Harry
Il ragazzo sentì un debole venticello sfiorargli il viso
pochi istanti prima di scendere dall’auto d’epoca che lo aveva trasportato fin
lì. Appena poggiò i piedi a terra alzò la testa, che fino a quel momento era
stata china, volse lo sguardo verso il molo e gli si presentò davanti uno
spettacolo che gli mozzò il fiato.
Guardò con meraviglia l’enorme translatantico davanti a lui,
i facchini che si davano un gran daffare nel trasportare gli enormi bagagli dei
passeggeri di prima classe (e questo lo fece sentire un po’ in colpa, essendo
uno di loro), gli addetti al controllo sanitario dei passeggeri di terza classe
che chiamavano a gran voce coloro che non si erano ancora fatti visitare e la
gente che affollava il porto di Southampton che salutava parenti e amici in
procinto di salire a bordo. Chiuse gli occhi e il vociare di tutte quelle
persone gli riempì le orecchie. Faceva sempre così quando voleva imprimere
qualcosa nella memoria: osservava e ascoltava attentamente.
Una voce familiare interruppe quel momento particolare.
«Harry! Sbrigati, dobbiamo imbarcarci», era Gemma, sua
sorella, che si trovava pochi metri più avanti di lui insieme ai loro parenti.
Anne e Dev Styles chiacchieravano animatamente con Ruth e Geoff Payne, i genitori
del fidanzato di Gemma. Avvicinandosi, Harry vide la sorella e Liam Payne
scambiarsi un bacio appassionato e con una smorfia di finto disgusto esclamò, «spero abbiate prenotato
una cabina solo per voi!», la coppia in tutta risposta, rise di gusto.
Il
gruppo ben presto arrivò nei pressi della nave e percorse la scalinata che
conduceva direttamente al settore dedicato ai passeggeri di prima classe; il
giovane cercò di percorrerla il più lentamente possibile, per potersi godere
tutto.
Salirono
a bordo, dove videro subito altra gente dell’alta società e nobili, tutti in
tiro come loro. Harry indossava un elegante completo scuro, con il colletto
bianco della camicia inamidato (il che gli creava qualche fastidio, ma ormai ci
era abituato) e Gemma un bellissimo abito color crema, decorato e lavorato
finemente, con un corpetto che le stringeva la vita e le risaltava il seno,
tipico di quel periodo. L’abbigliamento di Liam e degli adulti era molto
simile: completi per i signori e abiti con corsetti e sottogonne in avorio (quest'ultime solo per occasioni importanti) di
vario tipo per le signore, tutti realizzati con le migliori stoffe.
Naturalmente anche scarpe, trucco e accessori non erano da meno, tutto era
realizzato nel minimo dettaglio, tutto doveva essere perfetto.
Poco
dopo salutarono la famiglia Payne, quindi ognuna delle famiglie si recò alla
propria suite.
Quella
degli Styles era una delle più costose del Titanic, con un salotto enorme, un
bagno sontuoso e tre camere separate; i mobili erano pregiati e raffinati, la
maggior parte di essi erano lavorati a mano
ed erano praticamente identici a quelli che possiamo vedere in un museo
di antiquariato dei nostri tempi. La tappezzeria rispecchiava gli abiti dei signori
che popolavano quelle stanze, ovvero colorate, elaborate e della migliore
qualità che ci fosse in circolazione.
Appena
vi entrarono, seguiti dai facchini di bordo che trasportavano i pesanti
bagagli, Gemma si buttò di peso su un divanetto esclamando, «finalmente! Non ne potevo più, questo corsetto è strettissimo, quasi non
respiro». Il signor Styles le lanciò un’occhiataccia, replicando, «comportati come una persona a modo, Gemma, per l’amor di Dio!». I due
fratelli, nonostante fossero stati educati fin da piccoli e sapevano benissimo
come comportarsi in qualsiasi occasione, non amavano le regole che venivano
loro imposte, erano, come diremmo oggi, anticonformisti; di conseguenza spesso
entrambi lanciavano una sorta di sfide indirette ai genitori, trasgredendo di
proposito a molte regole del galateo e del buon costume. Nonostante questo Anne
e Dev volevano molto bene ai loro figli e non esageravano con le sgridate, come
invece succedeva in molte altre famiglie aristocratiche.
In quel momento fece il suo ingresso Edward John
Smith, meglio noto come il capitano Smith,
«Buongiorno, miei cari. Come procede? Spero sia tutto di vostro gradimento».
Il viso di Anne s’illuminò, «è tutto a posto, papà, ti ringrazio tantissimo per essere venuto a
trovarci, non credevo che ne avresti avuto il tempo».
«Per la mia famiglia questo e altro», sorrise il lupo di mare.
Des salutò il suocero con un cenno del capo e, nel
frattempo, Harry e Gemma si erano avvicinati timidamente all’uomo. Lo
salutarono con rispetto e lui, di rimando, allargò le braccia, «Aah, suvvia, venite qui», e li strinse entrambi a sé. Edward Smith non era
una persona a cui piacessero molto i convenevoli, specialmente con i suoi
familiari. Con loro si comportava come un padre, un suocero e un nonno
qualunque. Quando si sciolsero dall’abbraccio li guardò entrambi attentamente e
disse, «quanto siete cresciuti! Non vi vedo da una vita». Loro sorrisero e lui
batté loro le mani sulle spalle. «Beh, ora vi devo lasciare, tra mezz’ora il Titanic
salperà», detto questo salutò tutti con un cenno della mano e si allontanò.
A questo punto Harry iniziò a sistemare le proprie
cose e una volta concluso il tutto si mise davanti allo specchio del tavolo da
toeletta di cui ogni stanza era dotata.
Si passò una mano nei ricci castani e ribelli nel
tentativo, vano, di sistemarli. Si fissò allo specchio e osservò i suoi
lineamenti, molto dolci essendo ancora nella fase adolescenziale della sua
vita, le labbra dalla forma allungata e piuttosto sottile, la pelle candida e
morbida nonostante qualche brufoletto qua e là dovuto all’età.
Harry reputava sé stesso un ragazzo carino, non
bellissimo come tutti si ostinavano a dire (specialmente il gentil sesso),
sognatore, testardo e… particolare. Non sapeva perché, ma sia lui stesso che
molte delle persone che lo conoscevano gli attribuivano questo aggettivo.
Si ridestò dai suoi pensieri e raggiunse il resto
della famiglia nel salotto, dove li aiutò a sistemare le loro ricchezze:
soprammobili, quadri, alcune piccole statue e così via; fortunatamente erano
già a buon punto e ci misero poco a finire. Quando il ragazzo controllò l’ora
sull’orologio da parete della suite si rese conto che mancavano pochi minuti
alla partenza del transatlantico e non voleva assolutamente perdersela.
«Scusate, devo andare, torno tra pochissimo», cominciarono a fargli domande
ma lui non rispose e a passo veloce raggiunse il ponte della prima classe.
Arrivò in tempo: proprio nell’attimo in cui mise piede all’esterno il colosso
iniziò a muoversi. Si appoggiò al parapetto e osservò la gente intorno a lui
che si sbracciavano per salutare chi era rimasto a terra. Man mano che il tempo
passava prima le persone, poi il molo si fecero sempre più piccoli, finché Southampton
non scomparve dalla vista del giovane. Ormai vedeva solo il mare e il riflesso
del sole su di esso. Un’inebriante sensazione di libertà gli esplose nel petto
e alzò completamente il volto verso il cielo, lasciando che il vento gli
scuotesse i capelli e sorridendo come non aveva mai fatto prima.
Author’s corner
Ciao a tutti!
Premetto che è dal 2012 che non scrivo più (a parte i
temi scolastici e cose così) perciò
sono un po’ arrugginita. Se ci sono errori,
ripetizioni o quant’altro non esitate a farmelo notare (ho riletto,
ovviamente, ma a volte mi sfuggono lo stesso.
Che dire, è da un mese o più che quest’idea mi
frullava per la testa e non vedevo l’ora di iniziare.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ne sarei felicissima ^^
Al prossimo capitolo!
-M