Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: SunVenice    12/11/2015    3 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

31: 

Uomini e Belve

~Corno Destro

I cardini della porta non ebbero nemmeno il tempo di cigolare, tanta fu la furia con la quale Archetto uscì da quella topaia per ubriaconi allupati. Il tonfo dell’uscio, rimbalzato con forza sulla parete esterna in legno,  grattato da anni di abusi e coltellini annoiati di avventori casuali, fu presto seguito da un altro meno deciso ed un breve echeggiare di risate e fischi.

Arch si risistemò seccamente la camicia dentro i pantaloni,  digrignando i denti nell’identificare nello stesso capitano, responsabile di averlo condotto in quella bettola, la persona corsagli dietro.

Benchè ancora gli desse le spalle, aveva imparato fin troppo bene a riconoscere la presenza del pirata variopinto, a cominciare dallo scalpiccio metallico dei suoi stivali fino allo scontrarsi secco delle pistole appese alla sua cintola. Persino il modo in cui pestava i piedi a terra gli era oramai familiare.

Si rialzò meglio i pantaloni, aggiustandosi alla meglio i capelli con l’altra mano, sempre a passo spedito in avanti, senza nemmeno avere idea di dove stesse effettivamente andando. Nessuna direzione. Aveva completamente perso di vista il bisogno di avere una meta ed oramai proseguiva alla cieca.

Nord, Sud, Est.. che importava? Tutto quello che voleva era allontanarsi il più possibile da lì senza voltarsi.

“Oh andiamo, angioletto! E divertiti, no?”

Quelle parole innescarono in lui il desiderio, tanto impellente quanto inusuale, di girarsi e graziare la faccia squadrata del capitano della Hell Glory con un gancio destro ben piazzato.

Con uno scatto che rischiò di provocargli uno strappo muscolare al collo, Arch si ritrovò a fronteggiare il naso schiacciato e le la ferita dentata che era la bocca di Eustass Kidd.

Come sempre a petto nudo, ma con la pelliccia, solitamente poggiata sulle spalle, assente, probabilmente dimenticata nell’atto di corrergli dietro, il pirata torreggiava su di lui, emanando quel tipico tanfo di liquore ed acqua di colonia che, Arch ne era tristemente consapevole, gli veniva per metà dalla lingua, sempre immersa in qualche intruglio alcolico, e per metà da chissà quale dannata riserva personale che da qualche giorno aveva iniziato a scaricarsi addosso come acqua per lavarsi.

Una piccola parte di sé sospettò, con un velo di soddisfazione, che avesse risentito delle loro continue osservazioni sul suo odore.

Abbandonò con gesto secco il proposito di riallacciarsi, bottone dopo bottone, la camicia, frustando le mani dall’alto al basso in unico grande arco, per poi riaffondarle tra le proprie ciocche bionde e scompigliarsele frustrato. 

Doveva ricomporsi. 

Respirava così forte da sembrare reduce da una di quelle maratone che lui e Viola avevano fatto tantissime volte ad ogni villaggio in cui avevano cercato di scuoiarli vivi.  

Divertirsi, aveva detto Kidd. Divertirsi.

“Mi hai buttato…” La bocca gli sembrò talmente amara che gli si bloccarono le parole in gola, come strette in un nodo soffocante. Persino lui stentava a credere a ciò che stava per dire.

“Mi hai lanciato…. in mezzo ad una stanza piena di prostitute …per farmi fare sesso!”

“Oh, andiamo, non fare il melodrammatico, erano solo due alla fine!”

Fu molto deluso nel vedere le sue nocche mancare di netto la mascella del rosso e venire prontamente intercettate da una mano smaltata.

Con uno strattone Kidd lo tirò in avanti, così tanto forte da fargli sbattere il naso contro il suo petto. Un sottile odore di salsedine e pelle sovrappose quello di liquore e colonia maschile, ma solo per un istante, prima che il dolore lo facesse grugnire e portare una mano al viso.

Accidenti! Che oltre ad attirare il metallo fosse anche in grado di diventare duro come lo stesso materiale?

L’aria si fece nuovamente viziata ed una serie di parole gli venne alitata a pochi centimetri dalla guancia.

“Cosa c’è angioletto? Deluso di non essere riuscito a dimostrare di essere un vero uomo?”

Arch sapeva bene di poter facilmente scansare una simile provocazione con più dignità. Sapeva che, prendendo un paio di respiri profondi e lasciando che la sua Essenza gli affluisse come ossigeno al cervello, avrebbe addirittura potuto costringere quel gorilla borioso a girare i tacchi, chiudersi la porta della locanda alle spalle e lasciarlo in pace per il resto della giornata.

Ma qualcosa andò storto. 

Forse stava veramente passando troppo tempo in mezzo agli esseri umani. 

Forse la sua parte umana, quell’odioso unico fardello lasciatogli da suo padre, stava iniziando a farsi più forte, come in risposta ad un mondo che inconsciamente sentiva come famigliare e che amplificava la sua parte più animalesca.

Doveva essere quello il motivo per cui, contrariamente a quanto avrebbe voluto, si ritrovò a tentare con la mano libera un altro gancio, solo per vederselo nuovamente bloccato, e fronteggiare fronte contro fronte Kidd a mascelle serrate, con una gran voglia di sputargli addosso veleno.

Lui non era tipo da confronti diretti, né tantomeno prove di forza. Quello che stava facendo poteva essere un comportamento degno di Viola, non suo.

Gli occhi neri e dal taglio duro del pirata sembrarono sfidarlo e studiarlo al contempo.

Le sue ultime parole gli tornarono alla mente e lui non ci vide più.

Un vero uomo…

Il sangue gli affluì così in fretta al cervello che la vista gli si annebbiò. Aveva una gran voglia di portarsi in avanti e, come più di una volta sua cugina aveva minacciato di fare ad altri, strappare a suon di morsi grandi lembi di pelle sanguinolenti direttamente dalla faccia cadaverica di Kidd.

Realizzò quanto appena pensato e gli si gelarono le interiora. Il sangue alla testa sparito così come era venuto.

Si tirò indietro con uno scatto, barcollando per un paio di passi per via dello slancio. La sensazione di tutti quegli occhi puntati addosso contribuì a confonderlo, se possibile, ancora di più.

Non era da lui.

Decise, in un breve e saggio momento di lucidità, di evitare per lo meno di guardare Kidd, che si era messo a fissarlo a bocca penzolante come un pesce lesso. 

Chiuse gli occhi. 

Un paio di respiri. Inspirare. Espirare. 

Riaprendoli trovò molto interessante l’elegante palpitare di una farfalla bianca più o meno all’altezza delle sue ginocchia, ma, per sua sfortuna, non abbastanza rilassante.

Un vero uomo… 

Si coprì gli occhi con una mano, pressando indice e pollice sulle tempie, avvertendole pulsare frenetiche.

Un vero uomo.

Che diavolo era un vero uomo? Un essere così smanioso di rendersi superiore agli altri da prevaricare e calpestare la dignità e l’identità altrui? Un maiale bavoso che faceva a gara a chi apriva più cosce femminili in tutta la sua vita? Un porco che metteva incinte donne a caso e poi le abbandonava senza pensare alle conseguenze?

Uno come suo padre?

Una sensazione di gonfiore e dolore alle nocche lo indusse ad abbassare gli occhi.

Esattamente dove Eustass Kidd lo aveva afferrato, premendo i polpastrelli sulla pelle lattea del dorso delle mani per tenerlo fermo, erano iniziati a comparire già dei segni violacei.

Ah…

Un senso di torpore stagnante lo avvolse come una coperta sulle spalle.

A volte dimenticava quanto la sua pelle fosse delicata.

Alle volte dimenticava di essere una Paradisea nata maschio.

Dalle sue labbra fuoriuscì una risatina, dapprima a malapena espirata, poi, man mano che continuava, sempre più forte ed inequivocabile.

Dal proprio punto di vista Kidd iniziò a preoccuparsi, e molto. 

Il biondino sembrava sull’orlo di una crisi isterica e, qualunque fosse stata la causa di tale scenata, che Kidd rifiutava categoricamente di credere fosse stato il suo scherzetto alla locanda, stava provocando nel fondo delle sue viscere una sensazione che pareva un assurdo, melenso ed inequivocabile… senso di colpa.

Per una manciata di secondi, davanti al visino ovale dell’angioletto coperto da una lieve patina di sudore e con l’incarnato più esangue che mai, fu quasi tentato di avvicinarsi a lui e…

Eustass trattenne il respiro scioccato, realizzato quanto stesse per spingersi oltre i propri principi.

Cos’era diventato? Una donnicciola?!

I pugni venati gli si strinsero, pieni di frustrazione, sfidando le sue polsiere borchiate a bloccare del tutto il suo flusso sanguino.

Che cazzo! Mica c’era bisogno di fare tante storie per… per una scopata! Neanche andata a segno, tra l’altro!  Non voleva rilassarsi tra le braccia di una bella donna? Bene! Non voleva che lo toccasse con un dito? Ricevuto! Ma almeno la smettesse fare la pudica ragazzina isterica!

Il fatto che le risatine sussultanti si fossero bloccate di colpo, lo mise in allarme. 

Vide le spalle di Angelo Infido alzarsi sotto il peso di un profondo respiro e, poco dopo, neanche il tempo di vedere il volto del ragazzo scoprirsi completamente dalla barriera della sua mano,  sentì la sua voce biasciare flebile: 

“Io non sono un uomo.”

Kidd avvertì qualcuno dei suoi sulla soglia della locanda alle proprie spalle domandare agli altri se avesse sentito bene e, Roger, quanto avrebbe voluto potergli rispondere, ma la sua bocca si era come impastata.

Il peggio poi arrivò quando il biondino alzò del tutto il capo.

La sua gola di prosciugò del tutto.

Archetto stava sorridendo.

E non uno di quei sorrisi tirati, tipici di chi con sarcasmo ti guarda con sufficienza e sprezzo, cui Kidd era tanto abituato ad incontrare ed a rompere a suon di pugni nelle gengive. 

Quella linea serrata, sempre testardamente imbronciata, che era stata la bocca del ragazzo dacché ne aveva memoria, si era magicamente distesa in una linea rilassata, appena rivolta all’insù alle due estremità.

Eppure non era un vero sorriso.

Kidd se ne accorse una frazione di secondo dopo, osservando meglio il volto dell’altro.

Forse per qualcuno meno abituato a stare attento alle più piccole sfumature delle espressioni umane sarebbe anche potuto sembrare un normalissimo sorriso imbarazzato dato dalle circostanze, ma non per lui. Anni ed anni passati ad individuare con quasi morbosa insistenza il disprezzo nelle più infime micro-espressioni di volti appartenenti a persone appena viste e mai più riviste, gli avevano insegnato a riconoscere ben altro.

Lo capì dal modo in cui gli occhi si erano assottigliati, paradossalmente. 

Quelle due pozze color cobalto, sempre spalancate e dilatate come quelle di un falco pronto scendere a picco su una preda, erano oramai timidamente nascoste dietro le proprie palpebre.

In un’altra persona Kidd l’avrebbe a malapena notato, ma per un tipo sempre rigido e sull’attenti come Arch lasciarsi andare in quella maniera poteva solo significare due cosa: incertezza e sconforto.

“Cosa..?” si bloccò ancor prima che le onde metalliche riempissero l’aria, allarmando con la loro vibrazione prepotente il locandiere e le sue prostitute dietro di loro.

“Capitano! Il Ponte!”

Qualcuna delle baldracche accompagnò l’urlo del proprio protettore con un qualche gridolino impaurito ed a Kidd non bastò che una semplice occhiata all’orizzonte: dove prima le due isole dell’Arcipelago erano state unite da un lungo e mastodontico ponte, ora si ergeva un interminabile corridoio di fiamme rosse alte quanto un palazzo.

Un verso di stizza proveniente da Arch diede conferma ai suoi timori.

“Tch. Viola..”

La stangona con la lingua da scaricatore di porto aveva letteralmente mandato alle fiamme il ponte principale dell’isola. 

Come diavolaccio ci era riuscita?! 

Come cazzo era finita al porto?

E, per il bottino di Roger, che razza di fiamme erano quelle?!

Sembravano tante lingue di sangue che si stagliavano verso il cielo! Persino i suoi capelli sarebbero sembrati pallidi al confronto! 

Un senso di dejàvu gli formicolò in testa. Aveva già visto quella tonalità di colore, ma non riusciva a ricordare dove.

Pensò di sopperire al senso di impotenza che lo attanagliava, esternando un ben ponderato e poco lusinghiero sproloquio di aggettivi diretti alla cara cuginetta della fatina, quando questi lo precedette.

“Ci vediamo alla nave, capitano.” 

Neanche il tempo di tornare a guardarlo che già il ragazzo si era fiondato in avanti, correndo come se avesse avuto le ali ai piedi.

“Dove pensi di andare??!!” urlò con quanto più fiato riuscì a trovare.

“A salvare il culo a quell’idiota di mia cugina!”

Lo vide scomparire giù per la collina, manco fosse stata una volpe inseguita da un branco di cani pronti a sbranarla.

“Capitano, che facciamo?” chiese uno dei suoi uomini, avvicinandolo timorosamente.

Lui digrignò i denti, affrontando di scatto il volto truccato ed impallidito del proprio uomo. 

Nella sua mente c’era un casino incredibile.

Le parole di Arch continuavano a rimbombargli in testa come un’eco di una caverna, il suo sorriso incerto si alternava alla visione del Ponte Squama lambito dalle fiamme e il sentore di star tralasciando qualcosa di importante gli attanagliava le viscere.

Lo detestava.

“Trascina quelli rimasti dentro fuori dalla locanda. Non mi importa se sono ancora avvinghiati alle loro baldracche. Si torna alla nave! SUBITO!!!”

 

~Corno Sinistro

Se prima ad Izou percorrere le strade affollate della zona commerciale era sembrata un’impresa ardua, ripercorrere lo stesso tragitto in mezzo al caos della gente presa dal panico per via dell’incendio del Ponte Squama pareva impossibile.

Da quando lui, Ace, Marco ed Haruta erano partiti dal molo alla ricerca di Allegra, la situazione si era fatta insostenibile.

Ad ogni loro passo Marco ed Ace, posizionatisi davanti a loro nella speranza di avvistare per primi la ragazza, ricevevano almeno una ventina di gomitate al costato, tutte da parte di persone troppo prese dalla foga di allontanarsi il più possibile dal fuoco per riconoscere in loro dei membri della ciurma del Bianco.

Se non fossero stati rispettivamente uno Zoan ed un Rojan avrebbero sicuramente sentito di più i colpi.

Quando si dice il risvolto buono della medaglia…

“Credete sia stata Allegra??”

La voce sottile e forse un poco stridula di Haruta attirò su di sé la loro attenzione.

Era ovvio che si riferisse all’incendio. In fondo la paradisea era solita rivestirsi di fiamme quando arrabbiata o in difficoltà. Quello del comandante della dodicesima flotta non era un dubbio tanto infondato.

“Ne dubito.” fu comunque la risposta perentoria di Marco, pur sempre occupato a scrutare con morbosa attenzione anche il più infimo vicoletto.

Belladonna si accigliò stranito e lanciò alla Fenice uno sguardo dubbioso da sopra la propria spalla, distraendosi un’attimo dalla ricerca:

“Come fai a dirlo con certezza?”

La risposta però si tradusse in una semplice occhiataccia colma di rabbia, che lo spinse ad abbassare la testa ed a deglutire nervosamente. 

Era ovvio che Marco fosse ancora arrabbiato con lui.

Prima avrebbero trovato la Paradisea, prima la tensione tra loro si sarebbe alleviata.

O almeno così sperava.

“Semplice!” proferì Ace, arrampicandosi con un sol salto sulla tettoia più vicina per poi passare elegantemente sul .

Ad Izou il gesto non andò molto a genio, visto che la sua assenza lo privò della protezione necessaria ad evitargli uno scontro frontale con i passanti sconvolti ed angosciati dell’isola.

In un baleno un branco di paesani spaventati a morte lo investì, rischiando di farlo cadere e calpestarlo a morte. 

Ma ce l’avevano tutti con lui??

Svincolarsi non fu facile, ma per lo meno riuscì ad uscirne solo lievemente ammaccato.

“Le fiamme di Allegra non sono rosse.” continuò nel frattempo Ace più serio del solito, fissando lo spettacolo orrendo che in quel momento era il principale collegamento tra le due isole. 

“E, a giudicare da quanto successo quando si è scontrata con quell’ex schiavista mesi fa, non sarebbero in grado di bruciare alcunché.” Izou lo vide sondare brevemente il circondario con fare assorto.

Era raro vedere Pugno di Fuoco così meditabondo. Izou non l’aveva mai visto smettere di sorridere nemmeno la prima volta che si era ritrovato ad affrontare Oyaji faccia a faccia, prima di entrare ufficialmente nella ciurma. E la cosa lo preoccupava.

“Roid Brinata.” aggiunse Haruta in un sussurro astioso al suo fianco.

Già… ora che ci ripensava, anche Izou aveva assistito alla scena: la paradisea era letteralmente capitombolata a terra, sfiorando con le proprie braccia infuocate il pavimento legnoso della loro nave più di una volta, eppure queste non erano sembrate in grado di generare alcun tipo di incendio.

Era comunque strano il fatto che fosse riuscita ad ustionare quello schifoso mercante di umani, ma non di intaccare la Moby …

Si fermarono in mezzo alla strada. Ormai l’avevano setacciata in lungo ed in largo. Continuare testardamente a cercarla da quelle parti sarebbe stato controproducente.

Marco si era fermato più avanti, dando loro le spalle mentre contemplava in silenzio il ponte avviluppato dalle fiamme. 

Il sussurro di una folata di vento accompagnò i passi degli ultimi paesani.

Oramai quella zona si era fatta deserta.

Difficilmente qualcuno sarebbe rimasto in quella zona, col pericolo di un incendio nelle vicinanze.

Allora che fare?

I suono degli scarponi di Ace che atterravano sul pavimento lapideo della strada li avvertì che il loro fratellino era tornato coi piedi per terra.

All’onnagata venne naturale mordersi nervoso il labbro inferiore. Quella situazione era snervante. Ogni secondo che passava sembrava tempo prezioso sprecato.

“Chi potrebbe avere interesse a rapirla?” 

Si stupì dal modo in cui quella domanda gli fosse scivolata via dalle labbra, ma gli bastò la sensazione di essere osservato dagli altri per capire di aver inconsciamente centrato il punto.

Gli occhi cerulei della Fenice lo puntarono silenziosi e lui preferì continuare il suo ragionamento ad alta voce, accostandosi una mano al mento con fare pensieroso.

“Allegra non ha una taglia sulla testa e nonostante abbia già fatto colare a picco molte navi pirata, dubito fortemente la Marina possa avere delle notizie su di lei. Quindi escluderei a prescindere dei cacciatori di taglie.”

“Che siano stati degli schiavisti?” propose Haruta, guardandosi al contempo attorno con fare diffidente.

“E’ possibile.” si inserì Marco, avvicinandosi a loro a braccia incrociate “Il mercato nero dell’arcipelago si trova dall’altro capo del ponte e potrebbe aver sviluppato interesse per la tratta degli schiavi nell’ultimo periodo, ma con l’incendio dubito che si possano essere mossi più di tanto.”

“Potremmo dividerci e setacciare più attentamente l’isola, ma non sappiamo se siano riusciti a portarla dall’altra parte prima che il fuoco si espandesse.”asserì Izou.

“Ragazzi…”

L’intervento di Ace interruppe i loro ragionamenti come un fulmine a ciel sereno.

Il volto di Pugno di Fuoco si era fatto ancor più truce. Gli occhi scuri sondavano un punto imprecisato di una viuzza poco lontana, senza realmente vederla. 

Qualcosa nella sua mente doveva essere scattato.

La tensione che precedette le parole del loro solitamente allegro e spensierato fratellino non fu nulla se paragonata a quella che le succedette.

“Dov’è Doma?”

Fu come ricevere una scossa elettrica lungo la schiena. L’aria si fece pesante e di colpo Marco venne inondato da una coltre di fiamme azzurre.

Tempo di allontanarsi dal calore quasi insopportabile emanato dalle piume fiammeggianti che la Fenice si era già innalzata in volo.

“Ehi Marco! Aspet-!

“Setacciate in lungo in largo il Corno Sinistro! Io mi occuperò del Destro!”

“Non-!”

Il comandante della prima divisione si avviò in direzione dell’incendio rosso.

“Argh!” grugnì Ace, strapazzandosi i capelli da sotto il cappello da cowboy nel mentre malediceva la sua boccaccia “Quell’imbecille..!”

Con un ultimo scatto delle braccia il moro si girò verso Izou ed Haruta.

“Chiamerò Satch al Lumacofono per spiegargli la situazione. Voi controllate la parte alta dell’isola io mi occuperò della zona al molo! Dobbiamo trovare Doma!”

“Credi davvero che ci sia lui dietro tutto questo?” chiese l’onnagata, non risparmiandosi un’espressione poco convinta, mentre gli passò al volo la lumaca collegata a quella di Satch che conservava sotto lo yukata. Era vero che il Boemo si era dimostrato ostile verso Allegra, ma da lì a rapirla… non suonava abbastanza convincente per le sue orecchie.

Pugno di Fuoco saltò nuovamente sui tetti, stravolta mostrando un cipiglio più feroce di prima.

“Spero per lui che non ne sappia niente.”

Un cenno d’intesa con la testa e si congedarono.

Ace mise immediatamente mano al lumacofono, attivandola con gesto secco sul bottone della conchiglia.

“Satch, mi ricevi?”

Di colpo l’invertebrato aprì gli occhi assumendo l’espressione interessata e preoccupata del comandante della quarta flotta, persino la cicatrice sotto l’occhio destro era presente.

“Ace? Che succede? Avete trovato lo scricciolo?”

“Non ancora Satch. Ma stammi bene a sentire.”

Gli occhi dai lineamenti gentili della lumaca si incupirono.

“Ti ascolto.”

“Abbiamo un enorme problema, Satch.”

 

~ Moby Dick

Satch fermò la propria mano giusto un istante prima che affondasse nel suo ciuffo imbrillantinato per scompigliarlo nervosamente. 

Boccheggiava per lo shock.

Non ci credeva.

Era un disastro. Un fottuto disastro.

“Ne sei sicuro Ace?!” squittì al lumacofono con le stesse lentiggini dell’amico che in quel momento lo scrutava serissimo.

“Non totalmente. Tu comunque non dire nulla ad Oyaji. Non finchè ti richiamo per darti conferma.”

Il Diplomatico si passò una mano sulla fronte, poi sugli occhi. 

Come se avesse potuto dire una cosa simile al loro capitano.

Dopo essere stato lui stesso ad informarlo che Allegra si era persa nell’isola, in un momento così critico oltretutto, non sarebbe mai riuscito informarlo anche di quello.

Lui stesso, più giovane ed in salute, si era sentito mancare le forze alla notizia.

Rapita. 

Da degli schiavisti o da Doma stesso.

Tra le due opzioni non sapeva quale fosse la peggiore.

Santo Roger.

“Ricevuto. Ma mi unirò anche io alle ricerche.” asserì con più sicurezza e chiuse di netto la conversazione.

Mentre si avviava lungo la passerella la sua mente galoppava a ritroso gli avvenimenti che avevano preceduto quell’incubo di giornata.

Era iniziato tutto nel migliore dei modi. 

Avevano riso, scherzato tra loro.

In quale momento tutto aveva inizato a prendere una brutta piega?

Che i sospetti di Ace e gli altri fosse fondati e Doma fosse sceso senza alcuna spiegazione solo per nuocere alla ragazza?

Personalmente conosceva a malapena il Boemo, ma l’aveva sempre ritenuto una persona d’onore, fatta eccezione per l’ultimo attacco suicida che aveva lanciato loro addosso con un manipolo di mercenari scelti a caso.

Non era da Doma nuocere ad una ragazzina. Nè tantomeno venderla a degli schiavisti.

Ogni pirata che intraprendeva la Grande Rotta disprezzava gli schiavisti e, se non era possibile tenersene alla larga, li ostacolava con ferocia e disgusto.

No. Rifiutava anche solo di pensare ad un simile colpo basso da parte dello zingaro di mare.

“Ehi comandante! Il comandante Ace e gli altri sono riusciti a trovare Allegra?”

“Ormai l’isola è un disastro! Non si capisce più niente”

“Nemmeno i paesani sono riusciti a dirci granché!”

Satch si morse l’interno della bocca. Maledizione. Non poteva neanche permettersi di raccontare come stessero effettivamente le cose al resto della ciurma: avrebbe mandato l’intera nave nel caos più totale.

Indossò il migliore dei suoi sorrisi cordiali ed affrontò i propri fratelli di mare.

“Ace mi ha appena chiamato. Ha detto che pensa di averla intravista da qualche parte giù al molo. Sto giusto andando a dargli una mano.” 

Un sospiro generale invase l’aria.

“Meno male! Cominciavamo già a temere il peggio!”

“Certo che la nostra nuova sorellina non ci fa stare tranquilli un attimo eh?”

Satch si sentì tremendamente in colpa nel vederli così rilassati per una sua menzogna, ma non poteva fare altrimenti. Doveva tenere in piedi la recita a denti stretti e sorriso largo.

Doveva.

“Ah.” esclamò ricordandosi di un’altra questione lasciata in sospesa “Avete per caso visto Teach?”

“Ah. Teach. E’ rimasto con gli altri a preparare la nave per una possibile partenza. Visto come si stanno mettendo le cose non mi stupirei se ci ritrovassimo a dover levare le tende di botto!”

Dentro di sé il Diplomatico tirò un sospiro di sollievo.

Almeno Teach non avrebbe creato problemi. Se ripensava che per un istante aveva sospettato anche di lui, quasi si vergognava di se stesso.

“Oh, bhe. Allora lo incontrerò dopo. Volevo semplicemente dirgli una cosa. Niente d’importante.” concluse facendo per andarsene con il braccio alzato in segno di saluto.

“Mi raccomando comandante, ci riporti indietro la nostra piccola salterina!” fece in tempo ad urlargli dietro un altro membro ridacchiante della ciurma, prima che iniziasse a correre verso le prime strade che si diramavano dalla piazza.

“Senz’altro!” rispose lui, sbracciandosi in un ultimo cenno di saluto, per poi girarsi e rabbuiarsi.

Avrebbe volentieri potuto credere di più alle sue stesse parole.

Da lontano Marshall D. Teach sogghignò tra i buchi della propria dentatura marcia.

Che attore nato era il comandante Satch! 

Certo, la sua tecnica non era raffinata quanto la sua, ma sapeva certamente farsi onore!

Non appena ebbe visto scomparire il Diplomatico dietro una delle prime case, il grassone si fermò nell’atto di trasportare le casse e le botti destinate al deposito di provviste. Erano riusciti a racimolare ben poco prima dello svilupparsi dell’incendio, ma, se si contava quello rimasto nella stiva, quanto raccolto era più che sufficiente.

Contemplò un poco il grande ponte Squama riducersi lentamente ad un cumulo di legno bruciato.

Era stato un imprevisto, ma che comunque non cambiava nulla.

Ancora un paio di casse e si sarebbe potuto allontanare.

Se tutto fosse andato liscio, gli sarebbe bastata una lumacofonata per mettere fine a quella farsa.

Aggiustò meglio le casse che teneva sotto braccio e ricominciò a camminare.

Mentre i comandanti si affannavano per trovare il pasticcino, lui si sarebbe gustato con calma l’avanzare del suo piano.

Girò l’angolo della stiva buia, poggiando a terra le ultime taniche di cibo sotto sale, ed alla luce rossastra delle lanterne appese alle pareti il suo volto scuro ed ispido si torse di malevola soddisfazione.

“Zehaha…”

 

~Corno Sinistro

Per Viola arrivare dall’altro lato del ponte approfittando della confusione fu cosa abbastanza facile, se si metteva da parte il fatto che le sue fiamme si erano fatte così aggressive da rischiare di ustionare persino lei, che normalmente sarebbe dovuta esserne immune.

Giunta finalmente al molo dell’isola gemella, il suo primo istinto, dopo quello di riprendere fiato insieme agli umani che come lei sei erano diretti verso il Corno Sinistro, fu quello di affondare la testa nell’acqua fresca e cristallina della fontana lì presente.

La sensazione di quell’acqua freschissima che le carezzava scalpo e tempie ebbe il potere di farle tornare provvisoriamente il buonumore.

Grande Spirito.

Per un attimo aveva temuto di lasciarci la pelle.

Riemerse dalla fontana di scatto, schizzando gocce d’acqua mista a fuliggine da tutte le parti, e tornò ad osservare il macello che aveva provocato.

Quella mastodontica struttura, che aveva avuto il potere di stregarla per qualche istante, si stava lentamente disassemblando sotto i suoi occhi, divorata secondo dopo secondo dalle sue stesse fiamme. Osservò la gente accasciatasi a terra dopo aver corso per la propria vita.

Tra quelle persone c’erano persino donne con in braccio bambini ancora in fasce.

I pianti disperati di quelle creature venivano attutiti dai brevi e rassicuranti sussurri delle loro madri che, nonostante sporche, dai vestiti mezzi bruciacchiati, addirittura con le mani tanto rosse da sembrare coperte di sangue, continuavano a cullarli e dare loro piccoli baci con le lacrime agli occhi.

Un groppone le salì alla gola e l’immagine di sua madre le passò davanti in un istante.

Voltò le spalle a quella scena straziante, mordendosi nervosamente le labbra, ed iniziò a camminare per allontanarsi il più possibile.

Grande Spirito…” mormorò con vergogna crescente ad ogni passo “…cos’ho…?”

“Eccola!!”

Si girò di scatto e vide in lontananza delle altre guardie, vestite come quelle di prima, dirigersi verso di lei a fucili mezzi puntati.

Alzò gli occhi al cielo, lanciando un grugnito frustrato.

Cos’era? Non le era concesso di sentirsi una merda nemmeno per 5 secondi?!

Scattò prima che potessero avvicinarsi a lei di anche solo tre passi, labbra strette, occhi grandissimi e le braccia che si agitavano rigide ed ad angolo retto nel mentre della corsa.

A chiunque l’avesse vista in quel momento, così tesa  e sgraziata nella corsa, sarebbe sicuramente venuto da ridere fino allo sfinimento.

Per lei invece si trattava semplicemente di ottimizzare al massimo la fuga, poco importava quanto ridicola apparisse.

La ferita al fianco era ancora troppo fresca comunque, per sperare in un’andatura veloce e dignitosa.

Forse fu per quel motivo che, dopo metri e metri passati a boccheggiare, svoltando angoli a casaccio per seminare i suoi inseguitori, uno di quei fanatici del controllo riuscì a placcarla.

La paradisea della Violenza si sentì inizialmente afferrare da dietro, all’altezza del petto, poi un gesto secco la strattonò verso il basso, aggrappandosi con forza ai lacci del proprio corpetto.

Un attimo dopo il suo volto si ritrovò a saggiare il lerciume polveroso della strada e le sue anche urlavano indignate per l’ennesimo maltrattamento subìto.

Ovviamente Viola, ritrovata quel poco di lucidità che le permise di puntellare le braccia e sollevare il dorso e lanciare uno sguardo furente al suo assalitore, non si premurò nemmeno di inzuccherare il fiume di imprecazioni che le uscì di bocca.

“Toglimi quelle merdosissime mani di dosso, figlio di una vaccatrota in perenne calore!!!”

Il povero soldato semplice, sentendosi sbraitare in tono così feroce, ebbe un attimo di tentennamento che gli costò una pedata dritta in faccia.

Libera dalla presa del malcapitato, la ragazza si rimise immediatamente in piedi, sondando nervosamente i dintorni alla ricerca di altri ufficiali pronti ad acciuffarla.

Fu sorpresa di non vedere nessuno.

Si trovava un una lunga via piena di bancarelle abbandonate, alcune con ancora le pietanze da cuocere sul momento sulle griglie all’aperto, abbandonate lì a bruciare.

Si guardò attorno confusa.

Quanto tempo aveva corso?

A giudicare dal modo in cui i suoi polmoni bruciavano doveva essere passata una buona mezz’ora, ma a lei era parso non più di pochi minuti.

Che avesse seminato la maggior parte dei suoi inseguitori e solo il vermiciattolo che aveva innanzi fosse stato l’unico ad avere abbastanza stamina per raggiungerla?

Ripresasi dallo shock iniziale, cercò di tirarsi su il corpetto, abbassatosi così tanto durante la colluttazione da rischiare di farglielo scivolare, ma i risultati, anche dovuti alle dimensioni notevoli del suo davanzale, non furono dei migliori.

Quel maledetto pezzo di stoffa non voleva proprio risalire!

Già l’aveva odiato la prima volta che lo aveva infilato, non appena notato quanto fosse stretto.

Ora i suoi nervi provati dalla stanchezza e dall’ansia le stavano letteralmente gridando di strapparlo e procedere a petto nudo per il resto dell’isola.

“Arch, se ti metto le mani addosso…” grugnì, ma fu interrotta da uno scoppio seguito da un sibilo all’altezza della sua tempia.

Qualcosa nella sua mente scattò.

Fece appena in tempo a registrare la mano della guardia puntata verso di lei che impugnava una pistola ancora fumante.

E poi, come se il mondo si fosse oscurato di botto per poi riaccendersi, si ritrovò a sovrastare il suddetto, le mani strette a pugno con le nocche che affondavano ripetutamente nella sua faccia.

Era stata l’ultima goccia.

 

~Corno Sinistro

Per Satch trovare la via commerciale del Corno Sinistro era stato uno scherzetto.

Gli era bastato annusare l’aria e dirigersi laddove l’odore di spezie e profumi abbandonati a loro stessi si facevano più forti.

Far partire le ricerche da dove lo scricciolo era stata portata via gli era sembrata la scelta più giusta, nonostante i suoi fratellini avessero prediletto l’approccio più dispersivo.

Era certo che, in situazioni diverse, anche Marco avrebbe fatto lo stesso, tuttavia, dato che l’unico ad aver mantenuto più sangue freddo era lui, gli sarebbe toccato procedere da solo.

Izou aveva detto di averla persa di vista all’altezza delle bancarelle di abbigliamento, a pochi metri dal venditore di takoyaki, 4 negozi più avanti.

Era un inizio.

Proseguendo sempre dritto gli capitò più di una volta di scontrare, se non additirrura calpestare, ogni tipo di oggetto: dalle buste alle scatole di cibo ammaccate. 

Rabbrividì.

Era come camminare in una città fantasma.

Almeno avrebbe potuto scandagliare i dintorni alla ricerca di indizi senza problemi.

Il “peréperé” del lumacofono lentigginoso in tasca lo distrasse ancor prima di arrivare a destinazione, ma fu ben felice di rispondere nell’immediato, ansioso com’era di buone notizie.

“Qui Satch.”

“Satch?! Come procedono le ricerche?!” rispose la voce di Ace.

“Sono appena arrivato nella via commerciale in cerca di indizi. La zona è completamente deserta.”

“Izou e Haruta hanno il problema opposto. Stanno sgomberando i civili dalle zone prossime all’incendio.” sbuffò la lumaca lentigginosa.

Strinse gli occhi abbattuto. Non andava bene.

In mezzo a tutto quel casino sarebbe stato pressoché impossibile trovare anche un solo capello dello scricciolo. 

“Come vanno invece le cose da te?” cercò comunque di informarsi, sperando sempre un in piccolo colpo di fortuna.

“Neanche un’anima, Satch. Hanno radunato tutta la popolazione nelle zone alte dell’isola”

Il Diplomatico inspirò per darsi forza ad occhi chiusi e, quando li riaprì, la sua voce uscì più autoritaria che mai. 

“Venite a darmi una mano. Io continuo a vedere se trovo qualcosa.”

Appena chiusa la chiamata, Satch si sentì piombare addosso un peso enorme. 

Era una situazione troppo caotica. Dovevano muoversi velocemente e con precisione, o non osava immaginare come sarebbe potuta andare a finire.

Allegra poteva essere ovunque, arrivati a quel punto, ma Satch sperava, implorava, che l’incendio avesse in qualche modo scombussolato i piani dei (o del) rapitori.

Ripose al proprio posto la lumaca da comunicazione e si fece coraggio, iniziando ad ispezionare la zona predestinata con l’intenzione di non tralasciare neanche un centimetro.

Trovare qualcosa da quelle parti era la loro unica possibilità.

“AIUTOOO!!!”

Che diavolo..?! -

Preso com’era dalla propria ricerca, Satch non si accorse nemmeno di avere attaccato un pezzo di polvere sulla punta del naso, mentre rialzava la testa da terra al suono di quell’urlo disperato.

Non sarebbe stato comunque importante, dato lo spettacolo raccapricciante che si stava dirigendo a passi veloci e scoordinati verso di lui: un uomo in divisa bianca, non un marine, ma chiaramente appartenente alle forze dell’ordine locali, con la faccia tanto maciullata e sanguinolenta da non sembrare neanche più umana.

Il primo istinto fu quello di indietreggiare.

Cavoli, quel poveraccio sembrava direttamente uscito da uno di quei libri dell’orrore che Marco si divorava la sera sulla propria branda!

“Mi aiut-“ tentò di implorarlo quello una volta giunto a qualche metro da lui, venendo però interrotto da un proprio singhiozzo, che, dopo un attimo di sconcerto, gli fece realizzare che, sotto quella maschera rossa, il malcapitato stava piangendo.

Satch si sentì immediatamente solidale verso di lui e, smettendo di allontanarsi, mise le mani avanti, palmi verso il basso, ondeggiandole pacatamente su e giù nel tentativo di tranquillizzarlo.

“Calma amico. Cosa ti è..?”

“PRESO!”

Neanche il tempo di finire una frase, una stramaledetta frase, ed ecco un’ombra argentata scaraventarsi letteralmente sulla schiena del poveraccio, sbattendolo a terra come un fuscello.

La forza di quell’impatto fu tale che persino il pirata si ritrovò culo a terra, troppo scosso per capire immediatamente cosa stesse succedendo.

“No! Noo! Noo!” strillò preso dal panico il poliziotto, come se, qualsiasi cosa gli fosse appena piombata addosso, e che in quel momento lo stava tenendo bloccato a terra per la calotta con una mano, fosse la più orribile e sanguinaria creatura uscita direttamente dalla bocca dell’inferno.

Satch guardava orripilato la scena, aspettandosi da un momento all’altro vedere zanne, artigli e fiumi di sangue scorrere.

Deglutì piano, sentendo un sottile strato di sudore freddo formarsi sul collo.

Santo Roger, quella situazione assomigliava ad un libro dell’orrore ogni secondo che passava.

Poi la creatura infernale alzò le testa.

E a Satch gli si mozzò il respiro.

Due occhi color nocciola e furenti degni della più fiera delle tigri, lunghi e scarmigliati capelli argentati, una scollatura prosperosa e perfetta, una pelle chiarissima e braccia toniche percorse da innumerevoli cicatrici.

Non era affatto l’immagine di una belva feroce.

Fu sicuro di essere rimasto ad osservarla a bocca penzolante come un pesce lesso per una buona manciata di minuti, prima di rendersi conto di chi fosse effettivamente.

“Viola S..sassonia?!”

Sperava che lei e lo scricciolo condividessero lo stesso cognome, altrimenti aveva appena fatto la più ingrata delle figure.

La Sollevapesi reagì al suo nome bloccando un pugno mezzo insanguinato a mezz’aria e, come una visione, alzò gli occhi su di lui. Lo squadrò per qualche secondo, come se non si fosse accorta, se non in quel momento, che c’era anche lui.

Poi, facendo una smorfia, mandò a segno l’ultimo colpo sulla testa del poveraccio sotto di lei, mandandolo direttamente a nanna.

Almeno ha smesso di soffrire. - si consolò Satch, recitando una piccola preghiera per lui.

Ma si poteva sapere cosa le aveva fatto per meritarsi si essere malmenato in quella maniera?!

Viola Sollevapesi lo guardava circospetto e, quando fece per alzarsi, senza mai distogliere lo guardo da lui, si puntellò una mano su un fianco.

Fu quel particolare a fargli notare che, oltre a piccoli graffi sovrapposti alle cicatrici, aveva anche quella che assomigliava tremendamente ad una ferita da arma da fuoco.

La osservò un po’ più attentamente. 

Lo era davvero.

Le porse istintivamente una mano, come per offrirle il suo aiuto, ma questa gliela scacciò via con uno schiaffo.

“Ehi!” protestò.

“Chi sei? Come fai a sapere il mio nome?” chiese quella, sempre premendo la mano sulla ferita oramai attorniata da liquido rosso rappreso e leggermente secco.

L’aura di ostilità che emanava si sarebbe potuta tagliare con un coltello.

Accidenti, certo che tra lei e lo scricciolo c’erano la terra e il mare! Non si somigliavano per niente!

Si sentì letteralmente strattonato in avanti per il foulard e gli occhi pericolosamente accigliati della Sollevapesi ricoprirono, di punto in bianco, il suo intero campo visivo.

Vederla così vicina gli fece venire un nodo allo stomaco, le gambe iniziarono a tremare ed il sudore freddo tornò a ricoprirgli il viso.

Satch non era mai stato tipo da lasciarsi intimidire da qualcuno al primo incontro, ma l’espressione feroce di quella ragazzo lo lasciò letteralmente spiazzato e teso come una corda di violino.

Sembrava sul punto di prenderlo a morsi in faccia da un momento all’altro e, da come ne era uscito l’ultimo che aveva subito la sua ira, non gli sembrava un’opzione tanto inverosimile.

Marco ci aveva visto giusto, la prima volta che aveva espresso la propria opinione su quella ragazza, guardando la foto della sua taglia. Era pericolosa. Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, anzi, era una belva rabbiosa!

Oh, Roger, era stato veramente un ringhio quello che aveva sentito?!

“Chi. Diavolo. Sei?” scandì la ragazza a denti scoperti, le labbra contratte.

Cercò di balbettare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di evitare di subire l’ira di quella creatura…

Ma perché non poteva essere dolce e calma come lo scricciolo?!- piagnucolò mentalmente, sentendo oramai il suo destino segnato.

“SATCH!” fece capolino la voce di Ace dietro di lui.

Oh Santissimo Beneamatissimo Roger. GRAZIE.

 

Fine Capitolo 31

 

Notato qualcosa? °U° Dai che l’avete notato! 

Sì sì! Avete visto bene! Da oggi i capitoli avranno un nome! (per comodità mia, deus maximus gratia non ne potevo più di atti e scene, era ora che mi decidessi a semplificarmi la vita, SOB… )

Come avranno notato i più accaniti lettori ho anche da poco pubblicato uno Spin-off dedicato ad altre Paradisee: Ningyo no Sonata(la sonata delle sirene, mamma mia l’originalità! *sarcasm mode ON*)

Grazie a tutti quelli che ancora seguono la storia e non mi abbandonano nonostante i lunghi tempi di attesa per ogni capitolo!

p.s. Come sempre, ditemi che ne pensate e recensite!! (le vostre recensioni nutrono la mia anima!!) :))

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: SunVenice