3. Red Lights and Beautiful Dreams
>
Inazuma-cho, casa Kageyama, 3 agosto, 11:12 PM
Dopo
lo stupore iniziale, Kageyama fu preso da una grande rabbia.
«No, no, NO! Lei è morta, non puoi
essere vero! Chi sei tu, cosa sei tu?»
Spaventata da quella reazione tanto
violenta ed inaspettata, Cassandra arretrò di un passo.
«L-Lo so che è strano da credere, ma ti
prego di ascoltarmi!»
Ignorando completamente le parole della
ragazza, l’uomo la prese per un polso, cercando di trovare un punto debole in
quello che lui credeva un travestimento.
«Non sembra una maschera e non vedo
cicatrici da chirurgia estetica… Chi si è preso il disturbo di trovare un sosia
e mandarlo da me?! Dimmi per chi lavori!»
Come risposta la castana mise la mano
libera in faccia all’uomo, cercando di allontanarlo.
«Kageyama, calmati ed ascoltami, per
piacere!»
Irritato all’inverosimile da quel
gesto, Reiji scostò bruscamente la mano della giovane dalla sua faccia e le
afferrò anche l’altro polso. C’erano poche cose al mondo in grado di far
perdere in quel modo all’uomo la sua solita compostezza, ma l’idea che qualcuno
stesse cercando di giocare con dei sentimenti che aveva a lungo cercato di
dimenticare lo faceva davvero infuriare.
Cassandra in quel momento era davvero
spaventata: certo, si aspettava una reazione incredula, anche brusca, ma non
una così aggressiva. Cercando di mantenere la calma, la ragazza fece quello che
faceva sempre quando qualcuno non la ascoltava: prese una bella boccata d’aria
e poi emise un urlo acutissimo e prolungato. Stordito da quel suono, Kageyama
lasciò i polsi della castana per potersi tappare le orecchie e chiuse gli occhi.
Era incredulo: ricordava bene il suono di quell’urlo, più volte da giovane
aveva chiesto alla sua fidanzata di gridare in quel modo per spaventare
qualcuno che gli stava poco simpatico e divertirsi un poco, un suono del genere
era difficile da imitare, soprattutto per chi non l’aveva mai sentito. Una
volta che la giovane smise di strillare, Reiji riaprì gli occhi e sentì una
stretta al cuore guardando quelli pieni di lacrime di Cassandra.
«L-Lo so che è difficile da credere,
neanche io riesco a farmene una ragione, ma sono viva. Ho freddo, ho fame, sono
tutte cose che non provo da tantissimo tempo, ma sono cose che mi fanno capire
di essere viva. Reiji… Ascoltami, ti prego, non ho nessun altro a cui chiedere
aiuto…»
L’uomo si morse le labbra: avrebbe
voluto davvero credere alla ragazza, più la guardava e più sentiva la sua voce
più si convinceva che era la fidanzata che aveva perso tanti anni prima, ma
continuava a temere che quello fosse tutto un inganno.
«Come faccio… Come faccio a sapere che
sei davvero tu?»
La castana rimase senza parole: quella
posta da Kageyama era una domanda più che legittima, ma come poteva dimostrargli
di essere la stessa ragazza di quarant’anni prima? Si prese un attimo per
riflettere, poi venne fulminata da un’idea.
«Tua madre ti ha confezionato un
pinguino di peluches quando sei nato, lo conservavi
sotto il tuo letto! Un pomeriggio mentre studiavamo insieme l’ho trovato per
caso, tu per l’imbarazzo ti sei chiuso in bagno ed ho impiegato circa due ore
per convincerti ad uscire da lì!»
Reiji avvampò, imbarazzato dal ricordo
e dal fatto che la domestica che l’aveva chiamato prima e che era rimasta lì tutto
il tempo avesse sentito. Coprendosi il volto con una mano, l’allenatore fece un
cenno alla donna di allontanarsi.
«Vai a prendere qualcosa per permettere
a questa ragazza di asciugarsi e cerca un cambio di vestiti che le possa
andare.»
Una volta che la domestica se ne fu
andata, Kageyama tornò a posare il suo sguardo su Cassandra, che lo guardava
speranzosa.
«Solo tu potevi scegliere di raccontare
qualcosa di tanto imbarazzante per farti riconoscere…»
Felice di essersi finalmente guadagnata
la fiducia del suo vecchio fidanzato, la castana non riuscì a trattenere un
sorriso.
«Beh, era l’unica cosa che certamente
non conosceva nessuno oltre noi due, io non l’ho mai detto a nessuno come ti
avevo promesso!»
Quel sorriso scaldò il cuore di Reiji,
che non poté fare a meno di imitare la ragazza.
«Vieni dentro, devi raccontarmi tante
cose…»
>Inazuma-cho,
casa Kageyama, 4 agosto, 00:27 AM
Kageyama
sospirò per l’ennesima volta quella sera: con un po’ di fatica e prendendo in
prestito qualche vestito dal cambio della domestica, era riuscito a mettere
insieme qualcosa da far indossare alla sua ospite mentre ciò che indossava
prima si asciugava. Le aveva fatto preparare da mangiare e nel frattempo la
ragazza gli aveva raccontato la sua storia. L’uomo trovava incredibile che la
castana fosse rimasta per tutti quegli anni in quello che lei definiva il mondo
dei sogni e che ne fosse uscita tramite uno strano portale. Tutta quella storia
suonava assurda e impossibile, ma anche la sola presenza di Cassandra seduta al
suo fianco era impossibile, quindi aveva deciso di accettare la vicenda così
come gli era stata esposta. Nel mentre raccontava, la castana gli aveva più
volte dato prova di essere la stessa di quarant’anni prima: conosceva cose che
solo loro potevano sapere, ricordava un sacco di eventi che Reiji stesso aveva
iniziato a dimenticare e, cosa più importante di tutte, si comportava
esattamente come la ragazza di cui Kageyama si era innamorato quarant’anni
prima. L’uomo sorrise, osservando la sua ospite sorseggiare la tisana che le
aveva fatto preparare, e le accarezzò una guancia.
«Non sei cambiata di una virgola…»
Cassandra lo squadrò e poi sorrise
divertita.
«Beh, scusa se il treno della pubertà
non passa nel mondo dei sogni!»
Reiji non capì al volo la battuta.
«Treno della pubertà…?»
La castana ridacchiò, un po’ a disagio.
«Beh, perché da come sei cresciuto
sembra che non sei stato tu a raggiungere la pubertà, è stata lei ad investirti
e a passarti sopra un paio di volte!»
La risata della ragazza morì piano
piano, lasciando il posto ad un silenzio imbarazzante. Si diede mentalmente
della stupida: come le veniva in mente di fare una battuta del genere in quel
momento? Doveva abituarsi all’idea che Kageyama aveva quarant’anni in più di
lei ormai, non poteva lasciarsi andare a spiritosaggini del genere, soprattutto
perché non sapeva se l’uomo avesse fosse impegnato con qualcun altro, non era
più il suo fidanzatino.
«Sono cambiato molto, vero?»
Reiji aveva un sorriso amaro dipinto
sul volto: da giovane era sempre insicuro del suo aspetto, un disagio che era
andato affievolendosi col passare degli anni senza però scomparire mai del
tutto. Ma quello a cui si riferiva principalmente l’uomo era ciò che aveva
fatto nei passati quarant’anni. Aveva compiuto a sangue freddo diversi crimini,
infischiandosene della vita di tutti quelli intorno a lui, non era più il
ragazzino che al massimo faceva a botte con i suoi compagni di scuola o
rispondeva male agli adulti. Chissà se Cassandra avvertiva quel suo
cambiamento, di sicuro se avesse scoperto quello che aveva fatto lo avrebbe
lasciato, e Kageyama non voleva correre quel rischio. Non voleva perderla di
nuovo, non dopo che era miracolosamente tornata da lui.
Cassandra si rattristò nel vedere Reiji
così amareggiato e lo abbracciò, facendolo sussultare.
-Sì, sei cambiato. Sei cresciuto e
dall’essere un bel ragazzo sei diventato un bell’uomo. Va bene così, non c’è
nulla di sbagliato! Sei maturato, o a quest’ora ti staresti già lamentando per
l’imbarazzo, e dalla casa che ti ritrovi direi che te la sei cavata bene anche
nel mondo del lavoro. Sono felice di vedere che la tua vita sta andando bene…
L’uomo sorrise appena e ricambio
l’abbraccio. Era strano, Cassandra era tanto piccola fisicamente in confronto a
lui, ma un suo abbraccio lo rassicurava più di un esercito pronto a
proteggerlo. Era stata una particolarità che la ragazza aveva sempre posseduto,
gli era mancata molto la calma che riusciva a regalargli, ma questo Kageyama
non l’avrebbe mai ammesso. Dopo un po’ la castana si separò dall’abbraccio e
sbadigliò.
«Sei stanca? Hai avuto una giornata
intensa dopotutto… Andiamo a dormire?»
Cassandra rabbrividì e sorrise a Reiji,
cercando di sembrare sicura di sé.
«Oh no, potrei andare avanti a parlare
per tutta la notte!»
L’allenatore la guardò facendo una
smorfia poco convinta.
«Non sei mai stata brava a mentire.»
Il sorriso della ragazza si spense
mentre lei si raggomitolava su sé stessa, ginocchia strette al petto e sguardo
perso nel vuoto.
«Ho paura che se mi addormento rimarrò
di nuovo intrappolata in quel mondo…»
Kageyama le accarezzò la testa.
«Stai tranquilla, non permetterò che
accada. Se inizia a succedere qualcosa ti sveglierò immediatamente.»
L’uomo si alzò dal divano e le porse la
mano.
«Dai, andiamo. Ti si chiudono gli occhi
e domani è il mio turno di raccontarti un po’ di cose…»
Reiji ridacchiò.
«In fondo hai solo quarant’anni di
storia da recuperare.»
Confortata da quelle parole, Cassandra
tornò a sorridere.
«Va bene, mi affido a te allora…»
>Inazuma-cho, caffetteria universitaria, 4 agosto, 07:34 am
«Oh
andiamo, smettetela di ridere, vi ho detto che è vero!»
Aléja guardò malissimo il suo amico
Shane che, insieme al suo fidanzato Eiji, si stavano
sbellicando dalle risate dopo aver sentito cosa aveva visto il giorno prima.
«Un millepiedi gigante che passa per la
strada al posto dell’autobus e che hai visto solo tu? Andiamo Al, è assurdo!»
«Non era un millepiedi Shane, era
qualcosa di peggio!»
Dal bar si sentì chiamare un numero ed Eiji si alzò dal suo posto per andare a prendere il loro
ordine.
«Meno canne amico mio, meno canne.»
Saez mostrò un bel dito medio all’amico,
anche se questo era di spalle e non poteva vederlo.
«‘Fanculo Maekawa,
vi ho detto che ho dato un tiro UNA sola volta!»
Il russo odiava quando i due fidanzati
si spalleggiavano in quel modo, quasi quanto la loro abitudine di tubare
sottovoce tagliandosi fuori dai discorsi del loro gruppo di amici. Certo, era
molto felice che Shane, di solito introverso ed indifferente, avesse trovato
qualcuno che lo smuovesse un po’, ma quando i due si alleavano contro qualcosa
o qualcuno anche per scherzo erano insopportabili. Aléja però non poteva dar
loro torto: se fosse stato nei loro panni neanche lui avrebbe creduto ad una
storia del genere. Poco dopo Eiji tornò, consegnando
a ciascuno il proprio ordine.
«Comunque sicuro che non sia stato uno
scherzo dello stress? Forse dovresti andare a casa a risposarti, questo esame
ti sta davvero spompando.»
«No ragazzi, non era un’allucinazione,
era reale! Potevo sentire
perfettamente il suono delle sue… Cose che fungevano da zampe sbattere contro
l’asfalto, ho sentito lo spostamento d’aria che ha provocato, ho anche visto i
vestiti e i capelli degli altri muoversi a causa di quell’aria, ma oltre me
nessuno si è accorto di niente!»
Shane iniziò a prendere sul serio
quella faccenda: certo, non credeva al mostro che passeggiava tranquillamente
per strada, ma il suo amico era fermamente convinto di aver visto qualcosa del genere,
quindi qualcosa non andava con lui.
«Non avevi mangiato niente di strano
prima?»
«No.»
«Non hai preso medicinali scaduti.»
«Non prendo medicinali da tipo un mese!»
«Provato roba strana?»
«Dio santo Shane, non ero fatto!»
L’americano iniziò a preoccuparsi: se
Aléja non aveva preso niente che potesse provocare allucinazioni forse quello
era un sintomo di qualche malattia neurologica e la cosa non gli piaceva per
niente. Shane stava ripassando mentalmente le malattie che conosceva e che
potevano provocare allucinazioni quando il suo fidanzato gli tirò una gomitata
per attirare la sua attenzione.
«Shane, lo vedi anche tu quello?»
Il ragazzo alzò lo sguardo per
osservare il punto indicato da Eiji: su uno dei
grattacieli che si vedevano dalla vetrata c’era una grande figura nera
arrampicata come una lucertola. Era abbastanza lontana, quindi non riusciva a
vedere bene i dettagli, ma quella creatura sembrava avere un aspetto umano.
«Che è quella roba?»
Aléja, che si era girato anche lui per
osservare quel mostro, tirò per la manica uno studente che gli era appena
passato vicino e gli indico il palazzo.
«Ehi, vedi niente di strano lì?»
Lo studente guardò tranquillo in
direzione della figura, poi fece segno di no.
«No, mi sembra tutto apposto.»
Il russo strinse le spalle.
«A me sembrava che il vetro fosse
crepato… Va beh, sarà stata una mia impressione, meglio così.»
Eiji e Shane si guardarono increduli, poi
tornarono a guardare la creatura e, con loro sommo orrore, notarono che questa
aveva girato la testa a 180° e stava fissando nella loro direzione con i suoi
grandi e luminosi occhi rossi. Allarmati da questa cosa, i due scattarono in
piedi quasi simultaneamente, imitati subito dopo da Aléja.
«Andiamocene, subito!»
Dopo aver recuperato le loro borse, i
tre si avviarono a passo veloce verso le loro classi.
«Cosa era quel mostro?!»
«Oh, non lo so, sicuro di non essere
fatto?»
La coppietta fulminò con lo sguardo
Aléja che si stava prendendo la sua rivincita, ma quando quest’ultimo si bloccò
di colpo tornarono a guardare davanti a loro e rimasero sgomenti nel vedere la
finestra immersa in un bagliore rosso. Quando quel bagliore si trasformò in
pura oscurità per un secondo i ragazzi non ebbero più dubbi: quello era un
occhio della creatura di prima.
>Inazuma-cho,
zona ovest, 4 agosto, 10:45 am
Matt osservava con noncuranza la
creatura fuori dalla sua finestra: era una delle allucinazioni più strane che
aveva avuto di recente, si trattava dell’enorme testa di una persona
decisamente brutta, come quelle streghe delle favole che gli venivano
raccontate da piccolo. Il naso arcigno e verrucoso, pieno di rughe e con i
capelli sporchi e scompigliati, ma la cosa più strana di quel volto erano gli
occhi: erano quattro, piccolissimi, rossi e luminosi. Il ragazzo iniziò a
chiedersi se poteva esistere dell’LSD più scadente di quella che aveva comprato
la sera prima, quando sentì la porta di casa aprirsi.
«Ehi Matt, sei in casa?»
Il biondo si accigliò e si alzò
dall’angolino della stanza dove si era addormentato la sera precedente.
«Fudou, che ci fai qui? Non dovresti
essere a quelle lezioni supplementari a scuola?»
«Oh, allora sei a casa sul serio.»
Il giovane teppista gettò sul tavolo le
chiavi che aveva usato per aprire la porta e si diresse subito al frigo, come
se fosse a casa sua.
«Non avevo voglia di andarci, e tu? Non
dovresti essere al lavoro?»
Matt si morse le labbra e non rispose.
«Oh, non me lo dire. Ti sei fatto
licenziare un’altra volta…»
«Non me la sentivo di truffare le
persone in quel modo…»
Akio sospirò, aprendosi una lattina che
aveva trovato in frigo.
«Di nuovo. Che ti trovo a fare un
lavoro se lo perdi nel giro di una settimana?»
Il biondo si sentiva davvero in colpa:
Fudou si impegnava a trovargli una occupazione, anche se di dubbia legalità, e
lui lo ripagava spendendo quel poco che guadagnava in droghe. Il più piccolo
sbuffò, agitando una mano per farsi aria.
«Qua dentro si soffoca, non puoi aprire
la finestra?»
Matt lanciò un’occhiata veloce alla
testa che si era spostata per continuare a guardarlo: era sicuro che quella fosse
solo un’allucinazione, ma si sentiva comunque a disagio nel sapere che quella
cosa era libera di entrare in casa.
«…È rotta.»
Il teppista sbuffò nuovamente.
«Che palle… Va beh, allora
approfittiamone ed andiamo a comprarci qualcosa di fresco al mini-market qui
sotto.»
Con un ghigno fiero, Akio tirò fuori un
portafogli gonfio e lo mostrò all’amico, che lo guardò male.
«Fudou, hai derubato di nuovo qualcuno?!»
Con fare innocente, il ragazzino aprì il portafoglio ed iniziò ad
esaminarne il contenuto.
«Non è colpa mia, quel pallone gonfiato
lo teneva in bella vista nella tasca di dietro del suo pantalone, era un invito
a fregarglielo.»
Matt scosse la testa sconsolato: voleva
davvero bene ad Akio, lo aveva aiutato parecchio in quegli ultimi mesi e per
lui ormai era diventato come un fratellino, ma proprio non sopportava quel suo
fare da criminale. Purtroppo però, il biondo non riusciva proprio a dissuaderlo
dal commettere furti e stringere patti ed amicizie con individui poco
raccomandabili.
«Dai, non fare così. Oggi offro tutto
io, ti riempio il frigo e pensiamo a trovarti un nuovo lavoro. Sai, ho iniziato
a fare dei servizietti per un pezzo grosso, magari lui può procurarti un posto
di poco conto ma di cui non ti potrai lamentare.»
Lo svedese fece una smorfia: non
credeva che qualcuno delle conoscenze di Fudou riuscisse a procurargli un
lavoro onesto, ma alla fine tentare non nuoceva a nessuno. Lanciò poi un’altra
occhiata alla finestra e vide che il mostro di prima era scomparso. Sollevato
dalla cosa, andò a recuperare chiavi e portafogli, mentre il teppista finiva la
sua bibita e lanciava con noncuranza la lattina vuota sul pavimento.
«Datti una mossa Matt, se rimango in
questo forno un secondo di più ci rimango secco.»
Il biondo sospirò, poi aprì la porta al
più piccolo.
«Andiamo. Quando ti metti a frignare
così sembri proprio un bambino.»
Akio gli passò davanti esibendo un bel
dito medio e si avviò verso l’ascensore del palazzo, mentre il suo amico si
fermò un attimo a chiudere la porta dell’appartamento prima di seguirlo.
>Tokyo,
courtyard hotel, 4 agosto, 2:34 pm
Noia.
Quella che Andrea provava in quel momento era pura e semplice noia. Aveva
finito l’ultimo libro che si era portata dietro dall’America, i suoi amici a
Los Angeles in quel momento erano tutti a mangiare o a finire i loro compiti e
suo padre non era ancora tornato dalla riunione di quella mattina. Ma la cosa
peggiore di tutte era che aveva fame. Suo padre le aveva promesso di portarla
in qualche posto carino per pranzo, ma non si era ancora fatto vivo. Andrea
però era ormai abituata, quindi continuò a scorrere sul suo Iphone
la mappa di Akihabara, segnandosi i posti da visitare
quando finalmente suo padre si sarebbe deciso a portarla lì.
Sarebbe andata volentieri andata da
sola a visitare quel quartiere, ma per arrivarci avrebbe dovuto prendere la
metropolitana ed il solo pensiero la fece rabbrividire.
In quel momento sentì la porta della
stanza aprirsi e si mise a sedere sul letto, speranzosa. Finalmente suo padre
entrò in camera e poggiò con un sospiro di sollievo la sua borsa a terra, prima
di sorridere alla figlia.
«Ehi Andrea, eccoti qui!»
La ragazza si alzò e andò ad
abbracciare il genitore.
«Finalmente sei tornato. Andiamo a
mangiare ora? Muoio di fame.»
«Ehi, quanta fretta! Fammi cambiare un attimo,
poi andiamo a mangiare dove vuoi.»
L’americana era impaziente, ma in fondo
suo padre aveva il diritto almeno di indossare qualcosa di più comodo, quindi
decise di aspettare senza lamentarsi. Nel mentre si svestiva, l’uomo cercò di
conversare con la figlia.
«Allora, cosa hai fatto stamattina?»
La castana strinse le spalle.
«Niente di che. Ho lavorato un po’ al
computer, chiacchierato con i ragazzi a casa, finito di leggere il libro che mi
hai regalato… Domani mi porti a visitare Akihabara?»
Il signor Cervini fece una smorfia.
«Scusa tesoro, per domani mi hanno
fissato un’altra riunione importante…»
Andrea sospirò esasperata: quel
quartiere era l’unica cosa che voleva visitare lì a Tokyo, ma suo padre
continuava a rimandare la loro gita lì. Dopo essersi cambiato l’uomo andò a
scompigliare i capelli alla figlia.
«Dai, non fare così, ho promesso che ti
ci porto e ti ci porterò!»
La giovane fece un verso poco convinto,
sperando che quella promessa venisse mantenuta il più presto possibile, poi
iniziò a radunare le sue cose per uscire.
«A proposito… Dopodomani dovrei andare
a parlare con un cliente in un quartiere residenziale parecchio lontano da qui
e poi avrei il pomeriggio libero, vuoi venire con me? Certo, non sarà come
visitare la città dell’elettricità, ma potremmo divertirci comunque.»
Andrea ci pensò un po’ su: certo, un
quartiere residenziale non era la sua meta più ambita, ma sempre meglio che
rimanere in albergo ad annoiarsi.
«Ok, ci sto. Ora andiamo per piacere?
Mi mangio un cuscino se non ci sbrighiamo.»
Suo padre ridacchiò e prese la chiave
magnetica della stanza.
«Va bene, va bene. Visto che ho
parecchie cose da farmi perdonare che ne dici di andare a mangiare a quel KFC
gigantesco vicino alla stazione?»
«Direi che è una splendida idea,
approvata.»
>Inazuma-cho,
cortile della Raimon, 4 agosto, 4:16 PM
Vespera era decisamente depressa e
demoralizzata: essere l’unica studentessa della Raimon costretta a venire a
scuola durante le vacanze estive per frequentare delle lezioni supplementari
non faceva bene alla sua già fragile autostima. Avendo però studiato per tutta
la vita privatamente con vari istruttori privati almeno era abituata a rimanere
per lungo tempo sola con un insegnante. La scuola era stata anche molto gentile
ad organizzare quelle lezioni speciali di giapponese solo per aiutarla, ma lei
continuava a sentirsi un peso per tutti: in fondo viveva stabilmente in Giappone
da un anno e mezzo, il fatto che non avesse ancora imparato perfettamente la
lingua non era accettabile.
Mentre era immersa in questi mesti
pensieri, le arrivò un pallone in testa. Il colpo non era stato molto forte e
la rossa prese in mano la sfera, prendendosi un colpo vedendo che, dalla stessa
direzione da cui era arrivata la palla, stava venendo verso di lei un ragazzo
in divisa sportiva.
«Scusami, ti sei fatta male?»
Il giovane sconosciuto era molto alto e
magrissimo, carnagione scura e capelli di uno strano azzurro tagliati a
spazzola. Sorrideva, ma Vespera si
sentiva comunque intimidita dal suo aspetto, forse a causa del fatto che il
ragazzo era molto snello, cosa che le faceva gravare ancora di più i suoi
problemi di peso.
«Cosa c’è, il gatto ti ha mangiato la
lingua?»
Andando un po’ nel panico di fronte a
quell’insistenza, l’australiana porse il pallone al ragazzo e chiuse gli occhi.
«S-Sorry, I don’t speak japanese!»
Che cosa stupida che aveva detto, pensò
Vespera, in fondo il giapponese lo sapeva parlare, aveva anche capito il
ragazzo, l’ansia però le giocava spesso quei brutti scherzi.
«…Oh! Parli inglese! Ti sei trasferita
qui da poco? Da dove vieni?»
La rossa riaprì gli occhi, stupita: il
giovane aveva appena parlato in un inglese perfetto, senza sbagliare nemmeno
una pronuncia.
«D-Da Melbourne…»
«Australiana? Cool! I miei sono giapponesi, ma ho vissuto in negli States praticamente per tutta la vita, mi sono trasferito
qui poco più di un anno fa!»
Vespera si sentì sollevata come non
mai: aveva finalmente trovato qualcuno che poteva capirla. Ma prima che potesse
dire qualcos’altro al ragazzo, qualcuno dal campo da calcio lo chiamò.
«Ehi Domon,
sbrigati con quella palla!»
Rispondendo all’appello, il calciatore
riprese la palla dalle mani della rossa e si riavviò verso il campo.
«Scusa, devo andare! Ci si becca in
giro, ciao!»
Vespera rimase a guardarlo mentre
tornava a giocare con i suoi compagni, riflettendo sul da farsi: voleva davvero
tanto fare amicizia con quel ragazzo, però in quel momento era con un sacco di
altre persone e non sapeva se era il caso di avvicinarsi o meno. Però alla fine
doveva provare, tanto ormai le lezioni erano finite e, se qualcosa andava
storto, poteva sempre scappare verso casa. Timidamente, la giovane si avvicinò
al campo di calcio e rimase sorpresa nel vedere giocatori con ogni tipo di
corporatura affannarsi allo stesso modo e senza riserve, c’era anche un
difensore anche più grosso di lei! L’australiana era tanto rapita da quella
scena di non accorgersi di essersi avvicinata troppo alla panchina a
bordocampo, o almeno non se ne accorse fino a quando una fanciulla dai capelli verde
scuro non le rivolse la parola.
«Ciao, sei interessata alla squadra?»
La rossa sussultò, colta alla
sprovvista, e non seppe nuovamente cosa dire.
«Parlale in inglese Aki,
penso si trovi più a suo agio.»
Ad esprimersi era stato il ragazzo di
poco prima, che sorrise nuovamente a Vespera prima di intercettare una palla.
«Oh, sei una studentessa straniera? Come
ti chiami? Io sono Aki Kino, piacere di conoscerti!»
Un’altra persona che parlava benissimo
in inglese, all’australiana quello sembrava un sogno.
«Vespera Jasper, piacere mio…»
«Ti sei trasferita qui da poco?»
«Un anno e mezzo…»
«Oh! Beh, il giapponese è una lingua
complessa, è normale non capirla ancora del tutto!»
Da dietro le spalle di Aki fece capolino una ragazza dai capelli blu.
«Vuoi diventare una manager del club di
calcio?»
Imbarazzata dall’audacia della
compagna, Aki si girò verso di lei con aria di
rimprovero.
«Otonashi-san!»
Vespera lasciò che le due ragazze
discutessero un po’ tra loro. Lei non era una tipa sportiva, però magari quello
era un buon modo per fare amicizia con qualcuno.
«S-Sarebbe una cosa molto carina…»
>Inazuma-cho, ospedale centrale, 4 agosto, 6:59 PM
«Sei molto gentile a venirmi a trovare
durante le vacanze estive, non deve essere il massimo del divertimento venire
ogni giorno in ospedale…»
Malia fece cenno di no, scuotendo senza
volerlo i suoi lunghi capelli castani.
«No, mi fa piacere venirti a trovare, Genda-san.»
Il ragazzo le sorrise, poi riprese il bento che la giovane gli aveva portato. Era ormai un’intera
settimana che il portiere della Teikoku, insieme al
resto della sua squadra, era ricoverato all’ospedale dopo la disastrosa
sconfitta contro la Zeus e Malia era venuto a trovarlo ogni giorno. Era ormai
più di un anno che la castana si era presa una cotta per il ragazzo, dopo
averlo visto giocare in televisione, e da allora aveva iniziato ad
appassionarsi al calcio e a seguire tutte le partite della Teikoku.
Ci era rimasta un po’ male quando la squadra aveva perso la finale regionale
del Football Frontier, ma non era minimamente
paragonabile al terrore che aveva provato vedendo i ragazzi massacrati da una
squadra sconosciuta e senza scrupoli. Da allora la ragazza aveva deciso di
farsi avanti e smetterla di osservarlo solo dagli spalti, in modo da poterlo
conoscere meglio e proteggerlo da chi gli voleva fare del male. Perché sì, era
convinta che quello della Zeus non era stato un incidente e che qualcuno stesse
cercando di fare del male e Genda ed i suoi compagni,
ma se qualcuno intendeva ferirlo un’altra volta se la sarebbe vista con lei. Le
sue compagne intanto la prendevano in giro per questo suo interesse in un
ragazzo che andava ancora alle medie, ma la diciassettenne non ci faceva caso:
era testarda, non sarebbero state certo le risatine di quattro oche a farle
dimenticare i suoi sentimenti.
Genda si era dimostrato un ragazzo educato e
gentile, a Malia piaceva sempre di più ed era decisa a chiedergli un
appuntamento prima della sua dimissione, ma per quello c’era tempo: il portiere
aveva ancora un mese da passare in ospedale, non c’era bisogno di affrettare le
cose. Intanto la castana si godeva le loro chiacchierate, le piaceva portargli
da mangiare e raccontargli l’andamento del Football Frontier,
anche se non lo dava molto a vedere.
Quel giorno però era turbata, cosa che Genda non faticò a notare.
«Malia-san, va tutto bene?»
La ragazza si ridestò dai suoi
pensieri.
«Sì, va tutto bene.»
Un sogno. Quello a cui stava pensando
era il sogno fatto la sera precedente, in cui delle figure nere dagli occhi
rossi attraversavano in massa un vortice azzurro, osservate da un uomo che
sorrideva in maniera maligna. Non le piaceva per niente.
«Sicura? Oggi sei così pensierosa…»
Malia abbozzò un sorriso per
tranquillizzarlo.
«Ripensavo a qualcosa di sciocco,
niente che debba allarmarti. Tu ora hai bisogno di riposo e serenità.»
Già, quello della sera prima era solo
uno strano incubo, niente di tanto importante da distrarla dal piccolo sogno d’amore
che si stava pian piano costruendo.
O almeno, così pensava.
××××××××××××××××××××
Guess who’s back, back again
Lau is back, tell
a friend.
Sì ok faccio la seria. Allora… Terzo capitolo, finalmente! Poco
più di 4500 parole, più vado avanti più sforno roba lunga, spero non sia
pesante da leggere—
Comunque avrete notato che ho aggiunto le date. Già, non aveva
senso senza di quelle, ora funziona molto meglio. Il capitolo precedente è
tutto ambientato il tre Agosto, giusto per puntualizzare.
Ho fatto comparire tutti gli OC non comparsi nello scorso
capitolo, spero di averli resi bene. Mi scuso con Vegetable_Tommie
e Marina Swift visto che le loro parti sono un po’
più corte delle altre, ma i vostri OC avranno più spazio in seguito. Col
prossimo capitolo si inizia con un po’ di azione, yay!
(E prometto di lasciar Cass fuori per un po’)
Intanto godetevi questo capitolo.
Ci si sente presto,
Lau