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Autore: purplebowties    13/11/2015    1 recensioni
Una raccolta di one-shot sulla vita matrimoniale di Chuck e Blair.
[1] Purple Reign: Chuck avrebbe amato la sua sorpresa; Blair ne era assolutamente convinta.
[2] Entirely: Trattenne il fiato, ripensando al quando aveva visto quell’oggetto per la prima volta ed aveva riscoperto Blair nel suo fascino unico, in tutte le sue sfumature scure.
[3] Safety: Il senso di colpa che le pesava sul petto era molto più forte della sua solita inflessibile avversione ad ammettere di avere torto.
[4] All The Small Things: Le mancavano tutte quelle piccole cose che di solito faceva per dimostragli devozione.
[5] Triumph: Non voleva che qualcuno la guardasse come la stava guardando lui in quel momento, incapace di distogliere gli occhi dalla sua bellezza.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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 Sin da quando era appena un’adolescente, Blair aveva sempre passato, qualora possibile, il Sabato mattina con Serena. Avevano un rituale preciso, che non era cambiato affatto nel corso degli anni: si incontravano sempre presto per fare colazione insieme e poi si godevano qualche ora di shopping. Onorare le tradizioni era essenziale per Blair e avere rispettato per l’ennesima volta questa in particolare l’aveva lasciata soddisfatta e rilassata. Quando si fece strada nell’ingresso della sua townhouse, intorno alle undici e trenta, era d’umore eccellente.

“Dorota!” Blair, una nota gioiosa nella voce, chiamò la sua governate, lasciando la porta aperta dietro di sé per consentire al suo autista, che stava scaricando le buste ed i pacchi dal portabagagli per portarli dentro, di seguirla. “Sono a casa!”

Qualche secondo dopo Dorota arrivò di corsa dall’anticamera della cucina e la raggiunse. “Miss Blair, ha passato una buona mattina?” la accolse, aiutandola a sfilarsi il cappotto Burberry di cashmere. “Come sta Miss Serena?”

“Una mattinata perfetta, Dorota, grazie.” Con un largo sorriso, Blair si tolse la sciarpa ed i guanti e li consegnò alla domestica, insieme alla borsa. “Serena sta bene. Humphrey le ha finalmente proposto di convivere; è fuori di sé dalla gioia.” Il pensiero le costrinse ad alzare gli occhi al cielo ed alzò le spalle per liberarsene. Sorrise nuovamente. “Chuck è ancora a letto, vero?” chiese con noncuranza, nonostante fosse piuttosto sicura della risposta.

Sapeva che suo marito era sveglio, perché le aveva spedito una quantità di messaggi durante le ultime due ore, lamentandosi di essersi svegliato in un letto vuoto, ma aveva il sospetto che lui si fosse rifiutato di alzarsi, aspettando che lei si facesse perdonare come aveva detto – il biglietto che Blair aveva lasciato sul suo cuscino vuoto, prima di uscire, recitava infatti quella promessa.

“No,” Dorota, mentre appendeva il cappotto all’attaccapanni a muro, confermò le supposizioni di Blair. “Il maggiordomo Ivan gli ha portato la colazione ed i giornali, ma Mr. Chuck ancora in camera.” 
             
“Benissimo,” Blair commentò allegramente. Dorota rispose alla sua esclamazione con un’espressione austera e Blair, che era ben consapevole della rigida teoria della donna secondo la quale era inammissibile rimanere a letto passate le otto del mattino, sospirò. “Oh, Dorota, lascialo in pace.” Come se volesse nascondere la tenerezza che le addolciva il viso, Blair girò leggermente la testa di lato ed abbassò lo sguardo, sistemando un boccolo ribelle dietro l’orecchio. “Sarà via per le prossime due settimane. Ha il diritto di godere di un po’ di pace e di riposo.”  

Quell’idea la intristì inevitabilmente. Chuck sarebbe partito il giorno dopo per un viaggio d’affari a Tokyo e Blair non poteva esserne meno contenta. Determinata a non lasciare che quell’irrazionale senso di malinconia rovinasse la sua splendida mattina, Blair ignorò l’occhiata severa e silenziosa che Dorota le lanciò. Si voltò, avvicinandosi alla porta per sbirciare fuori e controllare se l’autista avesse finito di scaricare il risultato del suo shopping.

Sorrise soddisfatta all’uomo che saliva i pochi scalini che lo dividevano dall’entrata. “Per piacere, lasciale su quel tavolo, Jacque,” Blair gli indicò dove posare le buste una volta che fu entrato, sapendo che era abituato a portare i pacchi direttamente di sopra e che Chuck non avrebbe gradito l’intrusione. Lo congedò subito dopo, informandolo che non avrebbe avuto bisogno dei suoi servigi fino a Lunedì mattina e che la sua assistente gli avrebbe mandato un email con la lista dei suoi appuntamenti.  
  
Non appena l’uomo uscì, Blair raggiunse la consolle di legno scuro ed esaminò i pacchetti. I suoi occhi trovarono immediatamente quello arancione che stava cercando. Attenta a non stropicciarlo, lo sollevò con cura ed, osservandolo, un piccolo sorriso istintivo le nacque sulle labbra. Aveva impiegato quasi un’ora da Hermès  per scegliere la cravatta perfetta per Chuck e non vedeva l’ora di dargliela.

Dietro di lei, Dorota si lasciò sfuggire un sospiro e, nonostante Blair non la stesse guardando, seppe che era stato accompagnato da un’alzata degli occhi al cielo. “E’ per Mr. Chuck quello?”
 
La domanda, Blair notò, era venata da diversi sentimenti – disapprovazione ed una certa nota di rassegnazione più del resto – ma la sorpresa non era di certo uno di questi. “Certo,” Blair rispose piena di orgoglio, girandosi per guardare la governante in faccia. “Dovevo prendergli un presente,” spiegò poi con un tono più dolce ed affettuoso; abbassò gli occhi, incapace di impedire agli angoli della bocca di piegarsi all’insù in un sorriso nuovo, più largo. “L’ho lasciato da solo tutta la mattina.”    

“Che tragedia,” Dorota la sbeffeggiò, scuotendo la testa. “Lei tratta Mr. Chuck come bambino,” disse, puntando il dito verso Blair. “Rimpiangerà di avere viziato suo marito quando fase della luna di miele finita.”

Le labbra di Blair si schiusero leggermente, ed un’espressione oltraggiata prese il posto di quella calorosa ed amorevole che aveva tenuto fino a quel momento. La domestica non era la prima persona a dirle che stava viziando Chuck oltremodo; Serena l’aveva accusata della stessa cosa un paio d’ore prima, incredula di fronte alla decisione di Blair di comprargli un regalo e piuttosto esasperata dalla spiegazione che le era stata data – “Voglio che sappia che non è stato fuori dai miei pensieri nemmeno un secondo, S.”

Blair, più per distrazione che per educazione, aveva ignorato le lamentele della sua migliore amica, ma ora quelle insinuazioni così inequivocabilmente false stavano cominciando ad infastidirla. Non viziava affatto suo marito, si convinse di nuovo, incrociando le braccia contro il petto; voleva semplicemente dimostragli il suo amore e la sua stima.

“Basta con queste assurdità,” sbottò dunque, scuotendo la mano in un gesto seccato. “Non che siano affari tuoi, ma il nostro anniversario è tra tre settimane; la nostra luna di miele è finita mesi fa, e ad oggi non c’è una sola cosa che rimpiango,” dichiarò aspramente, con fare provocatorio. “E mio marito non è per nulla viziato!”

Detto ciò, Blair si girò ed attraversò l’ingresso verso le scale, lasciando Dorota a guardarla mentre saliva al secondo e poi al terzo piano, dove si trovava la camera da letto patronale. La governante scosse la testa e sospirò rassegnata. La sua Miss Blair aveva sempre avuto un talento naturale nel negare anche le verità più palesi.  

 


“Sei ancora a letto, vedo.”

Chuck sentì la voce divertita di sua moglie che entrava nella stanza e, felice di sapere che era finalmente tornata a casa, sorrise soddisfatto dietro il giornale che stava leggendo. Nonostante fosse più che impaziente di vederla, non lo abbassò. L’avrebbe fatta lavorare un po’ per ottenere la sua piena attenzione, decise in quel momento, determinato a farle sapere quanto sgradevole svegliarsi e non trovarla al suo fianco fosse stato. Era ben consapevole del rituale del Sabato mattina di Blair e Serena e, onestamente, sapeva di essere infantile, ma si era abituato al modo di Blair di svegliarlo gentilmente ogni giorno ed ora, ogni volta che lei mancava di farlo, non poteva fare a meno di sentirsi deluso.

Seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera, Chuck scosse le spalle e continuò a leggere. “Eri già sparita quando mi sono svegliato,” rispose, enfatizzando la parola ‘sparita’ a scapito del tono casuale e distaccato che aveva deciso di dare alla voce. “Il tuo biglietto diceva ‘Mi farò perdonare, aspettami ’,” aggiunse con un sospiro, “ed è esattamente quello che sto facendo; aspetto.”  

Ancora preso a fare finta di essere completamente assorto nell’articolo al quale aveva in realtà smesso di prestare attenzione nel momento in cui lei era entrata, Chuck accolse ogni rintocco dei tacchi di Blair sul pavimento di legno con crescente desiderio. In un paio di secondi il rumore di si fermò e lui non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sapere che lei era in piedi di fianco a lui.

 “Beh, sono qui ora,” disse lei, la voce soffice ed in qualche modo indulgente, “la tua attesa è finita.”

Chuck sentì i boccoli di Blair sfiorargli l’incavo del collo e fargli il solletico quando lei si abbassò per dargli un bacio sulla guancia. Prima che potesse fermarla, lei aveva afferrato il giornale e lo aveva sottratto alla sua presa non troppo salda. La guardò, affascinato dalla sua determinazione, mentre lo piegava accuratamente e lo poggiava sul comodino, prima di sedersi a fianco a lui con n largo sorriso sul volto.

Costretto ad incontrare il suo sguardo sempre accattivante, Chuck dovette stringere le labbra per impedirsi di abbozzare un sorriso a sua vota. Sospirò. “Stavo cercando di leggere quell’ar —”

Fu zittito dalle labbra di Blair, improvvisamente permute contro le sue. Incapace di ribellarsi, Chuck assecondò quel contatto ed approfondì il bacio, che divenne presto passionale, cingendola istintivamente in un abbraccio e tirandola a sé finché lei si trovò seduta sopra di lui.

Quando si separarono, Blair gli posò una mano sul viso, facendo scorrere le dita lungo la guancia. “Oh! Un sorrisetto,” disse teneramente, l’indice fermo sull’angolo delle sue labbra oblique. “Sono felice di vedere che hai finalmente smesso di tenermi il broncio.”

Chuck si accigliò leggermente. A dispetto del piccolo sorriso inconsapevole che Blair aveva prontamente scorto sul suo volto, non aveva ancora rinunciato al tentativo di mantenere un’aria insoddisfatta. “Io non tengo il broncio,” protestò, un vago accenno di offesa nel tono ora più serio.

Blair lo guardò per un secondo. “Invece sì,” lo contradette, sogghignando ed alzando gli occhi al cielo. Si liberò dalla sua presa e si girò per togliersi le scarpe. “E spesso, aggiungerei. Sei la persona più scontrosa che io conosca,” gli lanciò un sguardo eloquente da sopra la spalla, “e la più permalosa.”

“Non è vero,” Chuck, le sopracciglia aggrottate, assunse un’espressione offesa. “Semplicemente, detesto svegliarmi e trovare un letto vuoto.”
           
Sospirando, lei scosse la testa. “Sì, Chuck, lo so,” commentò divertita. “Lo hai già ampiamente chiarito nei nove messaggi che mi hai inviato mentre ero fuori.”  
 
Blair non suonava affatto infastidita, Chuck notò; sua moglie sembrava invece essere particolarmente divertita dalla situazione, come se sapere che la sua assenza lo aveva effettivamente turbato la compiacesse in qualche modo. Un ghigno molto soddisfatto le curvava le labbra e Chuck, intrigato e curioso, la seguì attentamente con gli occhi quando lei si alzò e si mosse verso la panchina ai piedi del letto.

Fu allora che la sua attenzione fu catturata dall’oggetto che era stato appoggiato lì. Riconobbe immediatamente il familiare arancione accesso della busta e, realizzando che lei gli aveva preso un regalo, un chiaro sorriso – quello che aveva combattuto per reprimere fino a quel momento – finalmente apparse sul suo volto.

Non poteva onestamente dire di essere sorpreso, comunque; era di sicuro contento, ma decisamente non stupido. Blair aveva preso l’abitudine di viziarlo in svariati modi da quando era diventata sua moglie, e portargli un presente ogni volta che andava a fare compere era solo uno di questi.

“Ti ho preso una cosa,” Blair mormorò, una luce soddisfatta a farle brillare gli occhi. “Giusto per ricordarti che, a prescindere da dove sia, tu sei sempre il mio primo pensiero,” proseguì, dirigendosi nuovamente verso il letto e portando il regalo con sé. Quando glielo consegnò era raggiante.

Chuck, appagato non solo dal gesto ma anche dalle parole piene d’affetto, prese in mano il pacchetto. “Hermès,” proferì, aprendo attentamente l’involucro ed estraendo una scatola egualmente arancione. Facendo scorrere un dito lungo il nastro nero e sottile che la sigillava, alzò gli occhi su Blair e ghignò. “Sai davvero come compiacere un uomo.”

Blair gli scoccò uno sguardo malizioso. “No, non un uomo qualsiasi,” lo corresse. Chuck non le tolse mai gli occhi di dosso mentre lei gli si sedeva a fianco. “So come compiacere te.”

Tirò il fiocco per disfarlo ed aprì la scatola. Dentro, poggiata su una velina color crema, c’era una cravatta di seta viola.  

Chuck sorrise alla vista del pezzo che Blair aveva selezionato per lui. Sollevò la cravatta, studiandone la fantasia regolare ed elegante con evidente soddisfazione; sua moglie aveva un gusto squisito, pensò, il quale, inequivocabilmente, coincideva con il suo. “Questo è certo,” le disse, spostando lo sguardo nuovamente su di lei. “E’ molto bella.”  
Blair abbassò gli occhi timidamente per un attimo. “Mi ha fatto pensare a te.”

Osservando la sua espressione radiosa, Chuck sorrise. Delicatamente, sistemò nuovamente la cravatta nella scatola e la mise da parte. Non era mai stato bravo con le parole e non sapeva esattamente come spiegarle che la sua gratitudine andava oltre il regalo che gli aveva comprato; quindi, quando le sussurrò “Grazie” nell’orecchio, poggiandole un braccio sulle spalle ed avvicinandola ancora di più a sé, si assicurò di stringerla forte nell’abbraccio, sperando che lei avrebbe capito che si sentiva grato per ogni gesto premuroso e per ogni attenzione che lei gli dedicava.    


“Non voglio che tu parta domani,” circa un’ora dopo, Blair ruppe il loro pacifico silenzio, le parole appena mormorate. Avevano passato quel che rimaneva della mattina facendo l’amore ed erano ora accoccolati sotto al piumone; lei era sdraiata in parte sopra di lui, intrappolata nelle sue braccia.

Chuck la guardò attraverso le palpebre socchiuse. L’espressione malinconica di Blair – gli occhi chiusi ed un piccolo broncio infantile sulle labbra – fece crescere la sua empatia. Era stato piuttosto entusiasta di questo viaggio di lavoro e della chiusura di un affare particolarmente problematico, ma la prospettiva di passare due settimane lontano da casa gli sembrò, nel momento in cui colse quel pizzico di tristezza sul viso di sua moglie, meno allettante che mai. “Preferirei di gran lunga restare,” sospirò, le mani che accarezzavano lentamente la schiena di Blair e cercavano un boccolo da catturare ed arrotolare tra alle dita.

Blair fece una risatina. “Bugiardo,” aprì gli occhi per lanciargli un’occhiata divertita. “Non è una risposta credibile, Bass. Sappiamo entrambi che vuoi partite.” Un sorrisetto prese il posto del broncio che gli aveva mostrato fino a quel momento e Chuck sorrise a sua volta, sempre incantato dalla sua abilità nel capirlo. “So che è importante,” proseguì, disegnando cerchi immaginari sul petto nudo di Chuck con la punta dell’indice. “E’ solo che mi mancherai. Due settimane sono lunghe ed il tempo sembra scorrere in modo diverso quando siamo lontani; non passa mai.”

Chuck, comprendendo e riconoscendo la cupa sensazione di lentezza ed incompletezza a cui lei aveva fatto riferimento, la strinse con più forza. “Passerà,” le assicurò, piegando la testa per darle un bacio sulla tempia.

Blair, inalando un respiro profondo, annuì. Chuck guardò i suoi occhi chiudersi e la sentì rilassarsi nelle sue braccia. Si sentì sollevato, capendo che, nonostante la vaga tristezza che li aveva colti, lei sembrava essere comunque serena e soddisfatta. Era lei la persona da cui sarebbe tornato a casa – qualcuno che lo amava veramente e che sentiva la sua mancanza – ed il pensiero lo lasciò pienamente consapevole della sua fortuna.

Face in modo che non uscissero dalla loro camera da letto fino al mattino seguente, desideroso di godere pienamente di ogni momento che avevano da passare insieme prima di essere obbligati ad un periodo di separazione così lungo.

 


Dieci giorni erano passati dall’ultima volta che Blair aveva visto suo marito di persona e, a questo punto, si sentiva piuttosto infelice. Nulla di quella situazione era nuovo per lei, non l’immensa distanza che li divideva o il tempo particolarmente limitato che avevano per parlare; era un aspetto delle loro vite che aveva accettato ragionevolmente e di buon grado come il prezzo da pagare per il successo – ed un enorme successo era, di fatti, ciò a cui entrambi aspiravano, oltre che un componente essenziale per la loro felicità.

Essere abituata a questo tipo di circostanza, comunque, non la rendeva meno spiacevole.

Chuck le mancava terribilmente. Non le mancava semplicemente la sua presenza; le mancavano le loro abitudini e, per quanto ridicolo avrebbe potuto suonare alle orecchie degli altri, le mancavano tutte quelle piccole cose che di solito faceva per dimostragli devozione.

Svegliarlo delicatamente la mattina, chiamarlo all’ora di pranzo per chiedergli della sua giornata, aspettarlo nell’ingresso la sera, quando  tornava a casa prima di lui, con un bicchiere del suo scotch in mano, coprirlo con una coperta in più di notte, quando, nel sonno, si lamentava di avere freddo; Blair punteggiava le loro giornate con queste e molte altre cure amorevoli – piccoli gesti che le davano un sereno senso di appartenenza – e non poter seguire questa routine era frustrante per lei. Era stata alquanto nervosa da quando Chuck era partito.

Le manca viziare Mr. Chuck,” Dorota, sempre intelligente e pronta, aveva dato questo significato all’umore impossibile della sua datrice di lavoro qualche giorno prima. Blair, che si rifitava categoricamente di considerare la situazione in questi termini, aveva liquidato il commento con un’occhiata severa. 

Fece lo stesso in quel momento, quando la sua governante, probabilmente nel tentativo di capire se era ancora di cattivo umore, la guardò con sospetto mentre le serviva la colazione.

“Ho esplicitamente chiesto delle more, Dorota, non lamponi,” si lamentò Blair, fissando il parfait di yogurt e frutta di fronte  lei. Allungò la mano verso la teiera di porcellana sul vassoio d’argento e, facendo una smorfia, la ritrasse immediatamente. “E questo tè è bollente,” sospirò nervosamente, serrando le labbra. “Vuoi che mi ustioni il palato?”

“Miss Blair, ha chiesto entrambi, ed il tè è caldo come sempre.” Dorota alzò gli occhi al cielo. “E’ nervosa perchè Mr. Chuck è in ritardo.” 

“Non essere ridicola,” la sbeffeggiò Blair, sistemando il tovagliolo di tessuto color beige sulle gambe – un espediente perfetto per evitare lo sguardo della donna. “Non sono una bambina petulante, so di non dover essere rigida quando si tratta dei suoi orari. Non è in vacanza.”

Dorota, rassegnata, sospirò, e Blair fu lieta di scoprire che le sue parole erano venute fuori abbastanza fredde e dure da mettere un punto a quella conversazione.  

Ciò nonostante, mentre la governante usciva dalla stanza, lo sguardo di Blair si spostò inevitabilmente sul portatile che aveva sistemato sul tavolo da colazione, aspettando che Chuck fosse su Skype così che potessero videochiamare. Le aveva spedito un messaggio di buon giorno un paio di ore fa, dicendo che sarebbe stato online per le sette, ma erano quasi le sette e mezza e non era ancora arrivato.

Il suo ritardo stava cominciando ad agitarla; non vedeva l’ora di guardarlo in faccia, di parlargli ed di assicurarsi che stesse bene. Cercando di essere paziente, Blair rivolse l’attenzione sulla sua colazione e cominciò a mangiare senza particolare entusiasmo. Non poté fare a meno di alzare lo sguardo verso il computer ogni volta che portò il cucchiaino alla bocca, impaziente di veder apparire l’avviso di chiamata.

La sua coppa di yogurt era quasi vuota quando successe. Si affrettò a rispondere e, un attimo dopo, si ritrovò a sorridere a Chuck, che la guardava attraverso lo schermo.

“Sei in ritardo,” mise da parte la coppa di cristallo e poi fece scorrere le dita sullo schermo piatto del portatile, leggermente, come a voler toccargli la guancia; consapevole che non poteva, sospirò. “Ero preoccupata.”

“Mi dispiace,” si giustificò Chuck. Il sorrisetto obliquo sulle sue labbra si affievolì un po’. “L’ultimo meeting è durato più del previsto.”

Blair realizzò che doveva essere appena tornato in hotel; era seduto su divano in quello che riconobbe come il salotto della sua suite arredata in stile minimalista, ancora vestito in un completo grigio antracite. “Avevo immaginato,” notando l’espressione stanca di suo marito, annuì simpateticamente. “Come è stata la tua giornata?”
           
Era già sera inoltrata a Tokyo. Dietro alle larghe finestre della stanza in cui lui era, Blair poteva vedere che il cielo era completamente scuro. Sapere che la giornata di Chuck stava per concludersi quando la sua doveva ancora cominciare le dava una strana sensazione. Blair odiava quell’enorme differenza di tempo tra di loro; le ricordava costantemente quanto lui fossero lontani e concedeva loro solo brevi momenti per stare insieme.  

“Stressante,” rispose Chuck, sfilandosi la giacca, “ma produttiva. Come stai?” appoggiandosi allo schienale del divano per stare più comodo, ghignò nuovamente. “Quanto ti manco oggi?”

Blair  aggrottò le sopracciglia. “Sto benissimo,” disse in un tono forzatamente indifferente, accompagnando le parole con una noncurante alzata di spalle. “Cosa ti fa pensare che mi manchi, esattamente?”

Chuck rise sotto i baffi. “La tua espressione,” spiegò, le labbra ancora oblique, mentre allentava il nodo perfetto della cravatta e procedeva a sbottonare il colletto della camicia.

Osservando quella sequenza di gesti, Blair finì per pensare che avrebbe volute prendersene cura lei, farlo per lui, come faceva ogni volta che Chuck tornava a casa tardi. Non poté fare a meno che corrucciarsi – e tradire il suo tentativo di essere divertente e sarcastica nel nascondere la sua evidente nostalgia.

Quello sguardo triste non passò inosservato agli occhi di Chuck. “Ti manco davvero molto,” dichiarò, enfatizzando quella affermazione con un sospiro piuttosto drammatico.

Blair sbuffò di fronte alla sua aria compiaciuta. Sentendo che stava arrossendo, comunque, abbassò gli occhi.

Quando sollevò nuovamente lo sguardo, il ghigno soddisfatto di Chuck si era trasformato in un sorriso più genuino. “Mi manchi anche tu,” disse e Blair non ebbe dubbi nel credere che fosse sincero.

Chuck sarebbe sembrato semplicemente stanco a chiunque non lo conoscesse bene quanto lei, ma Blair sapeva leggere
 in modo sorprendentemente chiaro quello che la sua espressione sempre indefinita e criptica lasciava trasparire; rivelava una nostalgia malinconica che le fece curvare le labbra in un sorriso triste e tenero allo stesso tempo.
“Solo altri quattro giorni, Chuck,” gli ricordò a voce bassa.

Chuck rispose con un debole cenno del capo e poi le chiese dei sui piani per la giornata. Mentre gli parlava, Blair osservò il volto di suo marito addolcirsi e diventare più rilassato; si era sistemato un cuscino dietro alla testa e la sua espressione era diventata serena, come se la familiarità di quel momento – ascoltarla mentre parlava dei suoi impegni – fosse riuscita a farlo sentire più vicino a casa.

 
“Vorrei poter restare di più,” sospirò fiaccamente Chuck  dieci minuti dopo, con palese riluttanza, passandosi una mano tra i capelli, “ma sfortunatamente ho ancora del lavoro da fare.”

Blair lo scrutò per un attimo ed una ruga preoccupata le apparve sulla fronte. Scosse le testa leggermente. “Ti direi di non stare sveglio fino a tardi se fossi così ingenua da pensare che ci sia anche solo una possibilità che mi ascolterai.”  

Chuck, che di sicuro aveva percepito la vena di apprensione nel tono dispotico della moglie, rise piano. “Non essere nervosa, Blair,” le disse, il famigerato sorrisetto diabolico tornato a piegargli le labbra. “Starò benissimo.”

Notando quanto la sua malcelata preoccupazione lo divertisse – avrebbe potuto scommettere che lo compiaceva – Blair si accigliò. “Charles,” si sporse in avanti, più vicino allo schermo, per dargli un’occhiata grave, il cui risultato fu quello di a far diventare il ghigno di Chuck più evidente e compaciuto. “Sono seria. Riposati,” sospirò, ascoltando la sua stessa voce diventare inevitabilmente più dolce. “So che non stai dormendo abbastanza.”

Chuck la fissò per un lungo momento prima di fare spallucce. Non avrebbe mai ammesso che aveva ragione – era troppo orgoglioso per farlo, Blair pensò – ma riuscì comunque a riconoscere una tacita ammissione nel suo sguardo immobile. “Ti prometto che starò bene,” le ripeté, questa volta calmo e rassicurante.  

Fu abbastanza perché Blair si concedesse di rilassarsi e di mostrargli un sorriso amorevole. Quando chiusero la videochiamata, Blair era sollevata (“Passa una buona giornata,” Chuck le disse, e lei, ancora infastidita dal fuso orario, gli rispose dandogli la buona notte – “Cerca di dormire, per favore.”). Era stata una chiamata breve ma rassicurante.

Finì la colazione e si diresse alla Waldorf Designs sentendosi leggermente meno nervosa, entusiasta all’idea di rivederlo su Skype quella sera – durante la pausa pranzo di Chuck. Solo altri quattro giorni, si disse mentre si preparava per iniziare a lavorare, sperando che sarebbero passati in fretta.

 


Chuck sospirò sollevato quando la limousine cominciò a rallentare e poi si fermò di fronte alla townhouse. Era piuttosto stanco a causa del viaggio ed impaziente di rivedere sua moglie. Aspettando che Arthur gli aprisse la portiere, si prese un momento per osservare il palazzo elegante da dietro i finestrini oscurati. Sorrise. Le luci erano tutte accese a ricordargli che c’era qualcuno ad attenderlo all’interno ed una calda sensazione di gioia gli riempì immediatamente il petto.

Venti minuti fa, quando era atterrato, aveva chiamato Blair per farle sapere che stava tornando a casa e si aspettava che lei lo stesse attendendo nell’ingresso, pronta ad accoglierlo con un drink ed un largo sorriso sulle labbra. Qualche secondo dopo, con quell’immagine piacevole in mente, uscì dal veicolo e si fece strada velocemente verso l’entrata, lasciando l’autista e la sua guardia del corpo ad occuparsi dei bagagli

Le sue aspettative non furono tradite; non appena aprì la porta, i suoi occhi trovarono immediatamente Blair, in piedi nel centro della stanza. Chuck fece appena in tempo a cogliere uno scorcio della sua figura – indossava qualcosa di rosso ed aveva effettivamente in mano un bicchiere di quello che sembrava essere scotch – e della sua espressione lieta prima che si precipitasse verso di lui e che lui facesse istintivamente lo stesso, eliminando la distanza  tra di loro con qualche passo affrettato ed impaziente.

In un attimo le sue braccia furono cinte intoro a lei. Si rese conto, nel momento in cui la strinse, di quanto gli fosse mancata; la desiderava nel senso più possessivo e bisognoso della parola. Chiuse gli occhi e, affondando il viso nell’incavo del suo collo, inalò il su profumo; era finalmente a casa.

“Ben tornato,” disse Blair, facendo scorrere la mano libera sulle spalle di lui, ancora coperte dal cappotto, fino alla nuca. Cominciò ad accarezzargli i capelli con le dita.

“Mi sei mancata,” mormorò Chuck contro la spalla di Blair, la voce roca ed avida.

Prima che lei potesse rispondergli, Chuck sollevò il capo per catturarle le labbra in un bacio bramoso. Fu un bacio lungo e fervente; Chuck si perse nel piacere di averla nuovamente vicino – le mani che le stringevano i fianchi e le dita di lei aggrappate ai suoi capelli – e, per un paio di minuti, la realtà intorno a loro si fece indistinta.

Ne tornò consapevole solo quando si separarono. I suoi occhi si concentrarono sul volto di Blair; sembrava essere rincuorata e sinceramente contenta.

Appoggiando una mano sul suo volto, lei gli sorrise. “Sono così contenta che tu sia a casa,” gli disse, offrendogli prontamente il drink che aveva preparato per lui. “Sembri così stanco.”

Chuck prese il bicchiere con un sorriso riconoscente. “Allora mi merito un trattamento speciale, non credi?”

Blair gli rispose roteando gli occhi. Guardò oltre la spalla di Chuck mentre lui prosciugava lo scotch in un solo sorso e notò che, nonostante i bagagli fossero stati portati di sopra mentre loro erano troppo impegnati a salutarsi per prestarvi attenzione, l’autista di suo marito era ancora in piedi di fianco alla porta d’ingresso chiusa, aspettando immobile di essere congedato.

Gli sorrise. “Puoi andare, Arthur,” gli disse. Chuck le lanciò un’occhiata interrogativa, che lei ignorò. “E non preoccuparti di venire domani mattina; Mr. Bass si prenderà una giornata libera.”  

“Ah sì?” Chuck chiese, la fronte leggermente aggrottata mentre dava il cappotto al suo maggiordomo, che era appena entrato nella stanza. Aveva già deciso di concedersi un giorno d vacanza, ma il fatto che sua moglie avesse predetto le sue intenzioni era alquanto divertente – anche se non inaspettato.

Blair riportò gli occhi su di lui. “Assolutamente,” gli rispose con decisione, prendendogli il bicchiere ora vuoto dalle mani. “Non scherzavo, Chuck.” Gli accarezzo il braccio gentilmente. “Sei sfinito.”

Era vero. Pensando che negarlo non avesse senso, Chuck sospirò ed annuì in direzione del suo autista, confermando silenziosamente le parole della moglie e dandogli il permesso di andare. Quando furono nuovamente soli cinse pigramente la vita di Blair con un braccio. “Vado a rinfrescarmi, se non ti dispiace,” le disse, prima di darle un bacio veloce sulla guancia.

“Ma certo,” un sorriso luminoso si allargò sul volto di Blair, mentre faceva scorrere una mano sul petto di lui, fino a raggiungere il colletto della camicia. “C’è un bagno caldo che ti aspetta di sopra, comunque,” con cura, gli allentò il nodo della cravatta che portava sotto al cardigan ed alzò gli occhi per rivolgergli uno sguardo affettuoso. “Prenditi tutto il tempo che ti serve.”

Questa era, Chuck scoprì con grande soddisfazione, solo una delle cure speciali di cui Blair aveva deciso che lui avesse bisogno. Quando uscì dal suo bagno, mezz’ora dopo, lei aveva già preparato una vestaglia calda di velluto ed un pigiama, risparmiandogli lo sforzo di doverlo fare da sé.

Una 
cena breve ed intima fu servita poco dopo. Mentre parlavano e mangiavano, Chuck non smise mai di cercare un contatto fisico; passò il tempo a tenerle la mano sul tavolo e stringerla. Gli era mancata così tanto che, ora che erano insieme, non poteva fare a meno di assecondare quella sensazione di completezza ed appagamento che provava nel toccarla.

Dopo cena passarono un po’ di tempo nel salotto, bevendo un drink. Non molto dopo, comunque, Blair insistette che andassero di sopra in camera da letto, sostenendo con decisione che lui avesse bisogno di dormire. Chuck non aveva alcuna voglia di alzarsi dal divano su cui era seduto a coccolare un Monkey particolarmente felice di vederlo, ma non vedeva l’ora di stendersi, quindi non obiettò. Diede un’ultima carezza al cane e poi seguì stancamente la moglie su per le scale fino al terzo piano. Furono a letto per le dieci.

Più tardi, accoccolata nell’abbraccio di Chuck, Blair sospirò. Lui era diventato molto tranquillo e silenzioso durante gli ultimi dieci minuti, rispondendole a fatica, ma lei sapeva che era ancora sveglio. La stringeva ancora fermamente – era quasi aggrappato a lei, in realtà, come se provasse il bisogno di tenerla ancora più vicino del solito per dimenticare le due settimane di notti passate in un letto vuoto – e le dita stavano ancora giocherellano distrattamente con i suoi capelli.

Si rigirò nelle sue braccia per guardarlo. “Non dormi,” affermò, posando una mano sulla curva tra il collo e la spalla di Chuck  ed accarezzandolo dolcemente.

“Non ci riesco,” rispose lui, piegando la testa di lato e strofinando la guancia contro il dorso della mano di lei. “E’ più o meno mezzogiorno per me, Blair.”

Blair annuì. “Capisco,” rispose con calma. Cominciò a sfiorargli il petto con fare rilassante, toccando appena la seta del pigiama nel tracciare linee immaginarie con le dita. “Sai, Dorota dice che ti vizio,” disse dopo un intero minuto di silenzio, sovrappensiero. “Pensi che sia vero?”

Chuck si lasciò sfuggire una risatina. “Secondo te?” le chiese poi. Il divertimento che la domanda aveva portato con sé era chiaro nonostante la voce assonnata e debole; la risposta era chiaramente un sì.   

“Non è divertente, Bass,” protestò Blair quando lui rise nuovamente. Improvvisamente lei smise di accarezzargli il petto e gli diede uno schiaffetto giocoso. “Sono una Waldorf. Siamo donne potenti, noi; non viziamo nessuno.”

“Ma non avete alcuna remore quando si tratta di essere viziate, vero?” le fece notare Chuck e, anche senza guardarlo, Blair fu in grado di dedurre dal tono soddisfatto del marito che c’era un ghigno sulle sue labbra.
           
Consapevole che c’era un fondo di verità innegabile nella sua battuta, Blair non replicò. Chuck adorava viziarla e lo faceva secondo le sue manie di grandezza; aveva passato il loro primo anno di matrimonio ricoprendola di regali – tutti esclusivi e splendidi. Non le negava mai nulla. Blair non riusciva a ricordare una singola volta in cui lui le avesse detto di no; infatti, il più delle volte, lei non aveva neanche bisogno di chiedere.

Blair rimase in silenzio per un po'. Percependo che era pensierosa, Chuck la strinse nel suo abbraccio. “Blair, sono stato viziato per tutta la vita,” le confessò. “Sono sempre stato circondato da persone che facevano cose per me perché dovevano. Quello che fai tu è diverso. Non è solo viziare; tu ti prendi cura di me e lo fai per amore.” Fece una pausa, inalando un respiro profondo. Le prese la mano che era ancora poggiata sul suo petto e la portò verso le labbra, baciandone il dorso. “Mi sento amato,” disse. Le sue parole suonarono oneste e piene di affetto. “Sei stata la prima persona a farmi sentire così.”  

La gratitudine nella sua voce commosse Blair. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e serrò le palpebre per reprimerle. Aveva avvertito una nota bisognosa nel suo tono, un vago accenno che confermò, ancora una volta, quello che constatava ogni giorno; tutte le piccole attenzioni che lei gli dedicava erano, in qualche modo, indispensabili. Per Chuck significavano più di quanto lui fosse in grado di spiegare; erano potenti rimandi del suo amore, capaci di placare i moti di insicurezza che spesso lo coglievano.  

Blair sapeva di essere essenziale per lui ed il pensiero la faceva sentire speciale ed importante. “E questo non cambierà mai,” gli assicurò. Si avvicinò e gli diede un bacio leggero sulle labbra. “Farò sempre del mio meglio per farti sentire amato.”

Chuck le accarezzò il volto, il pollice che disegnava piccoli cerchi sulla pelle liscia. Anche al buio, ora che lei era così vicina, riusciva ad intravedere la sua espressione, amorevole e sincera. Sapeva che gli stava dicendo la verità; le credeva e si fidava di lei come non si era mai fidato di nessuno.

“Ti amo,” rispose semplicemente, sapendo che quelle due semplici parole avrebbero sempre sostenuto il significato profondo di tutto quello che provava per lei.

Si addormentò tendendola stretta a sé, il naso affondato nei sui capelli per respirare il suo odore. Era più felice di quanto avesse mai pensato di poter essere. 


 

Note:

[1] E' super fluffy, lo so. Ma amo l'idea che Blair sia questo tipo di moglie, attenta e materna. Secondo il mio punto di vista, lo è decisamente. Dico spesso che, se è vero che Chuck è bisognoso - e Chuck lo è, e quanto! - , è altrettanto vero che Blair ha bisogno di sentire che le persone che ama hanno bisogno di lei. Anche in questo caso, l'uno nutre le necessità dell'altro. Questa, in generale, è l'idea che sta dietro alla one-shot. 

[2] Nel caso qualcuno fosse curioso, a fine Novembre tra New York e Tokyo ci sono 14 ore di differenza!

[3] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me). Qui l'originale. 

           
   
 
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