sorpresa nel vedere giocatori con ogni tipo di corporatura affannarsi allo stesso modo e senza riserve, c’era anche un difensore anche più grosso di lei! L’australiana era tanto rapita da quella scena di non accorgersi di essersi avvicinata troppo alla panchina a bordocampo, o almeno non se ne accorse fino a quando una fanciulla dai capelli verde scuro non le rivolse la parola.

«Ciao, sei interessata alla squadra?»

La rossa sussultò, colta alla sprovvista, e non seppe nuovamente cosa dire.

«Parlale in inglese Aki, penso si trovi più a suo agio.»

Ad esprimersi era stato il ragazzo di poco prima, che sorrise nuovamente a Vespera prima di intercettare una palla.

«Oh, sei una studentessa straniera? Come ti chiami? Io sono Aki Kino, piacere di conoscerti!»

Un’altra persona che parlava benissimo in inglese, all’australiana quello sembrava un sogno.

«Vespera Jasper, piacere mio…»

«Ti sei trasferita qui da poco?»

«Un anno e mezzo…»

«Oh! Beh, il giapponese è una lingua complessa, è normale non capirla ancora del tutto!»

Da dietro le spalle di Aki fece capolino una ragazza dai capelli blu.

«Vuoi diventare una manager del club di calcio?»

Imbarazzata dall’audacia della compagna, Aki si girò verso di lei con aria di rimprovero.

«Otonashi-san!»

Vespera lasciò che le due ragazze discutessero un po’ tra loro. Lei non era una tipa sportiva, però magari quello era un buon modo per fare amicizia con qualcuno.

«S-Sarebbe una cosa molto carina…»

 

>Inazuma-cho, ospedale centrale, 4 agosto, 6:59 PM

«Sei molto gentile a venirmi a trovare durante le vacanze estive, non deve essere il massimo del divertimento venire ogni giorno in ospedale…»

Malia fece cenno di no, scuotendo senza volerlo i suoi lunghi capelli castani.

«No, mi fa piacere venirti a trovare, Genda-san.»

Il ragazzo le sorrise, poi riprese il bento che la giovane gli aveva portato. Era ormai un’intera settimana che il portiere della Teikoku, insieme al resto della sua squadra, era ricoverato all’ospedale dopo la disastrosa sconfitta contro la Zeus e Malia era venuto a trovarlo ogni giorno. Era ormai più di un anno che la castana si era presa una cotta per il ragazzo, dopo averlo visto giocare in televisione, e da allora aveva iniziato ad appassionarsi al calcio e a seguire tutte le partite della Teikoku. Ci era rimasta un po’ male quando la squadra aveva perso la finale regionale del Football Frontier, ma non era minimamente paragonabile al terrore che aveva provato vedendo i ragazzi massacrati da una squadra sconosciuta e senza scrupoli. Da allora la ragazza aveva deciso di farsi avanti e smetterla di osservarlo solo dagli spalti, in modo da poterlo conoscere meglio e proteggerlo da chi gli voleva fare del male. Perché sì, era convinta che quello della Zeus non era stato un incidente e che qualcuno stesse cercando di fare del male e Genda ed i suoi compagni, ma se qualcuno intendeva ferirlo un’altra volta se la sarebbe vista con lei. Le sue compagne intanto la prendevano in giro per questo suo interesse in un ragazzo che andava ancora alle medie, ma la diciassettenne non ci faceva caso: era testarda, non sarebbero state certo le risatine di quattro oche a farle dimenticare i suoi sentimenti.

Genda si era dimostrato un ragazzo educato e gentile, a Malia piaceva sempre di più ed era decisa a chiedergli un appuntamento prima della sua dimissione, ma per quello c’era tempo: il portiere aveva ancora un mese da passare in ospedale, non c’era bisogno di affrettare le cose. Intanto la castana si godeva le loro chiacchierate, le piaceva portargli da mangiare e raccontargli l’andamento del Football Frontier, anche se non lo dava molto a vedere.

Quel giorno però era turbata, cosa che Genda non faticò a notare.

«Malia-san, va tutto bene?»

La ragazza si ridestò dai suoi pensieri.

«Sì, va tutto bene.»

Un sogno. Quello a cui stava pensando era il sogno fatto la sera precedente, in cui delle figure nere dagli occhi rossi attraversavano in massa un vortice azzurro, osservate da un uomo che sorrideva in maniera maligna. Non le piaceva per niente.

«Sicura? Oggi sei così pensierosa…»

Malia abbozzò un sorriso per tranquillizzarlo.

«Ripensavo a qualcosa di sciocco, niente che debba allarmarti. Tu ora hai bisogno di riposo e serenità.»

Già, quello della sera prima era solo uno strano incubo, niente di tanto importante da distrarla dal piccolo sogno d’amore che si stava pian piano costruendo.

 

O almeno, così pensava.

 

 

××××××××××××××××××××

 

Guess who’s back, back again

Lau is back, tell a friend.

Sì ok faccio la seria. Allora… Terzo capitolo, finalmente! Poco più di 4500 parole, più vado avanti più sforno roba lunga, spero non sia pesante da leggere—

Comunque avrete notato che ho aggiunto le date. Già, non aveva senso senza di quelle, ora funziona molto meglio. Il capitolo precedente è tutto ambientato il tre Agosto, giusto per puntualizzare.

Ho fatto comparire tutti gli OC non comparsi nello scorso capitolo, spero di averli resi bene. Mi scuso con Vegetable_Tommie e Marina Swift visto che le loro parti sono un po’ più corte delle altre, ma i vostri OC avranno più spazio in seguito. Col prossimo capitolo si inizia con un po’ di azione, yay! (E prometto di lasciar Cass fuori per un po’)

Intanto godetevi questo capitolo.

Ci si sente presto,

Lau

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Strawbana