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Autore: Trick    13/11/2015    6 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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°°°

Prima che i Nazisti bombardassero Londra erano esistiti due modi per raggiungere la Fossa: la fermata di Oakwood e quella di Royal Oak.

Quando Remus vi aveva messo piede per la prima volta era il 1978 e, dopo quasi quarant'anni, l'entrata di Royal Oak era ancora sigillata da quintali di rocce e detriti. Incuriosito, aveva domandato per quale motivo non fosse mai stata riaperta e l'unica risposta che aveva ottenuto era stata che Oakwood dava già abbastanza problemi da sola.

“Tutto sommato, ragazzo, pure i Nazisti qualcosa di buono lo hanno fatto” gli aveva detto un vecchio Lupo Mannaro di nome Roald, che all'epoca aveva abbastanza anni per aver assistito all'incoronazione della Regina Vittoria.

“E perché sempre la quercia?” aveva insistito Remus. “Oakwood, Royal Oak... c'è un legame? Per gli Antichi Romani era un simbolo di grandi virtù”.

Roald lo aveva fissato intensamente per qualche secondo, senza smettere di masticare un grumo marroncino di tabacco.

“Ma perché te cerchi cose difficili anche nel caso?”.

Remus ricordava di aver riso con una leggerezza che non provava da molti mesi a quella parte e si era lasciato coinvolgere in un ridicolo brindisi “in onore di quella cazzo di quercia”. I due primi anni che aveva trascorso nei sotterranei della Fossa erano stati di grande ispirazione per lui: aveva temuto che si sarebbe ritrovato circondato dagli stessi demoni che affollavano ancora i suoi incubi, dove le zanne e il tanfo di Greyback non gli davano tregua, aveva temuto di non essere in grado di passare inosservato fra tutti quegli occhiacci gialli, e invece... Roald gli aveva semplicemente insegnato giochi di carte che non conosceva.

Era morto nel 1984.

Remus non era tornato nella Fossa negli ultimi dieci anni. Non aveva idea di cosa fosse cambiato in quel lasso di tempo – anche se dubitava fosse cambiato qualcosa – né aveva idea di quanti volti amici avrebbe avuto la fortuna di rivedere.

Lo stridio dei freni della metropolitana gli annunciarono che erano giunti alla fermata di Oakwood. A quell'ora del giorno la linea era utilizzata principalmente da ragazzi che rientravano da una notte di bagordi o da poveracci costretti ad alzarsi alle quattro di mattina per lavori probabilmente sottopagati. Remus lo sapeva bene: in passato era stato sia fra i primi che fra i secondi. A volte contemporaneamente. Non fu ovviamente l'unico a scendere dalla metropolitana, ma non si sarebbe potuto dire che la stazione fosse affollata. Perfino i due controllori che erano appena saliti a bordo sembravano ancora addormentati. Si sedette a una delle panchine di ferro ed estrasse dalla gigantesca tracolla un pacchetto di Rothmans senza filtro. Era un brutto retaggio ereditato da sua madre, quello.

Diede una prima profonda boccata e rimase a guardare le lancette dell'orologio appeso al muro. Le quattro e sedici minuti.

Era in anticipo.

Si appoggiò alla tracolla e continuò a fumare pigramente, fissando un punto indistinto davanti a sé. Quanto poteva permettersi di credere a Severus? Come poteva Greyback essere davvero sopravvissuto a quell'incidente? Quando gli uomini del Ministero erano riusciti ad arrivare sul posto, del treno e di chiunque fosse stato trascinato in fondo al dirupo non era rimasto molto. Identificare tutti quei Babbani spiaccicati aveva impegnato tre Dipartimenti del Ministero per almeno due settimane.

Remus l'aveva visto precipitare avvolto dalle fiamme... ma per quale motivo Severus avrebbe dovuto mentire a Silente? Mentire a lui, con tutto l'astio mai sepolto che li legava, avrebbe avuto un senso, seppur malevolo, ma a Silente? No, se nel Regno Unito c'era una persona a cui Severus non avrebbe mai mentito, quella persona era Silente.

Doveva solo sperare che la notizia fosse falsa e che Severus si fosse sbagliato. Voleva sperarlo con tutte le proprie forze.

Venne distratto da un acuto squittio alla sua sinistra. Era talmente soffocato che per un attimo credette di averlo solo immaginato, ma poi lo sentì ancora. E ancora. Alzò lo sguardo in direzione di una guardia di sicurezza mollemente appoggiata a una delle barre meccaniche per l'accesso alla metropolitana. C'erano solo due ragazzi sui vent'anni che dormivano su una panchina poco distante.

Remus afferrò la tracolla, spense la sigaretta e si avvicinò con aria noncurante al punto dal quale aveva sentito provenire il rumore, ma aveva la mano già stretta attorno alla bacchetta, nascosta sotto al vecchio pastrano Babbano che indossava.

Era così che i Mangiamorte avevano fregato Emmeline il mese prima.

Il rumore si faceva più intenso mano a mano che si avvicinava alla fine della banchina, ma presto venne coperto dal boato del treno in arrivo delle quattro e ventidue. Da una delle ultime colonne spuntava un'ombra informe e tremolante. Remus si arrestò ed estrasse la bacchetta.

Quando il treno sfrecciò loro accanto, l'ombra svanì di colpo dietro la colonna.

Imprecando mentalmente, Remus chiuse gli occhi, si massaggiò lentamente la tempia destra e ripose la bacchetta. Non tornava nella Fossa da dieci anni, quante possibilità c'erano che proprio lui e proprio quel giorno ne trovasse uno a Oakwood? Attese che il treno fosse passato prima di parlare.

«Ehi? C'è qualcuno lì dietro?» chiese con voce calma.

Non era uno squittio e non era un Mangiamorte. Il pianto soffocato che proveniva dall'altro capo della colonna apparteneva inequivocabilmente a un bambino.

Si sporse e lanciò un'occhiata al mucchietto di vestiti accovacciato ai suoi piedi. Non poteva avere più sette o otto anni. Si ostinava a tenere il viso sommerso in un pupazzo a forma di tigre. Remus lo studiò meglio: corti riccioli chiari, un piccolo cappottino azzurro e una sciarpa con i colori del Manchester City – o delle Frecce di Appleby, eventualità più probabile.

«Buongiorno» ritentò ancora, abbassandosi per arrivare alla stessa altezza.

Ora che poteva vederlo da più vicino, notò le punte delle dita fasciate con delle garze e sospirò, riconoscendo l'odore dell'aconito con il quale erano imbevute. Era decisamente un piccolo tifoso delle Frecce.

«Io mi chiamo Remus».

Il bambino non diede segno di averlo sentito.

«Non sono un Babbano» continuò. «E non voglio farti del male, voglio solo aiutarti». Non ottenendo alcuna risposta, Remus allungò la mano con il dorso rivolto verso l'alto. Nei punti attorno alle unghie curate, laddove erano fuoriusciti gli artigli nel precedente plenilunio, la pelle era rovinata e piena di croste di sangue. «Fa un po' male anche a me, ma l'aconito non è il rimedio giusto».

Finalmente il bambino si arrischiò ad alzare la testa per guardarlo. Aveva ciglia lunghe e un piccolo naso dritto, e le guance pallide erano rigate di lacrime. Non era un maschio, Remus si era sbagliato: era una bambina. E le sue pupille – notò Remus con una smorfia triste – erano già diventate quasi totalmente gialle. Le diede tutto il tempo di studiare con cautela sia lui che la sua mano.

«Lei cos'ha usato?».

«Essenza di belladonna, ma non devi annusarla, o rischi di dormire per il resto della settimana» spiegò prontamente Remus. «Come ti chiami?».

«Cleo».

Remus le sorrise.

«È un bel nome».

La bambina abbassò lo sguardo e si strinse al pupazzo.

«Cleonia» mormorò, e nella sua voce tornò a intromettersi il tremolio del pianto. «Ma mi chiamano Cleo... mamma e papà».

Dapprima tremolarono le labbra, poi le mani. Ricominciò a piangere senza sosta, bagnando la tigre giocattolo di lacrime. Remus si passò una mano sul viso. Aveva trovato decine di bambini e ragazzini nella metropolitana di Oakwood, eppure ogni volta era sempre più dura della precedente.

Molti anni prima c'era mancato poco che anche lui finisse fra di loro – ma sua madre era irlandese ed era Babbana, e anziché finire nella Fossa Remus si era ritrovato in un villaggio cattolico a sud di Cork. Non era ancora del tutto certo che gli fosse andata meglio, ma di certo era andata peggio a suo padre, che non era mai riuscito a levarselo davvero dai piedi e aveva dovuto sopportare il primo Lupin smistato a Grifondoro dopo almeno otto generazioni di Corvonero.

«Voglio la mia mamma...».

Remus gli appoggiò una mano sulla sommità dei riccioli biondi.

«Lo so, ma ora non puoi». Avrebbe potuto mentirle, ma in cuor suo era certo che prima o poi se ne sarebbe pentito. «Quando sarai un po' più grande e se vorrai farlo, potrai rivederla. Quando avrai imparato tutto ciò che devi sapere, potrai tornare a casa». “Ma non credo ne avrai voglia quando capirai cosa ti ha fatto”. Ogni volta era sempre difficile. «Sai cosa sei, non è vero?».

Nonostante il pianto, la parola che uscì dalla bocca di Cleo parve fendere l'aria come un pugnale.

«Un mostro».

«Certo che no» replicò d'istinto Remus. Ora sì, che iniziava la bugia. «Noi Lupi Mannari non siamo dei mostri. Sappiamo fare cose che i maghi e le streghe non possono fare, ma non sempre siamo abbastanza bravi da controllare il nostro potere. È per questo che non puoi ancora tornare a casa, lo capisci? Non sei ancora abbastanza brava». Più bugie, sempre più bugie... non erano mai abbastanza. Remus continuava a sorriderle e a carezzarle la testa, ma si sentiva soffocare. «Conosco un posto dove potrai incontrare molte persone gentili pronte a spiegarti ciò che ora non riesci a capire... e darti una bella bistecca di manzo al sangue, scommetto che sei affamata».

Cleo tirò su con il naso e si strofinò il viso con la manica del cappotto.

«Non è vero, io l'ho visto... i suoi denti erano gialli ed è saltato fuori dal buio, e io l'ho visto...» piagnucolò.

Remus fece un profondo respiro. Non aveva più tempo, ma la piccola Cleo non meritava di essere trascinata nella Fossa come se la stesse rapendo.

«L'ho visto anch'io molto tempo fa» le confessò. «So che ti fa paura, so che fa male... ma non tutti i Lupi Mannari sono cattivi. Io non sono cattivo e non lo sei nemmeno tu. Vuoi fidarti di me, Cleo? Vuoi venire con me? Ti prometto che se non ti dovesse piacere, scriveremo una lettera alla tua famiglia e le chiederemo di riportarti a casa». “E loro la ignoreranno così come hanno ignorato te e ti costringeranno a odiarli per il resto della vita”.

Cleo sembrava ancora piuttosto combattuta. Parve sul punto di dire qualcosa, quando una figura magra guizzò improvvisamente fuori dal tunnel nel quale svanivano le rotaie. Cleo strillò spaventata e si nascose fra le braccia di Remus, che aveva alzato la bacchetta con incredibile velocità. Quando riconobbe il volto dello sconosciuto, sbuffò.

«Gordon!».

L'uomo strizzò gli occhi con espressione ebete. Aveva un lieve strabismo che dava al suo volto un'aria perennemente sciocca e la costituzione alta e scheletrica di uno spaventapasseri. Il cappello arancione dei Cannoni faceva a pugni con i suoi capelli rossicci.

«Lupin? Remus Lupin? Che il diavolo ti porti, maledetto figlio di--!».

«Gordon» lo interruppe con un sibilo feroce.

Gli indicò Cleo con un cenno eloquente della testa, ma l'altro rispose mostrandogli i palmi della mani e scrollando le spalle.

«Aye, e che colpa ne ho io? È la terza, questo mese. Dai, prendila in braccio e andiamo, tra un po' passerà l'altro treno dei Babbani e non mi piace quando mi fischia nelle orecchie».

Gordon risaltò giù dalla banchina senza aggiungere altro. Con Cleo ancora appiccicata al suo pastrano, Remus sfruttò l'occasione e la sollevò con sé, premurandosi di raccogliere la sua tigre di pezza.

«E lei come si chiama, invece?» domandò come se non fosse accaduto nulla.

Gli occhietti gialli della bambina lo scrutarono da uno spiraglio nel cappotto, poi guardarono la tigre.

«È un lui. Si chiama Lionel».

«Lionel?» ripeté con vivace interesse Remus, mentre tentava di mettersi la tracolla sulle spalle senza far cadere la bambina e il suo pupazzo. «Strano... dimmi, Lionel, tu sai di essere una tigre?».

Cleo allungò le mani per recuperare il pupazzo con un accenno velato di risata.

«No, tu dici? Sul serio?» continuò Remus, mentre scendeva con attenzione dalla banchina e seguiva la scia della torcia elettrica di Gordon lungo il tunnel. «Cosa dici, Lionel? Credevi di essere un procione? Santo cielo, pensa che io una volta credevo di essere uno struzzo! Ma che razza di mondo è mai questo, se una tigre non viene più avvisata di essere una tigre! Non sei d'accordo, Cleo?».

Mentre la bambina ridacchiava e Remus si distendeva un poco insieme a lei, nella sua testa continuava a rimbombare il pensiero che il loro mondo non era orrendo solo per le tigri di pezza.


°°°


Era da poco sorto il sole quando Tonks si Smaterializzò a poche decine di metri dal limite magico dei confini di Hogwarts. L'antico castello si affacciava dalla prima nebbia del mattino come da un piccolo quadro ad acquerello.

La strega si avviò a passo deciso verso i cancelli neri, con il cappuccio del mantello chino sui capelli grigi. Sebbene l'aria fosse abbastanza umida, il clima estivo era ancora caldo e difficilmente avrebbe potuto giustificare il mantello. Prima o poi qualcuno avrebbe notato i suoi capelli insoliti, si era detta dopo il cinquantesimo tentativo di riappropriarsi dei proprio poteri di metamorfosi, ma aveva comunque preferito “poi”.

Fu piuttosto sorpresa di trovare tre dei suoi vecchi professori ad attenderla oltre i due colossali pilatri d'ingresso. La professoressa McGranitt e il professor Vitious parvero improvvisamente sollevati di vederla, ma alle loro spalle il sogghigno di Piton era un'inequivocabile dimostrazione di disgusto. Poco male, si era detta, d'altronde nemmeno lui le era mai piaciuto e non ne aveva mai fatto segreto. La presenza di un così nutrito gruppo di professori restava comunque un mistero che era intenzionata a risolvere. Notò le loro bacchette sguainate solo quando arrivò a qualche metro da loro.

«Oh, cavolo!» esclamò all'improvviso, alzando entrambe le mani. «Sono felice che abbiate rafforzato le difese alla scuola, ma giuro di non avere brutte intenzioni».

La McGranitt e Vitious si scambiarono un'occhiata allarmata. Tonks inarcò un sopracciglio.

«È solo una precauzione, signorina Tonks...» le disse Vitious.

«E meno male che ho avvisato con il mio Patronus...» cercò di scherzare lei. «Se fossi arrivata e avessi fatto un fischio, mi avreste Schiantato?».

Anche la McGranitt parve arrangiare un sorriso divertito piuttosto forzato.

«Probabilmente sì».

Piton rivolse a Tonks un'eloquente occhiata di sdegno e si voltò sui tacchi, con l'impressione di chi trovava snervante il solo pensiero di rimanere il loro compagnia. Tonks lo apostrofò con una parola volgare e si guadagnò il primo rimprovero giornaliero della McGranitt.

«Parola sbagliata, senso azzeccato» tagliò corto Tonks.

Vitious ridacchiò brevemente.

«Questa scuola sente giorno dopo giorno la mancanza del suo spirito composto, signorina Tonks».

«I suoi professori un po' meno» si aggiunse la McGranitt. «Filius, ti spiace precederci e avvisare il professor Silente che Ninfadora--».

«Tonks».

«--è arrivata e lo raggiungerà nel suo ufficio sana e salva, se solo la smetterà di interrompermi».

Tonks rimase a fissare il piccolo professore allontanarsi in direzione del castello, sicura di non aver ancora compreso del tutto la situazione. Si rivolse alla McGranitt con voce seria.

«A cosa devo quest'accoglienza? Il mio Patronus non è arrivato in forma corporea?».

Le narici della McGranitt vibrarono un poco. Dopo sette anni passati ad ammirarne le tacitamente le capacità, Tonks intuì che c'era qualcosa che la metteva a disagio.

«Al contrario» rispose brevemente, prima di avviarsi lungo il sentiero.

Tonks la seguì di buona lena.

«E dunque?».

«Dunque è stata nostra premura accertarsi che fossi tu».

«E chi altri avrei dovuto essere? Quanti stupidi Patroni a forma di lepre americana possono mai esistere in Gran Bretagna?».

La professoressa si bloccò di colpo e la guardò con espressione ansiosa.

«Tonks, non era nemmeno lontanamente simile a una lepre».

La risposta la colpì talmente inaspettata che per qualche secondo rimase immobile al centro del sentiero, mentre la McGranitt aveva già ripreso a marciare vero i portoni di Hogwarts. Oltretutto era la prima volta dacché aveva preso i suoi M.A.G.O. che la McGranitt la chiamava con il suo cognome.

«Che vuol dire che non era una lepre?» le urlò dietro mentre la raggiungeva di corsa. «Come poteva non essere una lepre?».

Ormai avevano raggiunto i gradini che conducevano alla Sala d'Ingresso. La professoressa sembrava intenzionata a darle le spalle e ad accelerare il passo pur di non rispondere alle sue domande.

«Minerva!».

La McGranitt si fermò davanti ai portoni. Tonks non era del tutto certa che qualche ex-studentessa avesse mai avuto l'ardire di chiamarla per nome, ma quella fuga inspiegabile la stava irritando. La strega più anziana si volto con incredibile lentezza – e nei suoi occhi non c'era più solo preoccupazione, ma una lieve scintilla di stizza.

«Non sono più la ragazzina che faceva perdere punti a Tassorosso» riprese Tonks. «Voglio essere trattata da adulta».

«Hai ragione. Tuttavia temo che nei prossimi tempi tu non possa aspettarti un simile trattamento».

«Cosa--?».

«Il tuo Patrono ha cambiato forma».

Dapprima si limitò a sbattere semplicemente le palpebre, incerta su cosa avesse davvero sentito o capito. Cambiare forma? Era una follia, i Patroni erano connessi al mago o alla strega che li evocava, ne rispecchiavano l'anima e la storia... mentre il suo cervello continuava a ragionare sull'assurdità di quanto la McGranitt aveva appena detto, una piccola luce di comprensione balenò improvvisamente in lei.

Aveva perso i suoi poteri.

«Oh, merda».

«Eh, sì» convenne la McGranitt. «Questa volta hai ragione ad essere volgare, Ninfadora. Potresti essere diventata una mina vagante per tutti noi». Il suo tono si fece d'un tratto più gentile. «Non fasciarti quella testa dura prima del tempo: lasciamo che sia il professor Silente a decidere se e quanto dobbiamo preoccuparci».

Sapeva cosa voleva dire. L'Incanto Patrono era una magia complessa e per sua natura molto potente, difficilmente mutabile con il tempo. Occorreva una crisi interiore di pari complessità per cambiarne l'aspetto... e se ne aveva subito le conseguenze un incantesimo così impenetrabile, il rischio che non fosse più in grado di controllare appieno anche magie di difficoltà inferiore era scandalosamente elevato. “Una mina vagante” aveva detto la McGranitt. Lei era un'Auror, un membro dell'Ordine della Fenice... non poteva combattere se non era certa di poter controllare la propria magia. “Mina vagante ” era decisamente un eufemismo.

«Perlomeno hai la tua faccia» commentò con praticità la McGranitt. «È un bene che tu non abbia perso il controllo dei tuoi poteri da Metamorfomagus».

Con un sospiro affranto, Tonks abbassò il cappuccio e le mostrò i capelli grigi. Fu il turno della McGranitt di imprecare.

Nessuna delle due donne aggiunse altro. Tonks la seguì attraverso la Sala d'Ingresso e poi lungo la scalinata più lunga che conduceva direttamente al quinto piano – quel giorno non pareva avere molta voglia di muoversi. Senza il brulicare delle centinaia di ragazzini che lo abitavano durante il periodo scolastico, Hogwarts sembrava un gigante tetro.

Fu solo a metà della scala che parlò di nuovo.

«Che cos'era? Il mio Patrono, intendo» si spiegò meglio Tonks. «Se non era la mia lepre americana... cos'altro era?».

La McGranitt respirò profondamente.

«Era un Lupo Mannaro».

Forse non avrebbe dovuto esserne tanto stupita, ma la rivelazione la prese in contropiede. Si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi e scosse il capo, incredula.

«Assurdo...» borbottò fra sé.

Aveva raggiunto Hogwarts con l'intenzione di scoprire cosa stesse realmente architettando Remus e cosa si nascondesse davvero dietro a tutte le sue mezze bugie. Non aveva la minima intenzione di farlo desistere dall'incarico – ma per chi l'aveva presa, quell'imbecille? Lei era un'Auror, una sua alleata, non certo una ragazzina capricciosa disposta ad anteporre i suoi bisogni alla pace della comunità magica. Ora il suo interesse stava rapidamente lasciando il posto a una furia crescente. Si era ripromessa che mai avrebbe accettato di cambiare a causa di un uomo. Era stata la sua prima regola da quando aveva iniziato a frequentare i primi ragazzi a Hogwarts: avevano sempre delle richieste dopo i primi appuntamenti. Qualcuno le chiedeva di diventare più alta o più snella, più mora o più bionda, con il seno più abbondante... e lei li scaricava tutti, uno dopo l'altro, prima a Hogwarts e poi fuori, in un mondo in cui gli uomini che frequentava non sembravano mai essere davvero cresciuti.

Era la sua regola fondamentale.

“I tuoi poteri non sono un gioco, Dora. Devi usarli con saggezza o l'unica cosa che gli altri vedranno sarà una strega con mille facce di cui non ci si può fidare” le ripeteva il padre da quando era una bambina. “Non lasciare che diventino più importanti di te”.

Suo padre era l'unico uomo a cui avesse mai davvero ubbidito. E ora? Eccola lì, molti anni più tardi e con più esperienze sulle spalle a commettere un errore che con tutta probabilità le sarebbe costato la carriera. Giurò su se stessa che avrebbe preso a calci Remus fino a quando i sui capelli non sarebbero ritornati colorati.

Perché un Lupo Mannaro, poi? Avrebbe potuto capire un lupo, ma perché doveva proprio essere un Lupo Mannaro? I Patroni tendevano ad assumere forme piuttosto comuni... il Patrono di Remus era un lupo. Un lupo scandalosamente ordinario, niente zanne esagerate, niente coda a ciuffo... Tonks ci aveva impiegato mesi a capire per quale motivo Remus lo trovasse tanto disgustoso: autocommiserazione. In quello Remus era un bambino prodigio che non voleva crescere.

Un Patrono a forma di Lupo Mannaro non avrebbe dovuto esistere.

Giunte davanti ai due gargoyle di pietra che proteggevano l'ingresso all'ufficio di Silente, le due streghe si fermarono l'una davanti all'altra. Tonks attese qualche frase di blando incoraggiamento con le mani infilate nelle tasche e l'espressione rassegnata.

«Guarda il lato positivo. Sei così tanto concentrata sui tuoi problemi che non sei inciampata in nessuno dei gradini».

Tonks inarcò un sopracciglio.

«Pensa che io sia debole?».

«Non ho detto questo».

«Ma è quello che pensa» ribatté secca Tonks. «Sto perdendo il controllo della mia magia per colpa di Remus, è inutile nasconderlo. I miei poteri, le mie abilità, tutto ciò che sono viene messo in discussione a causa di un uomo. Lei non è una di quelle donne che lo avrebbe accettato».

«Lo credi davvero?».

«Sì».

La McGranitt le rivolse uno sguardo carico di nostalgico affetto.

«Se ti ritenessi una donna debole, non perderei tempo a conversare di tragiche sventure d'amore insieme a te. Non mi pare che tu stia piagnucolando, non mi pare che tu stia battendo i piedi sul pavimento come una bambina viziata». La sua voce tornò ad animarsi della consueta severità. «Se credi di essere debole, il mondo intero ti vedrà debole. Alza quella testa, signorina Tonks. Sei l'unica alla quale devi rendere conto della tua vita».

La salutò con un cenno sbrigativo del capo e le voltò le spalle, incamminandosi a passi rapidi lungo il corridoio. Per un attimo Tonks ebbe l'impressione che stesse cercando di fuggire dall'argomento... si chiese se non avesse inavvertitamente toccato qualche nervo non del tutto sepolto dal passato.

«Scarafaggi a grappolo».

I due pesanti gargoyle si scansarono e le permisero di salire le scale. La luce del sole entrava dalle finestre e rischiarava l'ufficio con un'atmosfera di candida quiete. Le decine di strani oggetti di vetro sulle mensole luccicavano mentre Fanny, la fenice, la osservava curiosa dall'alto del suo trespolo. Il professor Silente scrutava la grandiosità della brughiera attorno a Hogwarts appoggiato al davanzale dell'unica finestra spalancata. Indossava solo una leggera veste da mago di un intenso azzurro.

«È una bella giornata» commentò serenamente Silente.

«Già» convenne Tonks, avvicinandosi a lui e incrociando le braccia al petto. Attese qualche secondo prima di parlare. «Gliel'hanno già detto?».

«Cosa, mia cara?».

Lei si tirò un ciuffo grigio davanti al volto con aria eloquente.

«Oh, quello. Sì, Severus potrebbe avermelo accennato...».

«Fantastico».

«Guarda laggiù, signorina Tonks. Vedi quel piccolo sentiero che svanisce lungo i confini della Foresta Nera?».

Tonks strizzò gli occhi e tentò invano di seguire la direzione del suo dito indice. Percorse con lo sguardo le rive frastagliate del lago e i primi alberi più basso della Foresta, ma del sentiero non c'era traccia.

«Credo proprio di no...».

«Nemmeno io» rispose allegramente Silente. «Però so che c'è, lo percorro spesso quando non ho voglia di sopportare la nausea della Metrolpolvere». Tonks dubitava che un mago del calibro di Silente avesse mai dovuto usare la Metrolpolvere, ma non lo interruppe. «Conduce poco fuori da Hogsmeade e una volta superato il perimetro di Hogwarts lunghe file di pioppi lo costeggiano fino alle prime campagne Babbane. In primavera è davvero uno spettacolo magnifico... ma suppongo che tu non sia qui per ammirare un sentiero poco battuto, non è vero?».

Come la maggior parte delle volte in cui si ritrovava a parlare con Silente, Tonks era confusa. Aveva smesso di fingere di capirlo quando aveva tredici anni e ora si limitava a scuotere la testa e a dire semplicemente la prima cosa che gli capitava. A quanto le aveva detto anni prima, Silente trovava la sua vena estroversa di particolare divertimento.

«In tutta sincerità, professore, nemmeno sapevo ci fosse un sentiero».

«Esatto».

L'anziano mago tornò ad accomodarsi sulla sua poltrona. Fanny aprì le ali e si lasciò scivolare con un pigro volteggiare sul suo bracciolo. Tonks si voltò verso di lui e si appoggiò al davanzale.

«Vuoi le caramelle al lampone?».

«Sono al solito posto?».

Silente rise.

«A meno che tu non le abbia divorate durante l'ultima riunione dell'Ordine, sì».

«Certo che no» ribadì Tonks, fingendosi teatralmente seria mentre afferrava una ciotola di ottone da uno scaffale poco distante e rischiava di inciampare nel tappeto. «Sono sicura di averne risparmiate almeno un paio».

Ne infilò in bocca una e tese la scatola a Silente, che le studiò con cura prima di sceglierne una in particolare. Tonks tornò ad appoggiarsi alla finestra, sbocconcellando le sua caramelle preferite. Credeva che Silente le conservasse davvero solo per lei, perché ogni volta quelle particolari caramelle al lampone sembravano lì ad aspettarla, fin dalle sue prime punizioni a undici anni. Sembrava essere diventato un rito.

«Da dove preferisci iniziare?» domandò con un sorriso gentile Silente.

«Non lo so. Quando sono arrivata credevo di sapere cosa chiederle, ma poi... Piton le ha detto del mio Patrono?».

«Sì, mi ha accennato anche quel particolare dettaglio».

«Sono in congedo per malattia?».

Silente parve perplesso.

«Prego?».

«Al Ministero mi sbatteranno di sicuro fuori con qualche trovata simile...» continuò Tonks, prima di infilarsi in bocca una seconda caramella. «Se non controllo la magia, sono inutile».

«Il giorno in cui ti rivelerai inutile per l'Ordine o per il Ministero sarà una tragedia per l'intera comunità magica, signorina Tonks. In tutta sincerità, non capisco di quale magia tu stia parlando».

Tonks si indicò ancora una volta i capelli.

«Sì, devo ammettere che quel colore non ti dona» riprese Silente con naturalezza. «E per quanto riguarda il tuo Patrono... la tua lepre americana era una gran giocherellona, ma ora è indiscutibilmente più temibile».

«Mi sta prendendo in giro?».

Silente ridacchiò e allungò una mano. Tonks gli lanciò un'altra caramella.

«Perdonami. Sono solo dispiaciuto nel vederti con quello sguardo triste, di solito se tu quella che mette di buon umore la gente, non il contrario».

«Non sono triste. Okay, sono anche triste...» aggiunse in fretta. «Ma perlopiù sono preoccupata. Voglio capire cosa mi devo aspettare nei prossimi mesi. È un fenomeno passeggero? Sì? Bene, e quanto passeggero? Quanti altri aspetti della mia magia ne verranno influenzati?».

Silente masticò lentamente.

«Temo di non averne la più pallida idea». Dovette leggere la delusione sul viso di Tonks, perché riprese con voce più decisa: «Queste situazioni sono molto personali. Riappropriarti dei tuoi poteri più o meno rapidamente dipenderà solo da te».

Tonks sospirò. Si era illusa che Silente avrebbe potuto offrirle conclusioni meno vaghe di quelle alle quali avrebbe potuto giungere da sola.

«Dov'è Remus?» domandò all'improvviso, senza troppa convinzione. Non credeva che Silente glielo avrebbe detto.

Con sua grande sorpresa, l'anziano mago le rivolse uno sguardo interrogativo al di sopra delle lenti a mezzaluna.

«Remus non te l'ha detto?».

«Non proprio. Mi ha solo rivelato che aveva a che fare con una comunità di Lupi Mannari...».

Silente annuì.

«La Fossa, la più antica comunità di Lupi Mannari ben nascosta nei sotterranei magici di Londra».

«Non ne ho mai sentito parlare».

«È il motivo per cui è sopravvissuta per secoli alle incessanti angherie del Ministero della Magia. È ancora terreno neutrale e noi abbiamo bisogno del loro appoggio prima che lo regalino alle vane promesse di Lord Voldemort».

«Che genere di posto è?» chiese con più interesse.

Durante il suo addestramento aveva collaborato con l'Unità di Cattura per l'arresto di un piccolo branco di Lupi Mannari. Erano solo in cinque, ma avevano fatto in tempo a sterminare tre famiglie di Babbani prima che riuscissero a fermarli e a trascinarli ad Azkaban. Vivevano all'aria aperta, nutrendosi occasionalmente di cacciagione e mantenendosi grazie a piccoli furti e ai traffici sporchi di Notturn Alley. Gli era impossibile immaginare Remus fra di loro.

«Non ho mai avuto il piacere di visitarlo... Remus lo conosce molto meglio di me. Non ne ha mai parlato in maniera entusiasta, ma nemmeno in maniera critica. La maggior parte dei suoi abitanti è composta da reietti e disperati, molto più spaventati dagli umani di quanto noi non lo saremmo mai di loro... mia cara, non gli avrei mai chiesto di partecipare a una missione suicida. Devi fidarti: sa perfettamente ciò che fa».

«Non lo metto in dubbio... ho solo paura che non sia davvero pronto».

Silente parve intuire la verità nascosta nelle sue parole.

«La morte di Sirius è stata un duro colpo per tutti noi. Per Remus più di chiunque altro – eccezion fatta, forse, per Harry. Ma Remus non è uomo facile alla resa... aveva un disperato bisogno di rimettersi in piedi prima di perdere il controllo».

Tonks si girò e guardò in direzione delle montagne scagliate ormai nitidamente contro il cielo limpido. Ora che la leggera nebbia del primo mattino si era alzata, riusciva a scorgere il sentiero che Silente aveva tentato di indicarle. Non riusciva a vedere i pioppi, era troppo distante.

«Anche io ho bisogno di rimettermi in piedi, professore» disse all'improvviso. «La prego, mi dica che ha qualcosa da offrirmi... qualunque cosa».

Silente sorrise.

«In verità, mia cara, volevo domandare al Capo degli Auror la possibilità di mobilitare un piccolo gruppo di Auror a Hogsmeade per aumentare la protezione alla scuola durante le lezioni. E in tutta confidenza, dormirei sogni più tranquilli se sapessi che sei una di loro».

Anche Tonks sorrise. “Il tuo Patrono ora è decisamente più temibile” aveva detto Silente. Probabilmente lui e la McGranitt avevano ragione: se lei per prima si fosse creduta debole, cosa avrebbe trattenuto il resto del mondo dal ritenerla tale? Temibile... temibile come un Lupo Mannaro, non come un lupo ordinario...

Forse in quell'atmosfera di sfortuna e tragedia che sembrava averla circondata dacché aveva conosciuto Remus c'era davvero una lezione da imparare. Se voleva essere presa come la adulta e l'Auror che sapeva di essere in realtà, probabilmente era davvero giunto il tempo per la sua ridicola lepre dalle orecchie buffe di togliersi dai piedi e di accettare il fatto che non tutto ciò che la circondava era un gioco del quale poter ridere.

Il duello con Bellatrix le aveva già aperto gli occhi. Era giovane, era inesperta e sottovalutare quella guerra le era quasi costato la vita. Non avrebbe commesso due volte lo stesso sbaglio. Se qualcuno lo avesse dubitato, sarebbe stata pronta a sbattere loro in faccia la verità con tutti gli artigli e le zanne scoperte. Non era una ragazzina afflitta da una cotta non corrisposta: era una donna con il fegato di non temere nemmeno lontanamente un Lupo Mannaro.

«Può contare su di me, professore».


°°°



Salve a tutti ancora una volta e sì, stavolta ho davvero qualche nota da aggiungere.

1. Non sono mai stata a Londra in vita mia e ho preso la metropolitana solo due volte, quindi quando ho aperto la cartina di Londra con l'intenzione di collocare la Fossa in un posto figo ho squittito. Troppo grande, aiuto. Sicché ho chiuso gli occhi e ho puntato il dito... nemmeno a farlo apposta, ho spiaccicato la fermata di Baker Street.

Il mio secondo tentativo è andato decisamente meglio e tutto sommato ho pensato che Oakwood facesse figo.

2. Ho letto – come credo voi – ciò che J.K. Rowling ha scritto sia sulla vita di Remus Lupin. Mi pare anche di aver già accennato che sono intenzionata a ignorarla in buona misura... non che non abbia adorato leggere la storia di Remus, anzi, ma con il trascorrere degli anni mi sono creata una rete fitta-fittissima di Headcanon difficile da abbattere... le povere anime che si sono sorbite le decine di fic che ho scritto su questo personaggio avranno capito che ormai sono incurabile.

3. Questione un po' diversa per quanto riguarda i Lupi Mannari, di cui ricordo solo qualche vago accenno su Pottermore, e per i quali mi scosterò un pelo di più dal Canon, perché mi piace troppo il sovrannaturale per non cercare di sfruttarne appieno le possibilità. E poi Lupin è il mio personaggio preferito e lo sanno tutti che le fyccinare danno delle skills potenti ai propri personaggi preferiti. Eh. E a me gli occhiacci gialli piacciono, sorry not sorry.

4. Non sono una cima in inglese, ma mi pare che l'originale mousy brown dei capelli di Tonks non abbia niente a che fare con il grigio della traduzione italiana. Correggetemi se sbaglio, non sono sicura nemmeno un po'. Dovrebbe essere castano scuro, il che mi ha portato a pensare che sia semplicemente il colore naturale dei suoi capelli che se ne esce fuori... un po' per nostalgia e un po' perché fa dramma, ho comunque optato per il colore grigio. E poi il granny va di moda.

5. Sì, mi sono perfino fatta il banner, avete ragione... sono peggio di Kronk che si fa la colonna sonora. Non giudicatemi, dopotutto con questa long-fic sto rivivendo la mia adolescenza, suvvia.

   
 
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