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Autore: MaddaLena ME    14/11/2015    1 recensioni
Un repayment un po’ per tutti:
* Hermione
* Neville
* Piton
* i secondogeniti
* i secondi nomi
* i Serpeverde
* l’Occlumanzia e le Arti Oscure
* i sognatori, gli appassionati e i caparbi
* gli studenti
* i professori

Il cambiamento è goccia che scava la roccia: di fronte ad una mente brillante, un'altra non può evitare di esserne influenzata.. il rapporto è biunivoco!
Capitoli totali: 12
Dal cap. 2:
Squadrò la divisa, avvicinandosi, con un moto serpeggiante e sinuoso, fino a vorticare attorno al ragazzo. Con stupore evidente:«Dunque, sei un Serpeverde, per via del tuo secondo nome… per me?» domandò, ripensando a quanto gli aveva detto il giorno precedente.
Piton era incredulo. Lui ha fatto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per Lily. Ma nessuno, che lui ricordasse, aveva fatto mai qualcosa per lui, solo per lui. Appositamente per lui. Tutto ciò gli parve insolito, per non dire sospetto.
Infatti, con una smorfia dipinta sul volto sgraziato, gli si avvicinò, per indurlo a parlare.
«Già, esattamente » disse appena, in un soffio, il giovane Albus Severus.
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuova generazione di streghe e maghi, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Quella volta l’avevano studiata bene, Edward Johnson e i suoi scagnozzi, tutti Grifondoro del sesto anno, che da diversi mesi parevano aver preso di mira Albus.
L’inganno era stato semplice. Gli avevano fatto avere un biglietto scritto da suo fratello, con la calligrafia magicamente identica a quella di James. Diceva che voleva parlargli lontano da occhi indiscreti. Era plausibile. Quello spaccone di suo fratello era una furia, un tornado, sempre in attività. Ma Al lo sapeva che anche Jamie faceva fatica a portare quel cognome, che tutte le aspettative erano innanzitutto sul suo conto, in quanto primogenito, che doveva essere all’altezza delle imprese di suo padre, un eroe del mondo magico, fin dalla culla. Non una cosa da poco, insomma!
Capitava di frequente che si incontrassero, in modo discreto, anche solo per parlare. Essere in due Case diverse aiutava Al a trovare la propria strada, ma il tempo per vedersi era molto meno, con dormitori differenti. E, nonostante tutto, erano 11 anni che si conoscevano. Incrociarsi solo casualmente per i corridoi o in sala da pranzo era un grande cambiamento, rispetto alla convivenza forzata, e non sempre pacifica, ma continua, in casa Potter!
Inoltre, le direttive di tipo familiare (il ritorno a casa o i programmi per le vacanze) di solito erano comunicate a James. Cosa che ad Al non era mai dispiaciuta, per altro, perché significava che nelle sue lettere poteva dilungarsi sui racconti che riguardavano la sua persona, senza dover discutere dettagli di tipo logistico, che lo annoiavano.
Quindi, Al non sospettava di nulla, quando arrivò al luogo prefissato. Raggiunto il luogo convenuto, però, non c’era traccia di Jamie. C’erano invece sei ragazzi che avanzavano minacciosi, bacchette in mano, pronti a tormentarlo.
“Pensa, Al, pensa… veloce, però!” si disse, mormorando tra sé e sé, abitudine che aveva favorito spesso gli scherni dei suoi compagni di scuola e coetanei, sia nel mondo dei maghi che in quello babbano.
«Stupeficium!» sentì alle proprie spalle, e, senza riuscire a reagire, si trovò a sbattere contro un masso.
“Non abbastanza, Al… più veloce…expelliarmus? sono in troppi, qualcuno rimarrebbe comunque armato… sectumsempra? può fare danni irreparabili, non è il caso! E se provassi il Patronus? Ma se non mi è mai riuscito…” inutile dire che si ritrovò a pensare tutto questo in una frazione di secondo o poco più, stupendosi di quanto i suoi pensieri si rincorressero veloci nella propria mente, accompagnati da un altrettanto rapido susseguirsi di espressioni sul proprio volto.
Nel frattempo, Piton, nella grotta, insospettito dell’insolito ritardo del ragazzo, dopo mezz’ora di inutile attesa, si decise a lasciare la grotta ed iniziò a perlustrare la zona, fluttuando rapido lungo tutto il giardino di Hogwarts.
“Non sarà mica andato nella Foresta Proibita, come amava fare quell’incosciente del padre?” pensò e, senza pensarci, accelerò visibilmente. Ma niente, non c’era traccia di lui: neppure i centauri, a cui chiese sue notizie, l’avevano visto.
“Che sia andato ad Hogsmeade, in cerca di dolciumi, senza permesso?” pensò allora, virando verso il villaggio. Bastò un’occhiata veloce a capire quanto fosse, nuovamente, fuoristrada.
Quando il fantasma disperava ormai di poterlo trovare, lo vide. Era in un terrapieno, praticamente ai confini di Hogwarts, attorniato da sei ragazzi del sesto anno di corso. Alcuni ridevano, o, meglio, sghignazzavano. Altri lo deridevano. Uno lo stava facendo levitare sulle loro teste e minacciava di lasciarlo cadere.
Si domandò se fosse il caso di intervenire e, soprattutto, in che modo.  Si appiattì dietro ad una roccia, per non farsi vedere, meditando sul miglior modo d’intervento. Proprio allora sentì il ragazzo tuonare con voce stentorea e decisa: «Expecto Patronum!».
Piton non credeva alle proprie orecchie. Non l’aveva mai detto così bene, né aveva mai tenuta così saldamente la bacchetta, con polso morbido ed impugnatura decisa. Era tutto perfetto. Compresa la cerva che volteggiava in cielo, parandosi a protezione del ragazzo.
Difficile stabilire se Piton fosse più commosso dalla stupefacente perfezione di quell’incantesimo di protezione, oppure dal fatto che il patronus del giovane fosse uguale al proprio oltre che a quello di Lily. Cosa poteva significare: che aveva creato un legame particolare proprio con lui? Oppure con la nonna?
Nel frattempo, alcuni dei ragazzi indietreggiarono, esterreffatti ed impressionati:
«Ma… Ed, non è possibile: è al terzo anno, quel pivello: non può… o sì?!»
La sfrontatezza di Ed vacillò. Il ragazzo era ammutolito irrimediabilmente, sbiancando come un cencio.
Ma il meglio doveva ancora venire: quando, nel cielo, le cerve che volteggiavano, leggiadre e splendide, diventarono due, lo spavento fu tale che Ed lanciò in aria la propria bacchetta, terrorizzato, e se la diede a gambe,seguito dagli altri che, allibiti e increduli, lo imitarono. Nel giro di pochi minuti, il silenzio, in quel luogo, fu totale.
Al scese con un balzo dall’albero a cui si era prontamente aggrappato, quando l’incantesimo di levitazione s’era interrotto all’improvviso (cioè quando Ed aveva lanciato, terrorizzato, in aria la propria bacchetta):
«Professore, può uscire allo scoperto, ora. So benissimo che non sono io che ne ho evocate due, di cerve… però è stato meraviglioso vederle correre, insieme! Abbiamo lo stesso patronus, che bello! Ce l’ho fatta!» gridò Al, entusiasta, con gli occhi che gli brillavano di gioia, non appena fu certo di essere rimasto da solo.
E, al sentir questo, Piton uscì da dietro la roccia, preceduto dalla cerva, che si accompagnò ancora un po’ a quella di Al.
I loro sguardi si incrociarono.
«Ora puoi dirmelo, no? Qual era il tuo pensiero, quello con cui hai evocato il Patronus?» domandò Piton
 «Il ricordo più bello è stato quando la mia pozione è riuscita ed è arrivato Lei. Tanti mi parlavano di Silente. Di Lei sapevo poco, mentre volevo saperne di più. E poi… sapevo che era una pozione difficile: mi ha dato tanta soddisfazione riuscirci!» confessò Al.
«Comunque, non è vero che non ho amici. Michael McCunningham lo è, ad esempio. Solo, in quel momento, stavo venendo da Lei, quella volta che Lei ha visto nella mia mente, la volta scorsa. E poi….» aggiunse, facendo riferimento a ciò che il fantasma era riuscito a leggergli nella mente, l’ultima volta «Non finisce sempre così… spesso, James mi aiuta. Ma… non può essere sempre presente!» Poi con un sorriso, lo guardò: «Be’, per una volta, sono riuscito a farLa muovere dalla grotta! Ora vuole che ci torniamo, assieme?»
«Sì. Ora credo tu sia pronto a realizzare la Morte Vivente e la Pozione Anti - Lupo» propose. Poi, dopo una breve pausa, proseguì: «Tra tutti gli incantesimi che conosci, hai sceltoproprio quello che non padroneggiavi ancora bene? Come mai?»
Al arrossì fino alla punta delle orecchie: «Lo so, era rischioso, ma ho  pensato solo che se avessi focalizzato con attenzione ogni singolo appunto che mi aveva fatto, il risultato doveva essere migliore!»
«Non hai pensato al Sectumsempra?»
«Sì, certo che ci ho pensato» ammise, abbassando gli occhi, al ricordo della propria riflessione al riguardo «ma non volevo far loro del male. A nessuno… volevo solo che mi lasciassero in pace. E basta!», poi concluse: «Avevo pensato, anche se non sapevo come, ma mi aveva detto che si poteva, quindi doveva essere vero… di mandarglielo per chiederLe aiuto… poi ho visto il Patronus doppio: per quanto fossi migliorato, mi sembrava un po’ troppo; ho capito che doveva avere preceduto la mia intenzione ed essermi venuto a cercare… ma questo lo sapevo solo io, non gli altri, per mia fortuna!».
Cercò di celarlo, ma la risposta lo aveva soddisfatto pienamente. Aveva un animo puro, ma non gli mancava l’astuzia, così come la capacità di rimanere lucido. Gli doleva ammetterlo, ma era molto, molto più maturo di quanto fosse egli stesso, alla sua età; e non meno dotato. Dal primo momento in cui lo aveva visto, aveva scelto di farne il suo discepolo, di percorrere l’impervio e sottile crinale che correva tra bene e male, di mostrargli le magie più potenti. Mano a mano che procedevano, la paura che la sete di potere potesse ghermire il ragazzo aumentava in lui, come non gli era mai successo prima. Ma adesso non era prima. Prima, egli stesso si era lasciato prendere dalle mire di potere e dalla ricerca della gloria personale. Ora, era perfettamente consapevole dei rischi e delle conseguenze estreme, a cui queste potevano portare: erano ingredienti delicatissimi, che chiunque  volesse averne a che fare, doveva essere ben conscio di quanto fossero da maneggiare con cura. Nessuno poteva avvicinarlesi con superficialità.  Il ragazzo non gli aveva mai dato motivo di preoccuparsi seriamente. Tuttavia, sapeva bene che crescere non era mai semplice: troppe variabili entravano in gioco, tante cose potevano variare ed era convinto che non fosse inutile vigilare senza requie sulla mente e sul cuore del ragazzo.
Risolta la questione più importante, non resistette e lo stuzzicò, naturalmente, per motivi didattici: «Hai pensato che potevi fare una cosa più semplice: con un incantesimo chiamare la scopa e poi scappare via? Il dispendio energetico era sicuramente inferiore. Davvero non ti piace volare? Non ti è mai piaciuto o è solo perché non sei bravo a farlo?»
«Non mi ha mai entusiasmato, né prima né ora.» ammise, mogio mogio. Poi, riprendendo colore, speranzoso e pieno di entusiasmo, domandò: «Ma è vero che Lei sa volare senza scopa?»
«Sì» ammise, secco, senza pensarci.
«E non potrebbe.. insegnarmelo?»
«Albus, è una magia complessa, molto complessa, non di quelle che si fanno ai primi anni… non è roba da ragazzini!» iniziò.
«Oh, ma non sono mica piccolo… ho 13 anni, ormai!» rispose d’impeto, serio serio.
Piton fece fatica a trattenersi da una fragorosa risata: a 13 anni si sentiva già grande, il piccoletto, eh? Gli lanciò un’occhiata torva.
Albus allora sfoderò la sua faccia migliore, quella supplichevole, quella di fronte alla quale chiunque finiva alla sua mercé.
«Comunque, hai dimostrato di impegnarti, per cui, magari, tra un po’… ne potremmo parlare!» cedette il mago adulto, concedendo al giovane allievo un varco di speranza al proprio, precedente diniego.
«Oh, Sev, davvero? Grazie…. grazie mille!» esclamò, illuminandosi tutto, alla nuova, entusiasmante prospettiva.
Il fantasma si rabbuiò ed, inarcando il sopracciglio, tuonò (non gli era sfuggito il repentino ed istintivo passaggio dal Lei al Tu): «Albus, sei simpatico, sei un allievo in gamba, ma… resti uno studente. E sei molto più giovane di me! Porta rispetto e…» si fermò. Per l’abitudine stava per aggiungere “10 punti in meno a Grifondoro”, quando si ricordò che… non era Harry, non era a Grifondoro e, per finire, egli stesso non era più un insegnante di Hogwarts. All’improvviso, inaspettatamente, scoppiò in un fragorosa risata.
«Sev, non l’avevi mai fatto!» disse, ridendo, il ragazzo. Senza pensarci, Albus l’aveva fatto di nuovo: accortosene, arrossì fino alla punta delle orecchie e si nascose il volto tra le mani.
Piton sorrise: «Cosa non avrei fatto?», chiese, incapace di arrabbiarsi di fronte a quel nomignolo che gli evocava ricordi felici.
«Ridere, professore» rispose, ricomponendosi «E di se stesso, per di più!» Albus capì il motivo, senz’alcun bisogno di ricorrere all’occlumanzia. Quando hai la certezza che chi ti sta di fronte non riderà di te, puoi farlo tu, mentre questi ride con te.
Ma Al non dimenticò la propria colpa, pur non segnalata in modo esplicitamente e gli spiegò con sincerità: «Mi scusi, professore… non so cosa mi è preso… ero solo felice della notizia e… con Lei mi trovo così bene che… mi è venuto spontaneo. Ma ho sbagliato io: sono stato indisponente e arrogante e… poco rispettoso e… —» si affrettò a dire.
«Basta così, Albus… solo gli elfi si puniscono da soli per queste cose. Non vorrei essere costretto a sanarti ferite autoinflitte!» lo interruppe, severo, di fronte a quell’eccesso di zelo nell’umiliarsi di scuse.
«Oh, no, Signore: non ve La costringerò! Non intendo costringerLa a fare nulla che non voglia!» esclamò compito, strappando l’ennesimo sorriso allo spettro.
 «Professore?» domandò a un tratto, poco dopo.
 «Sì, Albus?»
«Grazie per essere venuto. So… quanto Le sia costato!»
E, per ritornare al solito posto, Albus scelse la strada più buia, più oscura, meno frequentata: aveva capito che Severus voleva ardentemente evitare di incontrare altri studenti, confusione, ma soprattutto l’onta di essere un fantasma come un qualsiasi Nick Senza Testa, come il Frate Grasso, o il Barone Sanguinario. E ad Al non parve una fatica o un disagio, quella deviazione: non aveva paura di nulla, in sua compagnia. Erano in due, con due Patronus, per giunta: si sentiva quasi invincibile, con lui al suo fianco. Si trovò a ripensare a quanto era migliorato in quei mesi (meno di un anno): le sue pozioni erano più accurate, i suoi incantesimi più precisi e potenti, le sue conoscenze sul mondo oscuro e sulle creature magiche più approfondite. Dietro, c’era sempre lui, che gli raddrizzava la bacchetta, gli ammorbidiva il polso, lo sgridava, gli intimava di mantenere la concentrazione, gli sibilava consigli ed indicazioni. È vero: a volte era duro, implacabile, rude, sgarbato, per nulla amichevole. Ma i frutti si vedevano: erano evidenti. Si fidava e si lasciava correggere, perché la voglia di imparare sovrastava anche il suo amor proprio e sapeva di chi si stava fidando.
Piton, dal canto suo, si accorse di come, anche solo con una parola o con uno sguardo, avesse una gentilezza tale che gli sembrava che, ogni volta lo carezzasse con la tenerezza di una madre. Sì, lui, il suo adepto pareva avere con lui una delicatezza che era insolita da trovare, quasi come se lo conoscesse da sempre e riuscisse a leggerlo nel profondo con una sola occhiata. Pensò che, se non fosse stato un fantasma, probabilmente gli avrebbe gettato le braccia al collo con lo stesso affetto, grato e genuino, con cui compiva quel gesto nei riguardi del padre. Al solo pensiero ebbe un lieve imbarazzo: stimava il ragazzo e la sua mente brillante, era rispettoso, caparbio e tenace, non era però sicuro di poter dire di essergli affezionato, anche perché forse non era sicuro di essere in grado di amare; poco avvezzo alle dimostrazioni di affetto, non gli dispiacque che quella sua condizione di fantasma lo togliesse dall’imbarazzo di non sapere come avrebbe potuto reagire ad eventuali gesti d’affetto che quel piccolo, amabile sconsiderato avrebbe potuto compiere nei suoi rispetti. Rifletté quindi, che non dover affrontare questo grattacapo era un aspetto positivo dell’essere fantasma, anche se forse l’unico.
In quel mentre, Albus si volse a guardarlo, con gratitudine; ma in modo così fisso, che il fantasma non poté fare a meno di chiedergli: «Che c’è?»
Ma Albus non rispose, anzi si affrettò a chiudere la mente perché non potesse saperlo. L’aveva appena ringraziato; era già la seconda volta e un altro moto di gratitudine sarebbe stato considerato eccessivo: non aveva dubbi al riguardo. E non voleva contrariarlo in alcun modo!
Il fantasma notò quel gesto e sorrise, compiaciuto, ricambiato dal ragazzo. Era ammirato della sua intransigenza, della sua applicazione, del suo continuo esercitarsi, della sua costanza e della sua determinazione. Era lo studente che ogni docente avrebbe sognato avere. Non perché sapesse ogni cosa (diciamoci la verità: quegli studenti non li vuole nessun insegnante, perché frustrano la fatica con cui essi preparano le lezioni!) e neppure solo per il suo studio. Aveva una mente aperta, disposta ad ascoltare, docile agli insegnamenti dell’insegnante che riceveva la sua stima. Forse non era così con tutti, ma il fantasma si accorgeva che era così nei suoi riguardi. E questo gli bastava per poterne essere orgoglioso, come di una propria creatura.

 
   
 
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