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Autore: blackmiranda    13/11/2015    4 recensioni
In una notte d'inverno, le loro strade si incontrano e le loro storie cambiano irrimediabilmente, in una catena di eventi che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere. Semplicemente, una What if? con Crack pairing, classificatasi al primo posto nel contest di _Freya Crescent_ "Cento strade, mille finali".
(RetasuxQuiche)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Retasu Midorikawa/Lory
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 II


 

 

Quiche sbatté le palpebre una, due, tre volte. Non riusciva a mettere a fuoco nulla di ciò che lo circondava; vedeva solo bianco sopra di sé e non capiva di cosa potesse trattarsi.

Se fosse stato azzurro, pensò confusamente, si sarebbe potuto trattare del cielo terrestre. Magari, si disse, era bianco perché era nuvoloso...

Dopo un altro paio di deboli tentativi, si arrese. Era così stanco, voleva solo dormire, dormire, dormire, fino a dimenticare tutto, fino a dimenticare sé stesso.

Chiuse gli occhi. Non aveva neanche la forza di sognare.

 

***

 

Retasu tornò a casa in fretta e furia, quel pomeriggio. Si era giusto fermata in farmacia a fare scorta di garze e acqua ossigenata, pregando di non imbattersi in nessuno di sua conoscenza che pretendesse di informarsi sul perché le servissero tali oggetti.

Quella notte non aveva chiuso occhio, la mattina a scuola era riuscita a stento a mantenere una facciata di presentabilità e il pomeriggio al Café era stato un vero incubo.

E tutto perché la sera prima aveva deciso di portarsi a casa l'alieno svenuto e di medicarlo come meglio poteva, con il disinfettante e i cerotti che era riuscita a racimolare nell'armadietto del bagno.

Quiche non aveva mosso un muscolo: era come se fosse catatonico. La ragazza aveva trascorso una buona mezz'ora a chiedersi se per caso non fosse entrato in coma, rischiando di andare in iperventilazione nel mentre.

Quella mattina l'aveva lasciato sul proprio letto, profondamente addormentato, il petto magro e pallido che si alzava e si abbassava ritmicamente. La ferita era ben lungi dall'essere guarita, ma almeno era un po' più pulita rispetto a prima.

Retasu era sempre stata una ragazza coscienziosa e degna di fiducia: per questo i suoi genitori non avevano fatto domande quando, uscita dalla propria camera da letto, si era chiusa a chiave la porta alle spalle.

La sera precedente era miracolosamente riuscita a non svegliare sua madre mentre trascinava a fatica l'alieno svenuto su per le scale che conducevano al primo piano. Rischiando di soffocare nel tentativo di tenere a bada il fiatone, era poi scesa nuovamente e aveva finto di essere appena rientrata a casa, facendo volutamente più rumore del solito per destare Yomogi dal sonno in cui era sprofondata, la testa e le braccia poggiate sul tavolo della cucina.

Quel pomeriggio, senza neanche rendersi conto della strada che aveva percorso da quando era uscita dal Café, Retasu si era trovata faccia a faccia con la porta di casa, un doloroso crampo che le attanagliava lo stomaco. Cosa aveva fatto? In che diamine di guaio si era cacciata?, si domandò per la millesima volta. Non avrebbe potuto resistere a lungo, lo sentiva. Già quel pomeriggio era stata perennemente sul chi vive, e poteva scommettere che Bu-ling e Zakuro avessero subodorato che qualcosa non andava. Prima o poi si sarebbe lasciata sfuggire qualcosa, e allora...avrebbe deluso tutti, si sarebbe fatta cacciare con disonore dalla squadra...avrebbe perso le uniche vere amiche che aveva mai avuto...

Gli occhi le si inumidirono mentre distoglieva lo sguardo dall'uscio, puntandolo in direzione del sole morente. Quella giornata le era parsa lunghissima, e sentiva che il peggio doveva ancora arrivare.

Sospirando, afferrò la maniglia argentata della porta e la abbassò lentamente, il cuore che le rimbombava nella cassa toracica. La porta si aprì senza il minimo rumore, scivolando silenziosamente sui cardini ben oliati.

Tutto, a casa sua, era come sempre in perfetto ordine. Ogni cosa al suo posto, due genitori amorevoli, un fratellino educato e studioso e una sorella maggiore coscienziosa e affidabile...almeno fino alla sera precedente, rifletté amaramente facendo un passo in avanti. 

Uri la salutò dalla cucina, dove stava facendo i compiti con l'aiuto della madre. Yomogi le rivolse un sorriso dolce. “Bentornata tesoro, ti va una fetta di torta?” le chiese, completamente ignara del reale stato d'animo della figlia.

Retasu rifiutò educatamente. “No, grazie. Mangio già abbastanza dolci al Café.” cercò di sdrammatizzare, ma non era certa che il suo tono di voce fosse credibile. “Vado a studiare anche io.” si congedò rivolgendo un sorriso nervoso al fratellino. Bugie, quante bugie.

Dopo essersi tolta le scarpe in ingresso, prese a salire le scale, facendo meno rumore possibile. Le soffici pantofole azzurre che calzava le facilitarono il compito, ma non poté fare a meno di chiedersi quanto i sensi di un alieno fossero superiori rispetto a quelli di un essere umano.

Sapeva così poco di loro, si rese conto mentre, col cuore in gola per l'apprensione, infilava la chiave un po' arrugginita nella toppa e girava, facendo scattare la serratura.

La sua mano sinistra volò istintivamente al medaglione, freddo e liscio, che teneva nella tasca della gonna della divisa scolastica. Pregò che l'alieno non si fosse svegliato in sua assenza o, in alternativa, che si fosse svegliato e se ne fosse andato, liberandola da quella situazione spinosa.

Aprì la porta lentamente, sbirciando da dietro lo stipite. L'interno della sua camera era quasi totalmente illuminato dai raggi del sole, che tingevano tutto di un rosso sanguigno; si augurò che non fosse un brutto presagio.

Il suo letto era ancora occupato, realizzò azzardando un passo in avanti. Quiche era immobile, esattamente come l'aveva lasciato quella mattina, dopo la notte praticamente insonne che aveva passato a vegliarlo. Retasu sospirò, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovi la schiena.

Perché lo stava facendo?, si chiese per l'ennesima volta mentre, cautamente, si toglieva la cartella di dosso e recuperava le garze e il disinfettante. Lui era IL nemico, il cui scopo era annientare tutti loro. E come se non bastasse, le sembrava che fosse diventato sempre più aggressivo a mano a mano che le battaglie proseguivano, specialmente nei confronti di Ichigo. Arrossì solo al pensiero del modo in cui lui si comportava con Ichigo...era così violento, così imprevedibile, così passionale in tutto quello che faceva, che quasi sfiorava la pazzia. Eppure, rifletté girandosi a guardarlo, privo di sensi com'era in quel momento, pareva solo un ragazzo ferito, esausto, smarrito.

Retasu si chiese se Pie e Tart lo stessero cercando. Conosceva il motivo per cui loro stavano attaccando la Terra: sapeva che sul loro pianeta freddo e distante, più freddo e distante di Plutone e della sua solitaria luna Caronte, c'erano persone che li aspettavano, persone che avevano bisogno di loro e che li amavano, esattamente come sua madre, suo padre e il suo fratellino amavano lei.

Si chiese, intenta ad osservare l'alieno dormiente, se nei suoi panni non sarebbe impazzita anche lei.

Fu in quel momento che un pensiero le sfiorò la mente, restando intrappolato nella rete delle sue congetture e dei suoi dubbi: forse avrebbe potuto parlargli...forse sarebbe riuscita a ragionarci. A trovare una strada alternativa, a evitare la guerra una volta per tutte.

Sapeva che Zakuro, Ryou e Ichigo non avrebbero approvato. Ma in quel momento non c'erano: non c'era nessuno lì con lei, nessuno che potesse giudicarla o farla desistere dai suoi propositi. Forse avrebbe potuto prendere in mano la situazione, una volta tanto, e mettere in pratica quello che le suggeriva la propria coscienza.

Ogni volta che combatteva - ogni volta che udiva un grido di dolore, che fosse il proprio, quello di un'amica o quello di un avversario -, tutto quello che Retasu avvertiva era un  profondo senso di ingiustizia. Il suo cuore - no, tutto il suo essere - le suggeriva che doveva per forza esserci una via alternativa. E se non ci fosse stata, pensò avvertendo un improvviso quanto insolito senso di fiducia nelle proprie capacità, se la sarebbe creata dal nulla.

Impugnò con rinnovata energia il barattolo di acqua ossigenata ancora sigillato, si trascinò dietro la sedia della scrivania e si sedette al capezzale dell'alieno. Le palpebre dalle ciglia scure erano abbassate ma non serrate, segno che almeno non stava soffrendo. Respirava con la bocca semiaperta, da cui si intravedevano i canini appuntiti tipici della sua specie.

Quante cose avrebbero potuto imparare gli uni dagli altri, se solo non ci fosse stata quell'insensata guerra di mezzo...Retasu lasciò vagare il suo sguardo sulle membra esili del ragazzo. Era così magro, rifletté, e realizzò improvvisamente di non averlo nutrito in alcun modo. Solitamente, quando un paziente non è in grado di mangiare da solo, lo si nutre con l'ausilio della flebo, ma lei naturalmente non possedeva un'attrezzatura del genere e andare all'ospedale era fuori discussione.

Almeno un po' d'acqua...,pensò, ma poi un altro dubbio la distrasse: gli alieni bevevano acqua? Cosa mangiavano? Non era sicura che il cibo terrestre fosse commestibile, per loro.

Sospirò, svitando il tappo del disinfettante. Come infermiera, non c'erano dubbi, era proprio un disastro.

Si sporse un po' più vicino, scostando i cerotti che, con mani tremanti, aveva applicato sulla ferita la sera prima e che si erano già semi-staccati da soli. Aveva fatto bene a comprare le garze, si disse mordendosi il labbro alla vista della profonda lesione dai bordi irregolari. Ao no Kishi non si era certo risparmiato...

Socchiudendo gli occhi, iniziò delicatamente a versare l'acqua ossigenata che, a contatto con la ferita, quasi istantaneamente produsse le caratteristiche bollicine bianche, segno che il taglio era ancora infetto.

Acqua che cura, come la Mew Aqua...

Non fece in tempo a terminare quel pensiero che Quiche riprese i sensi all'improvviso, spaventandola a morte. Il barattolo di plastica le sfuggì di mano, cadendo a terra, mentre l'alieno si tirava su a sedere in un unico, fulmineo movimento e le sue mani diafane le si avvolgevano attorno al collo in una morsa ferrea. Retasu sentì la voce e il fiato mancarle, gli occhi sbarrati e fissi sul volto ferino del ragazzo.

Dopo che l'ebbe messa a fuoco, Quiche la scrutò con malcelata sorpresa, allentando giusto un po' la stretta sul suo collo.

“Che stai facendo?!” sibilò, le pupille verticali ridotte a due sottili fessure nere. Staccò una mano dal collo di lei e se la passò sulla ferita, confuso e chiaramente diffidente.

Retasu prese fiato, alzando le mani in segno di resa. “Io...i-io stavo...d-disinfettando la ferita.” pigolò, costringendosi a non distogliere lo sguardo dal volto di lui. “Non...non voglio farti del male...” tentò, con voce supplichevole. Sentiva il battito frenetico della propria carotide sul palmo della sua mano fredda. Ti prego, non farmi del male...

Corrugando la fronte, l'alieno lasciò lentamente la presa, alzandosi in aria subito dopo, fino quasi a toccare il soffitto della sua stanza con la testa. Retasu, in tutta risposta, scattò in piedi, rovesciando la sedia, e arretrò fino a raggiungere la porta, massaggiandosi delicatamente la gola ammaccata.

Si osservarono in silenzio per alcuni istanti, lei atterrita e incerta sul da farsi, lui sospettoso e incredulo al contempo. La ragazza si portò una mano sul cuore, cercando di calmarsi. In meno di un minuto Quiche era riuscito a spaventarla come non mai. Le ci volle tutto il suo sangue freddo per non precipitarsi a capofitto fuori dalla stanza. E adesso che si era svegliato, cosa sarebbe successo?

L'alieno si abbassò quel tanto che bastava per guardare fuori dalla finestra. “Dove siamo?” chiese in tono sgarbato, fluttuando ad una manciata di centimetri al di sopra del letto in cui fino a poco prima stava dormendo serenamente.

Retasu deglutì. “Camera mia. Casa mia.” fece con voce acuta, sentendosi estremamente ridicola nel pronunciare quelle parole. Abbassò la mano sinistra fino all'orlo della gonna grigia, assicurandosi che il medaglione per la trasformazione fosse ancora lì a portata di mano.

Quiche distolse lo sguardo dal paesaggio urbano fuori dalla finestra, chinandosi a raccogliere l'acqua ossigenata, che nel frattempo si era spanta per una buona metà sul tappeto bianco ai piedi del letto. “Perossido di idrogeno.” sillabò, gli occhi dorati socchiusi. “Brucia.” commentò, inclinando il contenitore verso il pavimento per versare il liquido rimanente.

“Aspetta, non farlo..!” esclamò Retasu, gettandosi in avanti con le braccia tese. “È vero che brucia, ma serve a disinfettare la ferita...”

Quiche si bloccò, riportando la sua attenzione su di lei. La ragazza avrebbe dato qualsiasi cosa per avere anche solo una vaga idea di quello che l'alieno stava pensando in quel momento.

“Perché mi stavi curando? Sei stata tu a portarmi qui?” le chiese, tenendo sempre la bottiglietta pericolosamente inclinata.

Retasu annuì debolmente, raddrizzando la schiena. “Ho visto che eri ferito, perdevi sangue...” si spiegò rapidamente, anche se sapeva che quella non era una vera e propria spiegazione.

Quiche sollevò un sopracciglio. “E hai deciso che portare a casa e curare un nemico sarebbe stata la cosa giusta da fare?” domandò, un sarcasmo tagliente nella voce.

Retasu fece del suo meglio per ignorare lo scherno insito nel commento, deglutendo nuovamente. “Io...non potevo lasciarti lì. Pensavo che saresti morto, se non avessi fatto nulla.” confessò con un filo di voce, lo sguardo puntato sulla macchia scura che si stava lentamente allargando sul tappeto.

Si vergognava da morire.

 

***

 

Quiche non sapeva cosa dire. Si era appena risvegliato da quelli che gli erano sembrati giorni di delirio e dormiveglia per ritrovarsi di fronte una Mew Mew che non solo non dava segni di volerlo attaccare, ma che gli faceva addirittura da infermiera. Tutta quella situazione era paradossale.

La squadrò in silenzio, mentre lei sembrava quasi rimpicciolire sotto il peso del suo sguardo.

Cosa sapeva di quella Mew Mew? Si costrinse a pensare a tutte le volte in cui ci aveva combattuto contro, ma la verità era che non le aveva mai prestato troppa attenzione, nel corso delle battaglie. Ichigo era l'unica di cui gli importasse qualcosa. In più, quella Mew Mew verde non era nemmeno interessante come quella viola, né altrettanto forte. Anzi, forse era addirittura la più debole, tra tutte loro...

Poi, in un flash, gli tornò in mente quando era riuscita, da sola, a sconfiggere il Chimero-ragno che lui aveva creato, riuscendo al contempo a liberare sé stessa e le compagne dalla tela in cui il mostro le aveva avvinte. Quindi, si disse incrociando le gambe mentre fluttuava a mezz'aria davanti a lei, forse non era poi così debole come sembrava. Eppure, così a capo chino com'era in quel momento, non sembrava che una povera vittima in attesa del boia.

Era perfino troppo patetica per approfittarne...

Quiche si passò nuovamente una mano sulla ferita, che pizzicava e bruciava, ma che almeno – dovette riconoscerlo – era pulita e non sanguinava quasi più. Si sentiva indubbiamente meno debole e più lucido rispetto ai giorni precedenti...possibile che fosse tutto merito di quell'umana?

Ma che cosa accidenti aveva pensato, quella stupida incosciente, quando se l'era trascinato a casa e aveva iniziato a prendersi cura di lui, suo nemico fin dal loro primo incontro? Cosa poteva mai averla spinta a fare una cosa del genere?

Era tutto troppo assurdo per essere vero. Doveva esserci qualcosa sotto...

“Scommetto che il tuo amico biondo e quell'altro coi capelli lunghi arriveranno qui a momenti...” buttò lì, il sarcasmo che velava l'incredulità nella sua voce.

Lei alzò bruscamente il capo, fissandolo con gli occhi cerulei sgranati. “No, affatto..!” protestò, e o era una bugiarda consumata o stava dicendo la più pura e cristallina delle verità.

Quiche assottigliò lo sguardo. La situazione si stava facendo sempre più strana, minuto dopo minuto. “Quindi loro non ne sanno nulla? E Ichigo? Lei lo sa?” Si odiò istantaneamente per aver fatto quella domanda. Lo faceva sentire così schifosamente debole...eppure, aveva bisogno di sapere.

La ragazza scosse la testa, intimorita, e fu come se gli avesse rifilato un pugno nello stomaco. Ichigo...era ovvio che non ne sapesse niente. Nemmeno ci pensava, a lui. Non le importava un accidente, di lui.

Ci fu un altro momento di silenzio, in cui nessuno dei due ebbe il coraggio di guardare l'altro in faccia. Sorprendentemente, fu lei a rompere il ghiaccio, porgendogli una specie di pezza bianca dall'aria morbida: “Q-questa dovrebbe...impedire al sangue di uscire.” spiegò, visibilmente rossa in volto.

L'alieno allungò la mano a prendere la fasciatura, incapace di togliersi di dosso la sensazione di disagio che stava provando da quando si era risvegliato in quello strano giaciglio – il letto della ragazza, realizzò, chiedendosi dove lei avesse dormito mentre lui recuperava le forze. “Uhm...grazie, immagino.” borbottò, un sorriso sardonico che gli si formava involontariamente sulle labbra. Magari era tutto un sogno provocato dalla febbre: avrebbe senza dubbio avuto più senso.

Non avrebbe mai creduto, in tutta la sua vita, che si sarebbe sentito in obbligo di ringraziare un'umana. Eppure era così, e chissà, probabilmente gli aveva davvero salvato la vita. O, alla peggio, gli aveva fornito qualcosa su cui arrovellarsi per un po'.

Quiche si rigirò la benda tra le dita, provando ad applicarla sulla ferita, ma la posizione della ferita stessa rendeva il tutto molto scomodo. D'un tratto, gli venne un'idea. Malsana, certo, ma del resto chi era lui per giudicare?

“Temo che dovrai darmi una mano.” ammise, fingendosi più imbranato di quanto non fosse in realtà. Facendo del suo meglio per non sogghignare, attese pazientemente che l'umana gli si avvicinasse, titubante, prima di sussurrarle all'orecchio: “Di' un po', non è che ti sei presa una cotta per me? È di questo che si tratta?”

La ragazza sobbalzò, scattando all'indietro. “No!” esclamò, con forse un po' troppa veemenza, le guance che le si imporporavano di nuovo. “Io stavo solo...ho solo seguito il mio istinto, tutto qui!” Adesso gli sembrava offesa. Incrociò le braccia al petto, voltandogli le spalle. La benda giaceva abbandonata sul letto. “Lo so che non ha senso...” la sentì mormorare, la voce incrinata dalla stanchezza e dall'imbarazzo. Si rese conto che tremava leggermente.

“Già, non ha proprio senso.” convenne lui dopo un momento, posando i piedi a terra. “Io e te dovremmo combatterci, ma a dire il vero non mi sento molto motivato ultimamente...” confessò grattandosi una guancia, mentre gli tornava in mente la figura nebulosa di Deep Blue.

“...nemmeno io.” gli confessò a un tratto lei, girandosi di nuovo a guardarlo. Al di là di quelle bizzarre lenti tonde dalla montatura grigio ferro, i suoi occhi erano lucidi.

Quiche sollevò un sopracciglio. “Non mi sembri proprio il tipo che ama combattere, in tutta franchezza.”

Lei annuì debolmente. “Lo odio.”

“Io l'adoro, invece. L'unico problema è che non so più per chi lo sto facendo.” Come mai gli veniva così spontaneo raccontarle quelle cose? Che fosse in realtà tutta un'elaborata trappola per fargli abbassare la guardia? Eppure lei non sembrava davvero in grado di recitare una parte, qualunque essa fosse. Era come un libro aperto, quasi gli faceva tenerezza: era il totale opposto di come una guerriera avrebbe dovuto essere.

Avrebbe potuto modellarla a suo piacimento come se si trattasse di creta tra le sue mani, se solo l'avesse voluto. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Chi era lei, per lui? E soprattutto, cosa avrebbe dovuto farne, lui, della sua vita, ora che Deep Blue l'aveva ripudiato, abbandonandolo al suo miserevole destino?

Tutti l'avevano abbandonato, alla fine...ed ecco che d'un tratto era spuntata lei, la più imprevedibile delle alleate. E, forse, un'alleata era proprio ciò di cui aveva bisogno, pensò all'improvviso. Forse avrebbe potuto volgere quella situazione a suo personale vantaggio. Con il potere della Mew Aqua...e di fronte a sé c'era una Mew Mew, che era un po' come un rilevatore di Mew Aqua ambulante, e che già una volta, a quanto sapeva, aveva dimostrato di reagire all'energia del Cristallo in modo sorprendente.

Forse la vita gli stava lanciando un segnale.

“Sai, io e te abbiamo più in comune di quanto non possa sembrare ad una prima occhiata.” esordì, avvicinandosi di un passo.

La ragazza lo fissò in silenzio, un'espressione interrogativa dipinta in volto.

Quiche le sorrise. “Hai detto che odi combattere. E se ti dicessi che c'è una strada alternativa?”

 

 








Ecco qui il secondo capitolo! Quando le cose le ho già scritte fatico a non pubblicarle subito, ma del resto questo fine settimana sarò senza internet e volevo almeno mettere on-line il secondo capitolo. Sono tre capitoli, btw. ;)
Spero che vi sia piaciuta fin qui e che abbiate voglia di leggere anche l'ultimo capitolo! Se vi va, lasciate una recensione, come sempre non mi offendo. :P

   
 
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