– Non è Cushing. –
Cuddy e Wilson, che bevevano un tè nello studio di quest'ultimo, si voltarono verso la porta a vetri, che si era spalancata all'improvviso: c'erano Kutner e Tredici.
– Avete le analisi? – Wilson corse loro incontro e prese la cartella blu.
– La risposta al desametasone non è risolutiva, se fosse Cushing i livelli sarebbero almeno oltre 200. –
– Dev'esserci qualcos'altro... dobbiamo vedere il surrene in risonanza magnetica. O l'ipofisi... –
Wilson si lasciò scivolare sulla poltrona vicino alla finestra. Vedeva di sbieco lo studio di House, vuoto.
Se non era Cushing doveva essere un tumore della ghiandola surrenale o un adenoma ipofisario. Sentì da qualche parte vicino alla bocca dello stomaco un vuoto d'aria improvviso e gli sembrò di precipitare da un'altezza vertiginosa.
Fronteggiava questo genere di notizie ogni giorno., dava sentenze di morte a persone di ogni genere, età o sesso.
Sapeva che il Caso non sceglieva: nei suoi occhi si riflettevano i visi della gente che aveva curato anche solo perché lasciasse la vita in pace e senza soffrire più di quanto fosse umano e dignitoso.
Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse diverso cercare la morte dentro il tuo migliore amico.
– Preparatelo per la risonanza, io arrivo subito. –
E con queste parole, liberate in un sussurro, Wilson uscì dallo studio.
Cuddy lo seguì di corsa, ma non fece in tempo ad uscire in corridoio: l'aveva già perso di vista.
– Non posso crederci. – Kutner entrò nella stanza di House, seguito da Tredici.
– Che morirà? Non sappiamo a che stadio si trova. Potrebbe... –
– Ha avuto un arresto cardiaco, ha l'addome segnato di viola e le allucinazioni. A che stadio pensi che sia? – Taub era entrato in quel momento, e dietro le sue parole dure si poté cogliere un tremore della voce.
– L'incidente prima, e ora questo. Sembra uno scherzo. –
– Ha avuto l'incidente perché aveva le allucinazioni, ha avuto le allucinazioni perché qualcosa non funziona e così anche per la fibrillazione ventricolare. Il qualcosa di cui parliamo è un probabile tumore dell'ipofisi o del surrene, che spiegherebbe i lividi sull'addome. –
– E tu non lo trovi assurdo? –
– Lo trovo possibile. –
Con queste parole, Taub pose fine alla conversazione, mentre Tredici pensava alle categorie di "assurdo" e "possibile", cercando di applicarle alle vite segnate dal destino, e in particolare alla propria.
Il telefono suonava libero, ma nessuno rispondeva.
"Wilson, accidenti."
Cuddy riattaccò il telefono e afferrò il cappotto. Un attimo dopo la porta scorrevole del Princeton Plainsboro si era chiusa dietro di lei.
Lo trovò seduto sui gradini dell'ingresso del civico 221/B, la testa tra le mani.
– Oh, James. –
Si sedette vicino a lui e gli cinse le spalle. Restarono qualche minuto in silenzio, seduti sul marmo gelido, mentre la gente sfilava lungo la strada senza accorgersi di loro.
– Jimmy. –
Lui sollevò la testa e la guardò mentre il sole le disegnava ciocche ramate tra i capelli corvini. Pensò che di loro due quella forte per davvero era lei. House aveva detto bene: lui non sopportava che la morte potesse scegliere senza ragione e preavviso e per questo si era costretto a vederla ogni giorno negli altri, per crollare, poi, quando questa lo colpiva da vicino. House aveva ragione. House aveva sempre ragione.
Si alzò.
– Dobbiamo andare, lo so. –
Ora erano entrambi in piedi di fronte alla porta dell'appartamento. Scesero gli scalini insieme, lentamente, consci di avviarsi, finalmente, verso la verità.