VII.
Madri
V’è qualcosa, nell’odore di una madre.
Una
sfumatura che non riesce a decifrare, neppure lei che è la
Primavera; lei che conosce il profumo di ciascuno dei fiori che nascono
nel grembo della terra scura. Lo ha avvertito stringendo Ecate nella
sua forma bestiale: sotto il muschio, sotto il sudore, sotto le proprie
lacrime.
L'aveva
addosso nei loro lunghi giorni di caccia, mentre, predatrici, si
accucciavano tra la vegetazione ancora umida di pioggia in
quell’attesa che piega i muscoli, vicine tanto che le loro
ginocchia si sfioravano.
E
lo avverte ora, avvolta nell’abbraccio di Demetra, morbido e duro
a un tempo, il volto premuto contro l’incavo del suo petto caldo.
Dita delicate si intrecciano alle ciocche libere della sua chioma, e
Kore si chiede se quell’essenza impossibile da replicare venga da
dentro, dal ventre vuoto, dal cuore pieno; se lo serbi la pelle, come
serba l’acre della traspirazione; se solo l’odorato sottile
di un figlio, che conservi il ricordo del latte materno succhiato dal
seno, riesca ad apprezzarlo realmente.
Quell'odore,
Kore lo beve avida, se ne disseta – e intanto si aggrappa forte
al corpo dolce di sua madre, curandosi ben poco delle occhiate del loro
seguito, che le scivolano sulla schiena come le gocce di una
pioggerella sottile.
Ma il cielo, sopra di loro, è sereno e ridente.
Helios
li spia benevolo con l’unico occhio fiammeggiante, parate a festa
come sono, ancora nell’ordine della processione; di certo
approva, il Sole, che ad ogni suo passo la terra stiri le membra
appesantite dal sonno e le piante levino i capi verdi dal terreno
sassoso dell’Ellade – ricambiando lo sguardo e spalancando
le corolle in lenti, ampi sorrisi.
Quel giorno, i fiori colorano di piacere le guance della terra.
Kore
si stacca, solleva il volto, e il sorriso di Demetra è un campo
biondo di grano spazzato di brezza - per un attimo non esiste che lui.
« Signora. »
Chronos è un dio avaro. Demetra volta il viso di lato, e Kore, con gli occhi, la imita.
La
figura si avvicina a loro senza fretta alcuna, procede con incurante
sicurezza – per nulla perturbata nel passare accanto ai draghi
scalpitanti legati al cocchio di Demetra. Alle sue spalle, il palazzo
bianco di Atena incombe su di lei come una montagna innevata – su
di lei, su di loro, sulla città neonata che l’ha preferita
a Poseidone. [1]
È
bella, Nike. Anche quando si arresta di fronte a loro, pare fluttuare
nel bianco accecante delle ali a riposo nonostante i piedi nudi siano
ben piantati a terra. Il volto, libero dai capelli scuri trattenuti
dalle fasce, ha qualcosa della venustà di Ecate.
Sorride, e ogni suo sorriso pare di trionfo. Dietro di lei, due vergini abbigliate modestamente chinano i capi rasati [2].
Demetra
non è tutta gaiezza, quando allaccia il braccio a quello di Kore
saldamente, e non ricambia il sorriso della compagna di Atena. Non
quanto dovrebbe. Se sia perché Nike giunge al posto di Atena o
per la somiglianza con Ecate, Kore non lo saprebbe dire.
« Belle caviglie. [3] »
«
Vi porto gli onori e i saluti di Poliàs [4], Grade Madre e
Fanciulla, e la preghiera di perdonare la sua assenza. »
Kore
trattiene un verso. Dubita che Atena, con tutta la sua sapienza e
umiltà, sia capace di domandare sinceramente il perdono di
qualcuno, per colpa vera o presunta tale.
«
Il messaggero del Polimete [5] è giunto stamane, mentre le dita
rosee di Eos ancora pizzicavano il carro del Sole, portando le nuove
che ella attendeva sulla sua nuova armatura; non molto tempo era
passato che ella già lo seguiva sull’Olimpo, smaniosa di
tornar presto per salutare il tuo ritorno, Madre, e accogliere Kore
come si conviene. Ma il viaggio è lungo, ed è ricaduto su
di me l’onore di ricevervi, povera sostituta e ambasciatrice del
suo rammarico. »
Tutto
quel gran sfoggio di bel parlare allo scopo di placare Demetra
susciterebbe in Kore ilarità incontrollabile – se cosa
esiste che possa placarla, certo non sono i lunghi discorsi – non
fosse che la preoccupazione non la spegne sul nascere.
Demetra le dà voce per entrambe.
«
La tempestività non figura tra i mille talenti di Efesto. Non
è ignoto a nessuno. Comprensibilmente vorrà indossarla
domani, ed è savia a recarsi da lui di persona, seppur io sia
convinta che, di lei, egli abbia preso le misure sin troppo per bene. Ma
di certo non è andata sola da suo fratello, mia nipote. »
Le linea delicata delle sopracciglia è aggrottata e il tono
è amaro, mentre già prendono a camminare; il loro seguito
è silenzioso quando varcano l’enorme entrata, e il candore
dei marmi le avvolge come un’aura di luce.
Nella piega delle labbra di Nike v’è un pozzo di segreti.
«
Ha ritenuto prudente che i miei fratelli l’accompagnassero,
poiché il carico sarà certo troppo pesante perché
un cocchio solo lo trasporti; e il Divino Padre, nella sua saggezza, ne
ha convenuto con lei, liberandoli brevemente dai loro obblighi a questo
scopo. »
«
Il padre Zeus rivela una disposizione quanto mai generosa, di questi
tempi. Dev’esser l’aria di primavera. Tra le stagioni,
è sempre stata la sua favorita. »
Ah. Persino Kore in qualcosa può vincere.
In Atena v’è un nonsoché di Zeus.
Non
negli occhi, no. Quelli di lui sono più simili ai propri,
gemelli; sono chiari, incolori, quanto le iridi di Atena specchiano il
vivace ceruleo del cielo.
Eppure,
nonostante il viso non faccia una piega mentre le sue ancelle rasate le
ungono il corpo di olio, e rosa, mirra e cannella [6] addolciscono
l’aria, la fissità del suo sguardo verso un unico punto
lontano oltre la finestra, oltre la città neonata, ricordano a
Kore il padre che dividono nell’icòre – ma non nelle
attenzioni. Non per lungo tempo.
Scaccia il pensiero funesto, storcendo il naso appena.
Il
volto di Atena resta immutato, e che sia inutile cercare segni di
malumore, in quella tavola piatta, Kore lo sa; tuttavia, esita a
parlare, e abbassa il capo e gli occhi sulle dita intrecciate
strettamente. Sotto di lei, il materasso del kliné pare fatto di
nuvola, ciononostante si agita, su di esso. Sente una ruga di
preoccupazione solcare fronte, e i palmi lievemente sudati.
Il
silenzio le pesa sullo stomaco, ancora gonfio di nettare e del fumo dei
sacrifici. Posa le mani giunte sul ventre come a proteggere quel vuoto,
accorgendosene a malapena.
« Avverto il tuo disagio, sorella. »
La
voce di Atena è bassa, ma lo stesso la fa sussultare, rialzare
la testa mentre, con le unghie, si tormenta i polpastrelli.
«
Quando la pioggia è cessata, pensavamo che ti fossi fatta
passare il mal d’animo, Artemide ed io. Invece, ora che ti vedo,
mi pari ancora fuori di te. »
Gli
occhi di Kore saettano alle due giovani ai lati di Atena, le orecchie
ancor più evidenti sui crani tondi e liberi dalle chiome.
Dondola i piedi, strisciando le piante sul pavimento.
Atena legge nei suoi pensieri senza che debba pronunciare parola.
«
Lasciateci », ordina, e quelle si inchinano, rispettose. Atena
sorride loro gentile, mentre già si affretta a indossare la
lunga veste e a stringersi la vita del cinto. Si chiede se qualcuno
l’abbia mai vista davvero nuda.
Anche
svestita, porta la castità come una corazza. Ancora una volta,
Kore si chiede cosa farebbe, cosa farebbero Artemide e lei, sapendo che
fine ha fatto la propria.
Allentare
lo spasmodico intreccio di dita le dà quasi dolore. Kore tende
una mano – Atena la prende con la delicatezza di un’amante
e la forza di chi stringe la lancia.
Anche la colpa ha un sapore, ed è umido.
«
Ero in pena per te, stamane », le rivela, cambiando argomento
solo a metà, momentaneamente scacciando il pensiero di Artemide,
un altro nodo al suo stomaco già troppo stretto. « Venendo
a sapere che hai fatto visita ad Efesto. »
«
Mio fratello ha avuto ogni riguardo. Ha plasmato per me dal bronzo una
corazza che è difficile ne esistano pari sotto l’occhio di
Helios per bellezza e possanza. L’indosserò domani; e
sopra, la clamide [7] che conciò per me dalla pelle di Aex [8].
» Un sorriso aleggia sulle sue labbra, sereno.
Kore
vorrebbe domandarle altro: vorrebbe chiedere se ha perdonato Efesto per
l’oltraggio che le ha arrecato; se quei goffi tentativi di
domandarle perdono hanno raffreddato il suo giusto rancore.
È
così arduo immaginare Efesto in preda alla collera.
L’immagine di lui, il volto ripulito dai fumi della fucina, il
rossore evidente mentre le porge come pegno la collana che, insieme al
suo amore, sua moglie ha rifiutato, mal si accorda con quella di lui
steso sopra ad Atena, lei che lotta per la propria verginità
– la gonna sollevata, il seme di Efesto che le bagna la coscia
mentre grugnisce su di lei come bestia, lercia di fuliggine e lussuria.
Ma così è.
«
Allora, sarai certo la più bella, domani », le dice,
perché Atena è modesta, ma è femmina. « Il
bagliore del bronzo ci farà scomparire, mia madre e me. »
« Per un verso o per l’altro, eclissare Demetra è davvero impossibile. »
Kore ricorda di aver avuto un simile pensiero. Soffoca la stretta al cuore con un sorriso.
«
Tra me e te, invece, sarebbe una gara più equa se non fossi
tanto pallida, Kore ». Atena si concede di scherzare solo un
momento, ma le tiene la mano, mentre le si siede accanto, e poi la
osserva da sotto le ciglia scure con aria grave. « Perdona la mia
insistenza. Ma so bene cosa ti affligge. »
Kore si tende e negli occhi ha la nebbia.
« Lo comprendo. »
Impossibile, che davvero sappia. Impossibile. O non le stringerebbe a quel modo la mano.
«
Un dolore grande, ma non insuperabile. Il passare del tempo ti
curerà, e pur se il distacco ti paia bruciare come ti avessero
strappato uno degli arti, capirai un giorno che a tutto
c’è senso. Nei piani del Fato il caso non esiste. Anche
questa sofferenza sarà un filo nella tua tela… »
Vuole
domandarglielo. Ne ha bisogno. Vuole domandarle se davvero capisce, se,
per lei, staccarsi da quel figlio che non ha neppure portato in grembo,
realmente abbia fatto tanto male. Se, ora che egli regna su Atene [9],
Atena rimpianga di non averlo visto crescere, quel figlio rapace, quel
frutto del dolore di Efesto e del suo stesso oltraggio.
Apre le labbra e ne esce un gemito.
« Lo sappiamo, Artemide ed io. »
Kore si ferma. Chiude la bocca.
«
Entrambe abbiamo perso un’amica. Artemide più
d’una, invero. Non ti abbandona, quel dolore, ma si affievolisce.
»
Uno
spasmo attraversa le dita di Kore, ancora intrecciate a quelle di
Atena. « Il lutto è ancora tanto fresco. » La voce
è rauca come non parlasse da giorni. « Non riesco a vedere
un giorno in cui non avvertirò la sua mancanza. »
Sente gli occhi umidi e chiude le palpebre, stringendole tanto che le ciglia sfiorano le guance.
Così
gentile, il tocco di Atena. Così amoroso, il suo tono. Lei, che
è dea della saggezza, di certo farebbe luce sulle parole di
Ecate, quella profezia che le toglie il sonno la notte. Le parole le
prudono sulle labbra.
«
Credimi. La morte di Pallas è stata per me altrettanto severa.
Ancora di più perché è la mia mano, ad averla
uccisa. Che sia stato per sbaglio non ha alleviato il peso della colpa,
o la mia solitudine. E Artemide, tradita da così tante delle sue
fanciulle, più di tutti comprende quanto Leuce ti abbia ferita,
fuggendo con... ah, ancora non ci credo. Ma conosci Artemide: vorrebbe
solo che ti confidassi, e se ti rivolge aspri pensieri, è solo
gelosia per l’amore che mostri ad un’altra. »
Le parole le prudono sulle labbra, e Kore le lecca via.
Riapre
gli occhi, con un fremito di ciglia. « Sono spiacente di causarvi
dispiacere. Ma devi avere ragione, sorella. Il tempo curerà
questa ferita. »
Siede su un materasso di nuvola, eppure si sente così stanca.
«
I nostri giorni passati assieme mancano a me per prima. Magari, quando
tutti i fiori saranno spuntati e sarà momento di frutti,
potreste venire a trovarmi in Trinacria. A trovarci, Ciane e me. »
« Con la gioia nel cuore. E Ciane, mi ha sorpresto che tu l'abbia lasciata a tua madre. »
Nello sguardo di Atena, v'è quasi un rimprovero.
« Le occorreva una compagna fidata che la assistesse nei suoi viaggi, mentre Ecate vegliava su di me: il suo cammino è lungo, e in forma mortale non è prudente andar sole.»
Non è neppure una reale menzogna.
«
Di certo », concorda Atena, e Kore avverte durezza nel suo tono;
ma è solo un attimo. « Da quando è qui non trova
pace, poi. Comprensibile sia di umore particolare. In verità,
prima di oggi, non ricordo l’ultima volta che l’ho vista
sorridere. »
La sua povera, tenera mamma. Se solo alle volte, come un rampicante, coi suoi abbracci non la strangolasse…
« Lasciare la Trinacria non la rende mai troppo felice. » Più accuratamente, tornare in Ellade. Ma Kore non lo dice. « Sai quanto sia facile a contrariarsi e difficile a lasciare andare i malanimi. »
Atena
annuisce. « Mi solleva che tu sia qui. Le mie ancelle
cominciavano realmente a temerla. Da quando poi è salita
sull’Olimpo, è semplicemente intrattabile. Impossibile
definirla diversamente. » Qualcosa di simile a un broncio le cala
sul volto mentre abbandona la solita diplomazia.
Le orecchie di Kore quasi si separano dal cranio e cadono come frutta matura, nel drizzarle all'ascolto.
« L’Olimpo? » domanda stupidamente, la sorpresa che le allarga gli occhi.
Atena
le riserva un’occhiata, come a una bambina un poco tarda. «
Non sapevi? La tua pioggia cominciava sul serio a far danni: naturale
che qualcuno si sia lamentato - neppure Artemide ne era molto felice,
te lo avranno riferito. Si saranno rivolti a nostro padre, e anzi, Zeus
ti ha riservato grande indulgenza, a discuterne con lei sola. Pensavo
che, in seguito, lei t'avesse parlato... Neppure Era sapeva, mi dice
Bia. Ed è meglio così. »
Atena continua il discorso, ma Kore l’ascolta a malapena.
Pafia. Pafo. La parola emerge, nella sua mente ossessionata.
Kore
si costringe a sorridere un dolce sorriso che quasi le pare non le
appartenga. Muterai, le ha detto Ecate. Ma cercheranno di fare in modo
che non accada.
«
Parlerò io con lei, Atena. Sei stata fin troppo indulgente.
Rassicura le tue ancelle ed esortale a stringere i denti sino a domani.
»
Domani.
La cerimonia sarà breve – il viaggio verso casa, interminabile.
NOTE:
[1]: Ho posto il palazzo di Atena sull'Acropoli, lì dove sorgeva il tempio di Atena Poliàs, poi sostituito col Partenone.
[2]: Un'usanza arcaica vedeva le donne e gli uomini consacrati ad Atena rasarsi il capo in segno di appartenenza alla dea.
[3]: Un appellativo di Nike, tra le altre divinità.
[4]: Appellativo di Atena. Letteralmente "protettrice della città".
[5]: Un appellativo di Efesto. Letteralmente "ingegnoso, dalle mille arti".
[6]: Atene era famosa per la produzione di questo particolare olio per il corpo.
[7]: Un mantello corto che si indossava sopra l'abito. Nel caso di Atena, è una delle tante interpretazioni dell'Egida che la dea indossa (alternativamente anche una corazza o uno scudo).
[8]: Figlia di Helios, una bestia dalle sembianze di serpente che, in alcune versioni, fornì la pelle per l'Egida di Atena.
[9]: Erittonio, uno dei primi re di Atene, viene detto figlio del seme di Efesto che, durante il suo tentativo di stuprare Atena (su esortazione di Poseidone dopo l'abbandono di Afrodite), scivolò via dalla coscia della dea, fecondando Gaia, la terra.