Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: fireslight    13/11/2015    4 recensioni
[Crossover: Sense8 – Game of Thrones]
Di fronte a lui, dall’altra parte dello specchio, vi era una ragazza. Aveva circa la sua età.
Poco più bassa di lui, minuta, lunghi capelli biondi tendenti all’argento, era intenta a sistemarsi un asciugamano poco sotto il seno. Jon abbassò lo sguardo per un momento, certo che fosse solo un’illusione.
[..]
Daenerys lo vide da lontano, e lui vide lei. Si scambiarono uno sguardo a diversi metri di distanza, mentre lui si fermava nel bel mezzo del viale e nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza. Era alto, slanciato, i capelli neri come pece, l’espressione lievemente concentrata dalla corsa.
Gli immancabili auricolari alle orecchie che si tolse in quell’esatto momento.

[Jon/Daenerys♥][AU – 21°century][Crossover, What If • Slice of life, Dramatic, Introspective]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II
 

«Si può sapere cosa c’è di così urgente per cui ho dovuto prendere una strada secondaria per arrivare qui, lunedì mattina alle 8.00 in punto a New York City con il traffico che c’è sulla Quinta?»
A quelle parole, Jon e Daenerys si voltarono entrambi.
Il primo con un sospiro di riconoscenza, la seconda con un sorriso divertito in volto.
Jon si avvicinò, mettendosi al fianco del collega.
«Ora dimmi.» chiese serio, indicando il viale davanti a sé in quel momento deserto − se non fosse stato per una giovane ragazza dai capelli chiari che osservava il paesaggio con un’aria di meraviglia mista a stupore − «Vedi qualcuno, lì, davanti a te?»
«Jon, mi sto preoccupando.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
E allora Sam aguzzò la vista, sebbene non ci fosse davvero nulla da vedere se non un manto colorato di foglie secche a terra, riportando lo sguardo su Jon.
«No, non c’è niente, amico. Sicuro di stare bene?»
Jon fu sul punto di rispondere che no, probabilmente non stava bene se vedeva una ragazza a caso seduta in una caffetteria in Norvegia, ritrovandosi poi un attimo dopo con la suddetta ragazza a Central Park, da dove sarebbe dovuto correre a casa per cambiarsi per poi correre di nuovo, − in auto, questa volta − per andare a lavoro.
«Sì che sto bene, Sam.» rispose invece, stizzito.
«Non era quello il modo a cui avevo pensato.» fece una voce cristallina da qualche metro più in la. Daenerys sorrise da lontano, sorniona, raggiungendoli.
Quando si trovò di fronte a entrambi, atteggiò il volto nell’espressione di chi ha tutto sotto controllo o quasi.
«Dì al tuo amico di comporre questo numero.» suggerì, quindi, criptica.
Jon la guardò inarcando un sopracciglio.
«Che vorresti fare?»
«Hai detto qualcosa, Jon?» fece Sam, distratto.
Oh, di quel passo sarebbe impazzito.
«Prendi il tuo telefono, Sam.» disse, «Componi questo numero.»
E Sam lo fece: compose il numero che Daenerys dettava a Jon che poi dettava a lui, a sua insaputa, continuando a lanciare occhiate stranite in giro, come temesse che da un momento all’altro un qualche criminale sarebbe potuto spuntare fuori dagli alberi uccidendoli entrambi − o tutti e tre, a conti fatti.
«E adesso?» domandò, soffermandosi poi ad osservare con più attenzione il prefisso straniero, con titubanza. «Sembra un numero europeo, anche se.. Mi spieghi perché stiamo chiamando un numero con un prefisso norvegese, Jon?»
«Ah, quindi è norvegese?» osservò quello palesemente nervoso, guardando davanti a sé mentre Daenerys gli lanciava un’occhiata come a dire “te lo avevo detto”.
«Sì che è norvegese. Allora, chiamo?»
«Chiama.» annuì, visibilmente sconcertato, arresosi alla piega che stavano prendendo gli eventi. Tutta quella storia cominciava ad avere del surreale.
Cinque secondi dopo, una suoneria riecheggiò nell’aria.
Jon guardò stupito la ragazza, che aveva estratto il proprio cellulare dal leggero abito che indossava, portandoselo all’orecchio con un sorrisetto compiaciuto mentre Radioactive degli Imagine Dragons veniva interrotta, a suo dire, sul più bello.
«Hallo
Jon la vide rispondere, tentando, davanti a lui, di rimaner seria: immaginò che quella parola significasse pronto in norvegese.
Sam ci mise un po’, da parte sua, a rispondere. Allontanò il telefono di scatto, sussurrando un nervoso: “Abbiamo sbagliato numero, è norvegese, Jon.”, ma quest’ultimo gli fece cenno di continuare.
Con un sospiro, Sam riportò il telefono all’orecchio, cercando di parlare lentamente in inglese.
«Si, pronto, ehm, credo di aver sbagliato num−»
«Potresti passarmi il tuo amico, lì vicino, per favore?»
Quella volta, la voce rispose in un inglese dalla cadenza straniera, ma ben articolato.
Davanti a lui, la ragazza simulò un’espressione composta, e Jon non potè fare a mano di allungare una mano verso l’apparecchio.
«Da’ qui, Sam.» rise, e Sam gli parlò a bassa voce, esaltato e confuso insieme.
«C’è una ragazza al telefono, chiede di te.»
«Lo so, Sam, passami il telefono.»
«Ha un accento così, insomma, musicale.. dovresti sentirla, Jon.»
Sam gli passò il telefono.
«Comincia a camminare, amico, andiamo in commissariato insieme.»
Jon si allontanò di qualche passo, badando più al telefono che a qualsiasi altra cosa intorno a loro. Sam lo richiamò, visibilmente perplesso.
«Jon, ma cosa−»
«Ti spiego tutto più tardi, promesso.»
Qualche minuto dopo, il suo collega − e amico − si stava dirigendo verso l’uscita del parco. Daenerys era nuovamente di fronte a lui, il capo inclinato come per richiamare la sua attenzione.
«Allora ci credi?» domandò, continuando a parlare al telefono.
«Suppongo che non sia totalmente il frutto della nostra contorta e strana immaginazione.» replicò Jon, sorridendole.
Lei rise di una risata cristallina, e Jon non potè fare a meno di osservarla, di familiarizzare con i suoi pensieri che sembravano scorrere nella sua mente come l’acqua di un ruscello in primavera, libera dalla lastra di ghiaccio invernale.
Poi, improvvisamente, lei fissò un punto alle sue spalle e Jon corrucciò l’espressione, girandosi per vedere cosa stesse osservando. Davanti a lui, però, non c’era niente di rilevante. Solo un paio di ragazze in tenuta sportiva che lo superarono con un’occhiata obliqua, portandosi dietro un alone di vento caldo.
«Be’, devo davvero andare. Sono in ritardo, magari potremo−»
Quando si voltò di nuovo, aspettandosi di vederla lì, di fronte a sé, lei non c’era più.
Jon allungò una mano nello spazio in cui, alcuni secondo prima, avrebbe potuto stringere quella di Daenerys. Quello spazio che, con una fitta allo stomaco, constatò essere vuoto.
                                            
Quel giorno avrebbe dovuto staccare alle due del pomeriggio, prendere qualcosa da mangiare al bar lì vicino − Mormont, il suo capo, non gradiva che si mangiasse all’interno del commissariato e no, neanche per il pranzo, il che prevedeva che fossero ammessi unicamente acqua e caffè, lì dentro − e prendersi il pomeriggio libero.
Peccato che la macchina lo avesse abbandonato a circa dieci chilometri da casa, ma davanti all’ingresso sotterraneo della metropolitana.
Così l’aveva presa e adesso, accingendosi a salire le scale del sottopassaggio, ebbe l’impulso di chiudere gli occhi per la troppa luce che, non essendovi sotto terra, abbondava, al contrario, in superficie.
Per un attimo, gli tornarono in mente Daenerys e i suoi discorsi cambia-argomento di quella mattina.
Quando raggiunse la cima delle scale, non era più a New York.
Lei lo stava aspettando con un sorriso indolente a pochi passi, all’inizio di un vialetto che portava a un grande edificio in stile moderno in fondo alla strada, elegante, con i prati intorno ben curati.
Indossava una camicia verde chiaro, jeans e snikers, aveva i lunghi capelli intrecciati e il sorriso di chi è felice di vederti, − ma non troppo − in volto.
Guardandola meglio mentre si avvicinava, Jon si accorse che aveva in volto il suo perpetuo, lievemente malizioso e teatrale sorriso di sempre.
«Guarda un po’ chi si vede.» lo salutò, facendogli un cenno.
«Questa cosa è strana.» constatò, indicandole l’uscita sotterrane della metro. «Un attimo prima ero lì, a pochi passi da casa e adesso..» lasciò la frase in sospeso, come se non fosse necessario continuare.
Lei lo osservò per qualche secondo, assorta e silenziosa, prima di muoversi più rapida di quanto Jon avesse potuto scommettere.
«Be’, muoviamoci.»
«Aspetta.» la fermò. «Muoversi per dove
Lei inclinò il capo come per spiegare una situazione di facile comprensione a un bambino piccolo, particolarmente testardo.
«Ho l’ultima lezione fra dieci minuti, prima della fine del semestre.» spiegò, incamminandosi a passo svelto per il viale. «Se salto questa, dovrò rimandare l’esame per accedere alla prossima fase di studi. E non ho davvero voglia di rimandare niente, Jon Snow.»
Così dicendo, Jon la seguì sino all’interno dell’ampio atrio dell’università. Si fermò un istante, alzando gli occhi al soffitto composto interamente di vetrate, con la luce degli ultimi raggi solari che si riflettevano sulle superfici trasparenti e sulle pareti chiare, creando giochi di luci e ombre.
«Dovresti vederla al mattino, la cupola.» fece la ragazza, dirigendosi verso un’ampia scalinata, attraversando poi due corridoi prima di infilarsi in una grande aula con il soffitto a volta, decorato con pochi, ma semplici ed eleganti stucchi.
«Che dovrei fare, io, adesso?»
Daenerys inarcò un sopracciglio chiaro, per nulla sorpresa.
«Che domande.» disse, sedendosi più o meno al centro della grande sala, dove diversi ragazzi stavano già prendendo posto, chiacchierando del più e del meno in attesa dell’arrivo del professore, «Ti siedi, segui la lezione.»
Jon la vide consultare attentamente un foglio ripiegato che aveva estratto da un blocco da appunti dalla borsa.
«Oggi dovrebbe esserci architettura gotica e rinascimentale.» lesse, sorridendo. «Le mie preferite, guarda caso.»
Jon scosse il capo, sedendosi più comodo al fianco della ragazza. A quanto pare, stava tornando all’ultimo anno di Università. Chi gliel’avrebbe mai detto?
«Dici che sarà interessante?» azzardò a chiedere, guadagnandosi un’occhiata perplessa dalla ragazza. «Insomma, non ne capisco molto, di architettura.»
«Facciamo così.» propose Daenerys. «Il professor Andersen è un tipo che spiega velocemente, a volte troppo. Mi aiuti a prendere appunti. Potresti anche capirci qualcosa, alla fine.»
Jon annuì, d’accordo. Alcuni anni prima, quando ancora viveva a Londra, sua sorella Sansa − sorellastra, a dire il vero, ma lei non sembrava farci molto caso, − lo aveva trascinato ogni estate ad ogni possibile mostra o museo o galleria artistica che potesse esserci nel raggio di cento chilometri da loro e, a quel suo esame attento e preciso, non sfuggiva niente. Forse avrebbe ricordato qualcosa dei numerosi pomeriggi trascorsi al British Museum, quando era Sansa a fargli praticamente da guida turistica e non la guida turistica vera e propria. In quel caso, il divertimento era stato assicurato.
Così si mise a segnare quello che Daenerys non aveva il tempo di scrivere, − fortunatamente in inglese, o non sarebbe stato per niente d’aiuto − passando una buona mezz’ora in quell’atmosfera di surreale ansia e preoccupazione che pervadeva gli studenti dell’ultimo anno di una qualsiasi facoltà universitaria.
«Non studi filosofia, quindi.» buttò lì a un certo punto, ultimando un paragrafo sugli stili gotici in Francia nella metà del XVI secolo.
«A dire il vero sì.» disse lei concentrata, lo sguardo fisso sulle diapositive che scorrevano come in un film sullo schermo bianco di fronte a loro, «Architettura e Filosofia sono corsi extra, a dire il vero. Mio fratello voleva che studiassi Diritto o Economia; io ho preferito scegliere le prime due. Adesso sono a un bivio, però.» così dicendo, tirò fuori dalla borsa due barrette energetiche, offrendogliene una che Jon accettò. «Ho fatto questi tre anni, sia dell’una che dell’altra. Ma ora devo scegliere, e sono più propensa per Architettura.»
«E qual è il problema?»
«Oh, nell’immediato, nessuno.» replicò, fin troppo velocemente. Jon, che aveva assistito a diverse e più o meno legali forme di interrogatorio, pensò che era come se non volesse esporsi più di tanto raccontando la propria vita a quello che, a conti fatti, era uno sconosciuto.
«E a lungo termine?»
Daenerys scrollò le spalle, neutra. «Come ti ho già detto, mio fratello non apprezza nessuna della due facoltà che vorrei continuare a studiare. Dice che non mi porteranno da nessuna parte, ma sai qual è il bello?» continuò, e lui capì che non si aspettava realmente una risposta. La incitò a continuare. «Il bello è che un paio di giorni fa’ Andersen mi ha parlato di questa borsa di studio da cinquemila corone,» una pausa e gli gettò uno sguardo di intesa, come se dovesse arrivarci da solo, alla conclusione. «cioè, ti rendi conto, cinquemila corone ti pagano il primo anno di studi in qualsiasi facoltà di Architettura in Europa, e ha detto che ci sarà un concorso, chi vincerà avrà la borsa di studio e ha detto che ho le carte in regola per farcela.»
Ora, tutto quel discorso, fatto così rapidamente e con tanta esaltazione, fece pensare a Jon che il fratello della ragazza dovesse essere uno stronzo del cavolo. Insomma, ogni fratello maggiore avrebbe voluto il meglio per sua sorella no? Lui era stato felice per Sansa quando lei era partita per Mosca, l’estate scorsa, dopo essere stata accettata dalla compagnia di ballo del Bolshoi.
«Senza offesa, ma tuo fratello è un egoista.» disse, evitando di ammettere che egoista non era davvero il primo vocabolo al quale aveva pensato.
«Lo so, lo so. Viserys è dispotico, egoista, prepotente, pieno di sé, immancabilmente prepotente, stupido e arrogante.»
Jon si voltò a guardarla, sorpreso della quantità di insulti da lei sciorinati, ma Daenerys rimase a fissare le diapositive sullo schermo bianco in fondo all’aula, senza aver dato segno di cedimento.
«Ma è mio fratello.» riprese a un tratto, quando lui aveva creduto che sarebbe rimasta in silenzio per un po’, vista la sua espressione. «È mio fratello, e tengo a lui, Jon. Credimi, gli voglio bene.»
«Allora prova a parlargli, prova a farlo mettere nei tuoi panni.»
«Gli andrebbero stretti.» disse lei, e Jon non riuscì a non concedersi un sorriso.
«Il sarcasmo non ti manca, però. Mettilo alle strette.»
«Ho provato di tutto.»
«E ti sei arresa?»
Daenerys lo guardò a lungo negli occhi, facendo una smorfia.
«Questo mai.»
«Urla, pianti, imprecazione di varia natura?»
«Si, no, si.» rispose a monosillabi. «Ma non piangerei mai di fronte a lui.»
«Minacce?»
«Una volta stava per cedere.» ricordò accigliata. «Ma poi ha detto che non avrei resistito un giorno.»
Jon incrociò le braccia al petto. «Resistito a cosa?»
Lei sospirò, scarabocchiando un paio di date su un foglio degli appunti. «Nostra madre è islandese, lei e mio padre si sono conosciuti a Berlino, da ragazzi. Sai come vanno queste cose, no?» Jon annuì. Sapeva come andavano quelle cose.
«Si sono innamorati, sposati, si sono trasferiti a Oslo, mio padre era a capo di una società governativa di qualche genere, io odio la politica.» raccontò lei, quasi annoiata. «Poi mia madre morì, mio padre pure. Siamo rimasti io, Viserys e Rhaegar, nostro fratello maggiore che per il momento è a Stoccolma, a cercare di darci un futuro, una prospettiva migliore di vita. Viserys non apprezza i suoi sforzi, ma io ringrazio Rhaegar ogni giorno.»
«Mi dispiace.» asserì Jon, a bassa voce. «Per i tuoi genitori.»
«Oh, non dispiacerti. Mia madre l’ho uccisa io.»
Daenerys fece un sorriso triste, malinconico, che lui non riuscì a decifrare.
«Morì dandomi alla luce.» precisò. «Mio padre.. Credo che non gradisse il fatto che Rhaegar volesse aiutarlo nella società, era troppo orgoglioso. Cominciò a bere, e una sera arrivò una telefonata a casa, era tardi e Rhaegar disse a me e Viserys di andare a dormire, avrebbe risposto lui. Ma io da bambina ero una cosetta piccola e curiosa, come diceva sempre mio padre, − mi voleva bene, Jon, solo Viserys smise di farlo alla morte di nostra madre − e mi nascosi dietro il muro del salone, ascoltando la telefonata: nostro padre si era schiantato contro una parete di roccia, in autostrada, verso Bergen.»
«Rhaegar fu messo a capo della società, a quel punto. Gli altri che l’avevano gestita con mio padre lo conoscevano, si fidavano di lui. Mio fratello tiene molto a me e Viserys, e Viserys sembra non curarsi, a volte, dell’esistenza di Rhaegar che gli garantisce una vita più che dignitosa.»
Daenerys s’interruppe, prendendo un paio di appunti dai testi sulle diapositive.
«Se c’è una cosa che Rhaegar mi ha insegnato è che non devo arrendermi mai e che, qualunque cosa voglia fare, potrò farla. Ad ogni modo, parlavamo delle minacce a Viserys.» ricordò a un tratto, pensierosa.
«Si, infatti, raccontami.» Jon allungò una mano sul bordo del lungo banco in legno, sfiorando appena le dita della ragazza. Lei sorrise, voltandosi per guardarlo negli occhi, di nuovo.
«Minacciai Viserys del fatto che sarai andata via. E lui disse, “Deluderai Rhaegar” e io gli dissi “Tu stai deludendo Rhaegar” e cominciammo a urlarci a vicenda. Così lo feci.» ricordò, sorridendo «Feci le valige − per modo di dire, naturalmente, presi solo uno zaino con qualche vestito dentro, il blocco da disegno, un libro, documenti e carta di credito, presi la metro fino all’aeroporto e mi sedetti al terminal dal quale partivano i voli per Reykjavik, in Islanda. Mia madre era nata lì, io c’ero stata solo poche volte e pensai che poteva essere un nuovo inizio.»
«Devi essere un tipo molto avventuroso e teatrale.» notò Jon, ammirato.
«Lo sono sempre stata, da che ne ho memoria. Comunque, mezz’ora dopo, ricevetti una telefonata a cui non risposi, naturalmente; spensi il cellulare e quando lo riaccesi, nei seguenti cinque minuti arrivarono quindici chiamate perse da Viserys, un messaggio da Rhaegar. Rhaegar è sempre stato l’ago della bilancia tra me e Viserys, sai? Sempre così pragmatico, gentile, tranquillo, così perfettamente equilibrato.. Senza dubbio è il mio fratello preferito.» a quella frase, Jon inclinò il capo, rimproverandola bonariamente con lo sguardo. Daenerys se ne accorse.
«Che c’è?» domandò. «Sono solo emotivamente oggettiva. Così aprii il messaggio di Rhaegar, in cui c’era scritto “Non muoverti da lì, ho due biglietti, ci prendiamo una settimana, io e te” e ti giuro, Jon, che mi trattenni dall’urlare e saltare e piangere e ridere−»
«Tutte queste cose nello stesso tempo, lì, in pubblico, in aeroporto?» la interruppe, immaginando la scena.
«Ovvio, tutte cose insieme. E quando Rhaegar mi raggiunse con due borse da viaggio e i biglietti per Reykjavik alla mano, lo adorai più di quanto per me non fosse stato possibile adorarlo già, sin da quando ero bambina e lo avevo sempre visto come il cavaliere scintillante che mi avrebbe salvata dal mostro-Viserys.»
«Sei perfidamente di parte, Daenerys Targaryen.» Jon le sorrise, prendendole una mano al di sotto del banco e lei lo assecondò, intrecciando le loro dita.
«Oh, ma questo lo sapeva già.» osservò compiaciuta. «Anche se, ad essere sincera, avrei pagato qualunque cifra pur di vedere la faccia di Viserys quando ha capito che Rhaegar mi aveva raggiunto in aeroporto, sì, ma non per riportarmi a Oslo. Credo sia stato il momento più divertentemente egoista della mia vita.»
«Perché non hai mai avuto un buon rapporto con Viserys?»
A quel punto, il professore in fondo all’aula bloccò le diapositive che avevano continuato a scorrere indolenti, grigie e soffocanti per l’ora e mezza trascorsa, annunciando la fine della lezione.
Uscirono quasi per primi così da evitare il traffico umano di studenti, ritrovandosi dopo alcune svolte per diversi vicoli illuminati nella stessa, grande piazza in cui si erano già visti una volta.
«Diciamo che è sempre stato un tipo..» si sedettero in un bar, ordinando due caffè mentre il cameriere osservava con aria sospettosa il posto vuoto di fronte a Daenerys e la seconda tazza, probabilmente in attesa di qualcuno. «Inopportunamente protettivo.» disse lei, quand’ebbe trovato le parole giuste.
«Un fratello dovrebbe esserlo, nei confronti di una sorella.» replicò Jon, avendo già finito il proprio caffè. Lui, del resto, lo era stato con Sansa.
«D’accordo, questo è vero. Ma anche Rhaegar è protettivo. Solo in un modo più rilassato, consapevole, in un modo che non mi da fastidio.»
Jon annuì, guardando poi l’orologio sulla facciata del bar che segnava le 9.30.
Decise di ignorarlo, per il momento. Non sarebbe potuto capitargli spesso di passare del tempo con lei, con l’unica persona sulla faccia di quel pianeta − tranne Sam, ovvio − che riuscisse a capirlo. Jon avrebbe voluto parlarle di quanto orribile fosse stata la sua vita, da ragazzino: le avrebbe parlato per ore, giorni, si sarebbe comportato per una volta come un giovane uomo con il sacrosanto diritto di prendersela con la vita per quanto ingiusta fosse  stata nei suoi confronti.
«A cosa pensi?» si sentì chiedere dopo un po’, riportando la sua attenzione sulla ragazza di fronte. Daenerys lo guardava attentamente, con quella sua passione di sviscerare ogni cosa le capitasse a tiro − ormai Jon l’aveva imparato.
Forse, alla fine, avrebbe avuto un futuro in medicina legale.
«A niente.» mentì, e lei se ne accorse perché inarcò un sopracciglio, lasciando cadere la questione. «Vorrei che potessi vedere New York. Intendo che−»
«È un modo assolutamente alternativo per chiedermi un appuntamento, Jon Snow?» lo interruppe lei, posando finalmente la propria tazzina. Jon la guardò senza celare un sorriso, scuotendo il capo.
«Direi che è un modo totalmente alternativo per chiederti di venire a New York con me.» precisò, usando quei giochi di parole che sembravano piacerle tanto. La vide assottigliare gli occhi come un gatto, d’improvviso, concentrata.
«D’accordo.» concesse, sistemandosi una ciocca argentea sfuggita dalla treccia. «È altamente probabile, allora, che questa notte non dormirò. Ci vediamo a New York, in qualunque posto tu sarai, all’incirca alle 10.00 di sera, ora locale.» disse infine, prendendo la borsa e facendo per alzarsi. Jon la imitò, lasciando una banconota da cinque dollari sul tavolino.
Daenerys lo fissò per un momento, come se non potesse credere a ciò che aveva appena fatto.
«Che c’è, pago il conto, no?»
Lei fece un gesto con la mano, come a dire che non c’era bisogno di simili formalità.
Poi si sporse verso di lui, indicando l’ambiente circostante con un’occhiata.
«Il proprietario è un amico di Viserys, mi conosce, e per rispetto di mio fratello, non mi fa mai pagare nulla.» spiegò. «Così, di solito, sembra che il mio cervello ricordi esclusivamente l’esistenza di questa caffetteria e di nessun’altra in tutta Oslo, e tutto quello che prendo va sul conto di Viserys. Uno spasso,» sorrise, innocente. «Vero?» 






 

Note dell'autrice.
Buonasera, ew. Mi rifaccio viva dopo tantissimo tempo, mea culpa, ma il tempo scorre e io credo di perderne la cognizione, talvolta, anche perchè i vari impegni non danno tregua.
Quindi, che dire: la scena della telefonata è stata ripresa da Sense8, giusto perchè Jon e Daenerys mi ricordano in maniera così dolce Will e Riley e non potevo fare a meno di descriverli in maniera talmente complice, aw. 
Spero questo capitolo possa piacervi, e sarei davvero contenta se voleste dirme cose ne pensate.
E, nel remoto caso in cui dovesse esserci un sensate tra i lettori, si faccia vivo! Sarebbe davvero gratificante ricevere un parere o anche solo un consiglio, una critica.
Alla prossima,
fireslight
  
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