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Autore: Trick    08/11/2015    4 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Beh, non è male: sono al primo capitolo e non ho già nulla da dire.

Not bad.



°°°



°°°

«Dessert al cioccolato».

I due colossali Gargoyle di pietra posti a custodia delle scale che conducevano alla torre più alta del castello di Hogwarts si sollevarono dai loro piedistalli e si spostarono quieti ai lati della porta. Remus si affrettò a risalire le scale a chiocciola che portavano all'ufficio di Silente con il capo chino, il cappuccio del mantello liso ancora calato sul volto.

Nonostante ritenesse piuttosto improbabile incrociare qualche studente a quell'ora tarda della notte, aveva preferito essere quanto più prudente possibile. Silente era ancora circondato da malelingue che nemmeno il ritorno di Voldemort era riuscito a smorzare: un Lupo Mannaro a passeggio fra le pareti del castello non avrebbe fatto che peggiorarle ancora.

Chi fino a qualche mese prima si era dichiarato sicuro della pazzia dell'anziano Preside, ora era convinto fosse semplicemente troppo vecchio. In qualunque caso, a sentire loro, i suoi consigli e le sue strategie non erano più garanzia di vittoria. Per Remus, la cui fiducia in Silente sconfinava talvolta nell'animalesco, erano solo le panzane di un Ministero che non aveva mai davvero resistito alla guerra.

L'ufficio di Silente era avvolto quasi totalmente nell'oscurità. Non fosse stato per un candelabro galleggiante, non avrebbe nemmeno notato l'alta figura del Preside accomodata su una poltrona. Addormentata su un alto trespolo accanto a lui, c'era Fanny. Silente indossava una camicia da notte di un intenso color violetto e i suoi calzettoni di lana erano spaiati e malmessi.

«Buonasera, Remus» lo salutò con voce gioviale. «O buongiorno, forse. Immagino sia una questione di punti di vista piuttosto relativa».

Remus fece un sorriso leggero e si avvicinò.

«Mi dispiace averla svegliata nel cuore della notte, ma non potevo attendere oltre».

«Non preoccuparti». Silente lo invitò ad accomodarsi sulla poltrona di fronte con un gesto leggero della mano. Attese che Remus si fosse seduto prima di parlare ancora. «Posso dunque ritenere che tu abbia valutato la mia proposta?».

«Sì».

Alla luce delle fiammelle, il volto di Silente appariva molto più vecchio di quanto non fosse. Remus si domandò se stesse offrendo lo stesso triste spettacolo. Osservò ancora la sua buffa camicia da notte, ma incrociando gli occhi vivaci dell'anziano non vide alcuna ombra di stanchezza, nessun segno che facesse pensare che qualche sciagurato Lupo Mannaro lo avesse svegliato di colpo in piena notte. Sorrise appena. Le bugie di Silente non lo avevano mai impensierito.

«Non credo di avere una seconda scelta» confessò infine Remus, mostrandogli i palmi.

«Tutti abbiamo una seconda scelta».

«Qual è la mia?».

«La seconda scelta di chiunque a questo mondo» rispose Silente con ovvietà. «Fuggire».

«Non intendo fuggire».

«Né io avrei mai pensato il contrario».

Remus volse l'attenzione alla mezzaluna che si specchiava nelle acque del Lago Nero. “Non intendo fuggire” aveva detto, ma era vero? In cuor suo sapeva che era esattamente ciò che stava facendo. E doveva saperlo anche Silente, sebbene stesse dimostrando ancora una volta la cortesia di non intromettersi nelle sue decisioni. Immaginò Tonks svegliarsi in quel preciso momento e allungare un braccio fra le lenzuola senza trovare nessuno addormentato accanto a lei. Le donne che aveva conosciuto prima di lei si sarebbero infuriate: lei con tutta probabilità avrebbe cercato di rompergli il naso con un pugno.

«Vorrei poterti offrire di più. L'ultima notizia fondata che ho della Fossa risale a molti anni fa...».

«Diciassette» puntualizzò d'istinto Remus. «E se non ho fallito allora, per quale motivo dovrei fallire oggi? Dopotutto, Preside, la Fossa non è mai cambiata nel corso dei secoli... la sua gente è terrorizzata alla sola idea di cambiare gli stivali» aggiunse con tono più allegro, sforzandosi di dissimulare l'agitazione.

Silente lo guardò a lungo. Si sfilò gli occhiali con incredibile lentezza e si massaggiò le palpebre.

«Devo confessarti, Remus, che quest'informazione proviene da qualcuno di cui so di potermi fidare ciecamente».

Remus era confuso. Aveva l'impressione che Silente stesse tentennando perfino più di lui – ma Silente non tentennava, non poteva tentennare.

La sua voce lapidaria colpì Remus come uno schiaffo.

«Fenrir Greyback è tornato».

Per un momento Remus rimase immobile davanti alla scrivania con espressione assente. Doveva essergli sfuggito qualcosa di molto stupido o molto ovvio, perché non riusciva a capire cose stesse cercando di dirgli Silente. Doveva esserci uno sbaglio.

«Fenrir Greyback è morto» ricordò con decisione Remus. «Saltò in aria insieme a cinque Mangiamorte sul ponte della ferrovia di Coventry».

«Lo so...».

«L'ho visto esplodere, ho visto quel ponte prendere fuoco come un petardo e trascinarsi novantasei Babbani e tredici Auror per oltre sessanta metri di vuoto. E Greyback è esploso con tutti loro».

«Remus...».

«No. È morto. Io l'ho visto, io c'ero».

«Lo ricordo bene».

Le mani di Remus tremavano. Strinse ripetutamente le dita e iniziò a muoversi avanti e indietro, incerto. Continuava a sfuggirgli qualcosa – a lui, a Silente, a chiunque avesse raccontato questa stupidaggine per riesumare i mostri del suo passato – perché non poteva essere vero. Greyback era morto e Remus non avrebbe mai dimenticato quella notte. Il boato, le fiamme, le grida delle persone rinchiuse nelle carrozze del treno che si spingevano contro i finestrini nel disperato tentativo di scappare... la Maledizione del tutto incontrollabile di uno dei Mangiamorte che aveva portato l'inferno su quel ponte. Era il quindici aprile del 1979, erano le dieci e un quarto di sera e Remus non lo aveva più scordato. Era il giorno in cui aveva visto il mostro annidato sotto al suo letto svanire per sempre.

«Com'è possibile?» riuscì infine a chiedere. «Se anche fosse scampato dall'esplosione – e così non è, l'ho visto avvolto dalle fiamme – il treno delle dieci e quarantasei se lo è trascinato nel dirupo e si è schiantato».

«Temo di non avere una risposta».

«Può almeno dirmi chi mai avrebbe visto il cadavere di Greyback aggirarsi per l'Inghilterra?».

«Severus».

Remus sbatté le palpebre come se non potesse credere a quanto aveva appena sentito. Schioccò la lingua e scosse il capo, incapace di trattenere il sarcasmo.

«Giusto. Severus... come potrei non fidarmi di lui, d'altronde?».

«So che la notizia ti ha sconvolto, ma devi fidarti».

«Di Severus?».

«Di me» lo corresse laconico Silente. «Voglio essere certo che non sottovaluterai i rischi che questa missione comporterà. Non abbiamo un'idea chiara su cosa sia cambiato con il ritorno di Greyback. Diciassette anni sono lunghi e molti dei Lupi Mannari che lo seguivano sono caduti insieme ai Mangiamorte... ma in questi anni abbiamo commesso l'errore di fingere ancora una volta che la Fossa non esistesse, e un numero sempre maggiore di esiliati finivano per abbandonare la comunità magica e infoltirne le fila. Questi profughi della nostra società sono un'incognita. Non sappiamo nulla di loro».

«Clandestini».

Silente inclinò interrogativo il capo.

«È così che viene chiamato chi si unisce alla Fossa dopo essere stato morso» spiegò Remus con aria distante. «La maggior parte della Fossa è composta da Clandestini: è maledettamente raro che un Lupo Mannaro riesca a riprodursi o che un feto riesca a sopravvivere ai mutamenti del ventre materno durante il plenilunio».

Non era necessario e probabilmente stava ripetendo cose che Silente conosceva a sua volta, ma sapeva che l'altro mago non lo avrebbe fermato. Silente lo conosceva da quando era un bambino: analizzare le situazioni lo aiutava a mantenere la calma.

«Bambini e ragazzini sono quasi tutti frutto dell'abbandono dei genitori a seguito dell'aggressione di un altro Lupo Mannaro» riprese Remus. «È un'abitudine che il Ministero della Magia ha sempre negato di accettare pur continuando a permetterla... lo sanno tutti. Se vuoi sbarazzarti di un bambino affetto da licantropia, devi lasciarlo nella metropolitana di Londra. Tutto il resto viene da sé... e la Fossa se lo prende» concluse con voce roca. «Durante i pleniluni è decisamente meglio stare laggiù piuttosto che quassù...».

Silente sospirò.

«Sei tornato nella Fossa anche dopo la caduta di Voldemort, non è vero?».

Remus scrollò le spalle.

«È un buon vantaggio con il quale partire».

Silente dovette annuire suo malgrado.

«E come suggerisci di affrontare il pericolo costituito da Greyback?».

Non era certo di saperlo. Non aveva nemmeno accettato che non fosse morto... e un'antica paura che era morta con lui stava iniziando a risvegliarsi.

«Anche Greyback era un Clandestino e i Figli della Fossa intenzionati ad assecondare le sue folli idee di rivoluzione e strage erano molto pochi e molto deboli. I Lupi dei quali si circondava non avevano molta esperienza ed erano vittime di aggressioni recenti, ancora del tutto incapaci di metabolizzare il cambiamenti della loro vita e del loro corpo, facili prede di rabbia e vendetta... all'epoca per lui fu relativamente semplice circondarsi di Lupi Mannari che condividevano il suo stesso odio per il mondo degli umani e per il Ministero della Magia». Si grattò la barba, tentando di mantenere la propria concentrazione ben lontana da ciò che Greyback suscitava davvero in lui. «Tuttavia, come lei sa bene, presto hanno capito che Voldemort non aveva alcuna intenzione di concedere loro ciò che il Ministero ci negava da secoli e le sue schiere si sono indebolite fino a poche decine... ad essere sincero, Preside, io temo che Lord Voldemort possa trarre da ciò che è accaduto diciassette anni fa un valido insegnamento. Il Ministero, invece...».

«...continuerà a offrire ai Lupi Mannari sempre più ragioni per voltarci le spalle».

Remus mosse il capo in un flebile assenso.

«Io sono già pronto, Preside».

Le dita di Silente tamburellarono qualche istante sui braccioli della poltrona.

«Lo so... ma devo confessarti di essere tremendamente preoccupato».

«Naturale. Non ho alcuna garanzia di riuscire a impedire a Voldemort di servirsi della Fossa per i suoi scopi e--».

«No, Remus: io sono preoccupato per te» lo interruppe con decisione.

Fra tutte le cose che avrebbe potuto aspettarsi da Silente, la sua preoccupazione non era decisamente una di esse.

«Oh, beh... non ce ne è bisogno. Me la caverò».

Silente gli sorrise con affetto e si alzò in piedi. Remus lo imitò, in parte lieto che la conversazione stesse terminando prima che potesse trasformarsi in argomenti verso il quale era più insofferente... con Silente capitava troppo spesso.

«Non è facile vedervi tutti adulti, sai, Remus?» commentò quasi casualmente. «Tu, Severus, Kingsley... perfino Hagrid. Sono abbastanza vecchio da ricordare tutti gli anni che avete trascorso in questo castello». Si avvicinò al trespolo e accarezzò la piccola testa della fenice, che emise un lungo fischio nel sonno. «Siete maghi di grande talento, ma non credo che riuscirò mai a dimenticare quanto eravate giovani mentre il Cappello Parlante vi smistava. Sei stato probabilmente uno dei Testurbanti più lunghi degli ultimi duecento anni, lo sai?» aggiunse con voce divertita.

Remus ridacchiò.

«Lo ricordo bene. Il Cappello Parlante mi chiese di mettermi le mani nei capelli al suo posto».

La risata di Silente parve allietare l'atmosfera cupa della notte e presto Remus se ne ritrovò contagiato.

«Credo che alla fine tutto quel suo ragionare e borbottare abbia portato alla scelta giusta, Remus».

Remus non ne era del tutto convinto, ma non aveva voglia di contraddirlo.

«Lei è di parte, Preside».

«Eh... forse un pochino lo sarò sempre» concluse vivacemente.

Consapevole che il momento di andarsene era finalmente giunto, Remus si sentì obbligato a tendere la mano all'anziano mago. Silente la strinse con vigore mentre gli appoggiava l'altra sulla spalla destra.

«Per quel che conta, Remus, ti ritengo uno degli uomini più coraggiosi a cui abbia mai avuto il piacere di insegnare» ammise con dolcezza Silente. «Qualunque cosa accada nella Fossa, ti scongiuro di non dimenticarlo».


°°°


Fu la luce fastidiosa del sole a svegliare Tonks.

Quando si decise finalmente ad aprire gli occhi, la sveglia sul comodino di Remus segnava le sette passate. Mugugnò appena e si voltò verso di lui per controllare se si fosse svegliato a sua volta. Le ci vollero parecchi secondi per rendersi conto che era sola.

Si alzò a sedere e si guardò intorno. La camicia che Remus aveva appoggiato sulla cassettiera la sera prima era ancora lì, ma le sue scarpe erano sparite.

«Remus?» lo chiamò.

Non ricevendo alcuna risposta, sbuffò stizzita, si sollevò dal letto e acciuffò la sua camicia per evitare di uscire in mutande nel giardino. La casa di Remus era piccola: se non l'aveva sentita, doveva per forza essere uscito in giardino. Il motivo, tuttavia, le sfuggiva, ma iniziava a sentire un vago pizzicore preoccupato risalirgli lungo la schiena.

Aprì la porta d'ingresso e venne investita da una folata d'aria fredda che si insinuò sotto la camicia leggera. Sebbene fosse estate, l'alba nello Yorkshire restava umida e gelida.

«Remus?» chiamò ancora. «Dove accidenti ti sei cacciato?».

Lo cercò nel retro, sbirciò lungo la strada che conduceva al centro della piccola e noiosa cittadina di Queensbury, ma dopo diversi minuti fu costretta ad arrendersi. Rientrò in cucina con passo rapido mentre la preoccupazione si mescolava a una rabbia genuina. Doveva esserci una spiegazione logica e razionale.

«Remus?».

Il salotto era vuoto, i suoi libri ancora abbandonati negli scatoloni.

“Beh, perlomeno non si è svegliato nel cuore della notte per fare le pulizie”.

Remus non era nemmeno in cucina. Impensierita, ritornò nella camera da letto per recuperare la bacchetta. Fu solo quando ebbe recuperato i suoi jeans dal pavimento che si accorse della pergamena che spuntava dalla tasca destra. Era la tasca della bacchetta, quella in cui lei avrebbe infilato la mano prima di fare qualunque altra cosa quel giorno... il primo posto in cui Remus sapeva che avrebbe guardato. Non era la prima volta: era già capitato che lui si accertasse che lei avesse gli orari delle riunioni dell'Ordine infilata in quella tasca.

Tonks si sedette sul bordo del letto, gettò la bacchetta fra le coperte e dispiegò la pergamena. La scrittura minuta e serrata di Remus aveva riempito quasi ogni angolo disponibile.



Ninfadora,


questa notte non ho potuto dormire. Continuavo a guardarti e a chiedermi per quale motivo fossi tanto terrorizzato all'idea di metterti al corrente di ciò che sto facendo. Non avrei voluto, te lo giuro, ma temevo che non avrei avuto la forza di resistere alle tue obiezioni e che saresti riuscita a farmi desistere. Sei l'unica ad avere questo potere e ho preferito non rischiare.

Se tu mi avessi chiesto di restare, ti avrei detto di sì – ma non posso farlo.


Silente mi ha offerto un incarico per l'Ordine e io l'ho accettato. So che avrai già capito che ne avevo già parlato con lui, so che avrai già capito che non te l'ho detto quando avrei dovuto e che ancora una volta ti ho escluso dalle mie scelte.


Non sono del tutto certo che tu possa capire la gravità e l'importanza di ciò che devo fare – non per tue mancanze, ma perché sto parlando di qualcosa che esula di molto le tue competenze come Auror.

Silente ha bisogno di una spia all'interno della comunità dei Lupi Mannari e nessuno, per logici motivi, è più adatto di me. Sono luoghi che già ho frequentato in passato e spero che il tempo abbia conservato intatte qualcuna delle mie vecchie amicizie, perciò mi sento abbastanza tranquillo da poter perlomeno affermare che so ciò che sto facendo.


Tutto questo ha delle conseguenze. Non credo di poter stabilire con certezza quando e se riuscirò a tornare, né se la mia missione avrà esiti positivi o meno. L'unica cosa che posso affermare con sicurezza è che porterò il tuo ricordo vivo nel cuore fino a quando avrò respiro e spero che riuscirà a rendermi più nobile e coraggioso di quanto non mi sia dimostrato fino ad ora.

Amarti mi ha fatto sentire un uomo diverso, mi ha fatto provare sensazioni che ero convinto di poter evitare, ma che non rimpiangerò mai. Sei l'unica donna che io sia mai riuscito ad amare – l'unica che con tutta probabilità mi abbia mai amato. Non ho parole per spiegarti quanto questo abbia significato per me. Mi hai permesso di assaggiare una vita totalmente diversa dalla mia, hai reso straordinario il mio inferno quotidiano.

Ma sei una donna tremendamente intelligente, Ninfadora, e sono sicuro che avevi già capito che non ci sarebbe mai stato un futuro vero per noi.


Ti ho ascoltato per mesi parlare dei tuoi sogni di Auror, del tuo desiderio di avere la famiglia numerosa che non hai mai avuto – Dio, non hai idea di quanto vorrei farne parte – ma non posso darti ciò che vuoi, e presto i tuoi sogni dovranno diventare dei progetti.

Sarei la rovina della tua carriera di Auror, distruggerei tutto ciò per il quale hai lottato... e non potrei mai darti la famiglia che tanto desideri. Io non posso avere figli, sono un Lupo Mannaro. E anche se così' non fosse, il Ministero della Magia ha bandito i matrimoni fra razze diverse dal 1457.

Non avrei che patimenti da garantirti.


Sono troppo vecchio e troppo povero, e non voglio nemmeno prendere in considerazione quanto potrebbe essere pericoloso per te essere costretta a vivere a fianco di una Creatura come me.

Credo sia meglio per entrambi sfruttare il mio allontanamento dalla comunità magica per permetterti di organizzare davvero una vita degna di essere vissuta, ben diversa dal degrado nel quale finirei per trascinarti.

So che un giorno saprai darmi ragione.


Ti ringrazio di essere stata la parte più importante della mia vita.

Addio.



Remus



Quando ebbe terminato di leggere rimase a fissare la scrittura di Remus, aspettandosi di vedere l'inchiostro attorcigliarsi e cambiare forma, cambiare le parole. Cambiare il senso.

Rilesse ancora e ancora. Una, due, cinque volte, sette volte, fino a quando non perse semplicemente il conto.

Non ci sarebbe mai stato un futuro vero”.

Si piegò in avanti e si passò una mano fra i capelli, con gli occhi chiusi e la lettera ancora fra le dita. Non era possibile. Non era semplicemente possibile. Avevano parlato e cenato insieme fino a poche ore prima. Avevano fatto l'amore e avevano riso e si erano lasciati cullare dalla desolazione e dalla tristezza della guerra insieme... improvvisamente avvertì un moto di nausea e aprì la bocca per prendere un lungo respiro.

Addio”.

Non voleva piangere.

Strinse le palpebre e si passò le mani sul viso, mentre il peso di ciò che quella lettera significava si faceva rapidamente spazio in lei... non voleva piangere.

Incapace di trattenersi oltre, scattò in piedi e urlò al nulla, prese a calcii la cassettiera e si strappò la sua dannata camicia di dosso... perse per qualche istante il controllo dei propri poteri e il vetro della finestra della camera da letto si crepò un po'.

Rimase seduta al centro della stanza, con le gambe incrociate come una ragazzina ad abbracciarsi da sola.

Non voleva piangere. Non avrebbe pianto. Si conficcò i denti nel labbro inferiore per fermare le lacrime, ma una riuscì a sfuggirle.

Non riuscì davvero a realizzare per quanto tempo fosse rimasta lì, in stato apparentemente catatonico, a ripetersi nella testa ognuna di quelle dannate parole.

Nel colletto della sua camicia era rimasto impresso il suo profumo. Fu un lampo, fu un'esplosione nello stomaco, e improvvisamente si rese conto di non volersi arrendere.

“Fanculo” si disse con forza. “Deve ancora nascere l'uomo che decide per me”.

Si rialzò in piedi e fece un largo respiro, aggrappandosi alla fiducia di quel rinnovato spirito battagliero. Si voltò verso lo specchio con l'intenzione di rimettersi a posto la faccia e rimase impietrita.

Per un attimo non fu in grado di capire cosa fosse accaduto ai suoi capelli. Non avevano mai assunto una tonalità tanto spenta – da dove usciva fuori quel grigio slavato? Sospirò debolmente e strizzò gli occhi, concentrandosi su un colore ordinario.

Quando si rese conto di non essere in grado di cambiarli, tentò ancora e ancora, tentò di cambiare l'intera faccia con veemenza crescente.

Poi venne la paura e con la paura vennero anche le lacrime. Avrebbe potuto combattere, lo sapeva. Lui sarebbe tornato indietro e lei lo avrebbe preso a sberle, ma ora si sentiva inutile, per la prima volta dopo molti anni si sentiva debole. Avrebbe potuto combattere contro il mondo intero, lei, ma senza i suoi poteri... non era più niente.

Niente.


°°°



Buonasera.

Si sa, l'inizio è sempre in salita, anche se in tutta sincerità mi sto rendendo conto che riscrivere qualcosa è decisamente più facile. Anche se, come magari qualche vecchietta del fandom come me ha notato, questa nuova long-fic intende percorrere una strada un po' differente da Diario di Lupo in un Branco di Lupi.

   
 
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