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Autore: theuncommonreader    12/11/2015    2 recensioni
|Nuova introduzione | Zeus/Persefone; Ade/Persefone|
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Prima della regina degli Inferi, prima di Persefone, c'è Kore, la giovane incarnazione della primavera. Per un Immortale le stagioni scorrono in un ciclo senza fine, ma l'esistenza della figlia di Demetra ha preso a girare impazzita: la vita ritirata che ha condotto in Trinacria non l'ha preparata ad affrontare se stessa e la sua stirpe, e ora un segreto più grande di lei le grava sulla coscienza: un segreto che, privata della sua confidente, deve tenere per sé; che sua madre è disposta a tutto per scoprire; che suo padre non desidera altro che celare.
A tutti è richiesto un sacrificio - ad alcuni più di altri. Ma la bilancia del Fato non tiene conto di Odio e Amore, solo di Necessità, e quando servirà uno sposo, poco importa che si tratti di chi le ha portato via la sua Leuce e che il suo sia un regno remoto e inaccessibile: il Caso non esiste e Kore è fiduciosa di avere una meta. Scoprirà, però, che quando ci si crede arrivati, spesso bisogna ancora partire.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone, Zeus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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sette

VII.

Madri







V’è qualcosa, nell’odore di una madre.

Una sfumatura che non riesce a decifrare, neppure lei che è la Primavera; lei che conosce il profumo di ciascuno dei fiori che nascono nel grembo della terra scura. Lo ha avvertito stringendo Ecate nella sua forma bestiale: sotto il muschio, sotto il sudore, sotto le proprie lacrime.

L'aveva addosso nei loro lunghi giorni di caccia, mentre, predatrici, si accucciavano tra la vegetazione ancora umida di pioggia in quell’attesa che piega i muscoli, vicine tanto che le loro ginocchia si sfioravano.

E lo avverte ora, avvolta nell’abbraccio di Demetra, morbido e duro a un tempo, il volto premuto contro l’incavo del suo petto caldo. Dita delicate si intrecciano alle ciocche libere della sua chioma, e Kore si chiede se quell’essenza impossibile da replicare venga da dentro, dal ventre vuoto, dal cuore pieno; se lo serbi la pelle, come serba l’acre della traspirazione; se solo l’odorato sottile di un figlio, che conservi il ricordo del latte materno succhiato dal seno, riesca ad apprezzarlo realmente.

Quell'odore, Kore lo beve avida, se ne disseta – e intanto si aggrappa forte al corpo dolce di sua madre, curandosi ben poco delle occhiate del loro seguito, che le scivolano sulla schiena come le gocce di una pioggerella sottile.

Ma il cielo, sopra di loro, è sereno e ridente. 

Helios li spia benevolo con l’unico occhio fiammeggiante, parate a festa come sono, ancora nell’ordine della processione; di certo approva, il Sole, che ad ogni suo passo la terra stiri le membra appesantite dal sonno e le piante levino i capi verdi dal terreno sassoso dell’Ellade – ricambiando lo sguardo e spalancando le corolle in lenti, ampi sorrisi.

Quel giorno, i fiori colorano di piacere le guance della terra.

Kore si stacca, solleva il volto, e il sorriso di Demetra è un campo biondo di grano spazzato di brezza - per un attimo non esiste che lui.

« Signora. »

Chronos è un dio avaro. Demetra volta il viso di lato, e Kore, con gli occhi, la imita.

La figura si avvicina a loro senza fretta alcuna, procede con incurante sicurezza – per nulla perturbata nel passare accanto ai draghi scalpitanti legati al cocchio di Demetra. Alle sue spalle, il palazzo bianco di Atena incombe su di lei come una montagna innevata – su di lei, su di loro, sulla città neonata che l’ha preferita a Poseidone. [1]

È bella, Nike. Anche quando si arresta di fronte a loro, pare fluttuare nel bianco accecante delle ali a riposo nonostante i piedi nudi siano ben piantati a terra. Il volto, libero dai capelli scuri trattenuti dalle fasce, ha qualcosa della venustà di Ecate.

Sorride, e ogni suo sorriso pare di trionfo. Dietro di lei, due vergini abbigliate modestamente chinano i capi rasati [2].

Demetra non è tutta gaiezza, quando allaccia il braccio a quello di Kore saldamente, e non ricambia il sorriso della compagna di Atena. Non quanto dovrebbe. Se sia perché Nike giunge al posto di Atena o per la somiglianza con Ecate, Kore non lo saprebbe dire.

« Belle caviglie. [3] »

« Vi porto gli onori e i saluti di Poliàs [4], Grade Madre e Fanciulla, e la preghiera di perdonare la sua assenza. »

Kore trattiene un verso. Dubita che Atena, con tutta la sua sapienza e umiltà, sia capace di domandare sinceramente il perdono di qualcuno, per colpa vera o presunta tale.

« Il messaggero del Polimete [5] è giunto stamane, mentre le dita rosee di Eos ancora pizzicavano il carro del Sole, portando le nuove che ella attendeva sulla sua nuova armatura; non molto tempo era passato che ella già lo seguiva sull’Olimpo, smaniosa di tornar presto per salutare il tuo ritorno, Madre, e accogliere Kore come si conviene. Ma il viaggio è lungo, ed è ricaduto su di me l’onore di ricevervi, povera sostituta e ambasciatrice del suo rammarico. »

Tutto quel gran sfoggio di bel parlare allo scopo di placare Demetra susciterebbe in Kore ilarità incontrollabile – se cosa esiste che possa placarla, certo non sono i lunghi discorsi – non fosse che la preoccupazione non la spegne sul nascere.

Demetra le dà voce per entrambe.

« La tempestività non figura tra i mille talenti di Efesto. Non è ignoto a nessuno. Comprensibilmente vorrà indossarla domani, ed è savia a recarsi da lui di persona, seppur io sia convinta che, di lei, egli abbia preso le misure sin troppo per bene.  Ma di certo non è andata sola da suo fratello, mia nipote. » Le linea delicata delle sopracciglia è aggrottata e il tono è amaro, mentre già prendono a camminare; il loro seguito è silenzioso quando varcano l’enorme entrata, e il candore dei marmi le avvolge come un’aura di luce. 

Nella piega delle labbra di Nike v’è un pozzo di segreti.

« Ha ritenuto prudente che i miei fratelli l’accompagnassero, poiché il carico sarà certo troppo pesante perché un cocchio solo lo trasporti; e il Divino Padre, nella sua saggezza, ne ha convenuto con lei, liberandoli brevemente dai loro obblighi a questo scopo. »

« Il padre Zeus rivela una disposizione quanto mai generosa, di questi tempi. Dev’esser l’aria di primavera. Tra le stagioni, è sempre stata la sua favorita. »

Ah. Persino Kore in qualcosa può vincere.



In Atena v’è un nonsoché di Zeus.

Non negli occhi, no. Quelli di lui sono più simili ai propri, gemelli; sono chiari, incolori, quanto le iridi di Atena specchiano il vivace ceruleo del cielo.

Eppure, nonostante il viso non faccia una piega mentre le sue ancelle rasate le ungono il corpo di olio, e rosa, mirra e cannella [6] addolciscono l’aria, la fissità del suo sguardo verso un unico punto lontano oltre la finestra, oltre la città neonata, ricordano a Kore il padre che dividono nell’icòre – ma non nelle attenzioni. Non per lungo tempo.

Scaccia il pensiero funesto, storcendo il naso appena.

Il volto di Atena resta immutato, e che sia inutile cercare segni di malumore, in quella tavola piatta, Kore lo sa; tuttavia, esita a parlare, e abbassa il capo e gli occhi sulle dita intrecciate strettamente. Sotto di lei, il materasso del kliné pare fatto di nuvola, ciononostante si agita, su di esso. Sente una ruga di preoccupazione solcare fronte, e i palmi lievemente sudati.

Il silenzio le pesa sullo stomaco, ancora gonfio di nettare e del fumo dei sacrifici. Posa le mani giunte sul ventre come a proteggere quel vuoto, accorgendosene a malapena.

« Avverto il tuo disagio, sorella. »

La voce di Atena è bassa, ma lo stesso la fa sussultare, rialzare la testa mentre, con le unghie, si tormenta i polpastrelli.

« Quando la pioggia è cessata, pensavamo che ti fossi fatta passare il mal d’animo, Artemide ed io. Invece, ora che ti vedo, mi pari ancora fuori di te. »

Gli occhi di Kore saettano alle due giovani ai lati di Atena, le orecchie ancor più evidenti sui crani tondi e liberi dalle chiome. Dondola i piedi, strisciando le piante sul pavimento.

Atena legge nei suoi pensieri senza che debba pronunciare parola.

« Lasciateci », ordina, e quelle si inchinano, rispettose. Atena sorride loro gentile, mentre già si affretta a indossare la lunga veste e a stringersi la vita del cinto. Si chiede se qualcuno l’abbia mai vista davvero nuda.

Anche svestita, porta la castità come una corazza. Ancora una volta, Kore si chiede cosa farebbe, cosa farebbero Artemide e lei, sapendo che fine ha fatto la propria.

Allentare lo spasmodico intreccio di dita le dà quasi dolore. Kore tende una mano – Atena la prende con la delicatezza di un’amante e la forza di chi stringe la lancia.

Anche la colpa ha un sapore, ed è umido.

« Ero in pena per te, stamane », le rivela, cambiando argomento solo a metà, momentaneamente scacciando il pensiero di Artemide, un altro nodo al suo stomaco già troppo stretto. « Venendo a sapere che hai fatto visita ad Efesto. »

« Mio fratello ha avuto ogni riguardo. Ha plasmato per me dal bronzo una corazza che è difficile ne esistano pari sotto l’occhio di Helios per bellezza e possanza. L’indosserò domani; e sopra, la clamide [7] che conciò per me dalla pelle di Aex [8]. » Un sorriso aleggia sulle sue labbra, sereno.

Kore vorrebbe domandarle altro: vorrebbe chiedere se ha perdonato Efesto per l’oltraggio che le ha arrecato; se quei goffi tentativi di domandarle perdono hanno raffreddato il suo giusto rancore.

È così arduo immaginare Efesto in preda alla collera. L’immagine di lui, il volto ripulito dai fumi della fucina, il rossore evidente mentre le porge come pegno la collana che, insieme al suo amore, sua moglie ha rifiutato, mal si accorda con quella di lui steso sopra ad Atena, lei che lotta per la propria verginità – la gonna sollevata, il seme di Efesto che le bagna la coscia mentre grugnisce su di lei come bestia, lercia di fuliggine e lussuria.

Ma così è.

« Allora, sarai certo la più bella, domani », le dice, perché Atena è modesta, ma è femmina. « Il bagliore del bronzo ci farà scomparire, mia madre e me. »

« Per un verso o per l’altro, eclissare Demetra è davvero impossibile. »

Kore ricorda di aver avuto un simile pensiero. Soffoca la stretta al cuore con un sorriso.

« Tra me e te, invece, sarebbe una gara più equa se non fossi tanto pallida, Kore ». Atena si concede di scherzare solo un momento, ma le tiene la mano, mentre le si siede accanto, e poi la osserva da sotto le ciglia scure con aria grave. « Perdona la mia insistenza. Ma so bene cosa ti affligge. »

Kore si tende e negli occhi ha la nebbia.

« Lo comprendo. »

Impossibile, che davvero sappia. Impossibile. O non le stringerebbe a quel modo la mano.

« Un dolore grande, ma non insuperabile. Il passare del tempo ti curerà, e pur se il distacco ti paia bruciare come ti avessero strappato uno degli arti, capirai un giorno che a tutto c’è senso. Nei piani del Fato il caso non esiste. Anche questa sofferenza sarà un filo nella tua tela… »

Vuole domandarglielo. Ne ha bisogno. Vuole domandarle se davvero capisce, se, per lei, staccarsi da quel figlio che non ha neppure portato in grembo, realmente abbia fatto tanto male. Se, ora che egli regna su Atene [9], Atena rimpianga di non averlo visto crescere, quel figlio rapace, quel frutto del dolore di Efesto e del suo stesso oltraggio.

Apre le labbra e ne esce un gemito.

« Lo sappiamo, Artemide ed io. »

Kore si ferma. Chiude la bocca.

« Entrambe abbiamo perso un’amica.  Artemide più d’una, invero. Non ti abbandona, quel dolore, ma si affievolisce. »

Uno spasmo attraversa le dita di Kore, ancora intrecciate a quelle di Atena. « Il lutto è ancora tanto fresco. » La voce è rauca come non parlasse da giorni. « Non riesco a vedere un giorno in cui non avvertirò la sua mancanza. »

Sente gli occhi umidi e chiude le palpebre, stringendole tanto che le ciglia sfiorano le guance.

Così gentile, il tocco di Atena. Così amoroso, il suo tono. Lei, che è dea della saggezza, di certo farebbe luce sulle parole di Ecate, quella profezia che le toglie il sonno la notte. Le parole le prudono sulle labbra.

« Credimi. La morte di Pallas è stata per me altrettanto severa. Ancora di più perché è la mia mano, ad averla uccisa. Che sia stato per sbaglio non ha alleviato il peso della colpa, o la mia solitudine. E Artemide, tradita da così tante delle sue fanciulle, più di tutti comprende quanto Leuce ti abbia ferita, fuggendo con... ah, ancora non ci credo. Ma conosci Artemide: vorrebbe solo che ti confidassi, e se ti rivolge aspri pensieri, è solo gelosia per l’amore che mostri ad un’altra. »

Le parole le prudono sulle labbra, e Kore le lecca via.

Riapre gli occhi, con un fremito di ciglia. « Sono spiacente di causarvi dispiacere. Ma devi avere ragione, sorella. Il tempo curerà questa ferita. »

Siede su un materasso di nuvola, eppure si sente così stanca.  

« I nostri giorni passati assieme mancano a me per prima. Magari, quando tutti i fiori saranno spuntati e sarà momento di frutti, potreste venire a trovarmi in Trinacria. A trovarci, Ciane e me. »

« Con la gioia nel cuore. E Ciane, mi ha sorpresto che tu l'abbia lasciata a tua madre. »

Nello sguardo di Atena, v'è quasi un rimprovero.

« Le occorreva una compagna fidata che la assistesse nei suoi viaggi, mentre Ecate vegliava su di me: il suo cammino è lungo, e in forma mortale non è prudente andar sole.»

Non è neppure una reale menzogna.

« Di certo », concorda Atena, e Kore avverte durezza nel suo tono; ma è solo un attimo. « Da quando è qui non trova pace, poi. Comprensibile sia di umore particolare. In verità, prima di oggi, non ricordo l’ultima volta che l’ho vista sorridere. »

La sua povera, tenera mamma. Se solo alle volte, come un rampicante, coi suoi abbracci non la strangolasse…

« Lasciare la Trinacria non la rende mai troppo felice. » Più accuratamente, tornare in Ellade. Ma Kore non lo dice. « Sai quanto sia facile a contrariarsi e difficile a lasciare andare i malanimi. »

Atena annuisce. « Mi solleva che tu sia qui. Le mie ancelle cominciavano realmente a temerla. Da quando poi è salita sull’Olimpo, è semplicemente intrattabile. Impossibile definirla diversamente. » Qualcosa di simile a un broncio le cala sul volto mentre abbandona la solita diplomazia.

Le orecchie di Kore quasi si separano dal cranio e cadono come frutta matura, nel drizzarle all'ascolto.

« L’Olimpo? » domanda stupidamente, la sorpresa che le allarga gli occhi.

Atena le riserva un’occhiata, come a una bambina un poco tarda. « Non sapevi? La tua pioggia cominciava sul serio a far danni: naturale che qualcuno si sia lamentato - neppure Artemide ne era molto felice, te lo avranno riferito. Si saranno rivolti a nostro padre, e anzi, Zeus ti ha riservato grande indulgenza, a discuterne con lei sola. Pensavo che, in seguito, lei t'avesse parlato... Neppure Era sapeva, mi dice Bia. Ed è meglio così. »

Atena continua il discorso, ma Kore l’ascolta a malapena. « Da quando Pafia è tornata sull’Olimpo, difficile dire chi sia d’umore più cupo, tra lei e tua madre. Nostro padre è stato prudente ad evitare un incontro. »  

Pafia. Pafo. La parola emerge, nella sua mente ossessionata.

Kore si costringe a sorridere un dolce sorriso che quasi le pare non le appartenga. Muterai, le ha detto Ecate. Ma cercheranno di fare in modo che non accada.

« Parlerò io con lei, Atena. Sei stata fin troppo indulgente. Rassicura le tue ancelle ed esortale a stringere i denti sino a domani. »

Domani.

La cerimonia sarà breve – il viaggio verso casa, interminabile.




NOTE:

[1]:  Ho posto il palazzo di Atena sull'Acropoli, lì dove sorgeva il tempio di Atena Poliàs, poi sostituito col Partenone. 

[2]: Un'usanza arcaica vedeva le donne e gli uomini consacrati ad Atena rasarsi il capo in segno di appartenenza alla dea. 

[3]: Un appellativo di Nike, tra le altre divinità.

[4]: Appellativo di Atena. Letteralmente "protettrice della città".

[5]: Un appellativo di Efesto. Letteralmente "ingegnoso, dalle mille arti".

[6]: Atene era famosa per la produzione di questo particolare olio per il corpo.

[7]: Un mantello corto che si indossava sopra l'abito. Nel caso di Atena, è una delle tante interpretazioni dell'Egida che la dea indossa (alternativamente anche una corazza o uno scudo).

[8]: Figlia di Helios, una bestia dalle sembianze di serpente che, in alcune versioni, fornì la pelle per l'Egida di Atena.

[9]: Erittonio, uno dei primi re di Atene, viene detto figlio del seme di Efesto che, durante il suo tentativo di stuprare Atena (su esortazione di Poseidone dopo l'abbandono di Afrodite), scivolò via dalla coscia della dea, fecondando Gaia, la terra.

   
 
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