Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: blackmiranda    11/11/2015    5 recensioni
In una notte d'inverno, le loro strade si incontrano e le loro storie cambiano irrimediabilmente, in una catena di eventi che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere. Semplicemente, una What if? con Crack pairing, classificatasi al primo posto nel contest di _Freya Crescent_ "Cento strade, mille finali".
(RetasuxQuiche)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Retasu Midorikawa/Lory
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nick su EFP: blackmiranda
Protagonista: Retasu Midorikawa, Quiche Ikisatashi
Pacchetto scelto (se presente): Ombra
Genere: Introspettivo, romantico
La storia inizia dalla fine dell'episodio 39.

 

Alcune precisazioni:

Ho scelto di usare i nomi traslitterati secondo il modo “più giusto”, usato anche nel manga: ad esempio Quiche, Pie e Tart (effettivi nomi di torte) invece di Kisshu, Pai e Taruto (che sarebbero il modo in cui i giapponesi riescono alla meglio a pronunciare le parole inglesi e francesi xD). Allo stesso modo, Retasu/Mew Lettuce (il nome da civile e quello da Mew Mew sono scritti con un sistema ideografico diverso e quindi andrebbero traslitterati diversamente) e Bu-ling/Mew Pudding (Purin è il modo in cui i giapponesi leggono il cinese Bu-ling e la parola “budino” in inglese). Spero che la cosa non vi dia troppa noia. Qui c'è un video che spiega il tutto con un po' più di dettaglio e forse chiarezza: https://www.youtube.com/watch?v=bZrFrALW_OU (lo so, è un casino, non date la colpa a me ma alla Yoshida e alla Ikumi xD).

Presenza di linguaggio scurrile nel primo capitolo (io lo scrivo, non si sa mai xD).

Il dialogo all'inizio del terzo capitolo l'ho recuperato dall'inizio dell'episodio 41.

Non so se la scena verso la fine del capitolo tre sia considerabile lime, io nel dubbio l'ho messo come avvertimento. Anche perché io mi impressiono con poco.

 


 

La via segreta



 

I

 

 

L'acqua si scava la strada anche attraverso la pietra e, quando è intrappolata, si crea un nuovo varco.

(Memorie di una Geisha)

 

“Vedi di non intralciare più i nostri piani.” lo rimbrottò Pie, posandolo senza troppi riguardi sul suo giaciglio. “Deep Blue-sama ti ha già abbandonato e, se continui a metterci i bastoni fra le ruote, lo faremo anche noi.” La sua voce era tagliente, la sua espressione truce: gli lanciò un ultimo sguardo disgustato per poi voltargli le spalle, lasciandolo solo.

Se non fosse stato così debole, così esausto, molto probabilmente gli avrebbe riso in faccia, sputandogli addosso un po' del proprio odio verso il mondo.

Non te l'aspettavi, eh Pie? Tra tutte le variabili che avevi calcolato, io non ero presente. E invece era stato proprio lui a rovinargli il piano, così perfettamente congegnato sotto ogni punto di vista.

Avrebbero ucciso tutte e cinque le Mew Mew in un colpo solo, nel silenzio di un sogno, senza che nessuno se ne accorgesse.

Codardi.

Erano tutti codardi, tutti tranne lui.

Quiche socchiuse gli occhi, la vista offuscata, esalando un lungo e rantolante respiro.

 

 

Ore dopo, non avrebbe saputo dire quante, si risvegliò nella stessa posizione in cui si era assopito. Non si sentiva per niente riposato, ma, realizzò passandosi una mano sulla clavicola, la ferita sembrava aver smesso di sanguinare.

Si alzò a sedere e poi, faticosamente, in piedi. Gli girava la testa.

Poteva percepire la presenza di Deep Blue in ogni luogo di quella dimensione parallela, come se l'aria si fosse appesantita all'improvviso. Era soffocante. Sapeva di esserselo inimicato al di là di ogni possibile riconciliazione.

Al diavolo, pensò amaramente appoggiando la mano tremante ad una colonna erosa dal tempo e dalle intemperie. È troppo tardi per tornare indietro.

Ancora una volta aveva distrutto con le sue stesse mani tutto quello che era riuscito a costruire in anni di lavoro e sacrificio. Questa volta però, a differenza delle precedenti, dubitava seriamente che sarebbe riuscito ad uscirne con un'alzata di spalle e qualche battuta sarcastica.

Questa volta aveva bruciato tutto, tutti i suoi legami con il proprio pianeta e la propria gente. Questa volta era irrimediabilmente, definitivamente solo. E la realizzazione lo spaventò più di quanto avrebbe mai voluto ammettere.

Digrignò i denti, avanzando di qualche passo, la mano sinistra stretta convulsamente al di sotto del collo, le dita diafane aggrappate alla maglia sbrindellata. Doveva andarsene da lì. Non tollerava più che Deep Blue spiasse ogni suo movimento.

Si tuffò nel portale, passando istantaneamente da un mondo a lui ostile ad un altro altrettanto inospitale, con il suo incessante rumore di traffico, le luci accecanti e i milioni e milioni di abitanti brulicanti tra gli enormi edifici. Planò sulla cima del grattacielo più vicino, illuminato dalla luce aranciata del tramonto. Se il sole stava tramontando, pensò raggomitolandosi su sé stesso con fatica, voleva dire che come minimo era trascorso un giorno da quando aveva perso coscienza: ricordava bene il buio della notte precedente, quando aveva a malapena trovato la forza di risalire l'edificio su cui Ichigo...

No, non voglio pensarci, fece a sé stesso accompagnando quella muta protesta con un movimento nervoso del capo.

Quella maledetta ingrata...aveva fatto di tutto per lei...si era fatto terra bruciata intorno, per lei...avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, se solo glielo avesse chiesto.

Ma lei non chiedeva niente. Rifiutava e basta.

Quiche prese a fissare il sole che lentamente spariva dietro l'orizzonte, fino a che i suoi occhi lacrimarono e la vista gli si oscurò.

 

***

 

Il sole era già tramontato da un pezzo quando Retasu si decise finalmente ad uscire dalla biblioteca in cui si era rintanata per tutto il pomeriggio. Era il suo giorno libero al Café e aveva saggiamente deciso di approfittarne per studiare. Quasi non si era accorta del tempo che passava, immersa com'era nei libri di geologia e negli appunti che stilava progressivamente in grafia fitta e minuta – sospettava di starsi ulteriormente rovinando la vista, ma, per quanto si sforzasse, proprio non le riusciva di scrivere più grande.

La biblioteca si era svuotata a mano a mano che si avvicinava l'orario di chiusura. La ragazza lanciò un'ultima occhiata all'edificio alle sue spalle, la cui luce giallastra si spandeva sull'asfalto del marciapiede, per poi iniziare a camminare a passo spedito verso casa.

Lanciò un'occhiata all'orologio: erano quasi le dieci di sera. Solo allora si accorse di stare morendo di fame: come le succedeva sempre quando era presa dalla lettura, si era bellamente scordata di mettere qualcosa sotto i denti.

Quasi inconsciamente, accelerò il passo, stringendo la presa sulla cartella marrone dalle fibbie argentate. Piccole nuvole di vapore acqueo si condensavano nell'aria fredda ad ogni suo respiro. Avrebbe potuto prendere la metropolitana, ma in fondo la biblioteca non distava molto da casa sua e una camminata le avrebbe solo fatto bene: da quando era diventata una Mew Mew, tenersi in forma era diventato essenziale. Si aggiustò la sciarpa arancione sul collo, ben attenta a non prendere freddo.

Il suo pensiero volò istintivamente alla madre, che, sebbene fosse abituata a vederla rientrare tardi dalle sessioni di studio, si rifiutava sempre di andare a dormire se prima non l'avesse saputa a casa sana e salva. Di solito la trovava in cucina, addormentata sulla sedia, con le braccia e la testa posate sul tavolo. Sorrise debolmente quando l'immagine le passò nella mente in un flash improvviso.

Yomogi Midorikawa era stata felicissima di sapere che in quei mesi sua figlia si era fatta delle nuove amiche e di vederla uscire di casa sempre più spesso col sorriso sulle labbra.

Se solo sapessi quanto sono cambiata, mamma, pensò Retasu tra sé e sé mentre si fermava ad un attraversamento pedonale, in attesa del verde. Forse non mi riconosceresti neanche.

Nel mentre, un gruppo di chiassosi ragazzi che emanavano un vago odore di alcol le si avvicinò, ma Retasu non ci prestò troppa attenzione: stava programmando mentalmente tutti i suoi impegni del giorno dopo e allo stesso tempo ripassava tra sé e sé la lezione di inglese di quella mattina.

Il semaforo pedonale scattò e Retasu riprese a camminare, attraversando l'incrocio trafficato con la prudenza che la contraddistingueva e lanciando nel mentre svariate occhiate a destra e a sinistra: non si era mai troppo sicuri.

Fu solo quando si fu allontanata dal centro e i rumori della Tokyo urbana si fecero più radi che si accorse che il gruppetto di ragazzi le stava ancora alle calcagna. Senza osare voltarsi indietro, accelerò un po' il passo, irrigidendosi. Cercò di tranquillizzarsi dandosi della paranoica: non era mica detto che la stessero seguendo o che volessero qualcosa da lei, in fondo...magari erano solo quattro amici usciti per una serata in compagnia che casualmente stavano facendo la sua stessa strada.

Deglutì, mentre le loro risate e i commenti sguaiati le ferivano le orecchie. Il suo cuore prese a battere freneticamente, mentre il suo istinto le gridava silenziosamente di scappare a gambe levate.

Oltrepassò un lampione ronzante, poi un altro, poi un altro ancora. Di auto ce n'erano poche in giro in quella strada secondaria, e di gente a piedi ancora meno.

Senza farlo apposta, finì per sincronizzare la sua andatura con i battiti del proprio cuore. Ogni passo che faceva la portava più vicina a casa, più al sicuro...ma quelli, a quanto sembrava, avevano le gambe più lunghe di lei.

“Ehi, carina!” la apostrofò d'un tratto uno di loro, ma Retasu finse di non averlo sentito, il sangue che le fluiva dritto alle guance. Continua a camminare, non fermarti. Non guardarti indietro.

“Dai, non fare la timida! Vogliamo solo fare quattro chiacchiere!” continuò il ragazzo, mentre gli altri ridevano come un branco di iene.

L'ansia minacciava di ingoiarla in un sol boccone. Eppure era così vicina a casa...se si fosse messa a correre sarebbe riuscita a seminarli...

“Che carina, con le treccine e gli occhiali. Sei una ragazza studiosa, eh?” la provocò un'altra voce, più acuta della precedente. Una voce troppo vicina per i suoi gusti.

Prese un paio di respiri profondi, preparandosi a iniziare a correre. Si augurò che il lungo cappotto blu scuro con gli alamari bianchi non le intralciasse troppo i movimenti...

In quel momento, quasi si trattasse di un angelo giunto in suo soccorso, una figura sbucò dalla semioscurità della strada. Retasu sgranò gli occhi, fermandosi di colpo, ma il sollievo che provò durò solo un istante: il profilo di quelle lunghe orecchie ai lati della testa era inconfondibile, così come lo erano i due sai che la figura teneva in mano, lunghi distesi contro i fianchi sottili.

Retasu gemette, l'ansia che rischiava seriamente di mutarsi in panico, mentre i ragazzi alle sue spalle, beatamente ignari del pericolo, la raggiungevano producendosi in esclamazioni di trionfo e incredulità. “Ti va di divertirti un po' con noi, piccola?” la blandì quello che sembrava essere il capo, accarezzandole lascivamente il braccio sinistro.

La ragazza gemette di nuovo, sottraendosi a quello sgradevole contatto. La paura che provava in quel momento era tale che le sembrava di aver perso l'uso della parola. Non aveva mai affrontato Quiche da sola, ed era certa che non fosse certo lì per scambiarsi i convenevoli. Inoltre, avrebbe dovuto trasformarsi, ma c'erano dei testimoni che, per quanto ubriachi potessero essere, l'avrebbero comunque vista...

“Dai, non fare la difficile...” continuò il tizio, afferrandole il braccio, con un sorriso storto e volgare sul viso anonimo, la camicia da figlio di papà stropicciata sotto la giacca in pelle marrone. Gli altri la circondarono come avvoltoi.

All'alieno di fronte a sé sfuggì una mezza risata, secca e tagliente. “Perché non ti trasformi e non li prendi a calci in culo?” la schernì, avanzando con passo malfermo, gli occhi da felino che brillavano sinistramente nella penombra.

Solo allora i cinque ragazzi si accorsero della sua presenza, corrugando la fronte all'unisono. “E tu chi cazzo sei?!” esclamò il leader, senza lasciare la presa sul braccio di lei.

Quiche fece un altro passo avanti, emergendo alla luce. Era, se possibile, ancora più pallido del solito, con un'espressione febbricitante sul volto dai lineamenti aguzzi. La maglia che indossava era strappata all'altezza della clavicola sinistra, e una irregolare macchia scura aveva tinto di nero il marrone della stoffa.

Uno dei ragazzi alla sua destra sbuffò. “È solo un cazzo di cosplayer che gioca a fare l'eroe.”

“Vattene a casa, ragazzino, se non vuoi finire male.” lo incalzò un altro tizio, finendo in un'unica sorsata una lattina di birra mezza vuota.

“Stupidi umani!” esclamò l'alieno, la voce impastata. “Meritate solo di morire...tutti quanti voi...” continuò, abbassando il tono di voce fino a che non sembrò molto simile ad un ringhio. La testa gli ciondolava sul petto, come se fosse quasi sul punto di svenire.

E poi, di colpo, così veloce che il cervello di Retasu faticò a registrarne i movimenti, si scagliò su tutti loro. La ragazza, terrorizzata, ruppe il suo mutismo gridando freneticamente: “Mew Mew Lettuce, metamorphosis!

La luce verde della trasformazione rischiarò il buio della notte, mentre la Mew Mew socchiudeva gli occhi e distendeva gli avambracci che, in un gesto automatico di difesa, aveva portato di fronte al viso pochi istanti prima. Udì delle grida, seguite da imprecazioni, e quando riaprì gli occhi, il cuore in gola e le vesti di Mew Lettuce indosso, vide che Quiche aveva ferito alla spalla uno dei ragazzi mezzi ubriachi. Un paio di loro si stava già dando alla fuga, un altro paio aveva sfoderato dei coltelli da chissà dove, e il capo che poco prima la guardava con lascivia ora la stava squadrando a bocca aperta, esterrefatto.

La ragazza non ebbe il tempo di dire o di fare alcunché, che Quiche si scagliò nuovamente contro i due tizi armati di coltelli. In un primo momento temette per le loro vite, ma poi si rese conto che i movimenti dell'alieno erano tutto fuorché coordinati, e si chiese se non risentisse ancora della ferita inflittagli da Ao no Kishi. Le tornò alla mente lo spettacolo pietoso della sera precedente, quando Quiche era praticamente svenuto, delirante, tra le braccia di Ichigo.

Quell'alieno doveva stare soffrendo molto, realizzò ammutolita mentre i due ragazzi, incitati dal capo e resi spavaldi dall'alcol, stavano quasi per avere la meglio su di lui.

La scena aveva un che di incredibile. Se si fosse scontrato con Ao no Kishi in quelle condizioni, era certa che il loro misterioso alleato lo avrebbe fatto a pezzi. In tutto ciò, lei era ancora una volta bloccata sul posto, indecisa sul da farsi. Ad un tratto vide Quiche barcollare pericolosamente, e fu allora che qualcosa scattò dentro di lei.

Fu come se il suo cervello avesse improvvisamente impostato il pilota automatico. Senza pensare, il suo corpo agì da solo, in completa autonomia, ed il Ribbon Lettuce Rush colpì con forza tutti e tre, ponendo fine a quella schermaglia.

Avvertì il gemito di dolore dell'alieno e una fitta di rimorso le pizzicò la nuca. Lei detestava combattere: odiava fare del male a chicchessia, e a quanto sembrava gli alieni non facevano eccezione.

Vide che li aveva atterrati, tutti e tre, mentre il capo le sbraitava addosso parole che l'avrebbero fatta scoppiare in lacrime se la situazione non fosse stata così bizzarra. I due ragazzi, riversi al suolo, si mossero a fatica, completamente fradici, mentre Quiche non dava segni di vita.

“Ma che cazzo, ma che cazzo...” ripeteva intanto il leader di quel gruppo di piantagrane, affondando le mani tra i capelli neri a spazzola. Mew Lettuce gli lanciò una severa occhiata di avvertimento, incrociando le braccia di fronte al petto, le nacchere ancora strette tra le mani. Quello parve capire e tagliò la corda, seguito ben presto dai suoi compari, acciaccati e gocciolanti.

La ragazza rilassò i muscoli, portando le braccia lungo i fianchi ma tenendo sempre le proprie armi a portata di mano. Cercò di calmarsi, modulando il respiro, il sangue che le rimbombava iroso nelle orecchie. Ce l'aveva fatta...ce l'aveva fatta!

...ma cosa aveva fatto, di preciso?

Sgranò gli occhi mentre la consapevolezza delle proprie azioni le cadeva addosso con il peso di un macigno. Aveva appena attaccato degli esseri umani...aveva appena usato i propri poteri da Mew Mew contro la sua stessa specie, contro coloro che aveva sempre giurato di proteggere. Vero che erano dei farabutti che se la prendevano con le ragazzine, ma erano comunque umani, e lei...

La voce leggermente metallica di Keiichiro, uscita all'improvviso dal medaglione che portava al collo, la fece sobbalzare violentemente. “Retasu, tutto bene? Ci è arrivato il segnale della trasformazione...”

La ragazza rischiò l'infarto. Se l'avessero scoperta, cosa le avrebbero detto? Cosa le avrebbero fatto? Cosa avrebbero detto le altre...Ichigo? Se avessero saputo che...

“Retasu?” la chiamò nuovamente lo scienziato, con evidente preoccupazione.

“Sì!” rispose lei, gli occhi verdi fissi sul corpo immobile dell'alieno a pochi metri da lei. Giaceva su un fianco, le ginocchia leggermente piegate, le braccia raccolte vicino al petto. I sai sembravano essersi volatilizzati nel nulla. “Sì, sto bene, tutto a posto!” continuò con voce stridula.

“Come mai ti sei trasformata?” le chiese Keiichiro, paziente.

Mew Lettuce tentennò. “C'era...un Chimero, ma l'ho eliminato. Non era...non era molto forte. Ora torno a casa...”

“Hm. Va bene. Lì ora è tutto tranquillo? Sei ferita?”

La ragazza annuì debolmente. “Tutto ok, sto bene. Devo andare a casa, è tardi!” ripeté con maggiore convinzione. Era davvero tardi, sua madre si sarebbe preoccupata...

“Capisco. Bene, allora buon rientro, ci vediamo domani al Café.” fece l'uomo terminando la chiamata.

Mew Lettuce si posò una mano sul cuore, che batteva ancora all'impazzata. Si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, dopodiché posò di nuovo lo sguardo su Quiche.

Non riusciva a razionalizzare quello che era appena accaduto. La testa le girava come una trottola impazzita e i pensieri le si accavallavano nella mente come le onde di un mare burrascoso.

Non riusciva a vedere, da quella distanza, se l'alieno respirasse ancora. Non sapeva se gli alieni respirassero, in effetti.

E se l'avesse ucciso? Le mancò il fiato a quella prospettiva. No, non poteva averlo ucciso..! Lei non sarebbe stata mai in grado di uccidere nessuno: persino gli insetti, ai suoi occhi, meritavano di vivere: quando un ragno o una cimice si intrufolavano nel Café o in camera sua, faceva di tutto per spingerli fuori dalla finestra senza schiacciarli, raccogliendoli con l'ausilio di un fazzoletto o di un pezzo di carta.

Fece un passo in avanti, pronta a reagire al minimo segno di vita da parte dell'alieno.

E se, da un momento all'altro, Pie o Tart fossero comparsi sopra di lei, avessero visto cosa aveva fatto e l'avessero attaccata? Il pensiero la raggelò sul posto, spingendola a scrutare il cielo buio alla frenetica ricerca di un qualsiasi movimento.

Trascorsi una manciata di minuti, iniziò a sentirsi ridicola.

Si era messa proprio in un bel guaio, realizzò riprendendo cautamente a camminare in direzione dell'alieno a terra, le mani sudate strette attorno alle nacchere. Ogni minuto che passava rischiava sempre più che Quiche si riprendesse e la attaccasse. Sempre se non era in fin di vita, o peggio già morto...

Quando gli fu a pochi centimetri, trattenendo il fiato per l'apprensione, si inginocchiò per esaminarlo meglio. La prima cosa che fece, lentamente, con la mano destra che le tremava, fu cercare di ascoltare il battito cardiaco dell'alieno. Scostò delicatamente il ciuffo di capelli verde scuro che gli copriva il collo e si accorse che la ferita alla clavicola, orribilmente incrostata di sangue secco e sporco, aveva ripreso a sanguinare.

Si lasciò sfuggire un gemito, mentre gli occhi le si inumidivano. Era in uno stato pietoso, e tutto a un tratto le sembrò così fragile, così...umano.

Il suo cuore batteva, seppur flebilmente, notò con immenso sollievo posando i polpastrelli freddi sulla pelle ancora più fredda di lui, appena sopra quella che, a rigor di logica, doveva essere la carotide.

Che cosa avrebbe dovuto fare? Che cosa avrebbero fatto le altre, se fossero state al suo posto? Le tornò alla mente l'espressione incredula di Ichigo quando Quiche, dopo averla minacciata per l'ennesima volta, le era rovinato addosso, la voce spezzata e il viso scavato dalla sofferenza e dalla stanchezza. Lei e le sue compagne erano rimaste a guardare la scena senza fare né dire alcunché, ma a Retasu si era stretto il cuore, nonostante tutto.

Pietà, ecco cosa provava nei confronti di quell'essere così imperscrutabile, così estraneo a tutto ciò che lei definiva normale. Sotto tutti gli strati di paura, di timore, di ribrezzo, di odio, in fondo a tutto quanto, come la speranza nel vaso di Pandora, c'era la pietà.

Ritrasse la mano, mordendosi il labbro. Cosa avrebbe potuto fare? Temeva troppo il giudizio degli altri per chiamarli e ammettere non solo di aver commesso un'azione riprovevole, ma di aver pure mentito al riguardo.

Si chiese se Minto, o Zakuro, o Ichigo sarebbero state capaci di abbandonarlo su quell'asfalto gelato e andarsene senza guardarsi indietro.

Non conosceva la risposta a quella domanda – forse non avrebbe mai voluto conoscerla - ma una cosa la sapeva di certo: lei non ne sarebbe mai stata in grado.

Non poteva semplicemente ignorare che l'alieno ai suoi piedi rischiava l'assideramento, o la morte per dissanguamento.

Non poteva semplicemente lasciarlo al suo destino solo perché erano nemici.

Non poteva lasciarlo lì.         

   
 
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