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Autore: L o t t i e    14/11/2015    2 recensioni
Michael Meyer ha dodici anni quando viene adottato da una famiglia giapponese, i Fujiwara: nuovo paese, nuovi genitori, nuova casa... Non parla molto, non conoscendo una parola di giapponese, ma il suo nuovo fratello maggiore si impegna a fargli da insegnante nonostante non vadano molto d'accordo.
La quasi perfezione della sua nuova vita va in frantumi quando le conseguenze del suo passato vengono inevitabilmente notate, quando i suoi vuoti di memoria divengono più frequenti e, a seguito di una diagnosi, un nome dato a ciò che gli accade. Convivere con altre tre personalità come se il suo corpo fosse un appartamento non è facile e dopo sette anni di cure riesce a trovare un equilibrio stabile, vedendo finalmente la luce in fondo al tunnel.
Ma... come procederà la sua già incasinata vita dopo aver fatto la conoscenza di Hajime? Quando scoprirà che il ragazzo è innamorato di lui il suo equilibrio verra nuovamente spezzato, riuscirà a ricomporre i pezzi del proprio cuore?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 01.










L'orologio segnava le dodici meno venti.
Era quasi ora di pranzo e Neruko Miyamura stava salendo le scale in cemento di un anonimo condominio. Come suo solito indossava dei jeans larghi, strappati sulle ginocchia e una t-shirt di almeno una taglia più grande; aveva raccolto i lunghi capelli castani in una coda alta, mentre il ciuffo le scivolava sul viso, maltrattato dalle dita sottili della ragazza che continuava a portarlo dietro l'orecchio. Quando arrivò alla porta dell'appartamento aprì con la copia della chiave che le era stata consegnata dal suo amico, poi le lanciò svogliatamente sul mobiletto all'ingresso. Si tolse le scarpe da ginnastica e indossò le pantofole.
Con passo sicuro iniziò a camminare in casa nonostante l'oscurità che l'avvolgeva come una morbida coperta di velluto nero. Seguendo sopratutto la scia di lattine e bottiglie di liquori vari, sospirò grevemente, arrivando alla stanza desiderata. La camera da letto era illuminata a stento dalla luce che filtrava dalle tende―le quali subito dopo vennero spostate con rabbia dalla ragazza per riuscire a vedere chiaramente la la figura distesa scompostamente sul futon¹. Il disordine regnava sovrano lì: vestiti - compresa la biancheria intima - erano sparsi sulla scrivania, una bottiglia di vodka ancora mezza piena si erigeva fiera sul pavimento vicino delle scarpe... l'unica cosa che forse poteva dirsi a posto erano dei sketchbooks e i vari colori, con qualche manuale da disegno, riposti con cura in un angolo della stanza.
Michael «Mika» Fujiwara, vent'anni, continuava a ronfare, ignaro dell'amica e delle sue “terrificanti” intenzioni. Aveva lasciato gli studi da tempo, dopo aver frequentato solo per un anno o poco più ed era proprio in quel periodo che Neruko l'aveva conosciuto, o meglio, aveva conosciuto Mittsu―una delle sue personalità.
La castana si avvicinò all'amico, quindi gli assestò un piccolo calcio sulla coscia. «Alzati: è tardi.»
Mika si limitò a strizzare le palpebre, infastidito, per poi raggomitolarsi ulteriormente nella coperta. «...Non è vero», mugugnò.
Neruko strinse i pugni, poi prese un bel respiro. «Shidu! Ho detto alzati!», urlò.
L'altro sussultò visibilmente, spalancando gli occhi. Aiutandosi con una mano si sollevò lentamente a sedere, portando l'altra istintivamente al petto. Fissò per qualche secondo l'amica, intontito dal brusco risveglio. «Sono Michael», biascicò con tono lamentoso, «e tu seriamente una rottura di scatole quando devi urlare per svegliarmi.»
La ventun'enne ridacchiò con imbarazzo, riconoscendo lo sbaglio. I capelli color del carbone dell'altro, lunghi fin le spalle, gli coprivano gli occhi celesti come il cielo sereno, cangianti. Aveva un'aria visibilmente stanca e un forte mal di testa gli faceva pulsare le tempie, per non parlare della nausea..!
«Scusami», sussurrò a quel punto la ragazza - il suo tono di voce si era fatto più soffice, porgendo una mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi. «Vuoi che ti porti dell'acqua o... un'aspirina?»

In cucina, Mika sedeva su una sedia, anche se pareva più intendo a diventare tutt'uno con la superficie fresca della tavola. Dall'altra parte, Neruko stava ripulendo il vasetto di uno yogurt alla fragola. Aveva fatto prendere l'aspirina al ragazzo ed ora aspettava che si riprendesse un po' dalla super sbronza; come consuetudine, Mika non ricordava assolutamente nulla dei due giorni precedenti e non era certo colpa dell'alcol. In verità, di dissociarsi per così tanto tempo, non gli accadeva da molto. Si sentiva uno schifo.
«Devi assolutamente cambiarti quei vestiti», la ragazza gli puntò il cucchiaio, provando a catturare l'attenzione. «Mika, stai ascoltando?»
«Mhh... certo. Come sapevi..?», domandò rilassandosi sullo schienale, giocherellando con il piercing al labbro inferiore.
«Tua madre mi ha detto che non rispondevi al cellulare - che tra l'altro dobbiamo cercare - e mi ha chiesto di controllarti. Ma avevo degli esami», scrollò le spalle, «quindi eccomi qui, con un giorno di ritardo. Devo porgere le mie scuse a Tomoko», sospirò alla fine. «Qual è l'ultima cosa che ricordi? Vuoi che chiami Shiraki?», domandò alzandosi per gettare il vasetto di yogurt vuoto in un sacchetto e il cucchiaio nel lavello.
«No, sarà sicuramente impegnata... meglio di no», borbottò abbassando lo sguardo.
«Fooorse qualcuno qui non ricorda che Shiraki Kiyomizu è la sua psichiatra da quanto - cinque anni?»
«Sette», la corresse il corvino.
«Appunto! Proprio per questo dovresti già sapere che devi chiamarla!»
«Neruko, sto bene. Ho solo questo», socchiuse gli occhi, massaggiandosi la fronte, «terribile mal di testa. Passerà. Ora vorrei andarmi a fare una doccia.»
«Certo», sussurrò la castana, indurendo l'espressione. «Intendi stare a casa tutto il giorno?», sbottò con tono accusatorio.
Mika scrollò le spalle. «Probabilmente sì.»
«Oh no, ma proprio no! Tu ora vai a lavarti e dopo vieni con me a pranzare!»
Svelta, la ragazza seguì il ventenne che borbottava infastidito―anche dentro il bagno, continuarono a discutere, mentre Michael si spogliava dei pantaloni e della maglietta. «Vuoi continuare a starmi incollata?»
La ragazza incrociò le braccia, osservando con finta sufficienza i tatuaggi che decoravano la parte sinistra del torace del ragazzo e il bracciale tribale tatuato sul corrispondente braccio. «Perché no», scherzò.

L'acqua scrosciava all'interno del box doccia, lungo le linee del corpo tonico del ventenne, gelida. Questo lo aiutava a svegliarsi meglio e, solitamente, a lavare via la sporcizia che sentiva addosso dopo i black-out mentali. Mika poggiò la fronte sulle piastrelle bianche della parete, strizzando le palpebre: sentiva la testa martellare nonostante l'aspirina presa prima, non voleva però assumere altri farmaci... non provava nemmeno a ricordare stavolta, sarebbe stato solo peggio.
Almeno, la casa adesso ara avvolta da un confortante silenzio. Pensò che forse Neruko fosse andata a guardare la TV in cucina. Di malavoglia, era stato costretto ad accettare l'invito dell'amica―altrimenti lei sarebbe stata tutto il tempo ad osservarlo fare il bagno e in tutta sincerità non gli andava proprio.
“Quella ragazza non ha proprio vergogna”, ridacchiò una voce nella sua mente.
Il ragazzo aggrotto la fronte. «Shidu, dov'è il mio cellulare?», sussurrò a denti stretti.
Tuo, non di certo.”
«Oh, andiamo! Ovvio che che il mio! Vuoi dirmelo o no?», domandò, stavolta decisamente a voce alta, uscendo dalla doccia e agguantando un asciugamano che legò alla vita. Se qualcuno lo avesse visto, sarebbe certo passato per un matto.
“Perché non chiedi agli altri?”
“Effettivamente a volte anche io ti ho nascosto qualche oggetto, Michael.”
«Francis? Ah, mi sta venendo un'emicrania...», si lamentò portandosi entrambe le mani al capo.


* * *


Provava sempre un certo disagio, Mika, quando si ritrovava da solo―con quelle tre semi-costanti e petulanti voci che contribuivano solamente a peggiorare il suo mal di testa. Sentiva che non era un buon segno, ché di solito sentire parlare i suoi alters era un sintomo che precedeva una dissociazione. A braccia conserte e l'espressione un po' accigliata, aspettava che Neruko ritornasse con quel famoso Hajime di cui parlava a volte: era stato proprio quel ragazzo a invitare l'amica a pranzo e lui si sentiva un po' il terzo incomodo. Chissà per quale motivo era certo che tra quei due ci fosse del tenero―eppure lei non aveva mai accennato a qualcosa che andasse oltre l'amicizia, quindi doveva essere così. In fondo Mika e Neruko, essendo amici da anni, parlavano di tutto e salvo rari casi, non si nascondevano niente. Qualche minuto dopo la vide arrivare.
«Mika, sta' dritto!» lo rimproverò immediatamente, imbronciandosi come una bambina, dal basso dei suoi centosessanta centimetri. Poco dopo un altro ragazzo fece capolino dietro di lei. «Lui è Hajime Kobayashi», lo presentò.
Una sfuggente occhiata color pece trafisse il corvino, che abbassò lo sguardo a fissare, improvvisamente interessato, un ciuffetto d'erba che era cresciuto tra le crepe del cemento. Neruko arcuò le sopracciglia, osservando con sguardo indagatore Michael―poi osservò l'altro ragazzo, stretto nelle spalle, quasi fosse intimorito dal corvino.
«Vi... conoscete già?», domandò titubante.
Mika si sforzò di osservare per bene il ragazzo: era poco più alto, forse quasi un metro e ottanta e, al contrario di lui, che aveva legato i capelli in un codino, li aveva i corti―dal taglio sbarazzino, completamente celesti. Sembrava uno di quei tipici personaggi loschi da anime giapponesi, vestito completamente di nero. Il classico ragazzaccio con canottiera, felpa e jeans con catena. Sullo zigomo probabilmente aveva un taglio, per portare un cerotto.
«Allora?»
Mika scosse lentamente il capo. «Michael Fujiwara», si presentò meccanicamente fuggendo ancora una volta da quelle iridi cupe. Eppure, una flebile sensazione di déjà vu l'aveva.

Il tragitto verso il locale, per quanto breve fosse, ai tre parve durare da un'eternità. L'atmosfera era decisamente pesante; come chiuso in una bolla, Mika camminava dietro i due. Accanto a lui, i fantasmi delle tre personalità: un ventenne fin troppo violento con il vizio di bere troppi alcolici, un sedicenne cinico dal forte accento britannico e una ragazzina di quindici anni fin troppo spontanea ed impulsiva, con la passione del disegno. Neruko tra quei due fuochi iniziava a provare un certo disagio; conoscendo Hajime, poi, si chiedeva come mai, da quel tipo socievole che era, si fosse così incupito scorgendo Michael. Non poteva esserne certa, e Mika gliel'aveva anche negato, ma credeva che i due si fossero già incontrati―forse proprio in quei due giorni dimenticati dal suo migliore amico... che fosse accaduto qualcosa.
Ma cosa?
Appena di fronte al locale scelto vi era una graziosa insegna decorata con i tipici fiori di ciliegio ed alcuni tavolini erano disposti sull'ampio marciapiede insieme a qualche alberello in vaso. Accogliente, certo, ma appena i tre entrarono, il calore e l'accoglienza di quel piccolo ristorante era come moltiplicata per dieci―forse era a causa dello stile occidentale, un po' casereccio.
Quando presero posto, immediatamente gli occhi neri e penetranti di Hajime sembrarono incollarsi al labbro inferiore dell'altro ragazzo, ad osservare il foro senza piercing. Sembrava stesse seriamente studiando ogni particolare di quella figura androgina per imprimerla come una fotografia sulla propria retina.
«Sto morendo di fame», mugugnò Neruko agguantando il menù.
Mika abbozzò un sorriso. “Potresti smettere di osservarmi?”, ecco ciò che avrebbe voluto dire gettando una rapida occhiata di fronte a sé e invece riuscì solo a ricadere con lo sguardo sul menù del ristorante.
Con grande sollievo di tutti, dopo pranzo, l'atmosfera si era notevolmente alleggerita―tanto che i due ragazzi riuscivano a scambiarsi qualche parola senza che Neruko dovesse intromettersi per non far degenerare il tutto o mantenere la conversazione attiva.
«Devo allontanarmi un attimo», la castana si alzò, sorridente, «potreste ordinare il dolce anche per me?»
«Certo!» assicurò Hajime osservandola allontanarsi verso la toilette. «Allora», iniziò, improvvisamente serio - lo sguardo nero e truce fissato su Mika.
Quest'ultimo arcuò le sopracciglia, con aria interrogativa.
«Vuoi continuare a far finta di nulla?»
«Eh?»
Hajime sbuffò, si sporse verso l'altra parte del tavolo, ignorando un bicchiere pieno d'acqua che si rovesciò sulla tovaglia stropicciata. D'istinto, Michael retrocesse, appiattendosi sullo schienale rigido della sedia. «Che fai, ti allontani?» borbottò il più grande con disapprovazione, allungando un braccio, afferrando il colletto della t-shirt dell'altro―che strizzò gli occhi, temendo un qualche pugno o... cose simili. Diciamo che ormai era talmente abituato all'idea di poter incontrare qualcuno a lui sconosciuto, che però lo riconoscesse e tutt'un tratto potesse incazzarsi pesantemente, tanto da non opporre neanche resistenza o provare a dare spiegazioni; se poi riusciva a spiegare perché non ricordava quella persona nella maggior parte dei casi veniva immediatamente mandato a quel paese o preso per uno da rinchiudere.
Certo, non negava di avere un disturbo mentale―ma le sue voci erano un qualcosa di «concreto», i suoi flashback e ricordi perduti non erano mica deliri, una sottile ma cruciale differenza che lo allontanava dalla schizofrenia. Eppure alla gente non interessava e sarà che la terapia stava dando i suoi frutti con gli anni, ma i propri pensieri assumevano quella giusta punta di cinismo che solitamente caratterizzava Francis.
Questo fiume di pensieri fece incursione tanto velocemente quanto si arrestò di colpo, spezzati dalla sorpresa―dalla meraviglia folgorante di avvertire altre labbra sulle sue.
«M-mhh?!», mormorò sgranando gli occhi. Provò a sottrarsi a quel bacio, trovandosi però imprigionato tra quello che poco prima considerava il suo salvatore, lo schienale, e il corpo di Hajime proteso in avanti.
Oh, no!, fu il suo ultimo pensiero prima che l'espressione stupita venisse deturpata da una di profondo disgusto, prima che Shidu bruscamente spostasse il viso per sputare impunemente sul pavimento in parquet del ristorante e afferrare, non il colletto di una maglia o camicia, ma il collo del ragazzo di fronte a sé―praticamente steso sulla tavola ancora imbandita. Tutto ciò fece ovviamente allarmare il personale del locale; qualche cliente - il più impavido - si alzò, pronto a scongiurare una rissa.
«Non ti è bastato il pugno dell'altra volta? Dovrei romperti il naso?» domandò furente il corvino, vicino al viso annaspante dell'altro. «Come, come? Non ti sento!»
La donna al bancone stava già per alzare la cornetta del telefono e chiamare la polizia, quando fortunatamente - e anche alla buon ora - qualcuno si decise.
Shidu sentì chiaramente i capelli venirgli tirati. Non ci pensò due volte e, lasciato il collo di Hajime - che crollò sulla superficie non proprio confortevole del tavolo -, si voltò di scatto a mano ben tesa per cantarne quattro anche all'altro mal capitato.
«Vuoi continuare a dar spettacolo?»
E come se gli fosse stata improvvisamente staccata la spina per la corrente, il braccio si bloccò, giusto in tempo per non colpire il viso di Neruko. La castana lo osservava, la voce ferma, l'espressione quasi rilassata―ma che metteva terribilmente soggezione nella sua semplicità. Shidu si limitò a un verso scocciato, inforcando le mani nelle tasche dei jeans.
Si sedette sulla sedia, in religioso silenzio.






Futon¹―È il materasso tradizionale della cultura giapponese, interamente in cotone, rigido, sottile e arrotolabile. È formato da diverse falde di cotone rivestite con una fodera trapuntata a mano e può avere vari spessori.


Deliri Note dell'autrice:
Eccoci finalmente al capitolo 01, dopo quasi un mese (penso proprio che sarà questa la tempistica con la quale aggiornerò la storia, ma non prometto nulla, data la mia incostanza (...)). Non l'ho detto all'inizio ma qualsiasi nome e riferimento a fatti o persone reali è da ritenersi assolutamente casuale. Tutte le informazioni riportate sul disturbo di personalità multipla sono frutto di mie personali ricerche e a volte le caratteristiche del disturbo potrebbero prendere una piega quasi romanzata (plus - spero di non sparare cavolate al riguardo).
Ringrazio chi ha speso quei dieci minuti per leggere il capitolo precedente e questo, se siete arrivati alla fine - mi rendete davvero felice!
Inoltre Naheliem Rosadiluna che ha inserito la storia nelle seguite, grazie!
―L o t t i e.

  
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